Associazioni partigiane italiane e dei deportati
Il disegno di legge 2244 per il «riconoscimento della qualifica di militari
belligeranti a quanti prestarono servizio nell’esercito della Repubblica
sociale italiana» è stato posto all’ordine del giorno. dei lavori del Senato.
I partigiani ed i deportati politici nei campi di sterminio nazisti sentono
questa decisione come una ingiuria alla Resistenza, alla deportazione politica,
alla Repubblica, alla Costituzione. E di una ingiuria si tratta! E’
inaccettabile l’arroganza di una maggioranza parlamentare in scadenza che tenta
di utilizzare le ultime ore della legislatura non per risolvere problemi
urgenti e gravi della collettività, ma per rendere un cattivo servizio a tutti:
alla storia, al Paese, alla cultura, alla dignità stessa della funzione
parlamentare, mettendosi sotto i piedi qualsiasi ragionevolezza ed il rispetto
delle leggi che furono promulgate nel Paese negli anni 1944-1946.
Dimenticare persino il Dllg del 26 aprile 1945, n. 294 significa, da parte di
questa maggioranza priva di memoria, non solo negare la continuità dello Stato,
ma voler dar vita ad una legge viziata da una anticostituzionalità insanabile,
perché propone, per cittadini che si trovano nelle medesime condizioni di fatto
e di diritto, un trattamento difforme, negando così l’eguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge.
Il 26 aprile 1945, con Dllg n. 294 lo Stato italiano stabiliva che «gli
ufficiali delle forze armate che abbiano cooperato o cooperino, dal 13 ottobre
1943, con le forze armate che combattono contro l’Italia, sono senz’altro
cancellati dai ruoli con perdita del grado, indipendentemente dall’azione
penale da esprimersi nei loro confronti in applicazione delle leggi penali
militari o di altre leggi speciali».
E’ di tutta evidenza che, in materia specifica, lo Stato italiano ha già
legiferato, stabilendo che non possono appartenere all’esercito italiano e non
possono essere considerati belligeranti ad esso parificati coloro che combatterono
cooperando con le forze armate impegnate contro l’Italia, tra le quali non c’è
dubbio che debbono essere annoverate le forze armate tedesche che occuparono il
nostro Paese, lo misero a ferro e fuoco e combatterono anche contro il regolare
esercito di liberazione italiano.
Solo una volontà di mistificazione perversa può fingere di non accorgersi che
una legge di parificazione tra militanti nell’esercito della Rsi e i
partigiani, militanti fedeli dello Stato, disonorerebbe l’Italia, degradandola
a unica nazione al mondo a considerare come degni di riconoscimento militare i
sostenitori e gli alleati di Hitler.
Il patto civile che unisce gli italiani in uno Stato libero democratico è stato
suggellato dal sacrificio di morti, martirizzati, deportati e consacrato nella
Costituzione nata dalla Resistenza, che nessun revisionismo può cancellare.
Fondazione corpo volontari della libertà
Associazione nazionale partigiani d’Italia
Federazione italiana associazioni partigiane
Federazione italiana volontari della libertà
Associazione nazionale deportati politici nei campi nazisti - Associazione
nazionale ex internati
Le pensioni di Salò
di Enzo Collotti
da il Manifesto del 04/01/2006
Alla vigilia della cessazione
dell'attività parlamentare della legislazione prossima a spirare i nostri
postfascisti non vogliono perdere l'occasione per lanciare un ultimo velenoso
messaggio destinato a infliggere una nuova lesione all'identità resistenziale
della nostra repubblica. La riproposizione al Senato del progetto di un
provvedimento legislativo tendente al riconoscimento della qualifica di
militari belligeranti per coloro che nel periodo 1943-45 prestarono servizio
sotto le bandiere della Repubblica sociale non deve passare sotto silenzio.
Non si tratta di un banale provvedimento di ordinaria amministrazione ma di una
ennesima insidiosa manovra equiparabile ad un vero e proprio atto eversivo.
Obiettivo dell'iniziativa è infatti arrivare a fare sancire dal parlamento
della repubblica l'equiparazione tra i combattenti della Rsi e i combattenti
per la libertà della Resistenza: un risultato che equivarrebbe ad una sorta di
suicidio ideologico del parlamento repubblicano, indotto da una maggioranza
priva di senso storico e di responsabilità civica a smentire le proprie origini.
Soltanto l'insensibilità istituzionale e l'indifferenza ai valori su cui è
stata costruita questa repubblica potrebbero consentire un esito positivo
all'iniziativa in questione. Ci si potrebbe anche domandare se i n un paese più
attento alla memoria delle proprie origini e meno incline a ipocrisie
perdoniste il presidente del Senato non avrebbe dovuto dichiarare irricevibile
una proposta di legge che mira a rinnegare i valori su cui è stata fondata la
rinascita democratica dell'Italia dopo il fascismo. Si tratta fra l'altro di
una iniziativa che nasce anche da premesse false e menzognere, come se la
repubblica democratica non avesse dato mai prova di indulgenza nei confronti
dei combattenti della Rsi. Sul numero 65 (maggio-giugno del 2005) della rivista
Passato e Presente un attento studioso dei nostri ordinamenti militari,
Agostino Bistarelli, ricorda le sanatorie e i benefici che non sono stati
lesinati nei fatti ai militari della Rsi negli scorsi decenni, al punto che
molti di essi furono riassunti in servizio nelle forze armate della repubblica:
di quanti partigiani si potrebbe dire altrettanto?
