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Disoccupazione: diamo la pagella al capitalismo

Zoltan Zigedy | zzs-blg.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

23/02/2015

Marx asserisce negli articoli scritti per la Neue Rheinische Zeitung, raccolti nel volume Le lotte di classe in Francia, 1848-1850, che il primo punto all'ordine del giorno della classe operaia è quello di procurare posti di lavoro: "Ma dietro il diritto al lavoro sta il potere sul capitale, dietro il potere sul capitale sta l'appropriazione dei mezzi di produzione, il loro assoggettamento alla classe operaia associata, e quindi l'abolizione del lavoro salariato, del capitale e dei loro rapporti reciproci". E' attraverso la lotta per un posto di lavoro - anche umile - che si ottengono nel sistema capitalista i mezzi per la sopravvivenza e diventa possibile sfidare il dominio del capitale e anche il sistema stesso del capitalismo. Ma in un sistema di appropriazione privata, in cui il lavoro è trattato alla stregua di una merce, la vita per chi non ha il capitale inizia con il procurarsi un lavoro.

Perché il lavoro è una merce, perché il lavoro deve essere una merce affinché una formazione economica sia capitalista. Una costituzione capitalistica non può sancire il diritto al posto lavoro. Solo i paesi socialisti hanno o possono conferire a tutti il diritto al posto di lavoro. Ecco perché tale diritto non è incluso nella Dichiarazione universale dei diritti umani, dove si trova invece un debole "diritto al lavoro" (partecipare al mercato del lavoro), il diritto alla "libera scelta dell'impiego" (competere nel mercato del lavoro) e il diritto alla "protezione contro la disoccupazione" (profilassi vaghe e aspecifiche o migliorative) (Articolo 23). Priva di un riconoscimento del diritto al posto di lavoro, la Dichiarazione universale sostanzialmente chiude gli occhi davanti alle devastazione della disoccupazione e alle umiliazioni e alle ingiustizie generate dalla compravendita dello sforzo produttivo umano. Questo è uno dei motivi per cui l'Urss e gli altri paesi socialisti si sono astenuti dalla ratifica della Dichiarazione nel 1948.

Senza la disoccupazione, il sistema capitalista subirebbe una continua pressione sul tasso di profitto. Quando la merce - la forza del lavoro - scarseggia, i capitalisti devono pagare di più per procurarsela, come per qualsiasi altra merce. E dal momento che in generale il lavoro rimane la maggiore componente del costo per un'impresa capitalista, l'inflazione del costo del lavoro erode i profitti capitalistici. Il capitalismo e i beneficiari di questo sistema quindi non tollereranno mai la piena occupazione. Questa è la sgradevole verità che gli apologeti del sistema e i parolai dei media non osano rivelare.

Gli economisti nascondono questa verità coniando termini eufemistici come disoccupazione "marginale" o "frizionale", oppure inventando concetti oscurantisti come il "tasso naturale di disoccupazione" [Nairu, non-accelerating inflation rate of unemployment] che fissa un livello via via sempre più basso di "piena" occupazione. Attraverso simili trucchi linguistici, gli economisti al servizio del sistema capitalista forniscono una copertura all'accumulazione capitalistica, decretando quale sia un livello di disoccupazione "accettabile".

Allo stesso tempo, questi stessi economisti capiscono che la disoccupazione è la minaccia più grande alla stabilità del sistema capitalistico. I frequenti forti aumenti della disoccupazione causata dalle delocalizzazioni, dal ciclo economico, o dalla crisi sistemica aumentano notevolmente i livelli di malcontento sociale da cui nascono proteste che mettono in discussione il sistema. Per coloro che hanno in mano le redini del potere, per coloro il cui compito è di limitare l'insoddisfazione contro il capitalismo, gestire la disoccupazione è essenziale.

Da questo punto di vista, il tasso di disoccupazione è probabilmente il miglior barometro della salute e della vitalità del sistema capitalistico. Di conseguenza, notizie sui tassi e tendenze della disoccupazione sono politicamente cariche di significato e soggette a grandi differenze interpretative.

