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da "il nostro giornale", 29 gennaio 2005

La storia come riflessione sul presente


A Rocchetta commemorato il partigiano G.B Lazagna
Caligari: “Col suo arresto spezzato il filo tra Resistenza e Sessantotto”


di Walter Delfini

Erano in molti sabato, 22 gennaio, nella sala consigliare di Palazzo Spinola di Rocchetta Ligure, i convenuti a ricordare l’amico e il compagno “Carlo” “Gibì”, Gian Battista Lazagna, scomparso il 22 gennaio del 2003.

A Giovanni Daglio dell’Anpi Valborbera l’introduzione della commemorazione; al prof. Manlio Calegari, storico, autore di un testo importante per lo studio della Resistenza come “Comunisti e partigiani”, il compito di ricordare “Gibì”, contestualizzando le sue vicende umane e politiche nel quadro dell’Italia del dopoguerra. Il prof. Calegari, legato a Lazagna da antica amicizia e collaborazione, ha regalato ai presenti momenti di forte emozione ma ha soprattutto offerto originali spunti per una lettura non stereotipata della vita di “Gibì”, non solo comandante partigiano, ma politico, uomo che si interrogava, rifletteva, rivedeva quanto pensato e vissuto in relazione all’esistente: “È di estremo interesse che le esperienze fondamentali siano in continuazione rilette, reinterrogate, non per togliere qualche cosa ma semplicemente per approfondire ciò che si è vissuto in relazione a ciò che si va vivendo: questo è importante non solo per Gibì, che ha saputo fare questo percorso, ma per tutti noi”.

Molti giovani che hanno aderito alla lotta di liberazione non erano politicizzati, molti erano renitenti o apartitici, segnati da quella esperienza, nel dopoguerra aspirarono ad un nascente sistema più aperto alle istanze di libertà sociale, di rinnovamento culturale, di equità e giustizia, istanze recepite e formalizzate nella nostra costituzione, ma non dal nascente sistema partitico, troppo teso a riconquistarsi spazi di agibilità e visibilità politica dopo il ventennio fascista. Ad esempio, il “comitato di solidarietà democratica” da “Gibì” attivato con avvocati di varia provenienza politica (liberali, democristiani, di forte fede democratica) per la difesa di partigiani e poi dei lavoratori, fu un’esperienza innovativa vissuta dal contesto politico del tempo come forzatura.

Il movimento carsico che da sempre percorre i sistemi sociali, mette inaspettatamente in contatto due esperienze lontane nel tempo e per contesto storico, ma essenzialmente vicine per affinità: bisogno di libertà e autonomia. Il movimento partigiano e i nuovi movimenti studenteschi e sociali sorti tra il 1967 e il 1969 si incontrano e uomini come Lazagna, diventano riferimenti importanti per questi giovani. Dice Calegari: “Improvvisamente, una generazione che veniva data come non politicizzata, comunque non partiticizzata, quella del movimento studentesco, si rivolge, anche per riflettere sulla storia politica sia pure con delle approssimazioni e semplificazioni, non ai partiti ma a un movimento, all’esperienza del movimento partigiano, cioè a un qualche cosa che richiama la stessa esperienza che quei ragazzi stavano facendo nelle università, un qualche cosa che non si legge attraverso le federazioni dei partiti o i movimenti giovanili dei partiti, ma si vede invece come un grande slancio, un esempio di autonomia.

C’è una battuta di Gibì, bella, che mi pare abbia ripetuto in qualche sua nuova recensione di “Ponte rotto” che dà il senso di quello che voglio dire: ‘Avevamo avuto allora la sensazione che la storia si fosse rimessa in moto’".

Furono anni fecondi per Lazagna, di iniziative, ulteriori riflessioni e come sostiene Calegari, di rivisitazione e riflessione in rapporto al nuovo contesto, e ai nuovi movimenti. Una fecondità interrotta brutalmente dall’arresto e poi dal confino a Rocchetta. Costringendo alla immobilità Lazagna, si è voluto spezzare quel filo che collegava l’esperienza del movimento partigiano ai nuovi movimenti, si è compiuta in modo definitivo l’operazione per zittire quanto della resistenza era vivo e capace di proiettarsi oltre il ricordo e la commemorazione.

Prosegue Calegari: “Erano anni difficili, il ‘69 è l’anno delle bombe a Milano, nel ‘74 si chiude una prima fase delle stragi con la strage di Brescia...si capisce che oggi si può sorridere di uomini come Feltrinelli, ironizzare sul ricco editore che teme il golpe...Il fatto è che il golpismo c’è stato, Gelli c’è stato, la P2 c’è stata, e gli iscritti alla P2 esistono ancora e i piani della P2 si manifestano con il duro attacco all’ordine giudiziario riducendo spazi di democrazia. Non si è arrivati a nulla, ma la violenza e il marasma politico di quegli anni hanno soffocato hanno costretto Lazagna a difendersi, accettando il ruolo del comandante partigiano, della medaglia d’argento, si è trovato stretto in questa sua storia di partigiano, che ha parlato con i giovani, con gli studenti, il grande vecchio ecc.

