www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 03-04-06

Il “mostro nero” avanza. Non va lasciato passare

di Fosco Giannini

Liberazione del 31/03/2006

Crea allarme sociale il ritorno aggressivo in Italia delle organizzazioni di estrema destra, ma la militanza antifascista appare debole e “distratta”

Febbraio, Roma-Livorno all’Olimpico: nel silenzio generale si issano sugli spalti foto del Duce, croci uncinate, scritte naziste ed evocazioni dei forni dei lager. Incredibilmente tutto quest’arsenale sta su sino alla fine dell’incontro, ripreso dalle televisioni e mandato in onda in mezzo mondo. Nei giorni successivi, di ciò, molto si parla. Politici, intellettuali, sociologi vengono intervistati.
Le cose dette sono in gran parte giuste, condivisibili. Fra tutti, però, colpisce uno sconosciuto tifoso romanista che al quotidiano La Repubblica dichiara: «Non sono un politico, non me ne intendo, però pongo un problema: come hanno fatto ad entrare, quei nazisti, allo stadio? Perché nessuno li ha fermati? E soprattutto: chi li ferma a Roma, dove scorrazzano violentemente giorno e notte? Insomma: dove è finito l’antifascismo militante?».

Fra tutti, notissimi e meno noti, nella discussione mediatica successiva al fattaccio, nessuno aveva posto il problema in questi termini: dov’è finito l’antifascismo militante?

Prendiamo il toro per le corna e poniamo subito quattro questioni. Primo: il fatto che un “semplice” tifoso (non un politico, un intellettuale, un militante della sinistra) si ponga una tale domanda, vuol forse dire che il ritorno aggressivo delle organizzazioni nazifasciste in Italia è già avvertito, dal sentimento popolare, come un problema, una minaccia sociale? E cioè, che la quantità della presenza nera e violenta nelle piazze (nei quartieri, nelle strade oscure) in tanta parte del Paese e nel quadro politico sta divenendo nefasta qualità politica? Molti segni potrebbero deporre a favore di tale tesi. Secondo: è vero che l’antifascismo militante non è presente, o quantomeno non è sufficientemente presente rispetto al pericolo? Credo sia vero, nel senso che la cultura e la militanza antifascista, per mille motivi, sembrano essersi, in questa fase, come ritratte, estraniate dalla lotta. Terza questione: è vero - come evocava il tifoso romanista - che c’è bisogno del ritorno su vasta scala dell’antifascismo militante? Quarta questione: che cos’è l’antifascismo militante?


Proviamo a ragionare, a partire dalla prima questione, e cioè: su quali basi materiali sta nascendo quel sentimento, quel timore popolare che fa chiedere al tifoso romanista il ritorno della vigilanza democratica organizzata?

Non ci sono dubbi che tale timore sia potuto nascere dall’aumentato peso specifico dell’estrema destra italiana, non solo in termini di esposizione mediatica, ma di vera e propria presenza sociale e politica in via di radicamento. L’estrema destra, nelle sue varie forme, compresa la Lega Nord, si va ormai organizzando - seppur in forma spesso minuta - in gran parte delle città italiane, metropolitane e di provincia (sarebbe interessante sapere quanti comuni concedono a Forza Nuova delle sedi pubbliche ad affitti popolari e quanti ne pagano segretamente, a Forza Nuova, Lega Nord, Forza Italia e An)). La presenza vistosa e aggressivamente attiva dell’estrema destra negli stadi - stadi oculatamente scelti quali vere e proprie “casse di risonanza” del messaggio reazionario - non è da considerarsi come il livello più alto ed organizzato del “movimento nero”, ma come il “reparto speciale” dislocato in un’area particolarmente adatta all’organizzazione del consenso, un “reparto” che, nelle sue retrovie, può contare su basi di partenza “intelligenti”, agili (adatte all’aggressione urbana) e relativamente solide. Presenza ancor minima ma capillare nel Paese, dunque, ma anche “protagonismo” urbano e politico: questi, con ogni probabilità, i fatti concreti che hanno allarmato il nostro tifoso romanista e che indubbiamente dispongono della “massa critica” sufficiente per riproporre al senso comune la questione inquietante della presenza neofascista in Italia.


“Protagonismo” urbano squadrista: è questa, senza dubbio, la questione che maggiormente determina allarme e chiede un rinnovato impegno antifascista. Impressionante, infatti, negli ultimi tempi, è l’escalation di aggressioni e violenze squadriste in gran parte del Paese. In Lombardia, le squadracce nere, sotto il “cappello” protettivo della Lega Nord (che aggredisce in proprio con le squadre verdi di Borghezio, ma che sollecita e organizza anche altre bande reazionarie) appaiono scatenate. Da Milano a Bergamo, da Pavia a Varese, da Como a Brescia gli attacchi si moltiplicano. “L’Osservatorio democratico” lombardo ci racconta che negli ultimi due anni circa, dall’assassinio di Davide Cesare (Dax), in Lombardia vi sono state da parte dei neofascisti 20 aggressioni fisiche, 6 aggressioni con coltello, 11 incendi, 3 devastazioni, 4 intimidazioni, per un totale di 44 aggressioni. E le “ronde” leghiste sono fuori da questa contabilità. Le vittime sono quelle tipiche e più “apprezzate” dalla canaglia nera: giovani antifascisti, giovani comunisti, studenti, giovani dei centro sociali, esponenti del movimento per la pace, operai, immigrati, gay, sedi dell’Anpi e sedi dei partiti di sinistra, ragazze (ad una di Varese è stata incisa con il coltello una svastica sul braccio).

