22 gennaio 2003 - E' morto
Giambattista Lazagna 'Carlo'
Giambattista Lazagna, nato a Genova nel
1923, avvocato, prese contatto con l 'organizzazione comunista clandestina fin
dagli anni dell'Università, nel 1942, e dopo l'8 settembre 1943 partecipò alla
Guerra di liberazione, divenendo commissario politico della Brigata
"Oreste" e vicecomandante della Divisione Garibaldi
"Pinan-Chichero" operante in Liguria.
Gravemente ferito in combattimento e decorato di medaglia d'argento al valor
militare, nel dopoguerra, lavorò alla redazione genovese del
"l'Unità", fu tra i dirigenti della federazione provinciale del PCI e
segretario del Comitato regionale di solidarietà democratica per la Liguria
(1949-56) che si occupava della difesa dei partigiani perseguitati dai governi
democristiani dell'epoca.
Occupò successivamente varie altre cariche nelle organizzazioni democratiche
liguri e fu presidente dell'ANPI di Novi Ligure finché, nel 1970, coinvolto
nella questione Feltrinelli, venne arrestato. Rilasciato dopo 5 mesi di
carcere, nell'ottobre 1974 fu nuovamente arrestato in connessione all'inchiesta
sulle Brigate Rosse.
Autore nel 1946 del libro di memorie partigiane "Ponte rotto" (più
volte ristampato nel 1964, 1968 e 1972), ha pubblicato nel 1974 una nuova opera
dal titolo "Carcere, repressione, lotta di classe", sintesi della sua
esperienza di studioso e di antifascista militante di fronte ai problemi della
repressione giudiziaria.
(dal retro di copertina di "Il caso del partigiano Pircher" di
Giambattista Lazagna, ed. La Pietra, 1975)
Introduzione a
"Ponte rotto" di Giambattista Lazagna
Edizione a cura del Comitato
nazionale di lotta contro la strage di stato - Soccorso Rosso
Cari compagni,
ristampare oggi, dopo ventisette anni "Ponte rotto", non può avere
soltanto un significato commemorativo o rievocativo delle ormai lontane vicende
della guerra partigiana.
Non possiamo ignorare oggi un quadro politico che vede il virulento riemergere
del fascismo non più come nostalgia, ma come strumento di ricatto e di ricambio
dell'imperialismo e del capitalismo più reazionario che ripropongono per mezzo
dei servizi segreti lo spettro di un colpo di stato da attuarsi come in Grecia.
E che fa la sinistra tradizionale ? Prigioniera delle illusioni riformiste e
parlamentariste, incapace di esprimere una linea rivoluzionaria alternativa al
sistema, rinuncia all'uso politico della rabbia operaia e abbandona alla
demagogia fascista lo spazio politico obbiettivamente rivoluzionario della
miseria e della disperazione del sottosviluppo meridionale.
Ristampare "Ponte rotto" oggi, anche se è cosa modesta, può
significare, certo, un richiamo ai temi della lotta contro il fascismo, non per
riproporre un tipo di lotta attuato in un contesto storico-politico
completamente diverso e quindi irriproducibile, ma per risvegliare la fiducia
dei comunisti, dei rivoluzionari, nelle immense capacità combattive della
classe operaia, dei contadini, del proletariato ed anche del sottoproletariato
urbano, quando siano guidati da una avanguardia rivoluzionaria ideologicamente
unita e agguerrita, capace di una analisi leninista della situazione politica,
capace di battere da un lato l' opportunismo ed il riformismo e dall'altro il
settarismo ed il dogmatismo.
Riaprire alle masse popolari italiane una prospettiva rivoluzionaria,
riproporre l'obbiettivo della presa del potere e della costruzione di una
società comunista dopo tanti anni di "passeggiata intorno al
capitalismo" è oggi a mio avviso l'unico modo per mobilitare le masse e di
riprendere il cammino iniziato con la guerra partigiana per sbarrare
definitivamente la strada al fascismo e tagliarne le radici affondate nel
privilegio, nello sfruttamento, nella corruzione, negli intrighi dei servizi
segreti stranieri che annidano i loro agenti specialmente ai vertici della
burocrazia dello Stato e dei corpi armati.
