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ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
KARL MARX – FRIEDRICH ENGELS
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Il ritorno di Nerone


Spunti critici sull’ “Apocalisse” di Giovanni e sul cristianesimo visti da Engels

“Beato colui che legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia…perché il tempo è vicino”; questo è quanto si legge in Giovanni sullo spazio temporale che egli riserva alla “rivelazione”.
Engels, mette già in luce tale affermazione poiché intorno a ciò, ruota il senso reale di tutto lo scritto dell’apocalisse; pertanto occorrerebbe sapere qual era il concetto di tempo che aveva Giovanni, o meglio ancora qual è il concetto di tempo che gli intellettuali moderni vogliono attribuire a Giovanni. Lo scritto infatti, è redatto fra il 68 e il 69 del nostro tempo (o come si suol dire, “dopo Cristo”), ed è quindi un po’ difficile che “quello che deve avvenire fra breve” possa avvenire a distanza di 2000 anni circa.

Dagli studi di F. Benary sulla”gematrhia” (geometria – arte cabalistica) dei caldei e degli ebraici di quel tempo, Engels sottolinea la fondatezza ed il reale significato delle affermazioni di Giovanni sullo spazio temporale degli eventi preannunciati, poiché l’autore stesso dell’apocalisse assegna alla bestia devastatrice (a sette teste e dieci corna) un numero rappresentato dalla cifra 666, non prima di aver specificato che “quel numero è di un uomo”. Il Benary, riprendendo e traducendo fedelmente la creazione di una corrispondenza fra numeri e lettere ebraiche, molto in voga all’epoca (anche per un impiego cifrato dei messaggi segreti), scopre definitivamente l’arcano nel nome dell’imperatore (Kesar) Nerone (Neron); l’apocalisse altro non è che l’auspicio della sconfitta dello strapotere imperiale romano, il cui maggior accanimento ostile nei confronti del cristianesimo è rappresentato proprio da Nerone, quale suo più fiero ostentatore.

Ed infatti proprio il ritorno di tale imperatore viene identificato come viatico per la rivalsa degli oppressi; in passi successivi si può leggere la dinamica rivelatoria che si manifesta dapprima con un ritorno al potere di un Nerone, che in realtà era stato già ucciso ma che in una fase di guerre intestine all’impero veniva strumentalmente dato solo per ferito, e quindi in condizione di ripresentarsi al potere; a questo paventato ritorno dell’antiCristo (leggi sempre Nerone), Giovanni fa seguire la lotta tra il bene e il male con una iniziale sconfitta del male e istituzione del regno di Cristo della durata di mille anni, alla fine dei quali lo scontro finale che sancisce definitivamente la vittoria del bene, quindi di dio e quindi degli oppressi (quelli credenti !!).

Teatro dello scontro è Roma, indicata come “la femmina, grande meretrice” (successivamente indicata come sconfitta), che Giovanni chiama Babilonia ma che nulla a che vedere con la città d’Egitto, poiché quella “femmina, è la grande città che regna sui re della terra”, come indica testualmente l’angelo presentatosi a Giovanni (nel cap. 17 dell’apocalisse).
E’ fin troppo evidente che questa interpretazione letteraria scaturita dalle conoscenze scientifiche (datazione scritto e traduzione numerale), colloca l’apocalisse nel suo reale periodo storico di riferimento, e nulla quindi può avere a che fare con una applicazione alla nostra epoca, o altrimenti si vorrebbe che Giovanni avesse citato esplicitamente nome e cognome, luogo, data e ora dei fatti preannunciati e dei suoi protagonisti, per comprendere concretamente ciò che ha voluto descrivere.

Evidentemente è proprio questo un punto che si presta maggiormente alle falsificazioni e mistificazioni teoriche; la produzione letteraria e teorica del tempo, è stracolma di descrizioni allegoriche poiché quello solo era il modo di espressione probabilmente meglio comprensibile e tutelabile, anche ai fini quindi, di una volgarizzazione del messaggio da diffondere e/o di una sua “copertura”. L’interpretazione “alla lettera” di tali allegorie aveva qualche senso compiuto nel periodo di Giovanni, ha invece un solo senso oggi, in quanto l’umiliazione dell’intelligenza umana e la mortificazione del suo percorso evolutivo, possono avere giustificazione solo nella malafede di coloro che operano in tale direzione. Occorre sgombrare il campo dal terrorismo psicologico che investirà in modo particolare le giovani generazioni, più vulnerabili destinatarie della confusione e dell’incertezza.