A Roma e dintorni l’attacco non è meno diffuso e brutale. Gli ultimi mesi raccontano di atti squadristi in tutta la città: aggressioni sui metro, ad una coppia gay, a Casal Bertone, a “Lazio. net”, al Centro Sociale La Torre, al Forte Predestino, attacco con coltelli e catene presso il Centro Ricomincio dal Faro (sei giovani in ospedale), coltellate presso la Stazione Termini e in periferia, una bomba contro la sede di Rifondazione a Frosinone, aggressioni all’Appio Tuscolano, coltellate al volto a Viterbo, aggressione ad una delegazione della Sinistra giovanile, ripetute aggressioni di chiaro segno razzista e neofascista ad immigrati, come il pestaggio con i pugni di ferro a Piazza Navona contro un giovane bengalese (4 aggressori, che picchiavano al grido di «ricordati, negro, che l’Italia è degli italiani»); al Parco d’Aguzzano, persino in aree come la borgata del Trullo, storicamente di sinistra. E ancora, attacchi incendiari a sedi di partiti: oltre il Prc, Ds e Verdi.

Ma è nell’intero Paese che le squadracce sono entrate in azione. A Verona (molotov contro il Centro Sociale La Chimica); a Treviso (provocazioni antisemite); ad Ancona (attacchi ripetuti contro sedi del Prc, anche con colpi di pistola; attacchi e sfregi nazisti sulle tombe del “Campo degli ebrei”; attacchi agli immigrati, nei quartieri periferici e nei cantieri edili, al grido «via negri, che rubate il lavoro agli italiani», e ai lavavetri, ai semafori); a Torino (sassi contro sedi del Prc, due accoltellati a Barocchio); a Bolzano (aggressioni naziskin ad un giovane bilingue accusato di essere «troppo amico degli italiani»); a Lucca (attacco al Centro Sankara; pestaggio a sangue contro un giovane somalo: «Lo hanno attaccato con le catene; il suo nome è Thair, massacrato da due teste rasate, la gente guardava in silenzio, passava a testa bassa con in mano i regali di Natale», questo il racconto dei giornali locali). A Livorno (attacco incendiario contro il Circolo “E. Berlinguer” del Prc); a Bari (raid fascista alla Taverna del Maltese, storico luogo d’incontro della sinistra barese); a Portoferrato una giovane coppia, lui con “il Manifesto” in tasca, viene aggredita su di un treno da cinque naziskin, che prima di malmenare e mandare in ospedale il ragazzo provocano a lungo un gruppo di donne rom). E ancora: scorribande fasciste a Genova; assalti a sedi Rdb/Cub a Vicenza; aggressioni allo stadio a Ravenna; aggressioni a Ivrea, a Cuneo, a Bassano del Grappa, ad Avellino; aggressione ad una ragazzina di 13 anni a Biella, di nuovo con la svastica incisa sul braccio. Ed altre incursioni, nel Paese, contro le sedi sindacali e dei partiti della sinistra.


Ha ragione, allora, il tifoso romanista? Il pericolo fascista riemerge? Va al di là della caricatura? Dobbiamo dirlo chiaro: sì, vi è un pericolo. Il “mostro” non si presenta solo nelle piazze, o meglio nei vicoli oscuri dove stanno in agguato i vigliacchi. Esso cresce anche nella dialettica politica, locale e nazionale. L’offerta da parte di Berlusconi alla Mussolini, a Fiore, a Tilgher di unirsi alla Casa della Libertà, la dice lunga. E non dice solamente che a Berlusconi serve qualsiasi voto in più per reggere l’attacco del centro sinistra. Dice molto di più, e cioè che in questa fase l’estrema destra è funzionale alla frazione di capitale oggi egemonico, quello dell’iperliberismo, del capitalismo di guerra, dell’attacco ai salari e ai diritti dei lavoratori, quello dell’attacco agli immigrati per trasformarli in “esercito industriale di riserva”. Chi, meglio dell’estrema destra, può essere incaricato di portare l’offensiva su questi fronti, in fondo non così popolari? Alla cupola mafiosa in doppiopetto (la vasta frazione ultrareazionaria del capitale) servono i gangster per la guerra di strada. Ma certo, il neofascismo trova altro brodo di coltura: l’anticomunismo dilagante, a cui non è estranea nemmeno una parte significativa della sinistra moderata, ma che si incarna nella monomania anticomunista di Berlusconi; nella risoluzione del Consiglio d’Europa, che vorrebbe mettere comunismo e nazismo sullo stesso piano; in tanta parte dell’intellettualità di massa e della cultura dominante (pensiamo a conversioni brutali come quella di Giampaolo Pansa); che si incarna nell’attuale governo della Repubblica Ceca, che minaccia di gettare nell’illegalità i Giovani comunisti ceco-moravi. E ancora: è chiaro che il neofascismo nuota nell’acqua dell’attacco dilagante alla Resistenza, ai suoi valori, alle sue conquiste, nell’acqua dell’attacco alla Costituzione, nell’insipienza della sinistra che non riesce a difendere la lotta partigiana, a valorizzarla, a tramandarla di nuovo ai giovani, e che anzi, non di rado, partecipa, assieme alle destre, alla sua demolizione, o facendo le pulci alla lotta di Liberazione o addirittura tradendola (per D’Alema «fu un errore l’uccisione di Mussolini»).