E' evidente che con il provvedimento ora in agenda non si intendono tutelare
posizioni individuali ma proporre un provvedimento generale destinato a
capovolgere un paradigma interpretativo di fondamentale importanza per
l'identità della repubblica antifascista. Il significato infatti del disegno di
legge non è di risarcire nessuno: il centro del problema è quella di
riabilitare i combattenti della Rsi e attraverso di essi l'intera esperienza
della Repubblica sociale di Mussolini. E contemporaneamente, così facendo, si
realizza la delegittimazione della Resistenza e della Repubblica che ne è stata
l'esito. A questo punto giungerebbe a conclusione anche il processo di lento
svuotamento dei contenuti antifascisti della Repubblica tenacemente perseguito
dai cosiddetti postfascisti al governo con l'indifferenza ideologica e il
consenso di una maggioranza insensibile ai valori e interessata soltanto alla
conquista di posizioni di potere senza alcuna pregiudiziale etica né politica.
La posta in gioco non è di poco conto. Non si tratta di salvaguardare
prerogative amministrative e piccoli benefici per pochi ma di una questione di
principio, che non investe come surretiziamente vorrebbe dare a intendere
l'intitolazione del progetto di legge soltanto l'esercito della Rsi, che già di
per sé sarebbe grave, ma il complesso delle forze armate della Repubblica
sociale, come risulta dalla relazione che accompagna il disegno di legge dalla
quale traspare esplicita l'intenzione di ricevere un certificato di buona
condotta per i comportamenti di quanti dopo l'8 settembre del 1943 si sono
schierati dalla parte di Mussolini e del Terzo Reich. Non si tratta soltanto di
ristabilire le coordinate storiche degli eventi di allora ma anche di capire
quale memoria si vuole trasmettere con l'autorità di una sanzione parlamentare.
Ancora una volta tornano a galla i problemi sollevati dall'ambiguità di chi ha
continuato a perseguire ad ogni costo una memoria condivisa di fronte
all'arroganza dei nostri postfascisti (ma poi, perché post?), che oltre a
volersi presentare come vittime della repubblica democratica, che ha lasciato
loro fin troppo spazio consentendo a fior di manigoldi della Rsi di sedere
precocemente negli organismi rappresentativi della nostra repubblica, vogliono
oggi prendersi la rivincita sulle forze che hanno restituito la libertà a
questo paese. Per costoro nessun atto conciliatorio della repubblica sarebbe
stato mai sufficiente a mettere a tacere le rivendicazioni di orgoglio
patriottico di quanti dopo l'8 settembre hanno scelto di continuare la lotta
dalla parte dei nazisti. Dall'amnistia Togliatti ai molti atti di clemenza
scaturiti dalle sentenze di una magistratura anche troppo incline a minimizzare
la drammaticità di comportamenti criminali a carico di seviziatori di
partigiani, di delatori di ebrei e antifascisti, di responsabili di
deportazioni risoltesi nella più parte dei casi in viaggi senza ritorno ai
campi di sterminio: è su questo che bisognerebbe riflettere prima di
considerare normale che gli eredi di questo torbido passato si possono arrogare
il diritto di fare il processo alla Resistenza e di portare a conclusione la
loro resa di conti con l'antifascismo e con le origini resistenziali del nostro
stato.
Bisogna smetterla di indulgere ad atteggiamenti che volendo essere equanimi
finiscono per essere equidistanti o peggio, come se si trattasse di
giustapporre combattenti al di qua e al di là della linea di demarcazione
rappresentata dal fronte alleato e dal fronte nazifascista. Non è un caso che
gli studi che negli ultimi anni si vanno moltiplicando sulla Rsi (da Ganapini a
Gagliani, da Germinario ai più recenti e più giovani) analizzano con
particolare evidenza la specificità della violenza esercitata dai corpi armati
(non solo esercito, ma Gnr, bande e polizia, SS) della repubblica di Salò, ben
al di là di una rinnovata insorgenza neosquadristica. Non di violenza cieca o
folle si deve parlare ma di premeditata violenza politica e ideologica, come è
stato opportunamente sottolineato. Era questa la lezione appresa dal nazismo,
con la guerra di sterminio all'est e lo sterminio degli ebrei, che le forze
armate e il fascismo di Salò si studiarono di imporre anche in Italia dopo l'8
settembre: è di questo che si deve parlare quando si discute dell'equiparazione
di combattenti di Salò e di partigiani e non della retorica di fedeltà
all'alleanza con la Germania nazista o di cuore e orgoglio patriottico. E'
anche per questo che la sfida lanciata ai parlamentari del centro-sinistra e
almeno in parte della stessa maggioranza dagli irriducibili del neofascismo può
essere battuta soltanto con una convinta battaglia di civiltà e di cultura
ispirata alla consapevolezza dei valori che allora si contrapposero e che oggi
ancora rappresentano i connotati distintivi di una cultura politica
democratica.