E perché la lettura di "Ponte rotto" possa avere qualche utilità
politica, vorrei che il lettore, al di là della cronaca degli episodi della
vita partigiana, riuscisse a scorgere la chiave della linea politica seguita
dai combattenti partigiani, riuscisse a scorgere la forza egemone che indicò
questa linea e cioè il partito comunista, partito che seppe giustamente
impostare e vincere le battaglie della lotta di classe e non soltanto contro il
fascismo, ma anche all'interno delle stesse forze della coalizione
antifascista, battendo prima e trascinando poi con sé anche forze
conservatrici, risolvendo favorevolmente il problema delle necessarie alleanze.
Avrei voluto su questi temi svolgere un più approfondito studio, ma le
circostanze particolari in cui mi trovo a scrivere queste righe, senza
possibilità di consultare libri e documenti, di sentire le testimonianze e le
opinioni di vecchi compagni di lotta, non mi consentono di realizzare
completamente il mio proposito e mi costringono a limitarmi a indicare a grandi
linee i problemi su cui attiro l'attenzione dei compagni.
Il partito comunista che conobbi, come "candidato" alla iscrizione,
nell' autunno del 1942, era un'organizzazione rigidamente clandestina composta
da poco più di un migliaio di militanti in tutta Italia, formatisi nella
durissima lotta cospirativa, nelle galere fasciste, al confino, nella
emigrazione, nella guerra di Spagna, nella resistenza francese.
Insegnava alle sue reclute con pochi testi clandestini e soprattutto oralmente,
i principi fondamentali del marxismo-leninismo e le norme minuziose del lavoro
politico cospirativo.
Il partito era padrone della vita e dei beni dei militanti, decideva quale
lavoro ciascuno dovesse svolgere, ed in quale città, imponeva il segreto su
tutta l'attività anche davanti ai tribunali e sotto tortura della polizia,
vietava qualsiasi atti di debolezza o di sottomissione nei confronti del potere
repressivo, e persino la domanda di grazia in caso di condanna a morte.
Quando, dopo l'8 settembre 1943, i partiti antifascisti riuniti nei Comitati di
Liberazione Nazionale (C.L.N.) si trovarono a discutere sulla linea politica da
seguire nella lotta contro il fascismo e il nazismo, il partito comunista
dovette affrontare e vincere una prima ed importantissima battaglia contro
quella posizione politica che fu chiamata "attendismo".
Contro le tesi comuniste di un immediato inizio della guerra partigiana contro
gli occupanti tedeschi e i loro servi fascisti, per costruire nella lotta
l'esercito di liberazione e per chiamare le masse popolari agli scioperi
politici, al sabotaggio della produzione bellica e dei trasporti, per aprire la
strada alla insurrezione nazionale, le forze conservatrici, e particolarmente i
democristiani e i liberali, sostenevano che, essendo ormai sicura la vittoria
delle armi alleate, sarebbe stato inutile e dannoso scatenare una lotta che
avrebbe "provocato" sanguinose rappresaglie, imprigionamenti e
deportazioni da parte delle forze nazi-fasciste. Sostenevano, queste forze
conservatrici, che era più opportuno organizzarsi per dare il colpo decisivo ai
tedeschi e ai fascisti al momento della offensiva militare alleata: in realtà
esse ben comprendevano la minaccia che ai privilegi di classe e alla pace
sociale che, essi difendevano, sarebbe venuta dal costituirsi, per la prima
volta nella storia d'Italia, di una forza armata degli operai, dei contadini,
dei giovani che aspiravano ad un radicale rinnovamento sociale ed alla
edificazione di una società socialista.
Esse naturalmente avrebbero preferito che "all'ordine" degli
occupanti tedeschi fosse sostituito, senza soluzione di continuità, l'"
ordine" degli occupanti anglo-americani.