La grande menzogna del tasso di disoccupazione ufficiale

Recentemente, la strumentalizzazione politica sul tasso di disoccupazione è stata denunciata da una fonte improbabile. Jim Clifton, presidente e amministratore delegato di Gallup, l'azienda statunitense di ricerche statistiche e sondaggi, ha contestato l'idea che il tasso "ufficiale" abbia una minima relazione con la realtà della disoccupazione. Anzi, ha definito il tasso ufficiale una "Big Lie" [Grande menzogna] Vale la pena di esaminare i suoi argomenti in modo dettagliato.

"Nessuno di loro vi dirà questo: se tu, uno della tua famiglia, o chiunque altro è disoccupato e ha successivamente rinunciato a trovare un posto di lavoro (se sei così disperatamente senza lavoro che hai smesso di cercarne negli ultime quattro settimane) il ministero del lavoro cessa di contarti come disoccupato. Hai capito bene. Mentre sei disoccupato come più non si può e forse tragicamente non troverai mai più lavoro, non fai parte della percentuale statistiche che vediamo continuamente nelle notizie: attualmente il 5,6%. In questo momento, ben 30 milioni di statunitensi sono senza lavoro o pesantemente sottoccupati e puoi credere che la stragrande maggioranza di loro non sta organizzando feste per brindare alla disoccupazione 'in calo'.

"C'è un altro motivo per cui il tasso ufficiale è fuorviante. Diciamo che sei un ingegnere, un operatore sanitario, un operaio edile o un direttore di un negozio e sei senza lavoro: se fai un minimo di un'ora di lavoro alla settimana e sei pagato almeno $20 (forse qualcuno ti ha pagato per tagliare l'erba davanti a casa sua), non sei ufficialmente conteggiato come disoccupato nel tanto sbandierato 5,6%. Pochi statunitensi lo sanno.

"Ecco un altro dato importante che non riceve molta attenzione: coloro che lavorano a tempo parziale ma che vogliono lavorare a tempo pieno. Se hai una laurea in chimica o in matematica e lavori a tempo parziale per 10 ore la settimana, perché è tutto quello che sei riuscito a trovare (in altre parole sei gravemente sottoccupato), non rientri nel 5,6 conteggiato dal governo. Pochi statunitensi lo sanno.

"Non c'è altro modo per dirlo. Il tasso di disoccupazione ufficiale, che crudelmente trascura le sofferenze dei disoccupati di lungo periodo (che spesso sono destinati a rimanere disoccupati a vita) così come di quelli sottoccupati, è una grande menzogna".

Sebbene Clifton nella sua polemica invochi il sempre sospetto "grande sogno americano", comprende benissimo la minaccia che la disoccupazione rappresenta per la legittimità del sistema.

"Ed è una menzogna che ha conseguenze, perché il grande sogno americano è quello di avere un buon lavoro e mai come negli ultimi anni della storia recente, gli Stati Uniti non sono stati in grado di farlo avverare. Un buon lavoro è l'identità primaria di un individuo, la sua autostima, la sua dignità, ne determina il rapporto con gli amici, con la loro comunità e con la nazione. Quando il nostro paese fallisce nel tentativo di fornire un buon lavoro che si adatta alle doti, alla formazione e all'esperienza del cittadino, il grande sogno americano è un fallimento".

Dobbiamo a Clifton un grazie per aver parlato di una verità scomoda e raramente menzionata. E dobbiamo ammirare le sue rimostranze amare contro coloro che nascondono, distorcono o presentano in modo tendenzioso le cattive performance del capitalismo.

Quando i media, i mezzibusti, la Casa Bianca e Wall Street inizieranno a dichiarare il vero – la percentuale di statunitensi che hanno un buon posto di lavoro (lavori che sono a tempo pieno e reali) – allora potremo smettere di chiederci perché gli statunitensi non "provano" qualcosa che non riflette nemmeno lontanamente la realtà della loro vita.

