www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 25-11-03

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Per una teoria sociale (costituzionale) della comunicazione e della politica


(nota di E. Giardino- Forum DAC)

Il processo di liberazione  dalle prassi che ci opprimono presuppone un riesame critico delle parole e degli slogan dominanti, che anche noi oppositori usiamo “allegramente”. Governanti e oppositori ci dicono che il sistema vigente è quello del “liberismo” e del “neoliberismo”.

Ecco come il dizionario Zanichelli del 2001 – prodotto della ideologia borghese-  definisce i due termini.

Liberismo : ”Dottrina economica che propugna un sistema basato sulla libera concorrenza e che limita l’intervento statale alla difesa del processo competitivo ed alla erogazione di servizi di pubblico interesse non ottenibili attraverso i canali del mercato”.
Ciascuno di noi può verificare il capovolgimento tra questa definizione e la realtà. Altro piccolo baco : una dottrina economica che propugna un sistema…non più solo economico, ma globale e finale (politico, sociale, culturale, formativo, mediatico).

Neoliberismo : “Indirizzo di pensiero economico che denuncia le violazioni della concorrenza generate da concentrazioni monopolistiche ed auspica interventi statali tendenti solo a ripristinare solo la libertà di mercato”.  Non più una dottrina, ma un  puro “indirizzo di pensiero economico” che auspica (?) concorrenza e …“libertà di mercato”.  E se non li ottiene, chi ne paga le conseguenze ? Cosa c’entra con tutto questo con la nostra Costituzione, oppure con  la privatizzazione dei servizi di pubblico interesse ?

Nulla di nulla, come chiunque può verificare. E’ solo la trasposizione di un dogma fasullo su un piano politico e mediatico globale.
Si tratta dunque di termini fuorvianti , usati da destra e da sinistra, che coprono una realtà politica e mediatica oligarchica – monopolistica e totalitaria - del tutto anticostituzionale, antisociale ed antipopolare. Potremmo continuare a lungo con altri termini del linguaggio politico- mediatico “trasversale”: come “guerra”  ”terrorismo”, “informazione” “concorrenza”, “pluralismo”, “politica“, “riforme”, “modernismo”,”sviluppo” , “libertà”, “democrazia”, “globalizzazione”. Arriveremmo alla conclusione che accettare ed usare questi termini ed i significati indotti , significa già stare dentro  il “recinto” dell’egemonia dominante, cioè dipendere dalle sue logiche globali , con risultati politici e culturali devastanti.

Tanto trasformismo per non chiamare le cose con il loro nome : “imperialismo”, “aggressioni armate”, “controriforme”, “terrorismo di Stato”, “disinformazione”, “propaganda ideologica unidirezionale”,”monopoli commerciali e di status”, “ illibertà”, “totalitarismo”, ecc.

Smascherata l’ideologia ed il linguaggio dei poteri oligarchici – ormai transnazionali e globali – vediamo ora con quali strumenti operativi essi vengono tradotti nella pratica corrente, internazionale e nazionale.
Si tratta , come vedremo,  di strumenti oligarchici mutuati dalla tradizione “corporativa” fascista.

Essi sono decisivi per il dominio dei popoli, al fine di renderli sudditi incoscienti, consumatori passivi e “drogati “, elettori pilotati , derelitti rassegnati o disperati. Sono applicati ,con la stessa logica , a tutte le sfere di pensiero e di vita,  in modo da non lasciare mai spazi di autonomia , individuali o collettivi.

Per brevità e per aderenza al tema di questa nota, riferiamoci solo a due sfere decisive, che dovremo  però ridefinire : quella della “informazione” e quella della “politica”. Si tratta di due sfere interconnesse che viaggiano su due gambe : il  monopolio anticostituzionale dei giornalisti sulla “informazione” (scambiata per calcolo con comunicazione) e quello dei partiti sulla “politica”. Da questi due monopoli imposti deriva – a mio avviso- la  situazione italiana post-costituzionale (50 anni ), detta astrattamente “democratica”.  Come se la democrazia fosse un assoluto, invece che un prodotto storico definito (borghese, costituzionale, socialista).