Il senso dello scritto di Giovanni sta nelle condizioni politiche, sociali ed economiche del suo tempo; lontano dal gretto determinismo economico, Engels realizza nell’analisi dell’apocalisse e del cristianesimo in generale, uno straordinario esempio di materialismo storico, estrapolando da quelle condizioni di esistenza degli uomini la concreta motivazione del loro complessivo movimento religioso e quindi delle loro ispirazioni ideali, le sole a poter prendere corpo in quella determinata fase storica contrassegnata da una poderosa disgregazione economica, politica, intellettuale ed etica.

Ciò che infatti l’impero romano aveva realizzato fino ad allora con le sue vaste e selvagge colonizzazioni, si era tradotto in un pressoché completo disfacimento di tutte le specificità strutturali e sovrastrutturali comprese quelle religiose delle province; tutto e tutti travolgeva, assimilando forzosamente alla condizione romana coloro che appartenevano originariamente a realtà assolutamente diverse, imponendone dappertutto il diritto giuridico romano e obbligando l’intera collettività alla oppressione sempre più crescente di un fisco divenuto insostenibilmente vorace.

Come lo stesso Engels descrive, i ricchi (e tra questi gli schiavi liberati, grossi proprietari fondiari e usurai) venivano sottoposti spesso alla condanna a morte, da parte dello Stato (l’imperatore), al fine di una confisca dei loro beni, mentre in parte preferivano ovviamente restare lontani dalla vita politica chiudendosi in “pettegolezzi e intrighi privati”; i liberi nullatenenti che erano nelle province si trovavano in concorrenza con gli schiavi per il lavoro, dato il basso livello di vita che conducevano; i liberi proprietari del fondo (piccoli contadini talvolta con proprietà comuni), specie in Gallia, rappresentavano anche i coloni asserviti per debiti ai grandi proprietari; gli schiavi che costituivano la maggioranza della popolazione e che avevano provato a liberarsi con la sollevazione di Spartaco, avevano terminato in una drammatica carneficina tale inedita esperienza;  l’intellettualità infine, era rappresentata sostanzialmente da filosofi pagati “da ricchi crapuloni” e giuristi corrotti.

Per quel che riguarda le religioni la situazione era ancora più drammatica; l’impero aveva travolto anche gli dèi (delle province), che con la colonizzazione avevano mostrato di non essere in grado nemmeno di tutelare la libertà e l’indipendenza dei loro popoli. “Questa era la situazione materiale e morale. Il presente, intollerabile; il futuro, se possibile, ancora più minaccioso. Nessuna via d’uscita. Disperazione o salvezza nel più ordinario piacere sensuale, per quelli almeno che potevano permetterselo, ed era una piccola minoranza. Altrimenti non restava che la stanca rassegnazione all’inevitabile” (Engels, B. Bauer e il cristianesimo primitivo).

Ed è proprio in questa situazione, aggiungiamo, che il riscatto e oseremo dire con Giovanni (“Fino a quando, o sovrano santo e verace, non giudicherai e non vendicherai il nostro sangue sopra gli abitanti della terra”) la vendetta, è possibile solo ad opera di una divinità, e precisamente di quella che in totale controtendenza con il passato religioso dei popoli, pone i poveri e i diseredati al centro della propria attenzione; ecco quindi l’apocalisse con il suo attacco furibondo al potere imperiale nella persona di Nerone (l’antiCristo) ed il riscatto degli umili e degli oppressi (solo se rigorosamente credenti).

Ma ecco anche e soprattutto l’origine del cristianesimo, “unico elemento che potesse resistere a quel mondo in dissoluzione”; e di questa origine il libro dell’apocalisse costituisce una fonte storica indiscutibile. Dalla critica storica e letteraria dei testi sacri (Scuola teologica di Tubinga, D.F. Strass, B. Bauer, Wilke), viene fuori che di tutto il Nuovo Testamento, il lavoro di Giovanni è l’unico a poter essere dato entro una cornice temporale seria e precisa; del Vangelo la stessa scuola teologica di Tubinga offre una tarda interpretazione temporale e quindi nemmeno ad opera di testimoni oculari, mentre di tutta la letteratura neotestamentale la stessa scuola filtra ciò che ritiene reale, “scremandola” da tutta una serie di contraddizioni e miracoli ritenuti non storicamente autentici. Così anche per il Wilke, mentre Bauer fa partire la storia del cristianesimo dagli imperatori Flavi  (da Vespasiano 69 d.C. in poi), e la letteratura neotestamentaria, a conferma di quanto detto prima ma comprendendo anche le lettere apostoliche, da Adriano (117 d.C. in poi): “dunque, se la scuola di Tubinga, nel residuo da esso non contestato della storia e della letteratura neotestamentaria, ci ha offerto l’estremo massimo di ciò che la scienza ancora oggi può ammettere, e sempre con materia controversa, Bruno Bauer ci offre il massimo di ciò che la scienza vi può contestare”
(Engels, Per la storia del cristianesimo primitivo).

