www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 01-07-12 - n. 416

da Zoltan Zigedy Blog - http://zzs-blg.blogspot.it/2012/06/scoundrel-time-again.html
Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
E' di nuovo il tempo delle canaglie
 
di Zoltan Zigedy 
 
28/06/2012
 
L'anticomunismo e l'antisovietismo sono state l'implacabile dieta della vita degli Stati Uniti. Anche prima del Big Mac, i bambini negli Stati Uniti sono stati nutriti a forza con le storie terrificanti degli orrori nei campi di lavoro sovietici e delle purghe politiche. Riviste popolari come Coronet, Readers' Digest, Look e Life sono state una fonte inesauribile di storie sulla crudeltà e sulla disumanità del comunismo sovietico, proprio come le testate moderne sputano veleno sui musulmani.
 
Accademici e intellettuali hanno costruito il fondamento scientifico per l'immaginario popolare, autorizzando i media a rinunciare alla finezza giornalistica di verificare le fonti o ospitare voci dissonanti: i mali del comunismo sono diventati questione di fede. Apprendemmo successivamente quello che qualcuno sospettava: la gran parte della costruzione accademica e intellettuale era stata generosamente finanziata dalla CIA e da altre agenzie governative.
 
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e l'abbandono del comunismo nel mondo, la campagna anticomunista ha subito una strana torsione. Nonostante lo scontato trionfo, gli intellettuali antisovietici più isterici e allucinati, come Robert Conquest, sono stati completamente screditati dalle rivelazioni di archivio: il numero delle vittime era stato gonfiato a dismisura.
 
Paradossalmente, una nuova generazione di studiosi di storia sovietica, non necessariamente appoggiavano il progetto sovietico, hanno utilizzato le prove per costruire un resoconto della storia sovietica che metteva da parte la caricatura demoniaca per una più razionale e convincente rappresentazione delle forze che avevano modellato il comportamento sovietico e il suo sviluppo. Questi studiosi se avevano poca influenza sui volgari stereotipi popolari, sono stati in grado di ritagliarsi una nicchia importante, credibile, ma marginale, nei circoli accademici.
 
Anche se i finanziamenti in funzione anticomunista sono sicuramente diminuiti dopo la Guerra Fredda, l'antisovietismo ha trovato ancora un nido felice nel mondo accademico e nelle vecchie pubblicazioni da Guerra Fredda come The New Republic e The New York Review of Books (NYRB). Quest'ultima rivista ha addirittura ammorbidito la sua ferrea linea a sostegno di Israele, pur mantenendo e addirittura intensificando sia la demonizzazione dell'Unione Sovietica sia l'odio per la Cina e Cuba. Forse per l'ansia alimentata dai sondaggi d'opinione che mostrano la nostalgia nell'Europa dell'Est per il vecchio sistema, forse che gli editori temono una rinascita del marxismo di fronte alla persistente crisi economica globale, qualunque sia il motivo, la NYRB ha entusiasticamente assunto l'onere di mantenere viva l'isteria antisovietica e promuovere una nuova generazione di scrittori antisovietici.
 
La NYRB vanta molto credito per la promozione di tre personaggi che incarnano l'intellettuale della Guerra Fredda del ventunesimo secolo: Anne Applebaum, Orlando Figes, e Timothy Snyder. Ognuno dei tre accoglie e loda i lavori degli altri, tutti e tre respirano l'aria rarefatta degli intellettuali più elevati, e tutti e tre portano una sconfinata avversione verso tutto ciò che è sovietico. Il lavoro firmato da Applebaum sul sistema penale sovietico, è un'esposizione sufficientemente agghiacciante per lanciare una carriera altrimenti indistinta e guadagnare una posizione di prestigio come editorialista del Washington Post. Il suo legame matrimoniale alla causa della burocrazia polacca [Applebaum ha sposato il Ministro degli esteri polacco Radosław Sikorski nel 1992, ndt] non ha prodotto alcun dubbio negli intellettuali occidentali che non ravvisano alcun conflitto nell'animosità di lunga data tra le élite polacche post-sovietiche verso la Russia e l'era sovietica.
 
