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da Aleksandr A. Kusin, Marx e la tecnica, Gabriele Mazzotta Editore, Milano, 1975
trascrizione a cura di Valerio e pubblicazione a cura del CCDP
 
Aleksandr Abramievic Kusin
 
Marx e la tecnica
 
Indice
 
I - Il pensiero di Marx sui modi di produzione>
 
1. Il processo di lavoro e di produzione
 
II lavoro, afferma Marx, è un processo «che si svolge fra l'uomo e la natura» nel corso del quale l'uomo si appropria la materia naturale in una forma utile per la propria esistenza.[1] È una perenne necessità naturale, una condizione esistenziale umana. Senza lavoro non ci può essere alcuno scambio materiale tra uomo e natura;di conseguenza anche la vita stessa dell’uomo senza di esso diventa impossibile.[2]
 
Il lavoro umano si differenzia dal «lavoro» di formiche, api, ragni e tassi soprattutto per il fatto che l'uomo prima di compierlo ha presente alla coscienza il risultato del suo lavoro. (Nonostante un'ape possa senz'altro mettere in imbarazzo un costruttore umano, secondo Marx il peggior costruttore si differenzia dalla migliore delle api per il fatto che costui, ancora prima di costruirla nella cera, ha costruito la cella nella propria testa.)
 
Egli in tal modo «realizza […] il proprio scopo,da lui ben conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà».[3] In secondo luogo il lavoro umano si distingue per il fatto che l’uomo, oltre i suoi organi naturali, impiega strumenti di lavoro artificiali. Sebbene l’uso e la «creazione» di strumenti di lavoro in forma embrionale siano propri anche di alcune specie animali, essi «contraddistinguono il processo lavorativo specificamente umano».[4] Occorre perciò considerarli come una componente ineliminabile del lavoro umano. «I momenti semplici del processo lavorativo», scrive Marx, «sono l'attività conforme allo scopo, ovvero il lavoro stesso, l’oggetto del lavoro e i mezzi di lavoro.»[5]
 
Nel processo lavorativo l'uomo «inserisce» il mezzo di lavoro tra sé e l'oggetto e lo impiega come «conduttore della propria attività su quell'oggetto».[6] Vengono quindi utilizzate le varie proprietà del mezzo di lavoro, o, per dirla in altro modo, i molteplici aspetti del movimento della materia. Marx fa presente che l'uomo al più basso grado del suo sviluppo utilizza questo o quell'oggetto della natura come mezzo di lavoro, per cui «lo stesso elemento naturale diventa organo della sua attività: un organo che egli aggiunge agli organi del proprio corpo, prolungando la propria struttura naturale, nonostante la Bibbia».[7] «Ma», prosegue, «non appena il processo lavorativo è sviluppato anche solo minimamente, esso richiede già mezzi di lavoro elaborati», vengono già fabbricati gli utensili.[8] Questo passo in avanti contraddistingue la nascita della tecnica.
 
Se si mette a confronto il «lavoro» degli animali, compreso quello degli insetti, con l'attività umana, si constata come il primo sia rimasto immutato lungo i millenni, mentre la seconda è andata e va continuamente mutando, soprattutto attraverso il perfezionamento dei mezzi e dell'organizzazione del lavoro. Sviluppandosi, i mezzi di lavoro permettono di utilizzare sempre nuovi oggetti e mutare il loro carattere.
 
L'oggetto su cui l'uomo opera con i mezzi di lavoro può trovarsi nel suo stato naturale, oppure può trattarsi di un materiale in cui è già stato investito lavoro umano.
 
Qualsiasi elemento del patrimonio oggettivo che non esiste in natura allo stato finito, come Marx fa notare, viene creato dall'uomo «mediante un'attività speciale produttiva, in conformità a uno scopo, che assimili particolari materiali naturali a particolari bisogni umani».[9] II processo di fabbricazione dei vari oggetti è la produzione materiale stessa, che presuppone l'esistenza della tecnica. Essa è divenuta un'ineliminabile condizione d'esistenza degli uomini; e se essi vogliono vivere, la produzione deve «essere compiuta ogni giorno e ogni ora...»[10]
 
«La produzione», scrive Marx, «è dunque immediatamente consumo, il consumo è immediatamente produzione.»[11] La produzione crea il materiale, determina il modo del suo consumo, e suscita nell'uomo un determinato bisogno. «Senza bisogno non vi è produzione. Ma il consumo riproduce il bisogno.»[12]
 
Marx inizia l'analisi della produzione partendo dalle condizioni e dai risultati del lavoro in cui si realizza il processo produttivo. A seconda delle condizioni naturali (la stessa natura dell'uomo e i mezzi di cui dispone nel suo ambiente, la fertilità del suolo, le ricchezze minerarie ecc.), Il:lavoro dà luogo a risultati diversi.[13] Ma il lavoro ha anche una produttività diversificata in conseguenza delle condizioni create dall'uomo. Essa dipende «dal progressivo perfezionamento delle forze sociali del lavoro», che a sua volta è condizionato dall'organizzazione e dai metodi di produzione, dalla tecnica, dallo sfruttamento delle condizioni naturali e da quelle invenzioni grazie a cui «la scienza piega le forze della natura al servizio del lavoro, e che sviluppano il carattere sociale e cooperativo del lavoro stesso».[14]
 
Tutti questi fattori rientrano nel concetto di forze produttive. La tecnica è una particolare categoria all'interno della produzione. Il suo sviluppo influisce sulle altre componenti delle forze produttive e su molti altri aspetti della vita e dell'attività umana.
 
Come è noto, Marx considera forze produttive: 1. la forza lavorativa degli uomini; 2. i mezzi di produzione; 3. le ricchezze naturali e le forze naturali utilizzate dall'uomo; 4. la scienza; 5. le forme e i metodi dell'organizzazione del lavoro e della produzione. Egli distingue le forze produttive, da un lato in materiali e spirituali (uomo e scienza), dall'altro in naturali e create dall'uomo.
 
Marx vede nell'uomo con le sue conoscenze, le sue esperienze di lavoro e le sue abilità, la componente più importante delle forze produttive. L'uomo mette al proprio servizio le altre componenti delle forze produttive e crea preliminarmente gran parte di esse. La tecnica ha un'importanza particolarmente rilevante nel quadro delle forze produttive. L’uomo la pone immediatamente tra sé e l’oggetto di lavoro. Per il suo tramite egli riesce a ottenere i beni materiali indispensabili alla sua esistenza e ad accrescere la produttività del lavoro stesso. La tecnica è l'elemento più mobile e dinamico delle forze produttive. Il suo impiego, il ritmo e la direzione del suo sviluppo dipendono tuttavia dalle condizioni sociali, in particolare dai rapporti di produzione.
 
