www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - scienza - 11-03-22 - n. 821

Il grande fiume in cui tutto scorre. Sul materialismo storico di Gramsci

Tiziano Tussi

11/03/2022

Storia come movimento/amalgama umano che trova la sua definizione nella pluralità dei movimenti degli uomini che vivono sul terreno della praxis.

Questa specie di sottotitolo, stando alla lunghezza, resta come risultato dopo la lettura meditata di alcuni passaggi significativi del libro di Antonio Gramsci Il materialismo storico [1].

Un plateau filosofico che ci serve per cercare di individuare il senso profondo dello storicismo che interessa tutti gli umani che vogliono vivere nel tempo, proprio e futuro. Siamo impregnati di movimento, nostro e degli altri, incartati in esso. Altro non possiamo pensare per l'esistere/l'esistente. Certo vi sono le religioni che ci mettono in relazione ad un Dio, che rimane in ogni caso in un mondo altro, ma sono solo gli altri uomini che ci permettono di vivere storicamente. "Non si può separare la filosofia dalla storia della filosofia e la cultura dalla storia della cultura"; "la propria concezione del mondo risponde a determinati problemi posti dalla realtà, che sono ben determinati e «originali» nella loro attualità". [2]

A molti parrà così scontata tale posizione ma non sembra esserlo se ci riferiamo a tutti i modi di produrre pensieri che non osservano procedure che rimandano ad un mondo non controllabile storicamente, quale è appunto un ipotetico luogo di Dio. Possiamo esemplificare, usando un esempio che ricade nel campo dell'arte. Prendiamo come riferimento una modalità, diciamo così, artistica, ora di moda, nella sua produzione di un'opera che voglia negare un senso artistico permanente, che voglia permanere nel tempo, all'infinito e che per converso, decide di sciogliersi nel tempo medio, in poco tempo.

Forme artistiche, o che si ritengono comunque tali, che vanno verso la loro dissoluzione. Una critica alla permanenza temporale che passa per l'arte. Vediamo ad esempio un'opera di Banksy che si è distrutta al momento della sua vendita ad un'asta londinese, [3] oppure alle cosiddette installazioni, che proprio per loro natura, nonostante la forma che si dice artistica, spariscono una volta trascorso il tempo della loro vita, anche breve. Installazione dà proprio il senso di un qualcosa messo lì che viene installato, ma che poi, passato il tempo utile, a qualsiasi motivo, scompare. Cosa rimarrà allora della storia dell'arte di queste opere?[4] Si può pensare ogni cosa sulla questione ma se non rimane alcuna traccia, se si volatilizza l'opera d'arte in questione, questa non entra a fare parte della storia dell'arte, penso sia indiscutibile. [5]

Un certo senso di inutilità ci resta addosso dopo una tale disamina e un certo grado di inutilità, relativo in questo secondo esempio, lo ricaviamo, sempre da Gramsci, per quanto riguarda il dialetto: "Chi parla solo il dialetto [] partecipa necessariamente di una intuizione del mondo più o meno ristretta e provinciale, fossilizzata, anacronistica in confronto alle grandi correnti di pensiero che dominano la storia mondiale. [] Una grande cultura può tradursi nella lingua di un'altra cultura… storicamente ricca e complessa… Ma un dialetto non può fare la stessa cosa." [6] Ecco che quindi chi parla il dialetto non riesce ad entrare in contatto pienamente con altre cultura, con altre storie, e quindi rimane ai margini della storia mondiale. Certo può esistere una storia dialettale, ma essa peccherà di universalità, resterà parziale. Esempi plurimi sono tutte le comunità di emigranti che si rinchiudono nelle loro comunità di appartenenza, con poche o nulla uscite verso l'altro, diverso da loro, nel posto dove sono arrivati.

