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Per una teoria sociale
(costituzionale) della comunicazione e della politica
(nota di E. Giardino- Forum DAC)
Il processo di liberazione dalle prassi che ci opprimono presuppone un
riesame critico delle parole e degli slogan dominanti, che anche noi oppositori
usiamo “allegramente”. Governanti e oppositori ci dicono che il sistema vigente
è quello del “liberismo” e del “neoliberismo”.
Ecco come il dizionario Zanichelli del 2001 – prodotto della ideologia
borghese- definisce i due termini.
Liberismo : ”Dottrina economica che
propugna un sistema basato sulla libera concorrenza e che limita l’intervento
statale alla difesa del processo competitivo ed alla erogazione di servizi di
pubblico interesse non ottenibili attraverso i canali del mercato”.
Ciascuno di noi può verificare il capovolgimento tra questa definizione e la
realtà. Altro piccolo baco : una dottrina economica che propugna un sistema…non
più solo economico, ma globale e finale (politico, sociale, culturale,
formativo, mediatico).
Neoliberismo
: “Indirizzo di pensiero economico che denuncia le violazioni della
concorrenza generate da concentrazioni monopolistiche ed auspica interventi
statali tendenti solo a ripristinare solo la libertà di mercato”. Non più una dottrina, ma un puro “indirizzo di pensiero economico” che auspica (?)
concorrenza e …“libertà di mercato”. E
se non li ottiene, chi ne paga le conseguenze ? Cosa c’entra con tutto questo
con la nostra Costituzione, oppure con
la privatizzazione dei servizi di pubblico interesse ?
Nulla di nulla, come chiunque può verificare. E’ solo la trasposizione di un
dogma fasullo su un piano politico e mediatico globale.
Si tratta dunque di termini fuorvianti , usati da destra e da sinistra, che
coprono una realtà politica e mediatica oligarchica – monopolistica e
totalitaria - del tutto anticostituzionale, antisociale ed antipopolare.
Potremmo continuare a lungo con altri termini del linguaggio politico- mediatico
“trasversale”: come “guerra”
”terrorismo”, “informazione” “concorrenza”, “pluralismo”, “politica“,
“riforme”, “modernismo”,”sviluppo” , “libertà”, “democrazia”,
“globalizzazione”. Arriveremmo alla conclusione che accettare ed usare questi
termini ed i significati indotti , significa già stare dentro il “recinto” dell’egemonia dominante, cioè
dipendere dalle sue logiche globali , con risultati politici e culturali
devastanti.
Tanto trasformismo per non chiamare le cose con il loro nome : “imperialismo”,
“aggressioni armate”, “controriforme”, “terrorismo di Stato”,
“disinformazione”, “propaganda ideologica unidirezionale”,”monopoli commerciali
e di status”, “ illibertà”, “totalitarismo”, ecc.
Smascherata l’ideologia ed il linguaggio dei poteri oligarchici – ormai
transnazionali e globali – vediamo ora con quali strumenti operativi essi
vengono tradotti nella pratica corrente, internazionale e nazionale.
Si tratta , come vedremo, di strumenti
oligarchici mutuati dalla tradizione “corporativa” fascista.
Essi sono decisivi per il dominio dei popoli, al fine di renderli
sudditi incoscienti, consumatori passivi e “drogati “, elettori pilotati ,
derelitti rassegnati o disperati. Sono applicati ,con la stessa logica , a
tutte le sfere di pensiero e di vita,
in modo da non lasciare mai spazi di autonomia , individuali o
collettivi.
Per brevità e per aderenza al tema di questa nota, riferiamoci solo a due sfere
decisive, che dovremo però ridefinire :
quella della “informazione” e quella della “politica”. Si tratta di due sfere
interconnesse che viaggiano su due gambe : il
monopolio anticostituzionale dei giornalisti sulla “informazione”
(scambiata per calcolo con comunicazione) e quello dei partiti sulla
“politica”. Da questi due monopoli imposti deriva – a mio avviso- la situazione italiana post-costituzionale (50
anni ), detta astrattamente “democratica”.