I singoli elementi delle forze produttive non esistono in modo isolato nella produzione. In stretta interazione, essi si compenetrano vicendevolmente, si completano e condizionano reciprocamente. La tecnica, il suo livello generale, a volte addirittura singole macchine, determinano così le forme e i metodi dell'organizzazione della produzione, che comprendono in senso globale il modo di produzione tecnologico, la tecnologia in uso nella produzione, a prescindere dalle condizioni sociali. La scienza e le forze naturali entrano a far parte della produzione per il tramite di macchine, apparecchiature e impianti, e dell'organizzazione scientifica della produzione, ma anche grazie agli uomini, che detengono il sapere e sono preposti alle operazioni produttive dirette. Il modo di produzione richiede determinati rapporti reciproci tra i produttori.[15] «Essi producono solo in quanto collaborano in un determinato modo e scambiano reciprocamente le proprie attività.»[16]Perciò la produzione non è irrilevante per la forma della società. «Ogni produzione è appropriazione della natura da parte dell'individuo entro e mediante una determinata forma sociale.»[17] II processo produttivo appare come rapporto sociale, «sociale nel senso che si attribuisce a una cooperazione di più individui, non importa sotto quali condizioni, in quale modo e per quale scopo».[18] La tecnica, sviluppandosi, influisce sugli altri elementi delle forze produttive, tra cui le forme tecnologiche e l'organizzazione della produzione. Essa sollecita i mutamenti al loro interno e contemporaneamente anche il mutamento dei rapporti di produzione, che devono corrispondere al carattere delle forze produttive, affinché progredisca lo sviluppo della società.
 
2. Rapporti tra formazioni socioeconomiche e tecnica
 
L'analisi dell'essenza e del contenuto della produzione portò al concetto di formazione socioeconomica, all'unica esatta, scientifica e fondamentale comprensione del processo storico. La concezione marxiana della storia si può enunciare in questi termini: i processi sociali, politici e spirituali della vita sono condizionati dal modo di produzione. Al modo di produzione è legata anche la torma dello scambio.
 
«Cos’è la società, qualunque sia la sua forma?»scrive Marx. «II prodotto dell'azione reciproca degli uomini. Forse che gli uomini sono liberi di scegliere questa o quella forma sociale? Niente affatto. Presupponga un determinato stadio di sviluppo delle capacità produttive degli uomini, e Lei avrà una forma corrispondente di commercio e di consumo. Presupponga gradi determinati di sviluppo della produzione, del commercio e del consumo, e Lei avrà una forma corrispondente di ordinamento sociale, una organizzazione corrispondente della famiglia, dei ceti e delle classi, in una parola avrà una società civile corrispondente.»[19] Ogni generazione trasmette alla successiva la massa delle forze produttive e i rapporti, che si sono storicamente creati, tra gli uomini e la natura e tra di loro. Per quanto possa essere modificato dalla nuova generazione, questo «retaggio» ne determina le condizioni di vita e le possibilità di ulteriore sviluppo. Gli storici premarxisti, e anche quelli della fine del XIX e del XX secolo che non sono su posizioni marxiste, ignorano completamente questa base reale della storia, oppure non la ritengono il fattore determinante del processo storico. «Il rapporto dell'uomo con la natura è quindi escluso dalla storia, e con ciò è creato l'antagonismo fra natura e storia.»[20]
 
Perciò la produzione è punto di partenza e momento determinante della storia. Alla base di ogni livello di sviluppo storico stanno determinati rapporti storicamente creati tra gli uomini, e tra gli uomini e la natura. Queste concezioni permisero a Marx di prendere la tecnica come punto di partenza per importanti deduzioni.
 
Esse consistono nell'affermazione che le forme economiche, in cui si sviluppano la produzione, lo scambio e il consumo dei beni materiali, sono forme temporanee, storiche. Esse mutano col mutare del modo di produzione, che a sua volta dipende dallo sviluppo delle forze produttive. Il livello di sviluppo delle forze produttive è caratterizzato dal mutamento degli strumenti di lavoro, della tecnica. Questo fece dire a Marx: «Non è quel vien fatto, ma come vien fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche economiche.»[21]
 
E aggiunse la seguente nota: «Per quanto poco la storiografia che si è avuta finora conosca lo svolgimento della produzione materiale, e dunque il fondamento di ogni vita sociale e quindi di ogni storia reale, per lo meno l'epoca preistorica è stata divisa in base a ricerche di naturalisti, non di cosiddetti storici, a seconda del materiale degli strumenti e delle armi, in età della pietra, età del bronzo, ed età del ferro.»[22] In questa nota, che si trova nella seconda edizione di Il Capitale, viene sottolineata l'importanza determinante della produzione sullo sviluppo storico, e il ruuolo di primo piano svolto dai mezzi di lavoro nel processo produttivo. In questo caso, il materiale con cui è stato fabbricato lo strumento fornisce uno dei criteri per caratterizzarlo, specificarne la qualità e il grado di sviluppo. Per quanto riguarda le epoche preistoriche questo criterio si rivela fondamentale e determinante. Anche per le epoche successive esso mantiene la sua importanza, ma cessa evidentemente di essere l'unico e il più importante.
 
Indagando la produzione come categoria storica, Marx giunse alla conclusione che le epoche della produzione hanno determinate connotazioni, «comuni determinazioni». «Di queste, alcune appartengono a tutte le epoche; altre sono comuni solo ad alcune, (Certe) determinazioni saranno comuni all'epoca più moderna come alla più antica. E, senza di esse, sarà inconcepibile qualsiasi produzione.»[23]
 
Le connotazioni generali della produzione derivano dal fatto che in qualsiasi produzione l'uomo in quanto soggetto e la natura in quanto oggetto sono sempre gli stessi.[24] Altre tuttavia dipendono da fenomeni e fattori che hanno un'azione solo temporanea, che mutano ed evolvono.
 
La produzione di ogni epoca economica è contraddistinta da una determinata divisione del lavoro. Non si deve mai considerare questo o quello strumento produttivo, comprese le macchine, come una conseguenza in linea generale della divisione del lavoro, bensì «ogni modo di divisione del lavoro aveva i suoi strumenti specifici di produzione».[25]
 
Mettere in rapporto i mezzi di produzione con le epoche economiche vuoi dire stabilire la dipendenza tra i mezzi di lavoro impiegati (intendendo con ciò un generale livello tecnico che determina la produzione) e il modo tecnologico di produzione, ma anche il nesso che li lega ai rapporti di produzione, che sono innanzitutto forme di proprietà.
 
La produzione si differenzia nei singoli rami produttivi -agricoltura, allevamento, industria e relative branche - in base alla sua funzione e attraverso gli specifici mezzi di lavoro, cioè la tecnica. Qui interviene il rapporto causale con i rapporti di produzione. In ambedue i settori, della tecnologia e dei rapporti socioeconomici, fenomeni tipici giocano d'altro canto un ruolo dominante. «In tutte le forme di società», scrive Marx, «vi è una determinata produzione che decide del rango e dell'influenza di tutte le altre.»[26]Questo ramo produttivo determina anche la forma di proprietà dominante.
 