L’apocalisse dunque è il solo testo di cui non si può non discutere quale più antica testimonianza storicamente accertata del cristianesimo primitivo contenuta nel Nuovo Testamento, unica quindi del suo genere a non avere interpretazione controversa sulla datazione d’origine, ed in ogni caso ricca di elementi letterali “barbarici e brulicanti di ebraismi” (lingua meno aggiornata rispetto al resto del Nuovo Testamento), che evidenzia tutta la storicità non solo del testo ma anche della primitiva epoca cristianea. Sta in questo passaggio tutta l’importanza del lavoro di Giovanni, non in altro, specialmente se si considera che prima delle sue visioni apocalittiche, tali predizioni sono numerose e rilevabili nel numero di 15 circa (dall’ Antico Testamento a Daniele del 164 a.C., a Enoc poco prima della nostra era), a parte delle quali il buon Giovanni si riconduce con una elaborazione successiva di tipo cristiana. Ovviamente tali apocalissi precedenti non sono cristianee, non trattano di Cristo tanto per intenderci.

Inoltre, la storia delle religioni ci indica, fino all’avvento del cristianesimo, una composita formazione teologica sostanzialmente inconciliabile specie in oriente, laddove individui di diverse religioni non possono incontrarsi se non per parlare. Maniacalmente ricche di cerimoniali, restrizioni e sacrifici queste dottrine circoscrivevano estremamente il loro raggio d’azione e si chiudevano su se stesse; il cristianesimo fin dalla sua entrata sulla scena teologica, rompe queste tradizioni e si propone apertamente come religione mondiale.

Dell’ebraismo volgarizzato (popolarizzato) e del sincretismo filosofico religioso filoniano volgarizzato, il cristianesimo prende a prestito dal primo (il neoebraismo), l’unico dio (Jahveh, la cui traduzione in Jehovah e dovuta ad una interpretazione grammaticale scorretta) e dal secondo (scuola di Filone), il sacrificio volontario di un intermediario che in questo modo espia i peccati di tutti i credenti; attenuando il numero delle prescrizioni comportamentali (a dieta e purezza), eleggendo fra i suoi apostoli gli umili e gli oppressi, offrendo a sacrificio una volta per tutte il suo giudice e proclamando la innata peccabilità dell’uomo, si fa largo progressivamente dapprima presentandosi come setta giudaica (Giovanni ripeterà più volte che i figli di satana si professano Giudei ma non lo sono), e successivamente conciliando il mondo orientale con quello occidentale ( a differenza dell’Islam che limitava il suo raggio d’azione all’oriente e all’Africa).

“il germe della religione mondiale è già in questo libro (l’apocalisse), ma questo germe contiene ancora indifferenziate le mille possibilità di sviluppo che si realizzarono nelle innumerevoli sette posteriori.
E se questo più antico prodotto del processo di sviluppo del cristianesimo ha per noi un così particolare valore, è proprio perché ci offre nella sua purezza ciò che il giudaismo, con forte influsso alessandrino (scuola filoniana volgarizzata), ha dato come contributo al cristianesimo. Tutto ciò che si aggiunge più tardi (dogmatica) è occidentale, greco-romano (Seneca, stoico romano). Soltanto attraverso la mediazione della religione monoteistica ebraica e il monoteismo colto della tarda filosofia volgare greca poteva assumere la forma religiosa della quale gli fu possibile conquistare le masse. Ma una volta trovata questa mediazione, esso potè diventare religione mondiale soltanto nel mondo greco-romano, continuando a svilupparsi sulla base del materiale intellettuale già conquistato e fondendosi con esso”
(Engels Per le origini del cristianesimo; n.b. le specifiche in parentesi sono mie).