La pagella del capitalismo

Molti economisti liberali sarebbero d'accordo con Clifton nel dire che le cifre ufficiali sottostimano la disoccupazione. Come Clifton, alcuni ammetterebbero che quelli marginalmente legati alla forza lavoro o scoraggiati dal ridiventare parte della forza lavoro dovrebbero essere conteggiati insieme a coloro che hanno cercato lavoro nelle quattro settimane precedenti al sondaggio. L'Ufficio delle statistiche sul lavoro [Bls, Bureau of Labor Statistics] nell'elaborare i dati sulla disoccupazione estende il periodo di rilevazione ai dodici mesi precedenti. Utilizzando queste cifre e il numero di coloro che lavorano a tempo parziale per motivi economici, il tasso di disoccupazione sale ad oltre l'11%.

Ma vale la pena mettere in discussione il modo in cui il Bls definisce la forza lavoro. Semplicemente, contano come occupati coloro che hanno lavorato in qualche momento nel periodo di rilevazione in questione e contano come disoccupati coloro che risultano dai loro documenti essere in cerca di lavoro. Per definire la forza lavoro complessiva, fanno il totale delle due cifre. Nel sondaggio non intervengono per determinare il rapporto di lavoro di decine di milioni di persone negli Stati Uniti che non vengono considerate parte del mondo del lavoro perché non hanno un posto a poche ore, né sono in qualche modo presenti nelle liste di disoccupazione.

Gli esclusi hanno rinunciato a cercare un lavoro perché non riuscivano a trovarne nessuno negli anni precedenti agli ultimi dodici mesi? Sono stati costretti ad abbandonare il lavoro perché non possono più permettersi di pagare qualcuno per guardare i loro figli piccoli o devono prendersi cura dei famigliari? E' possibile che problemi di salute trascurati a causa della mancanza di assicurazione impediscano a loro di lavorare? Sono vittime di discriminazione in base alla loro razza, genere o età?

Bls non chiede e noi non sappiamo. Sappiamo, tuttavia, che il tasso di partecipazione al lavoro, relativamente stabile per due decenni, è sceso precipitosamente dopo la crisi del 2007-2008. Tra i 5 e 6 milioni di persone in meno oggi figurano al momento impegnati nel mondo del lavoro rispetto ad otto anni fa. Un calo così forte, in così poco tempo non può essere spiegato semplicemente con cambiamenti nei modelli di pensionamento o dei modi di entrare a fare parte della forza lavoro. Così, non è irragionevole considerare negativamente questa tendenza alla diminuzione del numero di persone con un lavoro retribuito nella nostra pagella del capitalismo.

Se dovessimo sommare questa perdita nella forza lavoro con le altre fonti di disoccupazione, la disoccupazione (e la sottoccupazione) negli Stati Uniti raggiungerebbe quasi il 15%.

Ma c'è un modo più lungimirante, più profondo di vedere la questione. Possiamo porre domande puntuali su quelli che sono impegnati in alcune categorie di lavori inutili socialmente, o in forme di lavoro distruttive e completamente isolate dalla forza lavoro tradizionale. Ad esempio, il milione e mezzo di personale dell'esercito e i 750 mila dipendenti del Dipartimento della Difesa costituiscono lavoratori improduttivi, il cui assorbimento potrebbe creare problemi per il settore privato. Il tasso di disoccupazione giovanile e gli alti costi alti dell'istruzione hanno spinto migliaia di giovani meno agiati ad arruolarsi come alternativa alla disoccupazione, servendo da valvola di sicurezza per la volatilità sociale dell'ozio.

L'Homeland Security [il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale] e le altre agenzie di sicurezza hanno visto un'impennata di occupazione grazie alla fasulla guerra al terrorismo. Anche queste agenzie sono esempi della creazione di posti di lavoro inutile nel settore pubblico, che maschera una potenziale disoccupazione.