Il partito comunista rispose a questa linea attendista con la linea d' assalto
dei "Gruppi di azione patriottica" (G.A.P.) e delle brigate d'
assalto "Garibaldi". Queste forze, ancora con pochi militanti, si
gettarono con estrema decisione nella lotta e fin dall'ottobre 1943 iniziarono
a giustiziare sommariamente per le strade della città aguzzini fascisti ed
ufficiali tedeschi, formarono le prime bande partigiane ed iniziarono il
sabotaggio dei mezzi di comunicazione e delle fabbriche belliche.
Questo bruciante inizio della guerra partigiana ad opera dei comunisti fu
possibile non soltanto per l'esistenza di quadri politici e militari
sperimentati ma soprattutto per la consapevolezza ideologica del partito che
aveva assimilato il principio leninista della trasformazione della guerra tra
paesi capitalisti ed imperialisti in guerra civile rivoluzionaria.
I partiti del C.L.N. si trovarono quindi subito di fronte al fatto compiuto,
alle "provocazioni" ormai poste in atto dai comunisti e dovettero
adeguarsi e adattarsi alla situazione rincorrendo i comunisti per non lasciare
loro il monopolio della lotta armata.
Di fatto però, con la vittoria nella lotta contro l'attendismo, il partito
comunista aveva conquistato una posizione egemone nella condotta politica e
militare della guerra di liberazione ed aveva trascinato con se, in una necessaria
alleanza, le altre forze politiche, anche quelle più riluttanti.
Dopo questa prima e fondamentale vittoria il partito comunista mantenne e portò
più avanti la sua funzione di guida nella condotta della guerra lanciando e
facendo applicare parole d'ordine audaci e giuste come "armarsi strappando
le armi al nemico", "non dare tregua", "costruire nella
lotta l' esercito partigiano", "imporre al nemico lo scontro nel
momento più favorevole e non accettare che il nemico imponga lo scontro"
ecc.
Per assolvere la sua funzione dirigente nella lotta armata, fu necessario al
partito comunista reclutare largamente tra i giovani combattenti e formarli
ideologicamente e politicamente anche all'interno delle formazioni
"Garibaldi", organizzate e dirette dal partito comunista, il partito
si dette una propria organizzazione politica, indipendente da quella militare.
In ogni distaccamento partigiano vi era una cellula comunista che si riuniva
molto spesso per discutere la linea politica del partito e la situazione politico-militare
della formazione. Le riunioni di cellula erano di regola aperte a tutti i
partigiani e costituirono un importante mezzo di educazione politica e di
proselitismo.
Vi erano poi comitati di partito di brigata, di divisione e di zona, che agivano
pressoché clandestinamente e decidevano le più importanti questioni della
organizzazione del partito, dei rapporti con le popolazioni, dell' assegnazione
delle responsabilità militari e politiche delle formazioni. Nella stessa zona
operativa ligure la grande forza del partito consentì di elevare ad importanti
incarichi di comando militare molti partigiani senza-partito, prevalentemente
cattolici.
Questa giusta politica, coerente ai principi della massima estensione possibile
delle alleanze rispondeva anche (indipendentemente dalle indiscusse qualità
militari dei comandanti non-comunisti) a precise esigenze di alleanza con le
popolazioni contadino-montane dei territori in cui operavano le formazioni
partigiane.
L'appoggio di queste popolazioni, politicamente strettamente controllate dal
clero, fu elemento indispensabile per consentire la nascita e il consolidamento
delle prime bande partigiane, poco armate ed ancora inesperte della montagna:
in quella fase anche una sola delazione sulla ubicazione delle bande, poteva
essere fatale.
Ma la collaborazione delle popolazioni non mancò mai: sia per l'istintivo e
diffuso antifascismo dei montanari, sia per umana solidarietà, sia per il
rispetto che i partigiani avevano per le persone e le cose dei contadini, sia infine
per la collaborazione del clero, favorita anche dalla presenza di nostri
comandanti cattolici.
Tali rapporti andarono sempre migliorando nel corso della guerra, fino a
giungere ad una stretta collaborazione che si concretò con l'entrata nelle
formazioni di molti giovani contadini e con la costituzione di squadre
ausiliarie armate di villaggio e di vallata.
