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Per non dimenticare: Claudio Varalli - Giannino Zibecchi - Rodolfo Boschi - Tonino Miccichè
 
19/04/2009
 
Il 16 aprile 1975, a Milano, un gruppo di squadristi aggredisce in piazza Cavour alcuni militanti del Movimento Lavoratori per il Socialismo, questi reagiscono e uno dei fascisti, Antonio Braggion, spara e colpisce mortalmente alla nuca lo studente diciassettenne Claudio Varalli.
 
Nel 1975, anno di elezioni amministrative, a Milano lo scontro sociale fu aspro.
Polizia e carabinieri intervenivano con crescente durezza contro lavoratori e studenti, mentre lo squadrismo della manovalanza fascista era ampiamente tollerato, quando non incoraggiato.
Non è dunque un caso se fu proprio nell'aprile di quell'anno che, il 16, un fascista assassinò a rivoltellate Claudio Varalli e, il 17, un carabiniere con un camion travolse e uccise Giannino Zibecchi.
Se ne accorsero anche quotidiani e settimanali, fino a quel momento piuttosto reticenti, che denunciarono le circostanze in cui Claudio e Giannino avevano trovato la morte e condannarono, seppur con accenti diversi e una certa ipocrisia, la violenza fascista edelle forze dell'ordine.
Il 16 aprile la notizia dell'assassinio di Varalli in poche ore si diffuse in tutto il Paese provocando un'ondata di sdegno popolare e già nella stessa serata si svolsero le prime manifestazioni di protesta a Milano.
La mattina del 17 numerose città italiane furono attraversate da cortei che chiedevano la chiusura delle sedi dei fascisti e la fine delle collusioni tra questi e gli apparati dello Stato. A Milano la giornata cominciò con assemblee nella scuole medie superiori, nelle università e nei luoghi di lavoro. Dalle assemblee studenti e lavoratori uscirono in cortei che percorsero le vie della città e si concentrarono in piazza Cavour, dove il pomeriggio precedente era stato ucciso Varalli. Da qui un nuovo e imponente corteo si avviò in direzione di via Mancini, sede della federazione provinciale del Msi.
 
Il governo democristiano rispose ordinando una nuova provocazione e in corso XXII marzo una colonna di automezzi dei carabinieri, uscita dalla caserma di via Lamarmora, si lanciò a tutta velocità contro i manifestanti. Due camion, gli ultimi della colonna, si incaricarono di spazzare i marciapiedi con una manovra a coda di rondine, come si dirà graziosamente in termine tecnico.
 
Davanti a loro centinaia di persone cercarono scampo ma la folle corsa non si arrestò. Pareva volessero un'altra strage.
Non l'ebbero, ma sul selciato rimase il corpo di Giannino Zibecchi. Travolto e ucciso.
L'ordine dal ministero degli Interni era perentorio: reprimere ogni protesta.
Altri due giovani, Rodolfo Boschi del Pci a Firenze e Tonino Miccichè di Lotta continua a Torino, persero la vita in quei giorni d'aprile.
Sdegno e indignazione crescevano e il governo ottenne il risultato opposto a quello cercato: antifascismo e opposizione alla Democrazia cristiana si rinsaldarono e la rabbia nel Paese fu incontenibile.
lI 18 aprile lItalia democratica si strinse attorno ai suoi morti e mentre cortei antifascisti attraversavano Milano, Torino, Firenze, Napoli, Cagliari, in tutta la Penisola manifestazioni di massa assalivano e devastavano numerose sedi del Msi.
Lo stesso giorno 15 milioni di lavoratori si unirono alla protesta incrociando le braccia. Si fermano persino treni e aerei.
I sindacati chiesero al governo una svolta di democrazia.
Per tutta risposta il ministro Gui non trovò di meglio che sostenere la tesi dell'incidente: era stata una sassata alla tempia a far sbandare l'autista del camion che aveva ucciso Zibecchi. Smentito immediatamente dalle fotografie che mostrano il finestrino del lato guida chiuso e protetto da una grata.