Come se la democrazia fosse un assoluto, invece che un prodotto storico
definito (borghese, costituzionale, socialista).
Consegnando a questi due ceti privilegiati, rispettivamente, il monopolio
della rappresentanza politica (ai partiti) e delle rappresentanza
comunicativa ( ai giornalisti), i poteri dominanti hanno via via
espropriato i popoli dai loro diritti
elementari e questi due stessi ceti dal
ruolo loro assegnato: fare politica ed informare.
I due monopoli oligarchici –
i cui confini sfumano sempre più - vivono e prosperano sinergicamente, anche
come comunicazione politica e come politica della comunicazione.
Chi fa più “politica”, i conduttori
televisivi e gli editorialisti o i leader di partito ammessi in TV ?
Come accade spesso tra “monopolisti- compari ”, politici e giornalisti si
accusano a vicenda. I giornalisti dicono che i partiti sono ormai incapaci e
distratti. I politici che i giornalisti ed i media hanno prevaricato il loro
ruolo politico. L’ultimo esempio ? Il programma di Prodi che mette al primo
posto “il pluralismo della informazione“ per poi dire che i ruolo dei media e
della TV da “strumento principe del controllo sull’esercizio del potere da
parte delle Istituzioni, delle forze politiche” si è trasformato in “diretto
strumento di conquista, di esercizio e di condizionamento del potere politico
“(Repubblica -11 nov.2003).
Quindi i due agenti delle oligarchie dominanti- giornalisti e politici-
polemizzano tra loro, invece che con il comune padrone, attribuendo la ragioni
dello “sfascio” solo a “ viltà individuali” invece che a logiche strutturali comuni ai due sistemi di
appartenenza : mediatico informativo e
partitico - rappresentativo.
Segnalo un’altra ipocrisia ricorrente anche nel messaggio di Prodi : il
PLURALISMO.
Questo principio-base ,comune a tutte le sentenze costituzionali, non riguarda
solo leader di partito e giornalisti – Fassino e Fini, Biagi e Fede, Bertinotti
e Pannella – e neppure solo la RAI o solo la TV.
Il
pluralismo riguarda tutti i media ed ogni singolo medium (TV, giornali,ecc.) e tutte le sue versioni
: politico, sociale, culturale, etnico religioso, associativo, di età e di
genere, produttivo, locale e nazionale (delibera della commissione parlamentare
di vigilanza del 13 febbraio 1997). Ma chi se ne ricorda mai ?
In realtà, l’avvento di tecnologie comunicative “orizzontali”, con la
moltiplicazione dei canali e delle tecniche comunicative e partecipative “dal
basso” , mette a rischio il modello oligarchico unidirezionale e delegato, proprio della politica leaderistica e della “informazione”
unidirezionale.
Si rendono così concretamente esigibili
i diritti comunicativi- attivi e passivi- e di pluralismo (in senso pieno).
Le tecniche e le esigenze popolari
rafforzano l’attualità di un sistema comunicativo mondiale, con
l’incontro di società comunicanti con fonti e comunicatori distribuiti e
differenziati , anche indeterminabili ed incontrollabili. Gli stessi gestori pubblici e comunitari- per
quanto condizionati- costituiscono un rischio inaccettabile per i poteri
dominanti. Quale è stata allora la loro
reazione ?
La iperconcentrazione
unilaterale delle risorse politiche e mediatiche, dei decisori
politici e dei comunicatori
selezionati.
Ecco quindi il modello presidenziale- maggioritario in politica, parente
stretto del modello monopolistico “informativo”, ovvero del flusso
unidirezionale unipolare, tipico dei
sistemi privati da satellite.
Politica e comunicazione sono ormai affidati a pochi leader e possono concentrarsi in una sola persona.
I potenti- ma purtroppo anche i loro
oppositori - trattano questa Società omologata come “Società della informazione e della alternanza”, fatta da giornalisti
accreditati e da leader politici affini (in lizza elettorale).
Accettando il doppio monopolio a controllo oligarchico, i leader di partito ed
i giornalisti hanno via via smarrito il loro ruolo formale: fare politica ,
trovare soluzioni ai problemi, agire, indagare ed informare .