L'ultimo a elevarsi al di sopra della folla degli intellettuali antisovietici è Timothy Snyder. Il suo Bloodlands gode di gran fama, mettendo in parallelo le "atrocità" sovietiche con quelle del Terzo Reich. Snyder banalizza gli orrori del nazismo e disprezza l'eredità dei conseguimenti sovietici, premendo sull'equivalenza tra la brutale e calcolata disumanità nazista e la tenace e disperata resistenza sovietica. Più degli altri, Snyder lancia numeri sulle vittime, con scarsi o nessun riferimento, numeri che sono stranamente e sospettosamente arrotondati.
 
Ma ora il nido antisovietico si è ulteriormente ingrossato con Orlando Figes. Del triumvirato antisovietico, Figes è forse il più celebre, con al suo attivo diversi libri, adattamenti di sceneggiature cinematografiche e teatrali, spettacoli radiotelevisivi. I suoi libri hanno sono stati tradotti in oltre venti lingue e ha vinto numerosi premi letterari. Ampi consensi lo hanno reso probabilmente il più rispettato e autorevole degli esperti sovietici anticomunisti.
 
Nonostante il successo e grazie alle recenti rivelazioni da parte di Stephen F. Cohen e Peter Reddaway nella rivista The Nation, la reputazione di Figes è andata fatalmente in frantumi (almeno tra quelli che mantengono ancora un'onestà intellettuale).
 
Reddaway e Cohen ci riportano indietro di alcuni anni, quando Figes stava vincendo numerosi prestigiosi premi letterari. A quel tempo, un certo numero di studiosi affermati della storia sovietica trovarono [nel suo lavoro] "carenze", "parole e idee prese a prestito... senza un adeguato riconoscimento", "confusi riferimenti ...", ecc. Uno studioso afferma che: "Le sue pagine sono disseminate di errori sostanziali e affermazioni errate più dense che le foglie autunnali a Vallombrosa". Naturalmente questo borsista da due soldi non ha mai fermato il carro antisovietico, una volta raccolto lo slancio.
 
Inoltre vi è un'altra questione piuttosto spregevole che riguarda Figes, il quale lanciava attacchi anonimi contro i libri di altri autori, attraverso le sue recensioni online su Amazon, lodando il proprio lavoro. Se questo non fosse abbastanza squallido, Figes ha negato fino a quando non è stato costretto alla confessione. Eppure, il carro ha continuato a marciare.
 
Ironia della sorte, sono state le sue fonti russe che, alla fine, hanno sgonfiato la sua tronfia reputazione. Il saggio più celebre di Figes, The Whisperers, raccoglie interviste e memorie di cittadini sovietici raccolti attorno a una ONG russa, la Memorial Society. Mentre l'edizione in lingua inglese ha ottenuto le lodi sperticate dei creduloni del "raccontami-la-storia-della-perfidia-sovietica", il libro non è riuscito a trovare un editore in Russia. Grazie a Cohen e Reddaway sappiamo che il libro non fu pubblicato in Russia, perché avrebbe "causato uno scandalo...". La Memorial Society stessa criticò il libro contro le sue fonti primarie e concluse che c'erano "troppi anacronismi, interpretazioni errate, errori stupidi e dei puri nonsense". Uno dei protagonisti del Memorial Society, osservò che Figes era "un ricercatore molto mediocre ... ma uno scaltro uomo d'affari". Il fatto che così tanti "esperti" e "intellettuali" sono stati impallati da Figes la dice lunga circa gli standard e i pregiudizi degli studi sovietici in Occidente.
 
Non posso concludere questa storia bizzarra e patetica, senza notare che uno dei principali sostenitori di Figes, la New York Review of Books, ha pubblicato una recensione lusinghiera dell'ultimo libro dell'autore nel suo numero del 21 giugno. Michael Scammell, una delle luci minori nel giornale antisovietico, dedica numerose colonne di smaccata lode per il libro, mentre conclude con un breve "ammonimento" dei peccati di Figes. Scammell dichiara che The Whisperers è un "capolavoro", pur rilevando che la Memorial Society ha trovato discrepanze "sconfortanti" nel libro (seppellisce le accuse di Cohen e Reddaway in una nota in calce). Ci si chiede se Scammell avrebbe mostrato la stessa tolleranza per uno studente universitario.
 
Sì, è il tempo dei mascalzoni, di nuovo.
 
Zoltan Zigedy
 
zoltanzigedy@gmail.com
 
 

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