Questa contrapposizione, parziale/universale-singolo/massa, fa logicamente parte del substrato di ogni approccio politico comunista. Pensiamo immediatamente all'esergo che chiude Ilmanifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Il richiamo è alla totalità del proletariato, dei proletari. La totalità ci mette al riparo dall'insipienza, anche geniale, della nostra singolarità che non vuole uscire da sé stessa. "Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente è fatto «filosofico» ben più importante e «originale» che non sia il ritrovamento da parte di un«genio» filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali." [7]

Il che non vuole spingere verso la massificazione, come a volere sminuire l'apporto del singolo ad un lavoro in progress, quanto vuole dimostrare l'inutilità di un pensiero che non voglia farsi collettività. Naturalmente viene in mente il celebre passo di Marx: "Evidentemente l'arma della critica non può sostituire la critica delle armi, la forza materiale non può essere abbattuta che dalla forza materiale, ma anche la teoria si trasforma in forza materiale non appena penetra tra le masse." [8] Anche questa indicazione ci riporta verso la storia che diventa tale solo quando si appoggia sulle masse, sugli uomini, al plurale.

Noi viviamo dentro un continuo di storicizzazione che marchia ogni accadimento, anche le ripetizioni di ciò che è accaduto e che riaccade di nuovo. Vi sono motivazioni al suo riapparire e devono essere individuate storicamente. Ma ricordiamo anche il deposito inamovibile del dualismo dell'accaduto e riaccaduto sempre di Marx; tragedia-farsa. Come se Marx avesse voluto timbrare, una volta per sempre, le ripetizioni come farsa di ciò che una volta, olim, era già accaduto come tragedia (Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, 1852).

Quindi leghiamo pure la storia al pensiero che la sorregge, alla filosofia che la innerva. Senza questo legame si è come marionette agitate da fili che neppure si vedono e che forse non ci sono. Il pensiero che sorregge la storia appare come ci dice Gramsci "…un insieme disgregato di idee e opinioni." [9] Questo stare è appunto il segno della differenza tra filosofia scientifica e volgare.

Stante che ogni pensiero, per Gramsci, è degno di essere inserito nel campo filosofico in quanto espressione di una capacità di organizzare il mondo che ci circonda, certamente in livelli di significativa differenza, che allontanano il pensare scientificamente pregnante dal pensare volgare e popolare. Ma pensare come funzione è necessariamente parte di un mondo ben più vasto del pensiero particolare e perciò necessità, per la sua dignità di interpretazione del mondo, proprio dell'apporto degli altri, delle masse degli uomini, con cui veniamo in contatto. In questo caso il significato di "massa" risiede tutto nella pluralità degli individui che la compongono. Perciò, massa come pluralità di individui.

Un riferimento preciso per quanto riguarda il movimento nella vita storica viene dalla religione, da cui si dovrebbero prendere esempi di buona riuscita: "la forza delle religioni e specialmente della chiesa cattolica è consistita e consiste in ciò che esse sentono energicamente la necessità dell'unione dottrinale di tutta la massa «religiosa» e lottano perché gli strati intellettuali superiori non si stacchino da quelli inferiori. La chiesa romana [vuole impedire] che «ufficialmente» si formino due religioni, quella degli «intellettuali» e quella delle «anime semplici». [] I gesuiti sono stati indubbiamente i maggiori artefici di questo equilibrio…" [10] Esempio pregnante tanto che, al contrario:" Una delle maggiori debolezze delle filosofie immanentistiche in generale consiste appunto nel non aver saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i «semplici» e gli Intellettuali." [11]

Nella stessa pagina Gramsci mette a fuoco anche le modalità di lavoro dei gesuiti che sono riusciti a fare digerire posizioni di cambiamento ai due gruppi. Tenere assieme sensibilità tanto diverse rende vincente una pratica politico-culturale in ogni ambito e permette, alla teoria relativa a quella stessa pratica, di proseguire fondata per la propria strada di elaborazione. Insiste sulle modalità di reale azione culturale di una filosofia «viva», che traduce l'aspetto storico in una vita vissuta quotidianamente.

Un comportamento politico difficile, che così appare come è, appunto difficoltoso, ma che è l'unico che riesca a dare tempo di esistenza reale alle storie sociali. Dare tempo significa fare vivere a lungo, almeno a medio termine sicuramente, una direzione di cammino. Solo rotture, anche in questo caso, storicamente fortissime, riescono a fare arrestare tali direzioni.

Per l'esempio che stiamo valutando, la religione, la Rivoluzione francese ha avuto questo disastroso impatto di rottura. Il tempo dell'atto rivoluzionario fu fortunatamente, per la chiesa cattolica, breve e perciò essa riuscì a riprendersi dopo l'attacco frontale che aveva subito nei primi anni della stessa. La ripresa avvenne con difficoltà, ma avvenne. E questo dimostra la grande capacità storica della chiesa.

Il rapporto tra pensiero egemone e fondato nel tempo rispetto a quello che si mette di traverso - leggi: religione versus rivoluzione - rimane vincente per il primo grazie anche alla ripetizione continua di parole [la messa ad esempio] e funzioni che non si stancano di reiterare anche bugie e/o favole. Poi può esservi il genio che interpreta queste ripetizioni allargandone l'impatto, S. Agostino, un Padre della Chiesa, ma è la stratificazione del senso storico profondo, nel senso che indicavamo sopra - intellettuali, anime semplici - che lo fa riemergere; prima o poi arriva alla superficie, a galla. Il momentaneo, l'accidentale può avere anche successo. Ma se rimane tale nel tempo, per poco tempo, passeggero, non ha la possibilità di incidere per l'orizzonte di senso.

Ne esce il senso della storia - su cui si può/deve pensare criticamente come a un grande fiume in cui tutto scorre, anche detriti più o meno pesanti, che riescono a stare nella corrente per un certo tempo per poi inabissarsi, ma la massa di acqua scorre sempre verso il fondo valle, un tragitto razionale e necessario, la fine della corsa è laggiù, laggiù in fondo….

Una necessità di lavoro consiste inevitabilmente, stando alla lontananza da un traguardo fisico della storia, una via senza fine, finché l'uomo è in vita, nello spogliarsi del ruolo del giudice che deve emettere sentenze: "Nell'impostazione dei problemi storico-critici, non bisogna concepire la discussione scientifica come un processo giudiziario, in cui c'è un imputato e c'è un procuratore…" [12] che deve arrivare ad un giudizio. Occorre liberarsi "…dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, del cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista «critico», l'unico fecondo nella ricerca scientifica." [13]

Croce, che rimane un interlocutore di Gramsci in questo quaderno, viene usato per la discussione di vari punti. A questo stadio dell'analisi possiamo dire che Gramsci riprende Croce e la definizione di religione che si fa prassi come filosofia per tutti in quanto prassi consolidata: "…concezione del mondo che sia diventata norma di vita…" [14], prassi. Passaggio che implica una serie di rapporti sociali tra il singolo filosofo, i singoli in quanto tali (che evidentemente si comporteranno singolarmente come credono, attingendo a volta dai filosofi ed a volte essendo influenzati dai movimenti di massa) e che esprimono una loro filosofia nei loro comportamenti; questi movimenti  portano alla creazione del momento storico (cui i singoli possono eventualmente sottrarsi in tutto o  in parte ) e che i filosofi possono accompagnare o precorrere o sottrarsi. Momento storico che rimane e che può essere vissuto così com'è, integrato, negato, esaltato ecc. ecc. "La filosofia di un'epoca non è la filosofia di uno o altro filosofo, di uno o altro gruppo di intellettuali, di una o altra grande partizione delle masse popolari: è una combinazione di tutti questi elementi che culmina in una determinata direzione, in cui il suo culminare diventa norma d'azione collettiva, cioè diventa «storia» concreta e completa (integrale)." [15]

Ecco, perciò, l'elemento imprescindibile della Filosofia creativa che, differentemente da quella percettiva e ordinatrice "…insegna come non esista una «realtà», in sé e per sé, ma in un rapporto storico con gli uomini che la modificano ecc.". [16] La filosofia è l'unico approccio del sapere che è universalizzabile a tutto tondo. Non esiste un'altra capacità di reversibilità così grande. Per questo Gramsci sottolinea costantemente come gli uomini sino tutti filosofi, cioè possano immettersi in un fiume largo di comportamenti. Ogni altra occupazione può allargarsi - porta alcuni esempi sparsi: l'entomologo, il matematico - ma non può pretendere che ogni uomo sia anch'esso al suo livello un entomologo.

