www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 19-10-06

Il pastone di Pansa

 

di Tiziano Tussi

 

In termini giornalistici si chiama “pastone”. Il nuovo libro di Giampaolo Pansa si può utilmente definire così. Il pastone è quell’articolo di fondo o comunque di orientamento che raccoglie le ultime notizie, le mette assieme in modo più o meno razionale e ne fa un elenco, per l’autore, esaustivo della situazione politica od economica o altro.

 

Anche Pansa lavora così. Mette assieme storie, accenni, racconti di altri, racconti per altri, addirittura, nella su ultima fatica, ben 469 pagine, anche la pubblicità per un altro libro, simile al suo, della stessa casa editrice, la Sperling e Kupfer. Cosa vuole dimostrare Pansa? Sempre la stessa cosa almeno dal Sangue dei vinti, che è stato il precedente testo che ha fatto molto clamore,  e cioè che i comunisti sono sempre stati cattivi, crudeli, disperati e tragici. Non hanno mai capito la vita, non hanno mai capito ciò che l’uomo vuole, ciò che vuole lui Pansa, e cioè vivere serenamente, senza problemi,  ma non problemi in assoluto, solo quelli degli altri.

 

Mi spiego: se pensiamo che i fascisti sono stati massacratori, repressivi, al soldo dei nazisti, carnefici a livello cosmico, in fondo facciamo male. Si perché in mezzo a tanta merda umana qualche fiorellino si trovava, e poverino, proprio lui è incappato nell’ira dei truculenti comunisti partigiani che in fondo che cosa avranno mai fatto oltre che massacrare? Per Pansa nulla, almeno nulla che vale la pena ricordare. Non sono serviti a liberare l’Itala, lo dice e lo fa dire ai suoi alter ego e/o interlocutori; non sono serviti a produrre  una nuova Italia, in quanto poi anche i politici comunisti si sono dimostrati orrendi; non sono serviti a produrre nuova moralità perché a ben vedere sono stati proprio i fiorellini fascisti massacrati dai comunisti partigiani che hanno dimostrato molto più rigore etico, e questo lo dice anche nel Sangue dei vinti.

 

Insomma che i fascisti massacrassero va bene, ma che ad uccidere fossero i comunisti non può passare e non perchè hanno macchiato la Resistenza, ma per il motivo che l’hanno fatta, la Resistenza, e poi portata a termine e vinta. A massacro non si risponde con un una reazione violenta, neppure con il perdono, neppure con l’abbandonarsi alle nebbie delle memoria che vorrebbe rivalutare appieno la lotta partigiana, anche se il nostro si ritiene un antifascista di sinistra e dice che la scelta resistenziale fu giusta. Insomma un pastrocco di logica che veramente gioca sul terreno dell’assurdo inzuppando ben bene il suo biscottino.

 

E’ veramente sorprendente come Pansa non abbia ritegno a scrivere come se stesse sciando tra le porte di uno slalom gigante: insomma si sarebbe dovuto fare la Resistenza senza farla. Dato che una guerra civile, definizione che continuamente ripete, non la si può condurre senza violenza ed uccisioni anche sbagliate.

 

Il libro è veramente ben costruito, ben costruito come una macchinetta slot machine, per fare soldi e non lo dico io ma lo stesso autore a pagina 302 – le critiche tutta legna per il mio camino. Tradotto, per le vendite. Ed infatti le snocciola in questo testo: Il sangue dei vinti circa 400mila copie. Quindi perché prendersela con una macchinetta magia soldi? I perché sono molti.