Marx studiò da questo punto di vista le varie epoche economiche. Presso le popolazioni di pastori, l'agricoltura venne praticata solo sporadicamente. Questo spiega la forma collettiva della proprietà del suolo. Nella società antica e feudale, l'agricoltura era il settore produttivo dominante. Di conseguenza a quello stadio della produzione dominava la proprietà privata della terra e del suolo. L'industria, la sua organizzazione e le sue corrispondenti forme di proprietà rivestivano secondo Marx un carattere molto simile a quello della proprietà fondiaria. Nella società schiavista essa era completamente dipendente dall'agricoltura, nella società feudale i principi di organizzazione dell'agricoltura erano trasferiti all'industria.
 
Nella società borghese il ruolo dell'agricoltura e dell'industria mutarono. «L'agricoltura diventa sempre più una semplice branca dell'industria ed è completamente dominata dal capitale.»[27]
 
Marx chiarì ulteriormente il nesso che intercorre tra i rapporti di produzione (forma della proprietà dei mezzi di produzione) e forze produttive, attraverso l'analisi delle peculiarità della tecnica e della tecnologia produttiva. A determinati stadi dello sviluppo industriale la proprietà privata è una conseguenza necessaria degli strumenti produttivi esistenti. Nell’artigianato, nell'agricoltura preindustriale e nell'industria, per tutto il periodo in cui rimane direttamente dipendente dall'agricoltura o organizzata secondo i suoi principi, gli strumenti produttivi impiegati richiedono l'esistenza della proprietà privata, perché le forze produttive non erano «indifferenti» alle relazioni degli individui a quell'epoca ancora limitate.[28] In altri termini, le forze produttive non potevano esistere prescindendo dagli individui.
 
«La proprietà privata» è dunque «una forma di relazioni necessaria per certi gradi di sviluppo delle forze produttive»,[29] dato l'impiego di determinati mezzi produttivi nella produzione, cioè dato un certo livello della tecnica.
 
Marx dimostrò che la concordanza tra rapporti economici esistenti e livello delle forze produttive, e quindi livello della tecnica e della tecnologia produttiva, è la legge di sviluppo obiettiva da cui gli uomini non possono prescindere. «II mulino a braccia vi darà la società col signore feudale, e il mulino a vapore la società col capitalista industriale.»[30]
 
La produzione meccanizzata, con i suoi impianti relativamente complicati e costosi, non può ad esempio essere basata sul lavoro di schiavi o di servi, perché questi produttori hanno un interesse troppo limitato alla produzione. Marx porta come esempio l'America, in cui, com'è noto, furono importati dall'Africa schiavi negri. «Quando si ruba lo schiavo», egli scrive, «si ruba direttamente lo strumento di produzione. Ma allora occorre che la produzione del paese per il quale si è compiuta la rapina sia organizzata in modo da permettere il lavoro schiavistico, oppure (come nel Sudamerica ecc), che si crei un mondo di produzione corrispondente allo schiavismo.»[31] Per poter sviluppare pienamente la produzione attraverso le macchine negli USA, fu necessaria la guerra civile, che eliminò il lavoro degli schiavi.
 
Marx scoprì che gli uomini, quando creano nuove forze produttive, mutano il modo di produzione: Mutando il modo di produzione. Mutando il modo di produzione, il modo di assicurare la propria esistenza, essi trasformano tutti i rapporti sociali.
 
Questo processo tuttavia non si compie pacificamente. Per cambiare l'organizzazione del lavoro esistente e sostituirla con una nuova, cioè per la creazione di un nuovo modo di produzione, «occorre potere - potere sociale e politico -, potere, non solo per resistere, ma anche per attaccare».[32] In altre parole, è necessaria la vittoria della rivoluzione sociale e politica.
 
Marx scoprì in tal modo l'essenza e il contenuto del passaggio da un'epoca economica all'altra. Egli mostrò il ruolo che gioca in questo processo il mutamento degli strumenti di lavoro, della tecnica. La penetrante analisi della storia della tecnica, delle cause e conseguenze del suo sviluppo permise al fondatore del marxismo di scoprire la legge dell'avvicendamento delle formazioni socioeconomiche, e di conseguenza la legge fondamentale della storia, e di chiarirla soprattutto per quanto riguarda i periodi caratterizzati da una società divisa in classi.
 
Sviluppo della tecnica significa contemporaneo sviluppo delle forze produttive, «A un dato punto del loro sviluppo», scrive Marx, «le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) entro i quali tali forze per l'innanzi si erano mosse.»[33] Allora ha inizio la rivoluzione sociale, per effetto della quale mutano i rapporti di proprietà, si instaurano nuovi rapporti di produzione dominanti e si creano le forze sociali e politiche necessarie per il mutamento dell'organizzazione del lavoro e della tecnologia produttiva.
 
Marx dimostrò che i rapporti di distribuzione corrispondono a forme storicamente determinate del processo produttivo. Mostrò come si esaltino le opposizioni tra i rapporti di produzione e il carattere delle forze produttive, mentre si approfondiscono antitesi e contraddizioni «tra i rapporti di distribuzione, e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione corrispondenti ad essi, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall'altro. Subentra allora un conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale.»[34] La tecnica caratterizza più di qualsiasi altro elemento delle forze produttive lo sviluppo materiale della produzione. Essa accresce la «produttività» e suscita perciò all'interno del capitalismo conflitti ancora maggiori tra aumento della produttività del lavoro e sistema di ripartizione dei beni materiali, poiché essa è impiegata in modo capitalistico.
 
I mutamenti della tecnica nell'ambito del capitalismo non migliorano di per sé fondamentalmente le condizioni di vita e di lavoro dei produttori diretti dei beni materiali, spesso addirittura le peggiorano. Nel fare un raffronto tra il XX secolo e le epoche precedenti, i lavoratori delle moderne imprese capitalistiche non possono accontentarsi della constatazione che essi vivono meglio degli schiavi romani o degli operai inglesi del XVIII secolo; essi devono rendersi conto che, dato il livello della tecnica e quindi della produttività del lavoro, la ripartizione dei beni corrisponde ai loro interessi ancor meno che nel XVIII e nel XIX secolo.
 
L'obiettivo della produzione capitalistica è il massimo profitto e la sua appropriazione da parte dei proprietari delle imprese. Questo obiettivo il capitalismo lo può realizzare solo distribuendo i beni materiali in base al valore della forza-lavoro. Quest'ultimo elemento tuttavia muta, in rapporto alla civiltà, molto più lentamente di quanto cresca la produttività del lavoro, soprattutto nella fase moderna contrassegnata dall'automatizzazione della produzione.
 
La tecnica si rivela perciò come il fattore rivoluzionario in tutte le formazioni antagoniste: influenza i vari aspetti della vita sociale, inasprisce le antitesi tra rapporti di produzione e forze produttive, e quindi suscita la lotta di classe e i rivolgimenti sociali. «II vapore, l'elettricità e il telaio meccanico», scrive Marx, «furono personaggi rivoluzionari di tipo molto più pericoloso degli stessi cittadini Barbès, Raspail e Blanqui.»[35] Osservando nel 1850 il modello di una ferrovia elettrica esposto in Regent's Street, disse: «Ora il problema è risolto. Le conseguenze sono incalcolabili. Alla rivoluzione economica deve necessariamente seguire la rivoluzione politica, poiché questa non è che l'espressione della prima.»[36]
 
«II modo in cui Marx discuteva su questo progresso della scienza e della meccanica», ricorda W. Liebknecht, «faceva risaltare così chiaramente la sua concezione del mondo, e in specie ciò che più tardi venne definita la concezione materialistica della storia, che certi dubbi, che fino ad allora mi avevano ancora travagliato, si sciolsero come neve al sole primaverile.»[37]
 
Nel 1881 Jeffrey negli Stati Uniti inventò un percussore minerario. In una lettera a Jenny Longuet, Marx scrisse a questo proposito: «È una notizia estremamente interessante. Pare che uno yankee abbia inventato una macchina per perforare gli strati carboniferi, che eliminerebbe la maggior parte del lavoro attuale dei minatori, in particolare la "rottura" del carbone nei filoni e nei pozzi, per cui ai minatori resta solo il compito di frantumare il blocco di carbone e caricarlo sui carrelli. Se questa invenzione si imporrà - come c'è da aspettarsi senz'altro - scatenerà nella terra degli yankee un gran movimento, e procurerà gravi danni alla superiorità industriale di John Bull»[38]
 
3. Produzione artigianale e manifatturiera
 
Nella sua ricerca sull'importanza della tecnica per lo sviluppo delle formazioni socioeconomiche, Marx analizzò sostanzialmente la produzione capitalistica di fabbrica. Allo studio della tecnica, che precede il periodo dell'introduzione delle macchine, egli dedicò la sua attenzione solo nella misura in cui si rendeva necessario per la soluzione dei problemi legati alla genesi della produzione capitalistica meccanizzata e alla scoperta di alcune leggi generali dello sviluppo della società. Per l'analisi del ruolo della tecnica nella produzione delle antiche formazioni socioeconomiche, Marx utilizzò non soltanto fonti storiche, ma anche esempi di produzioni analoghe che si erano mantenuti nel XDC secolo in India, Cina, America e in alcuni altri paesi.
 
La legge scoperta da Marx sul ruolo decisivo svolto dai mezzi di lavoro è valida per tutte le formazioni, ma fino a quelle precedenti il capitalismo. «II dominio delle condizioni di produzione sui produttori[39][,..] è qui celato dai rapporti di signoria e servitù, che appaiono e sono visibili come le molle dirette del processo di produzione.»[40]
 
La classe dominante degli Stati in cui vigeva la schiavitù considerava lo schiavo solo come uno strumento di lavoro dotato di parola, a differenza di quello pur vivo e dotato di voce, e di quello muto. Lo schiavo tuttavia si differenziava sostanzialmente dall'utensile vivente e dallo strumento inanimato. Egli fa capire «che non è loro uguale, ma è un uomo e si procura, maltrattandoli e sciupandoli con amore, la sicurezza di quella differenza».[41]
 
Perciò il principio economico della produzione consisteva nell'impiegare solo gli strumenti di lavoro più rozzi, massicci e difficili da rovinare. Marx illustrò queste considerazioni con esempi relativi alla tecnica impiegata negli Stati schiavisti del Golfo del Messico fino alla guerra civile del 1861-1865.[42]
 
Al tempo stesso, i rapporti fondati su forme dirette di potestà e di soggezione permettevano in alcuni casi di impiegare su larga scala il lavoro cooperativo manuale che la tecnica dell'epoca imponeva.
 
Nell'antichità, lavori su base cooperativa venivano realizzati per lo più dallo Stato, che disponeva della maggior parte della popolazione attiva non agricola e di una certa quota del plusprodotto sociale. Queste forze produttive, afferma Marx, furono spese per la realizzazione di gigantesche opere.[43] In Egitto e nei paesi asiatici, sfruttando un basso livello di sviluppo della tecnica, ma su territori molto vasti, fu realizzato un sistema di irrigazione artificiale indispensabile all'agricoltura, grazie al lavoro di grandi masse umane che veniva organizzato dall'autorità statale.
 
Nelle sue prime opere Marx designò questa organizzazione dei lavori di irrigazione col nome di «modo di produzione asiatica», caratterizzata dallo spezzettamento della società, in autonome comunità di villaggi, dalla combinazione di artigianato domestico e di agricoltura all'interno delle comunità e dall'assenza di proprietà privata della terra e del suolo, che appartenevano al sovrano. Il plusprodotto di questo modo di produzione aveva, in prevalenza, la forma di una rendita di produzione. Questo stato di cose rafforzava il carattere naturale dell'economia, frenava la disgregazione delle comunità di villaggio e provocava una stagnazione del progresso tecnico. Secondo Marx il modo di produzione asiatico sopravvisse in Russia fino al regno dello zar Pietro I Presso i popoli sottosviluppati dell'Asia si era mantenuto fino al XVIII secolo.
 
Inizialmente Marx considerò il modo di produzione asiatica come una formazione socioeconomica a sé stante, ma, in seguito, come del resto anche Engels, si allontanò da questa concezione. Nelle loro opere più tarde il concetto di «produzione asiatica» non compare più.
 
Il modo di produzione asiatica non era stabile. La trascuratezza di questo o quel sovrano nei confronti dell'organizzazione del lavoro di massa o una guerra potevano distruggere gli impianti di irrigazione e spopolare il paese per secoli.[44]
 
Poiché le forze produttive, soprattutto la tecnica, erano insufficientemente sviluppate e le scienze naturali sostanzialmente non erano applicate nella produzione materiale, gli Stati schiavisti della Grecia e di Roma dipendevano da un determinato volume della popolazione. La sua dilatazione avrebbe fatto dei cittadini di quegli Stati le vittime «di quella pesante fatica fisica che trasformava il libero cittadino in un nuovo schiavo».[45] L'unica salvezza era l'emigrazione forzata delle popolazioni. Si pensi, ad esempio, alle numerose colonie greche, della cui fondazione furono certamente responsabili anche altri fattori.
 
Queste cause - «la pressione» dell'eccesso «di popolazione sulle forze produttive» - spinsero i popoli antichi a cercare nuovi territori e a penetrare con la violenza nelle regioni abitate da altri popoli. Coll'aumento demografico diminuiva la superficie a disposizione di ciascuno. La popolazione eccedente era costretta a cercare nuove regioni.[46] Le migrazioni di popolazioni determinate dal basso livello delle forze produttive mandarono in rovina la società antica.
 
Dato che mancavano estesi collegamenti tra i popoli, ogni invenzione rimaneva isolata. In una regione non si sapeva quello che era stato inventato nell'altra. Gli attacchi di un popolo in territorio nemico spesso distruggevano le conquiste tecniche ivi realizzate. Fu così che certe conquiste tecniche, distrutte nel corso di guerre, andarono perse per sempre. Alcune non sono state recuperate dall'umanità nemmeno ai nostri giorni; ad esempio, la vetrocromia medievale, della cui perdita tuttavia sono responsabili anche altri fattori.
 
La conservazione delle forze produttive create dall'umanità, la garanzia di preservare le conoscenze tecniche, divenne una realtà di fatto solo quando il commercio tra i popoli divenne commercio mondiale e cominciò a svilupparsi sulla base della grande industria.[47]
 
Nell'antichità e nel Medio Evo i nuovi popoli emergenti, dopo aver conquistato determinati territori, adottavano l'ordinamento sociale corrispondente al livello di sviluppo delle forze produttive incontrato. L'ordinamento sociale veniva cambiato in modo che si accordasse ad esse.[48] Ed è quanto avvenne presso i popoli che si trovavano allo stadio della dissoluzione della società primitiva, dopo che ebbero conquistato lo Stato schiavista romano: essi finirono per adottare la forma feudale dell'ordinamento sociale.
 
Nel trattare della produzione industriale delle formazioni precapitalistiche in senso stretto, Marx sottolineò questi aspetti: in primo luogo lo sviluppo inizialmente spontaneo dei singoli rami industriali, che in seguito si sviluppano e vengono sostenuti dalla legislazione, in secondo luogo la quasi totale assenza di divisione del lavoro all'interno dei laboratori e in terzo luogo il carattere quasi immutabile della produzione industriale precapitalistica. Questa stabilità derivava dallo stretto legame che univa la piccola agricoltura all'industria domestica e si rafforzava dove esisteva la proprietà fondiaria collettiva della comunità. L'immutabilità di questa produzione si spiega in base alla grande economicità che caratterizzava l'unione dell'agricoltura e della produzione artigianale nelle condizioni di allora.[49]
 
In seguito all'espansione demografica, sorsero nuove comunità sul modello delle vecchie. Sebbene si sviluppi una sistematica divisione del lavoro, «vi sarebbe impossibile una divisione del lavoro di tipo manifatturiero, perché il mercato del fabbro, del falegname ecc. rimane inalterato e tutt'al più, a seconda delle differenze di grandezza dei villaggi, invece di uno, ci sono due o tre fabbri, vasai ecc.».[50]
 
Ogni artigiano compiva tutte le operazioni inerenti al suo mestiere in completa autonomia, secondo modalità tramandate. Per Marx, la causa principale del carattere quasi immutabile delle forme precapitalistiche della semplice produzione di merci dev’essere ricercata nella primitività della tecnica impiegata e nella bassa produttività conseguente.[51]
 
Marx portò ad esempio l’India in cui, nonostante i notevoli mutamenti storici verificatisi, i rapporti sociali erano rimasti immutati dal Medio Evo fino al primo decennio del XIX secolo, così come erano rimasti immutati il telaio e il filatoio a mano, che mantenevano decine di migliaia di tessitori e filatori e rappresentavano la base della struttura sociale dell'India. Fu «l’invasore inglese a distruggere il telaio e il filatoio»[52] e questo fatto mutò le condizioni sociali del paese più di qualsiasi altro. Le caste e le corporazioni erano sorte con lo scopo di rendere ereditarie le associazioni artigiane, di pietrificarne per così dire la forma. «Solo che ad un certo grado di sviluppo l'ereditarietà delle caste o l'esclusività delle corporazioni viene decretata come legge della società.»[53]
 
Le corporazioni escludevano la possibilità di una divisione del lavoro attraverso la manifattura. Tuttavia, nel caso in cui la produzione imponeva la divisione del lavoro, le corporazioni esistenti si scindevano in sottospecie, oppure venivano fondate nuove corporazioni, che però non riunivano in un'unica officina le varie attività artigianali.[54]
 
La popolazione poco numerosa, il conseguente basso livello del consumo e i collegamenti internazionali insufficientemente sviluppati impedirono un'ulteriore divisione del lavoro. Di conseguenza, ogni maestro doveva padroneggiare tutti i segreti del mestiere e saper utilizzare tutte le possibilità dei suoi strumenti di lavoro. «Per questo», afferma Marx, «negli artigiani medievali si trova ancora un interesse per il proprio particolare lavoro e per l'abilità che poteva elevarsi fino a un certo, limitato, senso artistico.»[55]
 
Questa caratteristiche tecnologiche dell’artigianato corporativo Marx le dedusse dall'analisi della tecnica. Il lavoratoreimpiegava mezzi di lavoro cui era strettamente legato «come la chiocciola è unita al suo guscio».[56]
 
In Europa la produzione artigianale corporativa sorse nel periodo compreso tra il XIII e il XV secolo. La base tecnica di questa produzione era fornita dal mulino e da macchine semplicissime. Tra il XIV e il XV secolo comparvero gli altiforni. Contemporaneamente si riuscì a passare dalla produzione diretta del ferro al processo in due fasi con produzione di ghisa. Nella prima fase di questo processo si otteneva per mezzo dell’altoforno il ferro grezzo. Con una successiva fusione attraverso un forno di raffinazione si otteneva ferro raffinato.
 
Marx studiò a fondo la storia della tecnica di questo periodo. Questi studi lo portarono a concludere che la manifattura, sviluppatasi dalla produzione artigianale corporativa, ne manteneva il carattere artigianale. «II mestiere rimane la base.»[57] La tecnica impiegata nel periodo della manifattura non si differenziava sostanzialmente da quella in uso nel periodo delle corporazioni.
 
Ma già nel periodo dell'artigianato e della manifattura cominciò a prodursi una differenziazione dei rami produttivi dal punto di vista tecnico. In ogni ramo produttivo sorsero determinate abilità «corrispondenti al suo assetto tecnico», che si andarono lentamente perfezionando e che, raggiunto un determinato livello, cominciarono ad imporsi. In questo quadro, esse rappresentavano segreti artigianali, accuratamente protetti dagli artigiani nei confronti di chi non ne era al corrente. «Quel che provoca qua e là dei cambiamenti», scrive Marx, «è, oltre qualche nuovo materiale di lavoro fornito dal commercio, la graduale modificazione dello strumento da lavoro. Una volta raggiunta la forma confacente secondo l’esperienza, anche lo strumento da lavoro si irrigidisce, come dimostra il suo passare, spesso per millenni, dalle mani di una generazione in quelle della seguente.»[58] Tuttavia, in alcuni casi il mutamento dello strumento di lavoroera estremamente importante.
 
Sulla base di un attento studio e dell'analisi della storia della tecnica, Marx afferma che già in parte nel periodo della manifattura, ma in alcuni casi anche molto prima, attrezzi di cui l'uomo inizialmente era l'unica forza motrice si sviluppano fino a diventare macchine. Gli attrezzi esistenti dovevano così essere mossi da mulini ad acqua, dalla forza del vento o, più tardi, del vapore.[59]
 
Marx raccomandò l'approccio storico al concetto di «macchina».[60]In ogni modo di produzione tecnologica la macchina svolse una funzione produttiva fondamentale: liberare sempre più l’uomo dal lavoro fisico. Nelle condizioni della moderna rivoluzione tecnico-economica, le macchine adempiono funzioni finora riservate esclusivamente al pensiero umano.
 
La produzione artigianale corporativa e la produzione della manifattura erano fondate solo su funzioni energetiche. Perciò la ruota ad acqua e il mulino a vento (per mulino si intendeva allora non solo l'apparecchiatura per la trasformazione del grano in farina, ma anche la macchina per segare, per pompare, il mantice degli altiforni ecc.) trovarono un largo impiego nella produzione della società feudale.
 
Come abbiamo già detto, Marx si interessò alla tecnica del modo di produzione feudale solo in funzione di quelle considerazioni di ordine storico ed economico che gli permettevano di comprendere meglio le particolarità della produzione capitalistica meccanizzata della fabbrica. Una di queste considerazioni aveva grande importanza, perché gli permetteva di confutare una importante tesi economica di Ricardo. Questi aveva affermato che le macchine vengono sempre introdotte dove già esiste una produzione capitalistica.[61] In tal modo, Ricardo conferiva un carattere assoluto ai rapporti capitalistici e ne faceva delle categorie naturali ed eterne. Egli riteneva che l'introduzione delle macchine non esercitasse alcuna influenza sulla condizione dei lavoratori.
 
Marx dedusse dalla storia della tecnica del periodo feudale e del periodo della manifattura capitalistica la dipendenza tecnologica che lega i vari modi di produzione. «Per il periodo della manifattura, sviluppatosi dall'artigianato fino alla vera grande industria, le due basi materiali su cui si forma dentro la manifattura il lavoro preparatorio della meccanica sono orologio e mulino (dapprima il mulino da grano, e propriamente il mulino ad acqua), ambedue trasmessi dall'antichità. (Il mulino ad acqua fu portato a Roma dall'Asia minore al tempo di Giulio Cesare.)»[62] Marx riteneva che si sarebbe potuto seguire la storia dello sviluppo delle macchine in base a quella dello sviluppo dei mulini per cereali.[63]
 
La storia della tecnica fornisce la base per l'interpretazione di questa tesi. Il mulino (cioè la ruota ad acqua) pose le premesse per l'industria meccanizzata, in quanto l'uomo vi trasferì le funzioni fisiche più pesanti della produzione. Il trasferimento delle funzioni energetiche alla macchina richiese la creazione di meccanismi di trasmissioni adeguati. Gli orologi svilupparono la meccanica e promossero la creazione delle trasmissioni e di altri complicati meccanismi che si rendevano necessari per le macchine operatrici. Essi aprirono la strada all'impiego di meccanismi automatici nella produzione[64] Infine, la costruzione degli orologi richiese una maggiore divisione del lavoro.
 
Marx sottolineò il carattere progressista insito nella cooperazione semplice in quanto, «anche se il modo di lavoro rimane identico, l'impiego contemporaneo di un numero considerevole di operai effettua una rivoluzione delle condizioni oggettive del processo di lavoro» e accresce «la scala dei mezzi di produzione usati in comune».[65]
 
La cooperazione semplice dominava nei rami produttivi in cui il capitale «operava su grande scala» e la divisione del lavoro e le macchine non svolgevano ancora un ruolo importante.[66]
 
La manifattura nella sua forma embrionale si differenziava dalla produzione corporativa solo per l'estensione dei laboratori e il maggior numero di lavoratori impiegati contemporaneamente dallo stesso capitale. A mano a mano che si sviluppava, la manifattura si differenziava sempre più dalla produzione corporativa nell'organizzazione e nella divisione del lavoro. Marx osservò al proposito: «L'organizzazione corporativa […] escludeva la divisione del lavoro manifatturiero.»[67] Ma a livello di tecnica impiegata e di tecnologia produttiva la produzione corporativa si distingueva appena dalla manifattura.
 
L'«abilità artigiana» stava alla base sia della produzione manifatturiera sia della produzione corporativa.[68]
 
La manifattura capitalistica rappresentò il primo periodo del modo di produzione capitalistico. La sua nascita si spiega col fatto che, sulla base della crescente produttività del lavoro, il commercio si allargò notevolmente e si creò il mercato mondiale. A loro volta, questi due fenomeni furono stimolati dal nascente modo ai produzione capitalistico. La costante necessità per la produzione capitalistica «di produrre su scala sempre più ampia» portò a una continua dilatazione del mercato mondiale, «cosicché non è il commercio che qui rivoluziona l'industria, ma l'industria che rivoluziona continuamente il commercio».[69]
 
Nell’affermare queste leggi, Marx cominciò a cercare le cause primarie dello sviluppo della manifattura capitalistica non solo negli avvenimenti mondiali di quell'epoca - le scoperte geografiche, lo sviluppo del commercio, la concorrenza dei paesi europei per l'appropriarsi dei prodotti asiatici e americani, la formazione del sistema coloniale ecc.,[70] ma anche nelle caratteristiche dello sviluppo della tecnica e della tecnologia della produzione manifatturiera.
 
Secondo Marx, nel XVII e nel XVIII secolo la tessitura era il ramo produttivo che godeva delle migliori prospettive. La spinta allo sviluppo di questa produzione era data dalla possibilità di realizzare il profitto con investimenti relativamente esigui e in breve tempo, e dal rapido incremento della domanda di prodotti tessili conseguente all'aumento della popolazione. Anche il fatto che commercio e traffico si allargarono verso l'esterno costituì un fattore importante. La tessitura fu la prima produzione che non corrispose più all'organizzazione corporativa. In primo luogo essa non richiedeva quell'abilità che era stata introdotta e coltivata nelle corporazioni. In secondo luogo si suddivise in un gran numero di rami diversificati, contrapponendosi quindi alla divisione corporativa del lavoro e all'organizzazione corporativa degli artigiani. In terzo luogo ci si poteva impiegare nella tessitura anche al di fuori delle corporazioni nelle piccole e grandi borgate.
 
Con lo sviluppo della tessitura, alcune borgate di un certo rilievo si trasformarono in città. Vi si impiantavano manifatture in cui affluivano gli artigiani rurali esclusi dalle corporazioni e coloro che erano mal pagati dai maestri. Inoltre, le manifatture misero in circolazione il capitale esistente che rimaneva improduttivo e accrebbero la quota del capitale investito nella produzione.[71]
 
Come abbiamo già detto, la produzione manifatturiera si differenzia da quella della corporazione nell'organizzazione e nella divisione del lavoro. La manifattura nacque in due modi. O furono riuniti diversi rami artigianali, che persero in tal modo la loro autonomia economica, come avvenne ad esempio nel caso della costruzione di vetture, oppure vennero riuniti in un laboratorio molti artigiani, che fino ad allora eseguivano la stessa attività o un'attività affine. In ambedue i casi la produzione della manifattura frantuma il precedente artigianato in operazioni separate, le isola una dall'altra e «le rende indipendenti fino al punto che ciascuna di esse diviene funzione esclusiva di un operaio particolare. Quindi la manifattura da una parte introduce o sviluppa ulteriormente la divisione del lavoro in un processo di produzione; dall'altra parte combina mestieri prima separati.»[72]
 
