www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 11-06-13 - n. 457

Quello che i mass media non dicono sull'esplosione sociale in Turchia
 
Librered | librered.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
06/06/2013
 
Uno degli argomenti più utilizzati dai grandi mezzi di comunicazione occidentali per interpretare l'origine dell'esplosione sociale nelle strade della Turchia è la deriva islamista e autoritaria del governo di Recep Tayip Erdogan.
 
Così facendo, i "mass media" concentrano l'attenzione sulla dicotomia islamismo-laicismo e autoritarismo-democrazia, compiendo una analisi semplicistica e parziale della realtà che vive in questi giorni il paese euro-asiatico.
 
Per potere invece analizzare con maggiore profondità la recente rivolta popolare nelle strade di città come Istanbul o Ankara, bisognerebbe allargare la prospettiva e mettere sotto la lente d'ingrandimento le politiche socioeconomiche che l'esecutivo turco è andato sviluppando nel corso di questi ultimi anni.
 
Il governo Erdogan, espressione del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), irrompe al potere nel 2002 in un contesto di crisi economica (crisi finanziaria del 2001), adottando un programma di misure dal chiaro taglio neoliberale in accordo col Fondo Monetario Internazionale (FMI), che va dalla privatizzazione del settore pubblico, alla riforma del lavoro e ai drastici tagli sociali.
 
Nel 2003, un anno dopo essere giunto al governo, viene aperta la strada alla privatizzazione dell'azienda pubblica di telecomunicazioni Turk Telekom [1]. L'anno seguente, nel 2004, vengono posti in vendita i monopoli degli alcolici, le acciaierie e la compagnia aerea turca [2].
 
Da quel momento prende il via un processo a senso unico. Nel 2007, si dà luce verde alla privatizzazione della compagnia pubblica del tabacco Tekel [3]. Nel 2008, è il turno della rete elettrica, con la vendita di due compagnie di distribuzione ad Ankara e Sakarya-Kocaeli [4]. Inoltre, nello stesso anno si annuncia la vendita della banca di proprietà statale Halkbank e la privatizzazione del 15 per cento delle azioni di Turk Telekom.
 
Nel 2009, il governo approva una legge che concede l'acqua di fiumi, laghi e stagni alle corporazioni private. Questo significa poter trasferire le risorse idriche alle imprese che fino a quel momento controllavano solo i servizi di distribuzione [5].
 
A causa di ciò, la Confederazione dei sindacati contadini turchi, Çiftçi-Sen, insieme a più di un centinaio di altre forze di opposizione sociale che difendono il riconoscimento del diritto all'acqua, formano una piattaforma chiamata "No alla commercializzazione dell'acqua" e manifestano in massa il 15 marzo 2009 ad Istanbul, nella cornice del Foro Mondiale dell'Acqua [6].
 
Nel 2011, il governo Erdogan inizia le trattative per la privatizzazione [7] di 2.000 chilometri di autostrade e ponti del paese. E' intenzione dell'esecutivo turco cedere in tal modo al capitale privato fino a nove strade a pedaggio e due ponti sul Bosforo, vie di comunicazione molto importanti nell'area di Istanbul.
 
Attraverso la cosiddetta "Amministrazione delle privatizzazioni" (OIB la sua sigla in turco), Erdogan cerca di portare avanti un pacchetto di privatizzazioni nel paese che interessano tra gli altri il settore tessile, quello minerario, petrolifero, alimentare e del trasporto marittimo [8].
 
Nel febbraio di quello stesso anno, 10 mila persone manifestano nel centro di Ankara contro la riforma del lavoro del governo, fra le cui misure spiccano la riduzione del salario minimo per i giovani, la possibilità di trasferimento dei funzionari e permette l'assunzione di dipendenti senza previdenza sociale [9].
 
Molti dei presenti gridano slogan come "Questa è Ankara, non Cairo", "Tayyip è arrivato il tuo turno" e "Tayyip, ti auguriamo il lieto fine di Mubarak".
 
Le direttive neoliberali applicate in questi ultimi anni hanno generato un aumento della disuguaglianza sociale nel paese. Secondo la rivista Forbes, Istanbul, capitale finanziaria della Turchia, nel marzo 2008 contava su un totale di 35 miliardari (rispetto ai 25 del 2007), collocandosi al 4º posto nel mondo. Un rapporto diretto agli imprenditori interessati ad investire in Turchia ed elaborato dalla banca spagnola Banesto assicura che "il paese è segnato dall'esistenza di forti disuguaglianze di redditi" [10]. Molti dipendenti in Turchia non ricevono più del salario minimo di circa 570 dollari e il reddito pro capite è quasi la metà di quello medio europeo.
 
Magari questo insieme di fattori riesce a spiegare il malessere sociale che ha originato gli attuali tumulti in Turchia, meglio della visione liberale proposta dalla stampa occidentale. 
  
Note
 
[1] http://elpais.com/diario/2003/11/12/economia/1068591610_850215.html 
[2] http://spanish.peopledaily.com.cn/spanish/200402/12/sp20040212_72471.html 
[3] http://www.icex.es/icex/cda/controller/pageICEX/0,6558,5518394_5519005_5604470_599968_0_-1,00.html 
[4] http://www.hispanatolia.com/seccion/2/list,true/id,2119/turquia-iniciara-la-privatizacion-de-su-red-electrica-a-finales-de-abril 
[5] http://www.tni.org/es/article/el-gobierno-de-turquia-preve-una-drastica-privatizacion-del-agua-antes-del-foro-mundial-del#4a 
[6] http://www.eurovia.org/spip.php?article67&lang=fr 
[7] http://www.cincodias.com/articulo/empresas/turquia-inicia-privatizacion-2000-kilometros-autopistas/20110830cdscdiemp_16/ 
[8] http://www.oib.gov.tr/index_eng.htm 
[9] http://www.abc.es/agencias/noticia.asp?noticia=677519 
[10] http://comercioexterior.banesto.es/es/elija-su-mercado-objetivo/perfiles-de-paises/turquia/economia 
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.