 

Alcuni hanno anche tentato di criticare le approssimazioni di Pansa in ordine scientifico. Credo che non serva, tanto è palese la sua operazione. Non serve cercar di fargli capire che non può giocare con concetti quali, ad esempio, maggioranza, tanti, pochi, minoranza. Non si capisce, e lui stesso si contraddice in due pagine vicine, nulla sulla quantità di repubblichini iscritti al fascio di Salò – pagine 191/192. Non si può capire dalla lettura se lui ha capito quanti erano gli iscritti sul totale della popolazione. E del resto la questione delle cifre è sempre stata molto difficile, in questa situazione post resistenziale, per i morti ammazzati dai partigiani dopo la fine della guerra, e questo sorprende, non si capisce perché, Pansa. Naturalmente la lezione dell’Iraq non gli ha insegnato nulla. Dicevo, le cifre sono perlomeno astruse in quanto nessun partigiano, crudele comunista e belva assassina, anche se  idiota, ha mai redatto le schede di chi uccideva barbaramente, prima durante e dopo la guerra. Le ha poi conservate ordinatamente in un archivio e permesso così, al Pansa di turno, visto che poi l’autore ne testo cita  i suoi sodali, storici affidabili solo a suo discernimento, di andar a fare la conta. Nessuno ha mai scritto: oggi, io belva assassina ho ucciso dodici fascisti o presunti tali e sono ecc. ecc.

 

L’imbecillità della questione si impone da sola. Ma non è questo ancora ciò che conta veramente. Infatti a storie di ammazzati fascisti ingiustamente si potrebbero opporre altrettante storie, moltiplicate per dieci, cento, mille morti di ammazzati dai nazifascismi. Ma non possiamo certo giocare a chi ha più morti nella in legnaia.

 

Quindi da questo punto di vista non serve a nulla cerare di sbugiardare Pansa. Altre devono essere le critiche. Non leggere più i suoi libri, gli scritti e non dargli più affidabilità. Non è possibile sopportare un modo disfare così impudico quale il suo: il suo metro di paragone salva chi salva e condanna gli altri sulla sola sua parola. Se si va a genio a lui, cioè si denigra la sinistra comunista va bene, altrimenti si è accomunati ad un gruppo di belve assassine e di arrivisti. In fondo l’anticomunismo ha avuto ben altri rappresentanti , che però si dimostravano tali in modo chiaro. Qui c’è solo fraintendimento e duplicità per fare soldi, per vendere, solleticando la pruderie di una parte del paese che odia i comunisti e che vede in una posizione di critica radicale anticomunista, fatto da un uomo che si dice di sinistra la manna dal cielo. In fondo una sorta di Oriana Fallaci in sedicesimo, una invettiva a senso unico che continua, per quest’ultimo libro per una quantità impressionante di pagine. Il prossimo entrerà a pieno titolo al livello dei best-sellers.

 

Ed è proprio la pochezza dell’operazione che salta agli occhi. Tanto eclettismo di taglio letterario non ha certamente altro senso. Un pastone, dicevamo all’inizio. Un indeciso andare per temi, tagli interpretativi, stilemi. Insomma un articolone abnormemente tirato a lungo e per di più insipido. Sarebbero veramente tanti gli esempi da fare per illustrare la sua pochezza ma ne basta uno. Tra gli incidenti di percorso, che Pansa fa dire al suo alter ego, oltre alle testimonianze, per carità, anonime che appaiono nel testo, questa: “… poi mi sono reso conto che Sergio Luzzatto – un cattivo maestro particolarmente preso di mira (NDR) – era un primo della classe tra i giovani storici italiani. Sia pure con qualche vizietto … Vizietto di che genere ? s’incuriosì Emma ... Non sia maliziosa! Vizietti banali”(p. 291) Ed intanto insinua, suggerisce ecc. ecc.

 

Una noterella sull’alter ego, in questo caso Emma. Un personaggio inventato, lo dice sempre Pansa, che appare a fargli da spalla. Anche nel Sangue dei vinti vi era un altro alter ego femminile cui venivano attribuite belle gambe,  ma a che scopo e poi attribuite a chi, data la natura dell’alter ego? Curioso che Pansa si attribuisca belle gambe femminili, forse un vizietto?