Per anni segregato e confinato non solo fisicamente ma appunto nel ruolo. Nella rappresentazione di Gibì, di quel tempo, tendo a vedere come è stata respinta la politica in questo paese”. La caduta del muro di Berlino e del progetto del comunismo reale ha come conseguenza non nefasta il ridare significato alle milioni di scelte individuali. Lo stesso Gibì, pur in età, ha ripensato “Ponte rotto” nelle note di alcuni libri con una tensione al particolare dovuta alla necessità di ripensare ai casi, ai singoli, agli individui, alla storia di minoranze. Conclude Calegari: “Importante perché si ha una riflessione continua sulla politica e questo è un segno di vitalità non solo del nostro amico ma ovviamente della Resistenza”.



Cantalupo Ligure: ombre sulla memoria


di Walter Delfini

Venerdì 4 febbraio, in occasione della rievocazione della battaglia di Cantalupo Ligure e del sacrificio di Fiodor Poletaev,si sono verificate sorprendenti e curiose coincidenti dimenticanze.

G.B.Lazagna “Carlo” scomparso il 22 gennaio 2003, il vice comandante della Pinan-Cichero, che partecipò alla battaglia e la descrisse in uno dei più importanti libri sulla Resistenza, “Ponte Rotto” non è stato citato né dalle autorità locali né dalle autorità provinciali. Stranamente la figura di “Carlo” non compare neppure su “Il piccolo” di venerdì 4 febbraio. Il giornale d’Alessandria e Provincia, a pagina  34, nel pezzo dedicato alla rievocazione di quell’avvenimento  cita il suo “Ponte Rotto”, libro che descrive la battaglia e l’atto eroico di Fiodor, senza nominarne l’autore che tra l’altro era tra i protagonisti di quell’episodio, lo scontro con le forze nazi-fasciste. Certamente è una svista, che però va ad accumularsi a tante altre dimenticanze.

Mi è già capitato di denunciare(“Il Nostro giornale” del 1 febbraio 2003) l’esistenza di una video cassetta sulla storia della Resistenza in Val Borbera, dove il vice comandante “Carlo” era completamente scomparso. Insomma, solo coincidenze e disattenzioni o piccoli misteri che andrebbero svelati?  È strano come la pratica della memoria tenda a dividere ciò che era unito.

A Cantalupo si esalta legittimamente “Scrivia” e si dimentica “Carlo” mentre la storia del movimento partigiano in Val Borbera ci consegna attraverso le figure del cattolico “Scrivia” e del comunista “Carlo” una sintesi unitaria. 
A Cantalupo, tra tutti gli oratori, solo il comandante partigiano, Adriano Bianchi, (non abitante della Valle) in un breve cenno, ha ridato visibilità a Lazagna.

“Carlo” è stato un personaggio carismatico,  che non solo ha vissuto in Val Borbera, gran parte della sua esperienza partigiana, ma vi ha trascorso molta parte della sua vita,  lavorando, impegnandosi fino alla fine nella ricerca  storica sulla memoria Resistenziale, realizzando molteplici iniziative. Recentemente a Rochetta Ligure, il Comandante “Carlo” è stato ricordato dal prof. Manlio Calegari, con un’interessantissima e approfondita rilettura della figura e del ruolo di questo Resistente. Una relazione quella del prof. Calegari, che per le sue implicazioni storiche culturali meritava molto più spazio e attenzione di quanta ve ne sia stata.

Una riflessione andrebbe fatta pure sulle dichiarazioni  alle TV locali, fatte dal Presidente Casini, dove il sacrificio di Fiodor  “Che straniero ha dato la vita per la nostra libertà”  viene accomunato al sacrificio dei nostri soldati in Iraq, impegnati “nel portare la libertà in quel paese”. Una lettura della Resistenza, dentro la logica  della guerra preventiva, per “esportare la democrazia”. Il contrario di quello che “Gibì” ci ha testimoniato: “La Resistenza è stata soprattutto una scelta contro la guerra e la sopraffazione.”. Personalmente, proprio per testimoniare contro l’eventualità di una subdola interpretazione ho ritenuto opportuno partecipare alla manifestazione con la bandiera della pace. 
Credo che in futuro sia necessaria più attenzione nel privilegiare i contenuti rispetto alle personalità, se non si vuole che un giorno "Bella ciao" sia cantata dai soldati che vanno alla guerra.