La loro “liberazione” passa ormai per la rottura di questo schema politico-
mediatico da parte dell’unico soggetto che
ha necessità ed interesse a farlo : i cittadini impegnati, i lavoratori,
gli operatori dei media.
Ma l’interesse non basta, serve anche una teoria sociale della comunicazione che i
poteri dominanti e le loro “appendici” politiche e mediatiche, non vogliono neppure ipotizzare.
Da questo conflitto epocale, nasce, sul versante mediatico, la contrapposizione
tra cosiddetta “società della informazione”-
cioè la oligarchia della disinformazione- e
le “società della Comunicazione o comunicanti”, dove la
moltiplicazione delle fonti attendibili e dei comunicatori incontrollabili
ricostruisce verità, politica sociale, partecipazione, controllo diffuso e
scomodo.
Sul versante politico , è la contrapposizione tra società
oligarchiche a doppia faccia (comunque etichettata) e società di
democrazia costituzionale , popolare o socialista (nelle diverse
versioni).
Perciò - in Italia , in Europa e nel mondo - dovremmo rivendicare società di “democrazia
costituzionale e comunicativa” centrate
sull’esercizio della sovranità popolare e dei diritti
comunicativi.
A questo fine, il mio libro “Diritto a
comunicare e sovranità popolare”, indica le coordinate e le
proposte di una possibile teoria sociale
(costituzionale) dello Stato e della comunicazioni di massa.
Per “comunicazioni di massa” dobbiamo intendere l’insieme dei processi di conoscenza,
formazione, informazione e
comunicazione di massa , nonché di tutti i comunicatori già accreditati e potenziali.
Un patrimonio universale del
genere umano e dei popoli che li determinano e li sostengono con il loro danaro
e con il loro tempo di uso (attivo e passivo).
Così trasformeremo un sistema monopolistico- totalitario - povero di democrazia
politica e di comunicazione - in una
sistema politico e comunicativo
decentrato, più partecipato, più democratico , più produttivo.
Dentro questo sistema servono comunicatori , certo indipendenti , ma
qualificati : penso ai docenti, ai registi ai giornalisti, agli attori, ai
tecnici .. ma anche alle persone comuni
, motivate a produrre comunicazione qualificata. Quindi scuole di formazione sulle
scienze , i diritti e le tecniche comunicative.
Il mondo della politica e delle elezioni
presenta le stesse analogie, sia nelle cause “devianti” che nelle soluzioni
possibili. Anche qui vige il monopolio
privilegiato- ed anticostituzionale- della rappresentanza e dell’agire politico, accordato dai poteri
dominanti solo ai partiti ed ai loro
leader.
Anche le elezioni politiche sono diventate
ormai una truffa mediatica , truccata
nei numeri e nei seggi.
Perciò il “grazioso” dono oligarchico - come è accaduto per i
giornalisti- ha via via tolto ai
partiti stessi , il loro ruolo esclusivo, quello di fare politica e di
verificare il loro mandato popolare.
E’ la logica fascista delle “corporazioni”
in monopolio, applicata
all’uomo di partito e al giornalista.
La lottizzazione partitica di tutti gli apparati – pubblici
e privati – è la necessaria conseguenza di questo monopolio, anche il metodo di
reclutamento dei partiti . Iscriversi al partito significa ottenere incarichi
ben pagati ovunque ; non iscriversi significa essere discriminati nel proprio posto di lavoro.
Perciò una prassi partitica monopolistica- priva di verifica e di controlli-
che usa la “politica” come mercato dei
voti , di privilegi e di poltrone a valenza personale Così i partiti sono
sempre più invischiati in pratiche
avvilenti “elettoralistiche”, estranee agli interessi popolari ed ai
problemi del mondo. Per vivere e farsi
votare hanno bisogno di capitali e di spazi mediatici adeguati : due cose che
appartengono ai monopolisti. Perciò le cause “devianti” sono oggettive e
strutturali, come nel caso dei giornalisti . Anche qui alcune “eccezioni”
esistono, ma confermano solo la regola generale.