La divisione del lavoro all'interno del laboratorio fu preceduta dall'accentramento di molti lavoratori e di diversi processi lavorativi in un determinato luogo, con un determinato compito, sotto il comando di un unico capitale. Questo fatto fu più importante, afferma Marx, della «suddivisione dei lavori e dell'adattamento d'un operaio speciale a un compito molto semplice».[73]
 
Per stabilire definitivamente il ruolo della produzione manifatturiera nello sviluppo storico della società, Marx si dedicò ulteriormente allo studio delle caratteristiche della tecnica di questa produzione: alla storia della tecnica. La nascita della produzione manifatturiera e della sua organizzazione fece sorgere l'esigenza della riduzione del tempo di lavoro necessario alla produzione delle merci. Questo fatto promosse lo sviluppo dei mezzi di produzione e m alcuni casi portò all'impiego di macchine. Si trattava soprattutto di processi preliminari alla produzione, che richiedevano l'impiego di un gran numero di uomini (come, ad esempio, la triturazione degli stracci nella produzione della carta, la frantumazione del minerale nella metallurgia).[74]
 
I principali rami produttivi del periodo della manifattura - la tessitura e la filatura - si «suddivisero in nuovi rami» e richiesero nuovi strumenti di lavoro, «ma il processo lavorativo stesso, per nulla diviso, rimase artigianale. Non è dal lavoro che parte la macchina, ma dal mezzo di lavoro.»[75] Al termine di questo processo ci tu il telaio meccanico e, infine, la macchina operatrice della Rivoluzione industriale, che permise di eseguire svariate operazioni.
 
L'ultima considerazione di Marx che abbiamo riportato aveva ed ha grande importanza. Fino all'avvento delle macchine che eseguivano funzioni tecnologiche, cioè le macchine direttamente operataci, non era possibile mutare il carattere artigianale del lavoro. Tuttavia, a questo carattere erano strettamente legate le condizioni socioeconomiche, la struttura sociale della società e, in particolare, la classe principale dei produttori. Il semplice perfezionamento degli strumenti di lavoro e lo sporadico impiego di macchine per la produzione artigianale, come anche di macchine che permettevano di utilizzare le forze naturali - cioè macchine mosse dalla forza dell'acqua e del vento -, non erano in grado di mutare il carattere del lavoro e del modo tecnologico di produzione. Perché questo avvenisse occorreva la meccanizzazione del lavoro, l’impiego di macchine su vasta scala.
 
Nelle manifatture il singolo lavoratore produceva una certa parte di una merce, o, addirittura, una parte della parte. Il processo che subiva il prodotto era solo una parte del lavoro totale. Ogni lavoratore adempiva una determinata funzione ed era, secondo la definizione di Marx, un Teilarbeiter, un «operaio parziale».[76]
 
II lavoro artigianale rimase immutato tanto per il lavoratore, cui veniva richiesta un'abilità artigianale - e che ancora manteneva un certo interesse per il lavoro e per l'abilità -, quanto per l'impresa industriale nel suo insieme. «Macchinario specifico del periodo della manifattura rimane l'operaio complessivo stesso, combinato di molti operai parziali.»[77]
 
4. Elementi di meccanizzazione tecnica nella manifattura
 
La manifattura si basava sull’artigianato, poiché essa non aveva potuto «né impadronirsi della produzione sociale in tutto il suo volume, né sovvertirla fino in fondo. La manifattura s'elevava, opera d'arte economica, sulla vasta base dell'artigianale urbano e dell'industria domestica rurale.»[78]
 
Tuttavia, nella tecnica e nella tecnologia della manifattura erano già presenti elementi, grazie al cui sviluppo si crearono le condizioni tecniche per il passaggio alla produzione meccanizzata. Questo passaggio accentuò le contraddizioni tra la limitata base tecnica della manifattura e le esigenze produttive create dalla stessa.[79] Nel periodo della manifattura, gli strumenti di lavoro furono semplificati, differenziati, specializzati e adattati alle esclusive funzioni specifiche dei lavoratori parziali. Si creò, in tal modo, un presupposto materiale fondamentale del macchinario che consiste nella combinazione di molti strumenti semplici.[80]
 
Con la crescente introduzione di macchine vecchie e nuove, la loro fabbricazione si frammentò in una serie di rami autonomi, con divisione del lavoro all'interno della manifatture che producevano macchine. «Una delle sue creazioni più compiute fu l'officina per la produzione degli stessi strumenti di lavoro, ed in ispecie anche dei complicati apparecchi meccanici che già venivano adoperati», scriveva Marx.[81]
 
In tal modo, nella manifattura era stato posto il fondamento tecnico diretto della grande industria: la produzione delle macchine, grazie a cui la produzione artigianale e manifatturiera fu sconfitta.[82]
 
All'interno della manifattura nacquero i primi elementi scientifici e tecnici della produzione meccanizzata. Tra questi, Marx menziona: lo studio più esatto delle leggi dell'attrito, l'elaborazione teorica e l'applicazione pratica del volano - lo sviluppo dimensionale del meccanismo di trasmissione nei numerosi mulini richiedeva forze motrici più potenti -e altri elementi.[83]
 
Il passaggio alla produzione meccanizzata fu favorito anche dal formarsi di un rapporto numerico fisso tra l'entità numerica relativa dei lavoratori e l'entità relativa dei gruppi di lavoratori omogenei. Marx portò l'esempio della manifattura dei caratteri tipografici. Quattro fonditori richiedevano due rompitori e un brunitore, perché in un'ora un fonditore fondeva 2.000 caratteri, il rompitore ne divideva 4.000 e il brunitore ne lucidava 8.000.[84]II vantaggio maggiore che derivava dal rispetto di queste correlazioni erano l'armonizzarsi delle operazioni produttive e la continuità del processo produttivo.
 
La manifattura creò inoltre i primi quadri per la grande industria meccanizzata. Da un lato, questa forma di produzione diede vita a uno stuolo di esperti meccanici, su cui Vaucanson, Arkwright e altri poterono trovare un saldo appoggio per la realizzazione delle loro invenzioni.[85] Poiché «le diverse funzioni dell'operaio complessivo sono più o meno semplici o composte, meno basse o elevate, i suoi organi, le forze-lavoro individuali, richiedono diversissimi gradi di preparazione».[86]Dall'altro essa creò gli operai tipici della produzione di fabbrica: gli operai a bassa qualificazione o del tutto sprovvisti di qualificazione.[87]
 
L'analisi esatta delle caratteristiche della tecnica e della tecnologia della manifattura permise a Marx di trarre le seguenti conclusioni di carattere storico-sociale. La produzione della manifattura porta ad un aumento del numero di lavoratori impiegati. Il minimo di lavoratori che ilsingolo capitalista deve impiegare è determinato dalla divisione del lavoro esistente. I vantaggi di un'ulteriore divisione del lavoro sono dunque legati, per lui, ad un ulteriore aumento del numero dei lavoratori. Contemporaneamente, crescono anche la dimensione degli edifici, la vastità dell'attrezzatura e la massa di materia prima impiegata. «Dunque: aumento del volume minimo di capitale nelle mani del singolo capitalista, ossia aumento della trasformazione in capitale dei mezzi di sussistenza e dei mezzi di produzione sociali, è una legge che scaturisce dal carattere tecnico della manifattura.»[88]
 