Mentre per quanto riguarda la filosofia, potremmo dire, con Gramsci, è nelle cose. Certo vi è differenza di quantità, ma non di qualità. L'approccio filosofico è in fondo quello dello stare in vita e di comportarsi secondo criteri definiti. Certo i criteri possono essere molto dettagliati oppure rozzi. E qui possiamo trovare la differenza tra una filosofia ricca ed una povera. Ma sempre siamo nel campo filosofico. Perciò quando ci chiediamo "Che cos'è l'uomo" [17] in fondo porgiamo una domanda insulsa, nella sua aridità, dato che dovremmo definirla sempre storicamente. Un uomo ora è diverso da un uomo nel passato (quale?) o nel futuro. Questa seconda interrogazione è ancora più imponderabile, dato che si dovrà ancora verificare. Ma ora è ben definibile, diversamente da altri momenti.

Quindi ogni richiesta di soddisfazione di questa domanda necessita parametri storici, altrimenti serve a niente. "L'umanità che si riflette in ogni individualità è composta da diversi elementi: 1) l'individuo; 2) gli altri uomini; 3) la natura." [18] I singoli poco possono fare e solo la riunificazione, per motivi comuni, porta a cambiamenti a volte impensabili: "Poiché il singolo può associarsi con quelli che vogliono lo stesso cambiamento… e ottenere un cambiamento ben più radicale di quello che a prima vista può sembrare possibile." [19] E c'è sempre tempo perché nelle società in cui l'uomo vive vi sarà sempre possibilità di azione dato che "…nessuna società perisce prima di aver espresso tutto il suo contenuto potenziale." [20]

La realtà esistente si mostra a noi tramite noi stessi - conosciamo solo ciò che siamo - ma il come siamo ora dipende dalla realtà che ci circonda e che ci apprestiamo a conoscere e che ci ha trasformato da "sempre" per farci diventare come siamo ora che ci apprestiamo a conoscere a leggere la realtà, ora. Questo è un aspetto psicologico di formazione continua, oltre che politico, attraverso il quale sul campo d'azione e nell'attimo della stessa, interagiamo. La storia si lega con la psicologia di massa e individuale: "Posta l'affermazione che ciò che noi conosciamo nelle cose è niente altro che noi stessi...è difficile evitare che si pensi a qualcosa di reale aldilà di queste conoscenze… nel senso concreto di una «relativa ignoranza» della realtà…". [21] La nostra. Solo noi siamo noi stessi. Ed è solo la connessione con altri che ci salva da un solipsismo degenere. "Si può dire perciò che questo è il nesso centrale della filosofia della prassi. Il punto in cui essa si attualizza, vive storicamente, cioè socialmente e non più solo nei cervelli individuali, cessa dall'essere«arbitraria» e diventa necessaria-razionale-reale." [22]

Ogni momento è unico, rappresenta perciò un risultato non ripetibile assolutamente. Perciò il senso di similitudine va anch'esso ben definito "…«condizioni simili» non esistono perché tra le condizioni è compreso chi opera, la sua individualità ecc. " [23]

Come si vede Gramsci insiste continuamente su questo terreno del movimento storico. Cosa salva allora dall'indeterminatezza e dall'indifferentismo?