Naturalmente anche questa collaborazione non fu sempre e dappertutto perfetta:
vi furono difficoltà specie con grossi commercianti e speculatori di derrate
alimentari e vi furono altre questioni di non grande importanza.
Debbo viceversa segnalare un grave episodio di lotta tra comunisti e
democristiani avvenuto nell'inverno 1944-1945. Alcuni personaggi di primissimo
piano del clero e della democrazia cristiana genovese, forse indotti in errore
nella valutazione della forza del partito comunista nella 6° zona operativa,
sopravvalutarono il fatto che alcuni prestigiosi comandanti erano cattolici o
comunque non comunisti. Essi pensarono di poter far leva sulla presenza e sul
prestigio di tali comandanti per sottrarre le formazioni partigiane garibaldine
al controllo del partito comunista e per trasformarle in formazioni
"autonome" e sopprimere gli incarichi dei commissari politici.
Dopo una fitta trama di colloqui diretti e a mezzo di emissari, fu fatta
diffondere nei distaccamenti una lettera del comandante "Bisagno"
nella quale si invitavano i partigiani a non iscriversi a partiti se non dopo
una almeno triennale meditazione, e si criticavano pretese interferenze
politiche sulla condotta militare della guerra.
La manovra culminò nel tentativo da parte di un distaccamento di far
prigioniero il comando di zona: tale tentativo tuttavia fallì con una semplice
ma dura sfuriata del commissario "Attilio" che rispedì il
distaccamento ribelle al suo accantonamento.
Ho voluto ricordare questo episodio per dimostrare che l'unità della resistenza
non fu il frutto di un idilliaco accordo, ma al contrario il frutto di una
lotta talvolta aperta e talvolta sorda, che altro non era che manifestazione
anche all'interno della resistenza, della lotta di classe.
L'unità si stabiliva dopo la lotta, come conseguenza della posizione vittoriosa
del partito comunista, conquistata a causa della sua giusta azione
militare-politica secondo il ben noto principio che "l'unità si realizza
da uno che va avanti e gli altri che vengono dietro".
Ed ancor oggi, quando si parla di unità della Resistenza, se non si vuole
tradire la verità, si deve ben specificare che tale unità, allora come oggi,
può esistere solo come frutto e risultato di una lotta politica e della
vittoria della linea più conseguente, più combattiva, più rivoluzionaria.
Spero che sia risultato chiaro da quanto ho scritto, che la funzione di guida
della guerra partigiana ad opera del partito comunista fu dovuta non soltanto
alla disciplina, alla preparazione ed alla combattività dei suoi quadri, ma
anche e specialmente alla prospettiva politica veramente liberatrice che
l'ideologia e la linea politica del partito offrivano alla classe operaia ed
alle classe popolari, per l'abbattimento del regime capitalista e la
costruzione di una società comunista di uomini veramente liberi ed uguali.
Tutti i compagni che erano o che entravano nel partito nel corso della guerra
partigiana consideravano la lotta contro i tedeschi ed i fascisti soltanto come
una prima battaglia della liberazione dal capitalismo e dall' imperialismo:
tale battaglia doveva proseguire in forme e modi e tempi che non potevamo
ancora prevedere ma che speravamo in rapida successione con l' insurrezione
nazionale antifascista che stavamo preparando.
Nell'autunno del 1944 il commissario politico della 6° zona operativa, compagno
Anelito Barontini (Rolando) andò a Roma alla direzione del partito,
attraversando la linea del fronte nei pressi di Massa Carrara e ritornò tra noi
dopo circa un mese, paracadutato.
Riunì i quadri del partito e svolse una relazione che nei suoi termini
essenziali, suonava così: "Non dobbiamo illuderci sulla possibilità a
breve scadenza per il partito e i suoi alleati di prendere il potere. La
presenza in Italia di un governo militare alleato e di numerose truppe
anglo-americane e gli accordi internazionali renderebbero impossibile un simile
tentativo: in Grecia, il rifiuto dei partigiani di consegnare le armi
all'esercito inglese si è risolto in un massacro. La politica del partito dopo
la liberazione dai tedeschi, sarà ancora e per un lungo periodo di tempo,
quella di ottenere che il governo sia espressione dei partiti antifascisti che
hanno condotto la guerra di liberazione nei C.L.N. Occorre quindi potenziare al
massimo il prestigio e la forza dei C.L.N. anche come organi del potere locale
ed assicurare la direzione politica in senso decisamente antifascista".