Consegnando a questi due ceti privilegiati, rispettivamente, il monopolio della rappresentanza politica (ai partiti) e delle rappresentanza comunicativa ( ai giornalisti), i poteri dominanti hanno via via espropriato i popoli  dai loro diritti elementari e questi due stessi ceti  dal ruolo loro assegnato: fare politica ed informare.
I due monopoli  oligarchici – i cui confini sfumano sempre più - vivono e prosperano sinergicamente, anche come comunicazione politica  e  come politica della comunicazione.

Chi fa più “politica”,  i conduttori televisivi e gli editorialisti o i leader di partito ammessi in TV ?
Come accade spesso tra “monopolisti- compari ”, politici e giornalisti si accusano a vicenda. I giornalisti dicono che i partiti sono ormai incapaci e distratti. I politici che i giornalisti ed i media hanno prevaricato il loro ruolo politico. L’ultimo esempio ? Il programma di Prodi che mette al primo posto “il pluralismo della informazione“ per poi dire che i ruolo dei media e della TV da “strumento principe del controllo sull’esercizio del potere da parte delle Istituzioni, delle forze politiche” si è trasformato in “diretto strumento di conquista, di esercizio e di condizionamento del potere politico “(Repubblica -11 nov.2003).

Quindi i due agenti delle oligarchie dominanti- giornalisti e politici- polemizzano tra loro, invece che con il comune padrone, attribuendo la ragioni dello “sfascio” solo a “ viltà individuali” invece che a  logiche strutturali comuni ai due sistemi di appartenenza : mediatico  informativo e partitico - rappresentativo.

Segnalo un’altra ipocrisia ricorrente anche nel messaggio di Prodi : il PLURALISMO.
Questo principio-base ,comune a tutte le sentenze costituzionali, non riguarda solo leader di partito e giornalisti – Fassino e Fini, Biagi e Fede, Bertinotti e Pannella – e neppure solo la RAI o solo la TV.

Il pluralismo riguarda tutti i media ed ogni singolo medium (TV,  giornali,ecc.) e tutte le sue versioni : politico, sociale, culturale, etnico religioso, associativo, di età e di genere, produttivo, locale e nazionale (delibera della commissione parlamentare di vigilanza del 13 febbraio 1997). Ma chi se ne ricorda mai ?

In realtà, l’avvento di tecnologie comunicative “orizzontali”, con la moltiplicazione dei canali e delle tecniche comunicative e partecipative “dal basso” , mette a rischio il modello oligarchico unidirezionale e delegato,  proprio della politica  leaderistica e della “informazione” unidirezionale.

Si rendono così concretamente  esigibili i diritti comunicativi- attivi e passivi- e di pluralismo (in senso pieno).
Le tecniche  e le esigenze popolari rafforzano l’attualità di un sistema comunicativo mondiale, con l’incontro di società comunicanti con fonti e comunicatori distribuiti e differenziati , anche indeterminabili ed incontrollabili.  Gli stessi gestori pubblici e comunitari- per quanto condizionati- costituiscono un rischio inaccettabile per i poteri dominanti.  Quale è stata allora la loro reazione ?

La iperconcentrazione unilaterale delle risorse politiche e mediatiche, dei decisori politici  e dei comunicatori selezionati.
Ecco quindi il modello presidenziale- maggioritario in politica, parente stretto del modello monopolistico informativo”, ovvero del flusso unidirezionale unipolare,  tipico dei sistemi  privati da satellite.

Politica e comunicazione sono ormai affidati a pochi leader e  possono concentrarsi in una sola persona.
I potenti- ma  purtroppo anche i loro oppositori - trattano questa Società omologata come   “Società della informazione e della alternanza”, fatta da giornalisti accreditati e da leader politici affini (in lizza elettorale).

