www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 13-07-07

dall'Istituto Storico della Resistenza di Firenze e dall'ANPI regionale
 
Bruno Fanciullacci, eroe della Resistenza
 
La recente sentenza del Tribunale di Firenze sulla diffamazione del partigiano medaglia d’oro della Resistenza Bruno Fanciullacci, ha suscitato profonde reazioni nell’opinione pubblica. Alcuni organi di stampa hanno addirittura interpretato la sentenza come la conferma e la convalida di un giudizio infamante nei confronti dell’eroico combattente per la libertà.
 
Riteniamo doveroso sottolineare alcuni punti fermi.
 
1. Bruno Fanciullacci fu uomo di eccezionali doti umane, politiche e civili. Vittima delle persecuzioni fasciste, fu deferito al tribunale speciale e subì anni di carcere per il suo impegno a costruire una Italia nuova. Durante la resistenza e la lotta di liberazione fu un combattente di eccezionale coraggio e generosità. A lui ed ai suoi compagni si deve la liberazione, con una azione di audacia incredibile, di decine di donne detenute, il cui destino avrebbe potuto essere tragico, tra cui Tosca Bucarelli. Fu autore di numerose altre azioni, anch’esse al limite della temerarietà, la cui conseguenza fu la salvezza per centinaia e centinaia di operai a rischio di essere deportati (distrusse gli archivi dei sindacati fascisti dove erano schedati i nomi di coloro che avevano aderito agli scioperi del marzo 1944) e per migliaia di giovani da arruolare obbligatoriamente, volenti o nolenti, nell’esercito repubblichino al servizio di Hitler e Mussolini (questo l’obbiettivo degli attacchi a quei comandanti del distretto militare che non esitavano a minacciare rappresaglie contro i familiari dei giovani renitenti alla leva). Fanciullacci fu arrestato e torturato dagli assassini criminali della banda Carità, reparto ufficialmente inquadrato, riconosciuto e assai apprezzato dal regime di Salò e da Mussolini, addetto alla tortura e al massacro degli antifascisti. Liberato con un colpo di mano dai suoi compagni, Bruno non volle abbandonare la lotta. Catturato una seconda volta, temendo di cedere alle torture delle belve nazifasciste e tradire i suoi compagni, preferì darsi la morte.
 
2. L’azione contro Giovanni Gentile fu un’azione militare della guerra di liberazione dal nazifascismo. In Gentile non si volle colpire il grande filosofo, anche se tragicamente compromesso con il regime fascista fin dall’inizio della dittatura; né l’uomo di cui non si negavano qualità e meriti. Si volle colpire colui che, proprio in virtù del suo prestigio, aveva dato il suo prezioso appoggio a Mussolini e ad Hitler ed aveva rivolto un appello ai giovani, in nome di una orrenda mistificazione, la sua idea di riconciliazione e di amore per la patria, perché corressero ad arruolarsi sotto le bandiere del rinato fascismo e del nazismo. Aveva anche invitato a reprimere con energia tutti coloro che non avessero aderito a questo disegno di falsa riconciliazione. Numerose furono le condanne a morte del tribunale militare presieduto dal generale Adami Rossi contro i giovani renitenti alla leva, fino al tragico episodio della fucilazione dei cinque ragazzi a Campo di Marte. Gentile non era dunque un filosofo disarmato ed estraneo alla guerra, e non era neppure un povero vecchio rimbecillito: era un uomo nel pieno vigore intellettuale che aveva fatto la sua scelta con coraggio e coerenza, secondo il suo punto di vista, consapevole delle conseguenze. Schierandosi a fianco di Hitler e Mussolini, e svolgendo un ruolo particolarmente e tragicamente efficace, era divenuto per la resistenza un obbiettivo militare di straordinaria importanza.
 
3. Il fatto che Gentile, al momento dell’attentato, fosse disarmato e non avesse scorta, non significa assolutamente l’azione contro di lui fosse “facile” e senza rischi. La zona del Salviatino era continuamente percorsa da pattuglie e gruppi di nazisti e di fascisti, essendovi tra l’altro proprio nei paraggi alcuni comandi e caserme.
 
4. Dell’azione contro Gentile alcune componenti del movimento resistenziale non condivisero l’opportunità e sconfessarono il manifesto, non concordato preventivamente tra tutti i partiti del CLN, con cui si rivendicava l’azione. Ma la condanna del ruolo nefasto di Gentile era assolutamente unanime e veniva espressa con toni durissimi anche e soprattutto da coloro che si dissociarono dall’azione.
 
Riteniamo inaccettabile definire Bruno Fanciullacci “vigliacco e assassino”. Atti come questo sono ferite difficilmente sanabili ai valori su cui si fonda la nostra democrazia e la nostra libertà. Quella libertà che consente a tutti di esprimere giudizi e valutazioni, ma non può consentire la diffamazione, la denigrazione di chi ha dato la propria vita per conquistare la libertà, non può tollerare l’attacco ai principi stessi su cui si fonda la Costituzione della Repubblica Italiana.
 
Vittorio Meoni, Presidente del Comitato Regionale Toscano dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Ivano Tognarini, Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana