www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 07-02-16 - n. 575

Giornalisti o cortigiani?

Zoltan Zigedy | mltoday.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

21/01/2016

Se esiste un giornalista investigativo onesto, indipendente, senza macchia o un commentatore della stampa commerciale, più o meno importante, mi chiedo se si sente a suo agio.

In queste ultime settimane è emerso che la cosiddetta "stampa libera" riuscirebbe ad agire al di fuori del palese dettame del governo degli Stati Uniti, ma nondimeno riflette fedelmente la linea del governo degli Stati Uniti in materia di politica estera. Le parole che sgorgano dalle bocche dei portavoce ufficiali statunitensi sono doverosamente registrate e pedissequamente riportate come veline da ogni giornalista nazionale o pubblicista esperto.

Si consideri il bando scandaloso di Seymour Hersh che ha vinto ben più di una dozzina dei più prestigiosi premi giornalistici degli Stati Uniti, tra cui il Pulitzer e cinque premi Polk. Responsabile delle rivelazioni sulle atrocità di My Lai e Abu Ghraib, Hersh è stato inserito dal 2013 nella lista nera dell'editoria Usa.

I suoi resoconti della guerra siriana e dell'assassinio di Osama bin Laden per mano statunitense, sono stati pubblicati all'estero nella London Review of Books, dal momento che il suo precedente editore, The New Yorker, e altre testate degli Stati Uniti hanno rifiutarono di accettarli. Sorprendentemente nessuno tra le associazioni e organizzazioni giornalistiche o sostenitori della "libertà di stampa" hanno levato un segno di protesta contro questo ostracismo verso uno dei suoi più stimati colleghi. Appaiono regolarmente sul New York Review of Books o come annunci a pagamento sul New York Times, lettere di protesta collettiva sulla presunta repressione dei media nei paesi socialisti o nei paesi critici verso la politica degli Stati Uniti; eppure questi stessi giornalisti indignati, esperti e accademici restano in assordante silenzio quando si tratta di Seymour Hersh.

Ancora più scandalosa è la mancanza di qualsiasi serio sforzo da parte della stampa di confermare o confutare le affermazioni di Hersh. La sua contro informazione sulla morte di Bin Laden in contrasto con quella ufficiale dell'amministrazione Obama, ben pubblicizzata e opportunista a un livello imbarazzante, potrebbe essere facilmente valutata seguendo i fili del ragionamento di Hersh. Invece, la stampa ha intervistato un manipolo di funzionari di governo e sostenitori di Obama e ha lasciato intatta la versione ufficiale.

Ancora più eclatanti, da alcune indagini indipendenti di Hersh sul gas sarin, affiorano elementi che suggeriscono fortemente come possa aver ragione nell'imputare la gasificazione di civili ad alleati degli Stati Uniti nella crociata anti-Assad. Sia l'agenzia delle Nazioni Unite che una commissione turca hanno contestato le affermazioni sensazionali di questa presunta barbarie del governo siriano, argomentazione usata dagli Stati Uniti per pretendere un cambiamento di regime. Tuttavia, nessun grande mezzo di comunicazione degli Stati Uniti ne ha parlato: un affronto vergognoso all'integrità giornalistica.

Le trascrizioni telefoniche Blair/Gheddafi

Poche settimane fa, Tony Blair, ex primo ministro britannico, ha rilasciato le trascrizioni di due conversazioni telefoniche che ha avuto con Muammar Gheddafi il 25 febbraio 2011. Nonostante il loro peso significativo sui primi momenti della sollevazione libica che ha portato al rovesciamento e all'assassinio di Gheddafi, i media main stream e i loro dipendenti prezzolati hanno scelto di banalizzare l'importanza delle chiamate.

Dieci giorni dopo la data che l'Occidente segna come inizio principale della rivolta libica, Tony Blair intrattiene una conversazione ansiosa con il leader libico, per volere, come ammette apertamente egli stesso, dell'amministrazione Obama e degli alleati della Nato. E' altrettanto chiaro, le ostilità sono in fase iniziale, che Blair sta minacciando Gheddafi a nome degli alleati. Inizia in modo abbastanza innocuo, denunciando le violenze e chiedendo una soluzione pacifica. Aggiunge poi che Gheddafi deve "impegnarsi con la comunità internazionale, compresi Stati Uniti ed Europa..." Perché l'impegno sia essenziale non è chiaro. Ma lo diventa presto...

Cinque ore dopo, Blair torna al telefono con un altro messaggio dei suoi capi: "... se disponi di un posto sicuro dove andare, dovresti andarci perché le cose non finiranno pacificamente, deve esserci un processo di cambiamento; tale processo di cambiamento può essere gestito e dobbiamo trovare il modo di gestirlo". E continua: "la violenza deve finire e deve essere formata una nuova costituzione... Ripeto le parole che mi hanno detto, se c'è un modo in cui egli può lasciare, lo faccia ora. Credo che possa accadere in modo pacifico ma deve agire subito e deve dare un segnale che accada".