Accettando il doppio monopolio a controllo oligarchico, i leader di partito ed i giornalisti hanno via via smarrito il loro ruolo formale: fare politica , trovare soluzioni ai problemi, agire, indagare ed informare .
La loro “liberazione” passa ormai per la rottura di questo schema politico- mediatico da parte dell’unico soggetto che  ha necessità ed interesse a farlo : i cittadini impegnati, i lavoratori, gli operatori dei media.

Ma l’interesse non basta, serve anche una teoria sociale della comunicazione che i poteri dominanti e le loro “appendici” politiche  e mediatiche, non vogliono neppure ipotizzare.

Da questo conflitto epocale, nasce, sul versante mediatico, la contrapposizione tra  cosiddetta “società della informazione”- cioè la oligarchia della disinformazione- e  le “società della Comunicazione o comunicanti”, dove la moltiplicazione delle fonti attendibili e dei comunicatori incontrollabili ricostruisce verità, politica sociale, partecipazione, controllo diffuso e scomodo.

Sul versante politico , è la contrapposizione tra società  oligarchiche a doppia faccia (comunque etichettata) e società di democrazia costituzionale , popolare o socialista (nelle diverse versioni).
Perciò - in Italia , in Europa e nel mondo - dovremmo rivendicare società di “democrazia costituzionale  e comunicativa” centrate sull’esercizio della sovranità popolare e dei diritti comunicativi.

A questo fine,  il mio libro “Diritto a comunicare e sovranità popolare”, indica le coordinate  e  le proposte di una  possibile teoria sociale (costituzionale) dello Stato e della comunicazioni di massa.
Per “comunicazioni di massa” dobbiamo intendere l’insieme dei processi di conoscenza, formazione,  informazione e comunicazione di massa , nonché di tutti i comunicatori  già accreditati e potenziali.

Un  patrimonio universale del genere umano e dei popoli che li determinano e li sostengono con il loro danaro e con il loro tempo di uso (attivo e passivo).
Così trasformeremo un sistema monopolistico- totalitario - povero di democrazia politica e di  comunicazione - in una sistema politico  e comunicativo decentrato, più partecipato, più democratico , più produttivo.

Dentro questo sistema servono comunicatori , certo indipendenti , ma qualificati : penso ai docenti, ai registi ai giornalisti, agli attori, ai tecnici .. ma anche alle persone  comuni , motivate a produrre comunicazione qualificata. Quindi scuole di formazione sulle scienze , i diritti e le tecniche comunicative.

Il mondo della politica  e delle elezioni presenta le stesse analogie, sia nelle cause “devianti” che nelle soluzioni possibili. Anche qui vige il monopolio  privilegiato- ed anticostituzionale- della rappresentanza  e dell’agire politico, accordato dai poteri dominanti  solo ai partiti ed ai loro leader. 
Anche le elezioni politiche sono diventate  ormai una truffa mediatica , truccata  nei numeri e nei seggi.

Perciò il  “grazioso” dono  oligarchico - come è accaduto per i giornalisti-  ha via via tolto ai partiti stessi , il loro ruolo esclusivo, quello di fare politica e di verificare il loro mandato popolare. 
E’ la logica fascista delle “corporazioni”  in monopolio,   applicata all’uomo di partito e al giornalista. 

La lottizzazione  partitica di tutti gli apparati – pubblici e privati – è la necessaria conseguenza di questo monopolio, anche il metodo di reclutamento dei partiti . Iscriversi al partito significa ottenere incarichi ben pagati ovunque ; non iscriversi significa essere discriminati  nel proprio posto di lavoro.

Perciò una prassi partitica monopolistica- priva di verifica e di controlli- che usa la “politica” come  mercato dei voti , di privilegi e di poltrone a valenza personale Così i partiti sono sempre più invischiati in pratiche  avvilenti “elettoralistiche”, estranee agli  interessi popolari  ed ai problemi  del mondo. Per vivere e farsi votare hanno bisogno di capitali e di spazi mediatici adeguati : due cose che appartengono ai monopolisti. Perciò le cause “devianti” sono oggettive e strutturali, come nel caso dei giornalisti . Anche qui alcune “eccezioni” esistono, ma confermano solo la regola generale.

