www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - poesia e letteratura - 10-11-08 - n. 249

Victor Montoya: Cuentos de la mina
 
L’elemento magico delle miniere
 
di Valeria Murru*
 
Le tematiche trattate nella letteratura mineraria sono varie e raccontate attraverso stili diversi. E’ il caso di César Vallejo e del suo impegno sociale; fu lo stesso scrittore a definire il suo romanzo un opera di letteratura proletaria. Augusto Céspedes nel suo romanzo, attaccò duramente la politica Boliviana, la repressione dei minatori e il ruolo dominante che le multinazionali minerarie avevano sul governo.
 
Il romanzo di Victór Montoya, Cuentos de la Mina, si distacca non solo dagli autori appena citati, ma anche dalla sua precedente produzione letteraria, dove analizzava e criticava le difficili situazioni di vita nei centri minerari e volge lo sguardo al campo dalla mitologia mineraria.
 
In Cuentos de minas Montoya raccoglie 18 racconti in cui ricrea, con il suo stile personale, le leggende, i miti e le tradizioni orali, in cui protagonista indiscusso è il Tío, essere mitico e contraddittorio, sacro e demoniaco che regola la vita e la morte dei minatori.
 
Proprio come narrano i racconti orali, Montoya descrive il padrone delle oscure gallerie, seduto sul suo trono dove aspetta i tributi dei suoi “sudditi”, i minatori. Il centro essenziale della realtà dei minatori è proprio il diavolo, che regola i sentimenti di gioia e di dolore degli uomini. Il Tio è, nello stesso momento, demonio ed energia rivitalizzante, è colui che permette la realizzazione dei desideri. È lui che regola la produzione di minerali ed è lui che dà o toglie la vita. Cuentos de la Mina è un’antologia di racconti, leggende e miti che, come si legge nell’introduzione dell’autore, per generazioni sono state tramandate oralmente. È una raccolta della memoria affettiva dell’autore cui, a sua volta, le leggende sono state narrate dalle generazioni precedenti.
 
 L’autore, ricorda il giorno in cui, per la prima volta sentì parlare del Tío :
 
Ricordo ancora il giorno in cui mio nonno mi riferì, per la prima volta, la leggenda del Tio: -Dicono che il diavolo arrivò in miniera una notte di tormenta-”.
 
Un importante elemento della raccolta di Montoya è proprio la sua esperienza personale. La sua provenienza, da una famiglia di minatori, rende i fatti narrati ricchi di veridicità e di intenso coinvolgimento. Montoya è testimone diretto della realtà mineraria, come lui stesso dichiara:
 
Conosco la miseria dei loro luoghi, il dramma delle loro lotte, la tragedia della loro vita”.
 
L’autore ci descrive il demone in varie situazioni: alle prese con il suo regno, le feste, i suoi capricci e i rapporti con i lavoratori e con gli abitanti dei villaggi minerari.
 
Nonostante la fedeltà ai racconti dei minatori, Cuentos de la Mina rompe con la tradizione aggiungendo alcune variazioni: il demone, che generalmente, nelle leggende, risiede solo nelle gallerie, in alcuni racconti di Montoya, evade dal suo regno e riveste un aspetto umano, per manifestare i suoi trucchi di seduzione. Per esempio, in uno dei racconti il Tio, s’infila, attraverso il buco della serratura, nel casolare dove risiedono alcune lavoratrici al riposo, dove seduce e feconda una giovane ragazza. In un altro, per una scommessa vinta, abbandona il suo regno per sedurre la donna di un minatore. In un altro ancora, esce dalla miniera “disposto a far germinare il suo seme nel ventre di una delle donne” pur di avere un suddito legittimo.
 
Oltre al suo aspetto di seduttore, il Tio, è uno spietato vendicatore verso coloro che gli mancano del dovuto rispetto. In alcuni racconti, per esempio, il Tio si traveste da seducente donna per attirare i deboli minatori ed infliggere loro crudeli violenze.
 
Lo stesso nonno dell’autore, secondo quanto ci racconta Montoya, fu punito per essersi dimenticato di salutare degnamente il Tio all’uscita della galleria. Il dispettoso demone, aspettò la sua vittima sull’uscio di casa, travestito da anziano e lo punì severamente, lasciandolo immobile a letto fino al giorno della sua morte.
 
Oltre alla narrazione dei miti, attraverso i racconti veniamo a conoscenza di come le leggende abbiano preso forma.
 
Nel racconto, El ùltimo pijcheo, assistiamo a un dialogo tra un minatore e Il Tío. Lo scenario è una miniera deserta, poco prima della sua definitiva chiusura. L’ultimo minatore si ferma davanti alla divinità, offrendogli ancora una volta una manciata di foglie di coca. Qui ha inizio una lunga conversazione in cui il demone svelerà le origini del suo nome e la sua vera natura.
 
In principio il Tio rappresentava la divinità Huari, divinità adorata dall’antica popolazione degli Uru, che viveva tra il lago Titicaca e Poopò, ormai scomparsa, ma le cui tradizioni furono poi assorbite dagli aymara e dai quechua.
 
Huari rappresentava una delle divinità più grandi, protettore degli animali selvaggi e degli alberi. Un giorno Huari, rendendosi conto che gli uomini gli avevano voltato le spalle, preferendo a lui un’altra divinità, fu preso dall’invidia e li punì scatenando il fuoco dei vulcani e liberando le bestie più feroci e crudeli.
 