E poi: l’abbandono da parte della sinistra di un progetto profondo di trasformazione sociale; la rinuncia ad un pensiero rivoluzionario della totalità che può spingere i giovani a destra, a cercare “idealità” e vie antiborghesi nelle oscure e folli “totalità” di Evola e della Vandea.

Il nostro è il Paese dei vent’anni di fascismo e delle sempiterne “trame nere”. E’ il Paese, oltretutto, dove Ratzinger regna direttamente e offre ai seguaci di Tilgher tutte le crociate paleocattoliche di cui hanno bisogno. Sì, il neofascismo è un pericolo e l’antifascismo militante un’esigenza.


Ma che cos’è l’antifascismo militante? E’, innanzitutto, una cultura che va ricostruita, è la memoria storica che va ripristinata. E’ la difesa della democrazia e della Costituzione nata dalla Resistenza.

E già qui non ci siamo più, poiché il centro sinistra, che ha alzato la testa e si è battuto nella fase in cui il centro destra ha manomesso a colpi di maggioranza la nostra Carta Costituzionale, ora pare aver già dimenticato il pericolo e lascia al solo Comitato referendario la raccolta delle firme per il referendum. L’antifascismo è la rivitalizzazione delle associazioni antifasciste, ma è anche la vigilanza democratica, la reazione pronta all’attacco fascista, è la partecipazione democratica e di massa che innanzitutto i comunisti debbono far scattare quando i neofascisti aggrediscono e occupano le piazze. Nei Circoli del nostro Partito serpeggia sempre più spesso una sorta di abitudine o sottovalutazione del pericolo, una errata concezione della democrazia, per cui una piazza occupata dalle teste rasate, dalle camice nere non è più percepita come la minaccia che è, ma come una forma tollerabile della democrazia borghese. Non è così: a forza di cedimenti i neofascisti hanno ritrovato vigore. L’antifascismo militante vuol dire tornare a parlare ai giovani, agli studenti, dicendo cosa è stato il Ventennio, cosa è stato il nazismo, cosa è stato Pinochet; vuol dire riempire di nuovo le piazze, fronteggiare i fascisti, far sentire loro il respiro di massa. E vuol dire essere alla testa di un referendum, quello in difesa della Costituzione “aggredita” dal centro destra, che sembra già essere dimenticato.

Occorre che i gruppi dirigenti del nostro Partito, concretamente, vadano nelle Federazioni, nei Coordimanenti regionali a porre la questione di una ripresa organizzata dell’antifascismo militante, sia sul piano del rilancio di un’azione culturale antifascista, che su quella della ripresa della militanza di piazza. Occorre che vadano e pongano la questione della costruzione di ampi schieramenti sociali e politici nelle città, che è l’esatto contrario della volontà di violenza, essendo la mobilitazione di massa e democratica antifascista la negazione stessa di ogni atto violento. Per questo condanniamo avvenimenti come quelli recenti avvenuti a Milano.

Scriveva Antonio Gramsci ne “L’Ordine Nuovo” del 31 gennaio 1921: «Guai alla classe operaia se essa permetterà, anche un istante solo, che a Torino i fascisti possano mettere in esecuzione il loro piano, come hanno fatto nelle altre città. La minima debolezza, la minima indecisione, potrebbe essere fatale. Al primo tentativo fascista deve seguire rapida, secca, spietata la risposta degli operai e deve questa risposta essere tale che il ricordo ne sia tramandato fino ai pronipoti dei signori capitalisti. Alla guerra come alla guerra, e in guerra i colpi non si danno a patti».

In questa fase la durezza di Gramsci forse può spaventare qualcuno: ciò che conta è l’essenza del suo pensiero: i fascisti sono il braccio armato del capitale, l’anticipazione del potere reazionario. Non bisogna farli passare, mai.