E’ pure noto che molti giornalisti diventano leader di partito e viceversa.
Da qui le ragioni di ripudio popolare non solo verso i partiti, ma- cosa più grave-  verso la politica.
Invece la politica deve essere tutt’altro : potremmo definirla come scienza  sociale di  ricerca e soluzione dei problemi umani e sociali del mondo e delle comunità locali. Dove le soluzioni vanno cercate, applicate , difese e controllate con l’esercizio  della  comunicazione e della “sovranità popolare” cosciente , cioè informata ed evoluta. 

Quindi accesso alla politica di persone –iscritte o no a partiti politici- motivate ad impegnarsi per il bene comune, ma senza privilegi di status o di carriera. Anche scuole di formazione politica e sociale.

Le soluzioni qui indicate sono tecnicamente praticabili, costituzionalmente corrette, socialmente feconde.

Da queste considerazioni dobbiamo partire per costruire una teoria sociale  (costituzionale) delle comunicazioni di massa e della politica,  fondata sui  nostri valori,  non su quelli dei monopoli.
A questa ricerca il Forum DAC  porta il proprio contributo originale (www.romacivica.net/forumdac)

In estrema sintesi : comunicazione come 4° potere costituzionale al servizio della sovranità popolare ; Carta universale dei diritti comunicativi;  nuovo sistema elettorale , riforma della politica e  della comunicazione politica ;servizio comunicativo universale,con forti gestori pubblici e comunitari ; conquista di un sistema comunicativo decentrato , basato sulla Costituzione e sui diritti comunicativi (attivi e passivi) di popoli, cittadini, operatori, norme antilottizzatorie.

La ricostruzione di fonti affidabili e di processi di conoscenza negati, implica la necessità di avere fonti e centri di documentazione politica,  popolari , alternativi a quelli usati dai poteri dominanti.
Ogni persona impegnata è una fonte preziosa: se interconnessa in rete, è un NODO della rete documentativa.

Servono solo criteri condivisivi di raccolta dei dati secondo griglie descrittive utili agli gli interessi generali. Una rete che si allarga a macchia d’olio e che distrugge via via  i falsi e le censure del sistema dominante.

Che i monopoli si paghino ed usino per loro propaganda le loro reti  private attuali. Siamo noi a fare entrare nelle nostre case le loro menzogne  e le loro cretinerie.

In conclusione, la liberazione dei ceti corporativi è possibile solo con il loro superamento, mediante lotte popolari per diritti politici e comunicativi negati : quindi o è liberazione di tutti per tutti, o non è.

Perciò i deputati ed i giornalisti migliori- se vogliono liberarsi  sul serio dal giogo oligarchico che li opprime- devono farsi parte delle lotte popolari e sociali, senza se e senza ma .

Purtroppo non sembra questa la strada che i diretti interessati e molti movimenti “antimperialisti” si avviano a percorrere. Si insiste in una logica “ continuistica ” , di delega “eccellente”, di disinteresse, di alternanza o di protesta sterile : poi ciascuno scarica su altri le cause del fallimento comune , che  però persiste.

Un esempio attuale :  oggi tutti inveiscono contro la legge Gasparri come fonte di tutti i guai. Certo essa peggiorerà la situazione , e tuttavia non è ancora entrata in vigore !  Perciò quello che viviamo è  il retaggio delle politiche fallimentari di governi diversi, formati anche dagli oppositori di oggi: ci dicono di essere la nuova “alternativa”: ma quale alternativa, quella elettorale ?

Esistono invece iniziative comunitarie e popolari, sia in campo politico che comunicativo, che si muovono nella direzione qui indicata : dobbiamo sostenerle attivamente, in tutte le sedi possibili. Costruiamo insieme una teoria politica  e mediatica con strumenti operativi adeguati alle nostre esigenze di lavoratori e di cittadini impegnati. Ci serve ora, non dopo. Riflettiamo su tutto questo , superiamo insieme divisioni fasulle, ambiguità ed ipocrisie.

Roma 12 novembre 2003