La citazione engelsiana non è accademica; in realtà infatti, in Giovanni non vi sono né citazioni del battesimo, né dell’eucaristia, né del “porgi l’altra guancia”, né della trinità (Gesù è rappresentato in subordine a dio, emanazione di dio “principio della creazione di dio”, Apoc. 3, 14), né infine dello spirito santo unico (“i sette spiriti di dio, “Apoc 1, 4 e 3, 1). In altre parole dunque, il cristianesimo primitivo è decisamente lontano da quello a noi tramandato e quindi quegli elementi dogmatici conosciuti dal Concilio di Nicea di Costantino del IV sec. sono tarde emanazioni greco-romane.

In pratica non un cristianesimo preconfezionato così come lo conosciamo nella nostra formulazione, ma un lento e progressivo divenire di esso, dapprima nella forma rozza e primitiva dell’apocalisse, dove pure mancano gli elementi dottrinali filoniani, e solo successivamente in una elaborazione neotestamentaria ricca dell’apporto di elementi dogmatici ed etici di tipo greco-romano in ispecie istoica con Seneca: un ponte filosofico-religioso fra il greco-alessandrino e il greco romano.

A conferma ulteriore di quanto detto da Engels, ammesso che se ne avverta il bisogno, osserviamo che d’altra parte, il periodo storico di cui stiamo trattando è quello indicato come Alessandrinismo ed esso va dal III° sec. a.c. al III° sec. d.c.; dal punto di vista filosofico questo periodo della civiltà greca con centro in Alessandria nella sua fase più tarda, sviluppa una teoretica in cui al prevalere del problema morale si sostituisce il prevalere del problema religioso che culmina nel neoplatonismo di Plotinio (Amore, come armonia del tutto, per cui il molteplice appare in una ordinata e suprema unità), e nel pensiero cristiano di Clemente d’Alessandria (Amore, come forza che tutto viene collegando, vincolo fra uomini e divino).

Del periodo Alessandrinistico, non certo gli scettici (ogni ricerca è vana e all’uomo non è dato cogliere il vero, onde inesorabile il dubbio, si estende su tutto), o gli epicurei (padronanza di sé di fronte alle cose nel soddisfacimento dei propri bisogni e nel godimento del piacere, attraverso la libertà dal timore degli dèi e dal timore della morte), potevano influire sulla dogmatica cristianea (nella sua fase successiva – del tutto assente il principio dell’ amore o dell’ anima in Giovanni); bensì per questa funzione rimanevano gli stoici con il loro logos (ragion d’essere del tutto – Ragione cosmica) ed il loro pneuma (spirito, soffio che informa l’universo in un tutt’uno armonico e ordinato come un’organismo, di cui il pneuma è appunto l’anima, che quindi di sé tutto pervade).
Ecco derivato l’influsso decisivo greco-romano con Seneca, funzionale al passaggio da una religione potenzialmente universale a concreta realizzazione di essa sotto questa forma.

Mi fermo qui per non appesantire ulteriormente. Ci sono in ogni caso molteplici spunti per un approfondimento soprattutto sul significato rivoluzionario del movimento cristiano che volendo si possono trattare; era semplicemente mia intenzione mettere in luce la funzione storica e letteraria dell’apocalisse (la sua reale essenza), lontano dalle stupidità trattate dai media in questo periodo storico. Volevo inoltre, maggiormente richiamare l’attenzione dei compagni sugli scritti di Engels al riguardo, poiché essi costituiscono un riferimento analitico importante specie in considerazione del fatto che gli ulteriori studi sulle nuove scoperte testuali non hanno sostanzialmente alterato l’interpretazione engelsiana dell’apocalisse, nonché delle origini della cristianità e della sua imponente affermazione.

Liquidare gli imbroglioni del nostro tempo non è solo necessario, ma diviene più che mai indispensabile e questa che abbiamo scorso, è certamente la via più corretta.

Ma “una religione che ha sottomesso a sé l’impero mondiale romano, e che ha dominato per 1800 anni la massima parte dell’umanità civile, non si liquida spiegandola puramente e semplicemente come un insieme di assurdità originate da impostori. Si liquida, semmai, solo quando se ne sappia spiegare l’origine e lo sviluppo delle condizioni storiche nelle quali è sorta ed è giunta a dominare. Ciò vale in modo speciale per il cristianesimo. Si tratta precisamente di risolvere la questione di come accadde che le masse popolari dell’impero romano preferirono questa assurdità, per di più predicata da schiavi e da oppressi, a tutte le altre religioni, tanto che alla fine l’ambizioso Costantino poté vedere nell’adozione di questa assurda religione il mezzo migliore per affermarsi come unico dominatore del mondo romano” (Engels, Bauer e il cristianesimo primitivo).