Terminiamo qui questo racconto: "La precedenza - del pensiero definito da un singolo, filosofo, n.d.r. - passa alla pratica, alla storia reale dei mutamenti dei rapporti sociali… per il concetto più largo di storicità della filosofia, che cioè una filosofia è «storica» in quanto si diffonde, in quanto diventa concezione della realtà di una massa sociale…" [24]

La socialità nel fare filosofico, a livello storico, definisce la differenza nella produzione del pensiero che si materializza. Quanto più si allarga una interpretazione intellettiva, che nella praxis si distende sul terreno storico materiale, tanto più siamo in un campo veramente storico per l'uomo reale. Ed è solo un approccio materialistico, che ha trovato sistemazione, almeno per il momento, nei cardini del pensiero e soprattutto dei pensatori materialisti, che possiamo rilevare tale approccio alla potenziale socialità del pensiero. E chiudiamo con l'undicesima Tesi su Feuerbach di Marx che invita, dopo aver assistito per secoli al pensare il mondo ed a fermarsi lì, ad un suo cambiamento. Notiamo che Marx non indica quale cambiamento - I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo. [25]

Come si vede si parla di trasformare il mondo, come poi sarà tutto da definire, ma restando nelle modalità di intervento che abbiamo cercato di definire seguendo lo scritto di Gramsci, che si pone decisamente in questo solco delle Tesi. Naturalmente l'undicesima Tesi è il risultato, il resümee, delle altre dieci.

Note:

[1] Antonio Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Editori Riuniti, Roma, 1979. Una ristampa di un testo che si appoggia all'edizione einaudiana a cura di Valentino Gerratana, 1975.

[2] Antonio Gramsci, cit., p. 5.

[3] In questo caso la questione è ancora più complicata. Dopo la distruzione in diretta dell'opera, tagliata in pezzettini da un trita documenti che era stato celato dallo stesso autore nella cornice del quadro, e che è entrato in funzione al momento della vendita, con una quotazione di poco più di un milione di sterline, la vita della stessa opera non è finita. È stata rivenduta dalla proprietaria, dopo tre anni, a 18, 5 milioni di sterline. Un bel groviglio tra prese in giro e pseudo/ arte.

[4] Devo questo punto all'ascolto di un intervento di Vincenzo Trione, analisi proposta alla presentazione di una rivista, a Milano il 22 febbraio 2022.

[5] Immediato è il riferimento al romanzo di George Orwell, 1984, ed al suo Ministero della Verità.

[6] Antonio Gramsci, cit., p. 5.

[7] Antonio Gramsci, cit., p. 6.

[8] Karl Marx, Critica della filosofia di Hegel. Introduzione., 1844.

[9] Antonio Gramsci, cit., p. 8.

[10] Antonio Gramsci, cit., p. 9.

[11] Ibidem

[12]Antonio Gramsci, cit., p. 25.

[13] Ibidem

[14] Antonio Gramsci, cit., p. 26.

[15] Antonio Gramsci, cit., p. 26.

[16] Antonio Gramsci, cit., p. 28.

[17] Antonio Gramsci, cit., p. 32.

[18] Antonio Gramsci, cit., p. 34.

[19] Antonio Gramsci, cit., p. 34 e 35.

[20] Antonio Gramsci, ci., p. 48.

[21] Antonio Gramsci, cit., p. 49.

[22] Antonio Gramsci, cit., p. 50.

[23] Antonio Gramsci, cit., p. 56.

[24] Antonio Gramsci, cit., p. 288.

[25] Karl Marx, Tesi su Feuerbach, Undicesima Tesi. Ecco cosa dice Friedrich Engels a riguardo: "Invece ho ritrovato in un vecchio quaderno di Marx le undici tesi su Feuerbach, che riproduco in appendice. Sono appunti per un lavoro ulteriore, buttati giù in fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, ma d'un valore inestimabile, come il primo documento in cui è deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo." Engels le pubblica, dopo che erano state scritte nel nell'aprile del 1845, come appendice nel suo Ludwig Feuerbach e il punto d'approdo della filosofia classica tedesca, il 21 febbraio 1888. (qui riporto l'edizione italiana degli Editori Riuniti, del 1969). Il passo citato sopra è l'ultimo della prefazione di Engels.


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