E’ pure noto che molti giornalisti diventano leader di partito e viceversa.
Da qui le ragioni di ripudio popolare non solo verso i partiti, ma- cosa più
grave- verso la politica.
Invece la politica
deve essere tutt’altro : potremmo definirla come scienza
sociale di ricerca e soluzione
dei problemi umani e sociali del mondo e delle comunità locali.
Dove le soluzioni vanno cercate, applicate , difese e controllate con
l’esercizio della comunicazione e della “sovranità popolare” cosciente
, cioè informata ed evoluta.
Quindi accesso alla politica di persone –iscritte o no a partiti politici-
motivate ad impegnarsi per il bene comune, ma senza privilegi di status o di
carriera. Anche scuole di formazione politica e sociale.
Le
soluzioni qui indicate sono tecnicamente praticabili, costituzionalmente
corrette, socialmente feconde.
Da queste considerazioni dobbiamo partire per costruire una teoria
sociale (costituzionale)
delle
comunicazioni di massa e della politica,
fondata sui nostri
valori, non su quelli dei monopoli.
A questa ricerca il Forum DAC porta il
proprio contributo originale (www.romacivica.net/forumdac)
In estrema sintesi : comunicazione come 4° potere costituzionale al servizio
della sovranità popolare ; Carta universale dei diritti comunicativi; nuovo sistema elettorale , riforma della
politica e della comunicazione politica
;servizio comunicativo universale,con forti gestori pubblici e comunitari ;
conquista di un sistema comunicativo decentrato , basato sulla Costituzione e
sui diritti comunicativi (attivi e passivi) di popoli, cittadini, operatori,
norme antilottizzatorie.
La ricostruzione di fonti affidabili e di processi di conoscenza
negati, implica la necessità di avere fonti e centri di documentazione politica, popolari , alternativi a quelli
usati dai poteri dominanti.
Ogni persona impegnata è una fonte preziosa: se interconnessa in rete, è un
NODO della rete documentativa.
Servono solo criteri condivisivi di raccolta dei dati secondo griglie
descrittive utili agli gli interessi generali. Una rete che si
allarga a macchia d’olio e che distrugge via via i falsi e le censure del sistema dominante.
Che i monopoli si paghino ed usino per loro propaganda le loro reti private attuali. Siamo noi a fare entrare
nelle nostre case le loro menzogne e le
loro cretinerie.
In conclusione, la liberazione dei ceti corporativi è possibile solo con il
loro superamento, mediante lotte popolari per diritti politici e comunicativi
negati : quindi o è liberazione di tutti per tutti, o non è.
Perciò i deputati ed i giornalisti migliori- se vogliono liberarsi sul serio dal giogo oligarchico che li
opprime- devono farsi parte delle lotte popolari e sociali, senza se e
senza ma .
Purtroppo non sembra questa la strada che i diretti interessati e molti
movimenti “antimperialisti” si avviano a percorrere. Si insiste in una logica “
continuistica ” , di delega “eccellente”, di disinteresse, di alternanza o di
protesta sterile : poi ciascuno scarica su altri le cause del fallimento comune
, che però persiste.
Un esempio attuale : oggi tutti
inveiscono contro la legge Gasparri come fonte di tutti i guai. Certo essa
peggiorerà la situazione , e tuttavia non è ancora entrata in vigore ! Perciò quello che viviamo è il retaggio delle politiche fallimentari di
governi diversi, formati anche dagli oppositori di oggi: ci dicono di essere la
nuova “alternativa”: ma quale alternativa, quella elettorale ?
Esistono invece iniziative comunitarie e popolari, sia in campo politico che
comunicativo, che si muovono nella direzione qui indicata : dobbiamo sostenerle
attivamente, in tutte le sedi possibili. Costruiamo insieme una teoria
politica e mediatica con strumenti
operativi adeguati alle nostre esigenze di lavoratori e di cittadini impegnati.
Ci serve ora, non dopo. Riflettiamo su tutto questo , superiamo insieme divisioni
fasulle, ambiguità ed ipocrisie.
Roma 12 novembre 2003