Blair non potrebbe essere più chiaro: chiede al leader di un paese sovrano di farsi da parte e lasciare che le potenze statunitensi ed europee decidano unilateralmente del futuro della Libia senza il consenso del popolo della Libia. Inoltre, Blair avvalla chiaramente la minaccia di violenza: "... non finirà pacificamente". Basta un po' di discernimento per capire che quanto accaduto equivale a un colpo di stato.

Da parte sua, Gheddafi chiede a Blair di venire a vedere la situazione di persona. Egli nega che la situazione sia disastrosa o instabile. Ma afferma con forza che la sua opposizione è Al Qaeda, cioè i fondamentalisti estremi. Chiede a Blair se li sostiene: "... stai sostenendo il terrorismo?" Esasperato dalla minaccia, Gheddafi conclude: "... non abbiamo alcun problema, se ci lasciano in pace. Se sei veramente serio e stai cercando la verità, sali su un aereo e vieni a trovarci".

Naturalmente Blair e quelli che lo manovravano non stavano "cercando la verità" più di quanto i media occidentali siano seriamente alla ricerca della verità.

Meno di tre settimane più tardi, l'ONU ha dichiarato la famigerata "no fly zone" che ha permesso alle forze Nato di lanciare una guerra aerea contro le forze di Gheddafi. Gli attacchi aerei statunitensi e della Nato, insieme con i combattenti segreti dei paesi del Golfo, hanno paralizzato le forze lealiste e rovesciato violentemente le sorti della guerra ai danni di Gheddafi, come aveva detto Blair.

E oggi, la Libia è un paese spezzato, ingovernabile, un rifugio per jihadisti, come Gheddafi aveva predetto.
Un vero peccato che la cortigianeria mediatica non mostri alcun interesse per la "ricerca della verità".

Alla deriva nel Golfo Persico

Due imbarcazioni per il pattugliamento delle coste e dei fiumi dell'esercito statunitense sono state abbordate e sequestrate dalle forze di sicurezza iraniane vicino l'Isola di Farsi il giorno in cui il Presidente Obama a pronunciato il suo ultimo discorso sullo stato dell'Unione e alcuni giorni prima del cambiamento radicale nelle relazioni Usa-Iran.

Ogni lettore ragionevolmente avveduto di notizie negli Stati Uniti, appresa l'informazione sarebbe stato curioso di sapere ogni dettaglio e la spiegazione offerta. Il fatto che due navi militari usate preferibilmente per operazioni speciali e ampiamente utilizzate per il pattugliamento, il controllo e la ricognizione, siano state abbordate in acque territoriali iraniane vicino alla più grande base navale dell'Iran avrebbe dovuto generare un po' di meraviglia.

Qualche ulteriore meraviglia merita il fatto che le imbarcazioni in questione (riverine craft) sebbene siano progettate per operare in acque poco profonde in acque costiere o fluviali, abbiano trovato la strada per oltre 200 miglia dalla costa saudita e nel mezzo del Golfo Persico.

Le prime spiegazioni dei militari di queste circostanze bizzarre denunciavano un guasto al motore e la deriva per giustificare la presenza imbarazzante di due barche e dieci unità di personale americano in acque non autorizzate.

Certo, è difficile immaginare che entrambe le imbarcazioni abbiano sofferto insieme un guasto al motore e che non vi sia stato alcun intervento per fornire assistenza. Prima che qualcuno ponesse domande imbarazzanti (non certo la stampa), il Segretario alla Difesa Ash Carter ha offerto un altro racconto: un guasto nel sistema di navigazione ha fatto andare le barche fuori rotta.

Ma se qualcuno avesse approfondito questa spiegazione (nessuno lo ha fatto), avrebbe appreso che le riverine craft sono dotate di sistemi di navigazione sofisticati, radar e sistemi di comunicazione; e la probabilità che entrambe le barche commettano lo stesso errore, passino inosservate e procedano radicalmente fuori rotta è come se un aereo commerciale decollando dall'aeroporto di New York La Guardia, si avviasse a est, piuttosto che a ovest.

Così i militari (CENTCOM) sono tornati alla prima versione, affermando con forza che un guasto meccanico del motore diesel di una delle barche ha determinato la sosta di entrambe le imbarcazioni per le riparazioni durante il viaggio dal Kuwait al Bahrain. Naturalmente resta indeterminata la questione del perché le barche fossero centinaia di miglia dalla costa saudita nel mezzo del Golfo Persico, lontano dalla rotta più diretta e adeguata alla loro destinazione.

Ma queste maldestre spiegazioni non hanno causato alcuna costernazione nella stampa capitalista, volutamente ingenua. Invece, hanno riferito minuziosamente deliri xenofobi circa immaginari crimini alla virtù statunitense, nel quadro della stagione elettorale.

Oltre a Glenn Greenwald in The Intercept, nessuna figura mediatica di spicco ha gettato un dubbio sui favoleggiamenti continui del Pentagono, un'altra dimostrazione della pochezza dei media statunitensi.


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