La tecnica e la tecnologia della manifattura, che trasformano l'operaio in un operaio parziale, lo costringono a funzionare solo congiuntamente ad altri operai. Tuttavia, questo rapporto di produzione diretto tra gli operai esiste solo dopo la vendita della forza-lavoro ai capitalisti.[89] In questo si manifesta già l'aspetto dispotico del capitalismo: «La divisione del lavoro di tipo manifatturiero presuppone l’autorità incondizionata del capitalista su uomini che costituiscono solo le membra di un meccanismo complessivo di sua proprietà.»[90] In altri termini, se inizialmente l'artigiano vendeva la sua forza-lavoro, in quanto non possedeva i mezzi materiali per la produzione di una merce, adesso - nel periodo dello sviluppo della manifattura - la vendita della forza-lavoro è determinata anche dalle esigenze tecniche e tecnologiche, dal livello di sviluppo della tecnica e dalla corrispondente organizzazione della produzione.
 


[1] Cfr. K. Marx, Il Capitale, I, Roma, Editori Riuniti, 1964, p. 21.
[2] Ibid., p. 75.
[3] Ibid., p. 212
[4] Ibid., p. 214
[5] Ibid., p. 212
[6] Ibid., p. 213
[7] Loc. cit.
[8] Loc. cit.
[9] Ibid., p. 75
[10] K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, Roma, Editori Riuniti, 1967, p. 18.
[11] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica, cit., p. 178.
[12] Ibid., p. 179.
[13] K. Marx, Il Capitale, I, cit. p. 562.
[14] K. Marx, Salario, prezzo e profitto, Roma, Editori Riuniti, 1961, p. 57.
[15] K. Marx e F. Engels, L'ideologi tedesca, cit., pp. 20 sgg.
[16]K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Roma, Editori Riuniti, 1960, p. 48.
[17] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, cit., p. 175.
[18] K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, cit., p. 20.
[19] Marx a P. V. Annenkov, a Parigi, 28 dicembre 1846, in K. Marx e F. Engels, Opere complete, XXXVIII, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 459.
[20] K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, cit., p. 31.
[21] K. Marx, Il Capitale, I, cit., p. 214.
[22] Loc. cit., nota 5.
[23] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, cit., p. 173.
[24] Ibid., pp. 173 sgg.
[25] Marx a P.V. Annenkov, a Parigi, 28 dicembre 1846, in K. Marx e F. Engels, Opere complete, XXXVIII, cit., p. 462.
[26] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, cit., p. 193.
[27] Ibid., p. 194.
[28] K. Marx eF. Engels, L'ideologia tedesca, cit., pp. 63 sg.
[29] Ibid., p. 341.
[30] K. Marx, Miseria della filosofia, in K. Marx e F. Engels, Opere complete, VI, cit., p. 173.
[31] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, cit., p. 185.
[32] K, Marx e F. Engels, Werke, Berlino, 1961, Bd. 12, p. 118.
[33] K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Prefazione, cit., p. 11.
[34] K. Marx, Il Capitale, III, Roma, 1965, p. 1002.
[35] K. Marx e F. Engels, Werke, Bd 12, cit., p. 3.
[36] W. Liebknecht, Ricordi su Marx, in AA. VV., Ricordi su Marx, cit., p. 67.
[37] Ibid., p. 67.
[38] Marx a Jenny Longuer, 6 giugno 1881, in K. Marx e F. Engels, Werke, Berlino, 1967, Bd. 35, p. 115.
[39] K. Marx, Il Capitale, III, cit., p. 194.
[40] Loc. cit,
[41] K. Marx, II Capitale, I, cit., p. 230, nota 17.
[42] Cfr. ibid., pp. 231 sg., in nota.
[43] Cfr., ibid., pp. 375 sg.
[44] Cfr. K. Marx, La dominazione britannica in India, in K. Marx e F. Engels, India Cina Russia, Milano, II Saggiatore, 1965, p. 58.
[45] K. Marx e F. Engels, Werke, Berlino, 1960, Bd 8, p. 543.
[46] Ibid., p. 544.
[47] Cfr. K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, cit., pp. 49 sg.
[48] Cfr. ibid., pp. 60 sg.
[49] Cfr. K. Marx, Il Capitate, III, cit., p. 400; cfr. anche ibid., pp. 901 sg.
[50] K. Marx, Il Capitale, I, cit. p. 401.
[51] Loc. cit.
[52] K. Marx, La dominazione britannica in india, in K. Marx e F. Engels, India Cina Russia, cit., p. 59
[53] K. Marx, Il Capitale, I, cit., p. 383.
[54] Ibid., p. 402.
[55] K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, cit., p. 43.
[56] K. Marx, Il Capitale, I, cit., p. 402.
[57] Ibid., p. 381.
[58] Ibid., P. 532.
[59] Ibid., p. 415.
[60] Ibid.,p. 413.
[61] Cfr. K. Marx, Storia delle teorie economiche, II, Torino, Einaudi, 1955, pp. 609 sgg.
[62] Marx a Engels, 28 gennaio 1893, in K. Marx e F. Engels, Carteggio, cit., p. 159.
[63] Cfr. K. Marx, Il Capitale, I, cit., p. 391, nota 43.
[64] Cfr. Marx a Engels, 28 gennaio 1863, in K. Marx e F. Engels, Carteggio, IV, cit., p. 159.
[65] K. Marx, Il Capitale, I, cit., pp. 365 sg.
[66] Ibid., p. 380.
[67] Ibid., p. 402.
[68] Ibid., p. 411.
[69] K. Marx, Il Capitale, III, cit. p. 398.
[70] Ibid., pp. 398 sg.
[71] Cfr. K. Marx e F. Engels, L'ideologia tedesca, cit., p. 48.
[72] K. Marx, Il Capitale, I, cit., pp. 390 sg.
[73] K. Marx, Miseria delta filosofia, in K. Marx e F. Engels, Opere complete, VI, cit., p. 195.
[74] Cfr. K. Marx, Il Capitale, I, cit., pp. 390 sg.
[75] Ibid., p. 422 in nota.
[76] Ibid., p. 382.
[77] Ibid., p. 392.
[78] Ibid., p. 412.
[79] Loc. cit.
[80] Ibid., p. 384.
[81] Ibid., p. 412.
[82] Ibid., pp. 424 sg.
[83] Ibid., p. 419.
[84] Ibid., p. 389.
[85] Ibid., pp. 424 sg.
[86] Ibid., p. 393.
[87] Loc. cit.
[88] Ibid., p. 403.
[89] Ibid., pp. 403 sg.
[90] Ibid., p. 399.
 
 

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