Per questa sua natura iraconda e vendicativa, fu sconfitto e punito dalla divinità femminile ñusta Anti-Wara, che in un solo istante neutralizzò tutte le punizioni inflitte agli uomini, e lo costrinse a rifugiarsi per sempre nelle viscere delle montagne.
 
Da allora Huari è riconosciuto dai minatori come il Tio, divinità protettrice delle ricchezze della miniera. Il racconto, oltre a svelare la vera origine del diavolo, riporta anche un elemento storico. Sono, infatti, molte le miniere che negli ultimi due decenni in Bolivia hanno chiuso i pozzi, con l’inevitabile perdita di lavoro e la dispersione delle tradizioni legate al culto del Tio, in più, sempre più indios preferiscono lasciare gli altopiani andini, per trasferirsi sulla costa, perdendo definitivamente ogni legame con le tradizioni andine.
 
Oltre all’origine del Tio, Cuentos de la mina, raccoglie anche molte altre simbologie. È interessante la leggenda che narra l’origine della pianta di coca. Le foglie di coca rappresentano, tra i minatori e i contadini delle Ande, un elemento essenziale. Il liquido che si sprigiona, masticando la foglia, è in grado di dare forza ed energia senza far sentire stanchezza né fame. La leggenda narra che in realtà, la pianta di coca contiene i residui di una fanciulla bellissima, ma presuntuosa, che era solita deridere l’amore che gli uomini le dichiaravano.
 
Gli Yatiri e gli Amauta del villaggio, preoccupati che, gli uomini, perdessero la testa per la fanciulla, lanciandosi da un precipizio, ordinarono la sua esecuzione e che il corpo venisse successivamente tagliato e sepolto.
 
Poco tempo dopo, nello stesso luogo in cui il corpo della ragazza venne sepolto, spuntarono degli arbusti verdi che avevano la capacità di dare forza agli stanchi, saziare gli affamati e di far dimenticare le miserie agli sventurati.
 
Tante sono le leggende legate alla femminilità. Esiste per esempio la credenza che il Tio non sopporti la presenza delle donne per due motivi.
 
Il primo è di non suscitare le gelosie della sua diabolica consorte, Chinasupay. Il secondo è le legato alla convinzione che il ciclo mestruale delle donne abbia la capacità di far scomparire il minerale dalle vette.
 
Un altro importante evento che regola la vita all’interno dei villaggi minerari boliviani, è sicuramente il carnevale. Montoya descrive il carnevale d’Oruro, uno dei più importanti della zona. Il carnevale rappresenta la perfetta fusione tra riti pagani e cristiani. Durante la festa si adorano allo stesso modo, la Virgen del socavón e il Supay, essendo le due figure complementari, più che antagoniste. Il giorno della vigilia di Carnevale donne e uomini entrano in miniera, adornano con ricche corone di fiori la statua del Supay e portano ogni genere di dono, cibo, alcol e coca. Durante i festeggiamenti gi uomini si vestono da diavoli, le donne da Chinasupay.
 
Si balla la diablada, ulteriore forma d’omaggio al demone. Durante la sfilata, dietro le maschere principali, sfilano i costumi dei sette peccati capitali. Viene infine rappresentata la lotta di Lucifero con San Michele e la caduta di Lucifero nelle viscere della terra, dove diavolo e Tio diventano un’unica entità.
 
Il Tio, come ci ricorda anche Montoya nelle ultime righe della sua raccolta è senza dubbio, la forma più alta di “sincretismo culturale tra la religione cattolica e il paganesimo ancestrale non solo perché forma parte di una leggenda che gira intorno alla miniera e a suoi temi, ma anche perché è un essere mitico capace di schiavizzare e liberare gli uomini con i tuoi magici poteri.
 
Un altro importante aspetto della cultura mineraria Andina, che Montoya è stato in grado di registrare, è, senza dubbio, l’elemento linguistico.
 
L’indio, a contatto con la nuova realtà mineraria, oltre a non abbandonare le sue tradizioni, non abbandona neanche la sua lingua, il quechua. Gli strumenti di lavoro impiegati in miniera vengono rinominati nella lingua indigena, così come gli incarichi, i minerali, i luoghi e le divinità. La lingua ha un ruolo centrale nella cultura quechua e difficilmente gli indios riescono ad abbandonarla. Quando sono costretti a farlo, per esempio andando a vivere sulla costa, o a contatto con un contesto castigliano, aggiungono comunque nelle parole spagnole i suffissi tipici del quechua, creando una vasta serie di neologismi. Nei suoi racconti Montoya non traduce mai i termini quechua, ma li riporta così come vengono usati da tutti gli appartenenti al mondo minerario. Alla fine del libro un vero e proprio glossario servirà per le eventuali traduzioni.
 
Cuentos de la Mina è un libro che, con le sue descrizioni affascinanti, con un linguaggio scorrevole, ricco di particolari e in alcuni momenti poetico, in altri truculento e spietato, aiuta a conoscere in maniera più profonda: non solo miti e le leggende che da secoli popolano il mondo dei lavoratori di miniera, ma anche rituali, le cerimonie e la lingua.
 
Tutti elementi che con il tempo forse, con la chiusura delle miniere, scompariranno, ed è per questo che l’opera di Montoya è importante, perché registra e mantiene viva una parte essenziale della cultura mineraria Andina.
 
(*) L’autrice, Laureata presso la Facoltà di Lingue e Letterature Università di Cagliari, ha scritto la tesi dal nome: "La letteratura nelle miniere: storie, voci e lotte dei minatori. I casi della Sardegna, della Bolivia e del Perú" nell’anno accademico 2004-2005.
 
Vedi anche www.rebelion.org/noticia.php?id=73348