Ripeto che ovviamente non posso citare le parole esatte di Rolando, ma sono
convinto che questo fosse il senso del suo discorso. Per i compagni che
speravano in un rapido succedersi delle battaglie rivoluzionarie, la
prospettiva delineata da Rolando fu assai deludente: ma ci consideravamo ed eravamo
disciplinati militanti di un reparto dell' esercito comunista, avevamo piena
fiducia nello spirito e nella capacità rivoluzionaria dei nostri dirigenti e
sapevamo che essi potevano e dovevano valutare meglio di noi, come comandanti
di un esercito quale fosse il momento della offensiva e quale il momento della
difensiva.
Continuammo a portare avanti disciplinatamente i compiti militari e politici
che ci erano assegnati. Dopo la insurrezione vittoriosa del 25 aprile 1945, la
prima preoccupazione di ogni comandante e di ogni militante comunista (poiché
non si poteva rimanere armati e poiché non consideravamo finita la lotta) fu
quella di nascondere la maggior quantità possibile di armi.
Negli anni successivi lottammo secondo le indicazioni del partito comunista per
gli obbiettivi della repubblica e dell'assemblea costituente. Le forze
conservatrici avevano frattanto scatenato, guidate dall'imperialismo americano,
una violenta offensiva contro il movimento popolare, perseguitando i
partigiani, infamandoli e gettandoli in galera per i fatti della guerra
partigiana.
Cercavano di sobillare e contrapporre ai partigiani i soldati reduci dalla
prigionia, ricostruirono l'apparato repressivo, polizia esercito e
magistratura, secondo l'ordinamento e con i quadri fascisti.
Delusa con la elezione del 18 aprile 1948 la speranza di una affermazione
elettorale del Fronte Popolare, la collera dei comunisti, degli operai e dei
partigiani esplose, il 14 luglio 1948 in occasione dell'attentato a Togliatti
nel quale le masse popolari individuarono giustamente il tentativo di
schiacciare definitivamente il movimento operaio.
Fu proclamato lo sciopero generale e gli operai, i partigiani, i comunisti
scesero immediatamente nelle piazze: tutta l'Italia del nord fu, nel giro di
poche ore, nelle mani del popolo insorto che costruiva ovunque barricate.
A Genova i portuali disarmati si impadronirono di cinque autoblindo della
polizia intatte che furono poste a difesa degli insorti.
I dirigenti politici dei partiti operai si adoperarono per ristabilire la
calma, argomentando così: "Gli americani sono ancora in Italia,
sbarcheranno altre truppe. Il Sud non segue il movimento, rischiamo la guerra
civile, il massacro".
Gli insorti tornarono dopo qualche giorno alle loro case e si scatenò una repressione
inaudita: secoli di galera furono distribuiti generosamente.
Si discusse a lungo sul 14 luglio, sulla divisione del mondo in due campi e sul
fatto che noi eravamo nel campo americano, sul dovere internazionalista dei
comunisti di tutto il mondo di sconfiggere la politica americana.
L'aggressione atomica contro l'URSS per preservare il paese dal socialismo, lo
stato guida della rivoluzione mondiale comunista, per consentirgli di
ricostruire la sue forze esauste dalla guerra, per consentire ai paesi dell'
Europa orientale di costruire il socialismo, per consentire il consolidamento
della rivoluzione in Cina.
Passarono anni di lotte difensive, di dura repressione poliziesca contro il
movimento operaio, di lotte sindacali per mantenere il livello di vita degli
operai nei limiti consentiti dal sistema capitalista.
In molti paesi i movimenti di liberazione nazionale lottavano e riuscivano a
liberarsi dalla oppressione coloniale; in altri, in Vietnam, in Guinea, in
Mozambico, in Angola, interi popoli conducono ancora la loro guerra di
liberazione nazionale e rivoluzionaria ad un tempo.
