www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 06-11-12 - n. 428

da Centro di Iniziative per la Verità e la Giustizia - www.civg.it/index.php?option=com_multicategories&view=article&id=27:la-disinformazione-come-arma-di-guerra&catid=16&Itemid=117
 
La disinformazione come arma di guerra
 
di Jean Toschi Marazzani Visconti
 
Un anno dopo l'inizio dei bombardamenti sulla Serbia e il Montenegro, il 23 marzo 2000, in un'intervista al Corriere della Sera il portavoce della NATO, Jamie O'Shea dichiarava che la guerra è un prodotto difficile da vendere.
 
Questo prodotto poco popolare necessita un supporto pubblicitario e una comunicazione sofisticata, molto al di là della migliore propaganda di guerra. Per ottenere un risultato soddisfacente è affidato alle agenzie esperte nel lanciare e creare il successo di marchi e prodotti ancorandoli all'inconscio collettivo del pubblico. Oltre a creare l'immagine della buona guerra, è necessario impiegare utilmente i Media e finalmente, la cosa più importante, un'ottima campagna di lobbying.
 
Lobbying significa fare pressione su personaggi o gruppi politici per ottenere aiuto e appoggio per fare accettare un progetto, una campagna, una guerra. Secondo l'International Herald Tribune del 12 gennaio 2006 nella sola Washington nella famosa Avenue K si trovano con oltre, 30.000 impiegati, le imprese e le compagnie che tentano di influenzare le decisioni del Campidoglio, della Casa Bianca e molte agenzie federali. Sedici società di lobbying sole impiegano più lobbisti che i cento membri del Senato e hanno un fatturato di più di due miliardi di dollari l'anno. Hanno conoscenze fra coloro che contano e con ogni sistema e forse poca regola tentano di ottenere l'aiuto necessario al cliente.
 
Nel momento in cui alcuni gruppi e governi della ex Jugoslavia, ad esempio, si sono valsi di questa collaborazione hanno vinto la guerra, al di là di quanto avveniva effettivamente sul terreno o delle violazioni dei diritti umani e delle Convenzioni di Ginevra.
 
Le premesse di questa guerra mediatica hanno le loro radici nelle formule del diplomatico britannico Lord Arthur Ponsonby (1871 - 1946) che aveva dettato i principi della propaganda di guerra basata su quattro punti: 1. Chi vuole la guerra è sempre l'avversario. 2. Divulgazione delle gravi mancanze del nemico personificato dal capo o dal governo dell'avversario. 3. Le motivazioni di guerra sono sempre umanitarie o idealistiche. 4. Ampia diffusione di notizie sulle atrocità della controparte. Queste formule sviluppate, ampliate con l'uso dei nuovi mezzi di comunicazione sono state abbondantemente applicate negli ultimi vent'anni con l'impiego di molto denaro.
 
Vale la pena di ricordare l'arrivo in technicolor a Mogadiscio dell'esercito americano, operazione Restore Hope, per salvare dalla fame la popolazione del Corno d'Africa, in realtà per coprire le spalle ad alcune società petrolifere americane che avevano acquisito i diritti per cercare il petrolio. La fame del vicino Sudan non ha interessato nessuno fino alla scoperta di possibili giacimenti petroliferi. Abbiamo assistito alla guerra in Iraq, in Afganistan, ultimamente in Libia e oggi in Siria, cosa succederà con l'Iran? Le notizie, che ci propinano, sono lontane dalla realtà e vanno esaminate con cura. Chi è disposto a spendere tanto denaro per consegnarci una storia artefatta? Quali interessi stanno dietro queste tragiche avventure? Sono domande difficili da soddisfare, ma devono essere esaminate obbiettivamente e con grande distacco.
 
Quando l'eccidio di ottomila uomini a Srebrenica poteva far sorgere dei dubbi, il Parlamento europeo a pronunziato un dogma: è contro la legge dubitare dell'eccidio. In realtà nessun esame oggettivo dell'avvenimento è stato effettuato. Il Tribunale dell'Aja per i crimini nella ex Jugoslavia, non quello vero che dirime le controversie fra nazioni, ha rinforzato il dogma rifiutando qualsiasi tesi alternativa nell'accusare e condannare a priori i generali coinvolti nella presa della città.
 
Nella mia esperienza personale durante un viaggio in Bosnia nel maggio del 1996 mi sono trovata vicina a Milici. Quella mattina un gruppo di Musulmani aveva massacrato tre Serbi in zona, la IFOR statunitense aveva fermato un gruppo di Musulmani in possesso di armi e, secondo gli accordi internazionali, li aveva consegnati alla polizia di Pale. Pur sospettando fortemente che i dieci uomini fossero gli autori dell'eccidio, i Serbi li avevano schedati e rilasciati. Appartenevano tutti ad un gruppo terrorista chiamato Laste, otto di loro risultavano sulla lista dei morti di Srebrenica depositata al tribunale di Zvornik dalla Croce Rossa Internazionale. Questo episodio mi ha insegnato a considerare sempre gli avvenimenti da diverse prospettive e soprattutto a chiedermi sempre: chi, cosa c'è dietro?
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.