E naturalmente c'è l'industria delle armi, un enorme mastodonte che genera profitti privati e si ingozza di denaro pubblico, al di sopra delle forze e dei rischi del mercato e che erutta strumenti mortiferi. Generata dalla paura disperata di una depressione economica, le élite al potere negli Stati Uniti nel dopoguerra hanno abbracciato questa forma perversa di creazione di domanda keynesiana nel settore pubblico, come pendant all'isteria della Guerra fredda. La produzione bellica determina ed è determinata dallo sciovinismo statunitense. L'imperialismo statunitense e il complesso militare-industriale costituiscono un'unità dialettica. In milioni vengono impiegati in questa mostruosa e malefica potenza, mentre il capitalismo faticherebbe a trovare loro un lavoro in una economia non-bellica.

Indubbiamente la tecnica più insidiosa di nascondere la disoccupazione è l'illimitato, disumano funzionamento del sistema di giustizia penale. Persino la soluzione costituita dai degradanti ospizi per poveri in Inghilterra agli inizi del Settecento è probabilmente stata più umana rispetto al complesso giudiziario-penale statunitense. Tra il 1980 e il 2001, il numero di detenuti nelle strutture punitive dei singoli Stati e in quelle federali (escludendo quelli nelle prigioni gestite da contee ed enti locali) è cresciuto passando da 329.821 a 1.406.519! Nello stesso periodo, il tasso di criminalità è stato relativamente stabile o in calo. Nel 2010, il numero di adulti stivati nelle cosiddette strutture di correzione era di quasi 2,3 milioni.

Il tasso di incarcerazione nel 2013 era sei volte quello del 1925. Data l'assenza di quasi tutti i servizi sociali e assistenziali, l'alta incidenza di povertà e lo squallore delle aree urbane negli Stati Uniti nel 1925, è difficile spiegare l'esplosione di incarcerazione della nostra epoca di criminalità relativamente meno feroce, senza attribuirla a convenienze politiche.

Mezzo milione di guardie e amministratori sorvegliano questa popolazione. Un altro mezzo milione fa girare gli ingranaggi di una giustizia discutibile. Un milione di agenti di polizia acciuffa i detenuti nelle strade. Simile al complesso militare-industriale, l'industria poliziesca-giudiziaria-carceraria sottrae milioni di persone dall'attività produttiva e reclude centinaia di migliaia di persone che potenzialmente potrebbero essere conteggiate come disoccupate. Che i detenuti siano ricorsi ad un atto illegale perché senza lavoro o meno, vengono di fatto eliminati dalla forza lavoro. Inoltre, quasi 5 milioni di cittadini statunitensi sono in libertà vigilata o condizionata, circostanza che riduce le loro prospettive di occupazione in modo drammatico. Certamente migliaia, se non milioni di queste persone rientrano in quella zona statisticamente ignorata, al di là del confine della forza lavoro stabilito dallo Bls. Anche loro devono essere considerati disoccupati nascosti.

Una volta capito che la disoccupazione è il tallone d'Achille del sistema capitalista, non è sorprendente che il tasso ufficiale sia così altamente politicizzato. Ma è fuorviante accettare il tasso ufficiale o anche le correzioni utili, senza denunciare anche i luoghi istituzionali nascosti dove il lavoro è legato ad attività anti-sociali distruttive o nei quali i potenziali lavoratori sono forzatamente esclusi dalla forza lavoro.
Una volta analizzato attentamente, il voto che merita il capitalismo per fornire posti di lavoro è pessimo. I riformatori che immaginano un capitalismo separato dal militarismo e dalle sue istituzioni, ma forte di lavori utili sono ingenui. La lotta contro il militarismo, alla fine, deve prendere la strada di una lotta contro l'imperialismo e il suo genitore, il capitalismo – un percorso rivoluzionario e non uno riformista. Solo con il socialismo saranno garantiti posti di lavoro alternativi.

Allo stesso modo, tenere in gabbia quelli che non erano in grado di inserirsi in una corsa al lavoro selvaggiamente competitiva non può che preannunciare un destino simile per chiunque pone altre sfide al sistema. Riformatori e liberali non capiscono questo concetto. Né hanno un piano per integrare gli intrappolati nel sistema giudiziario-penale dell'economia privata capitalista.

Come ha previsto Marx, la ricerca di un lavoro dignitoso costituisce il primo passo del cammino verso il socialismo.


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