Cuba ha fatto la sua rivoluzione socialista e nonostante la logica della
divisione del mondo in due campi è riuscita a farne imporre il rispetto.
Verrà anche per i comunisti, per i rivoluzionari italiani il momento di uscire
dalla difensiva, di far straripare dal quadro permesso dal sistema la volontà
rivoluzionaria degli operai, dei contadini poveri del Sud, degli studenti ?
E' quanto da anni e anni ci chiediamo, attenti a cogliere i segni dei tempi,
attenti alla necessità di ricostruire lo strumento politico che sappia
unificare e guidare le masse popolari in una linea strategica rivoluzionaria.
Il compagno Pietro Secchia, pochi mesi or sono, chiudeva un dibattito sul tema della
lotta al fascismo pressappoco con queste parole: "Compagni, la lotta per
il salario, la lotta per la casa, la lotta per la salute, sono tutte lotte
sacrosante che noi dobbiamo combattere tutti i giorni. Ma con la coscienza che
fino a quando non avremo conquistato le riforme che ci consentano di
controllare la polizia, la magistratura e l'esercito, pilastri fondamentali
dello Stato, tutte le nostre conquiste saranno temporanee, effimere ed
illusorie".
E porsi il problema di queste "riforme" significa, da comunisti,
porsi in termini rivoluzionari il problema della presa del potere.
Milano, S. Vittore, 10 maggio 1972.
G.B. LAZAGNA
Ricordo di
G.B. LAZAGNA 'Carlo'
Oggi a mezzogiorno ci ha lasciato un caro compagno: G.B. Lazagna.
G.B. Lazagna 'Carlo', nato nel 1923, aderì a 19 anni al PCI, come membro della
cellula univesitaria clandestina genovese accanto a Buranello e Fillak.
Salì in montagna nell'Aprile del 1944 e fu insieme a Bisagno,a Scrivia, a Marzo
e a tanti altri nei casoni di Cichero sull'Appennino chiavarese. Divenne poi
stimato commissario politico e vicecomandante della divisione Pinan Cichero,
prendendo parte a tutte le battaglie sostenute contro i nazifascisti (fra tutte
quella di Pertuso, nell'Agosto del 1944). Il 25 Aprile 1945 firmò la resa del
presidio tedesco di Tortona.
Nel dopoguerra scrisse 'Ponte Rotto', uno dei classici della memorialistica
partigiana, diffuso nel corso degli anni in più edizioni.
Fu segretario di sezione del PCI, (partito per il quale ricoprì anche le
cariche di consigliere comunale e provinciale), animatore del Comitato di
Solidarietà Democratica ligure per la difesa dei diritti politici e sindacali
dei partigiani e dei lavoratori perseguitati da Scelba, instancabile avvocato
della Camera del Lavoro di Genova e attivo organizzatore politico e culturale
nell'ANPI.
Negli anni 70 G.B. Lazagna, insieme alla nuova sinistra, fu accanto ai
movimenti, e detenuto politico perseguitato col carcere e col confino per le
sue posizioni 'eretiche' accanto a Gian Giacomo Feltrinelli. Per la sua
liberazione il 'Soccorso Rosso' di Franca Rame e Dario Fo, insieme alla nuova
sinistra, organizzò un comitato di sostegno.
Sino ad oggi, GB Lazagna, divenuto segretario dell'ANPI Val Borbera, è sempre
stato impegnato nell'antifascismo militante, attraverso la pubblicazione di
libri e di interventi sempre sferzanti verso chi 'per superficialità culturale
o per inconfessabili motivi elettorali voglia porre sullo stesso piano morale
combattenti fascisti e resistenza' (come scrisse in un suo recente libro).
Da sempre libero pensatore, egli fu sino all'ultimo accanto ai giovani,
incoraggiandoli alla lotta, consigliandoli e sostenendoli nei momenti di
scoramento.
Per noi fu compagno prezioso e sincero amico.
Ciao comandante Carlo, ci mancherai.
Il collettivo "Stato di Allucinazione" di Pontedecimo aderente
all'ANPI