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Georges Politzer, martire, militante, intellettuale

Tiziano Tussi

23/05/2022

Gli anniversari possono servire a qualcosa, a volte. In questo caso ci ricorda gli ottant'anni dall'uccisone di Georges Politzer per mano dei nazisti, in Francia, dopo torture che durarono mesi, il 23 maggio 1942. È possibile trovare schede della sua vita in rete e perciò sorvoliamo sui dettagli. Sottolineo solo la sua attività di intellettuale militante nel PCF ed il suo interesse per la psicologia e la filosofia. Il periodo in cui visse, con impegno politico, si stende dagli anni '20 in Francia, sino alla morte. Nello stesso Paese.

Intellettuale sempre in cerca di chiarezza teorica, si distingue nel panorama dell'epoca, particolarmente difficile, attraversata da movimenti ed accordi politici improvvisi e sorprendenti: il patto Molotov-Ribbentrop, ad esempio, che mise a dura prova decenni di lotte politiche, chiare e solide. La nascita di nuove scienze, quali appunto la psicanalisi, che portano nel campo psicologico un nuovo modo di interpretare i "fatti" psicologici, con la presenza imperante di Sigmund Freud e con le rotture con i suoi allievi avvenute nel tempo in cui fu in vita.

Politzer si pone in questo scenario con interessi ben fondati nella psicologia. Da molti riconosciuto poi come un riferimento al riguardo, rispetto agli altri suoi interessi filosofici, ritenuti da più parti come poco innovativi ma tendenti a rimarcare un percorso politico che all'epoca era ben conosciuto. Infatti, il suo libro filosofico maggiore, Principi elementari di filosofia, si basa su appunti di uno studente per il corso di studi del 1935/1936.

Politzer svolgeva l'attività di aggregato che in Francia significa più o meno la possibilità di insegnare anche all'Università. Il suo lavoro lo porta nei licei, è militante del PCF e cerca di mettere d'accordo le sue pulsioni di curiosità intellettuale con i sussulti politici ricordati sopra. L'interesse per la psicologia lo porta a lavorare su di essa partendo da Freud per poi approdare ad una definizione di "psicologia concreta" da mettere in relazione dialettica conflittuale con le altre forme di psicologia, definite genericamente "idealistiche". Portando critiche allo stesso Freud nella sua funzione di meta-psicologo, quando Politzer crede di trovarne traccia, e di approcci psicologici idealistici, soprattutto in Bergson.

Insomma, un lavorio concreto per riportare anche la psicologia sul terreno della materia umana, l'uomo che produce fatti psicologici individuali. Qui appare il livello teorico da mettere a traino del concreto psicologico. Si possono trovare tali modalità di lavoro psicologico nei suoi scritti raccolti nel libro tradotto da Stefano Marzocchi, degli anni 70, esattamente il 1975, per Mazzotta. Testo che si trova con difficoltà, in rete, ora possibile da leggere in questo sito.

L'introduzione di Marzocchi è precisa e pertinente e termina però con una sorta di strada aperta. Marzocchi, citando Politzer ci dice: "«…si confonde in genere la nostra critica dell'astrazione psicologica con la critica dell'astrazione logica […] Noi parliamo di un'astrazione particolare di cui diamo la definizione […] La psicologia concreta non è un nuovo romanticismo.» [] In questo caso, il rapporto col marxismo si può stabilire esclusivamente dal lato del materialismo dialettico, non da quello del materialismo storico."[1] La sottolineatura è sin troppo esplicativa. Qui si raggiunge il mondo dell'uomo, si può vedere in trasparenza la vita dell'uomo, una sorta di esistenzialismo concreto. La storia viene dopo, semmai. E Marzocchi conclude: "… la via verso una maggiore «presa sul reale» è forse quella di una fecondazione reciproca tra le due linee di ricerca. Se infatti da un lato vi è carenza di impostazione teorica generale che affronti i complicati rapporti tra le scienze umane, dall'altro le indicazioni tratte da un ripensamento più approfondito del marxismo non bastano, da sole, a penetrare la complessità dell'analisi psicologica concreta."[2]

Veramente troppe le implicazioni teoriche e strutturali dell'approccio di Politzer per risolverle in un breve scritto ma cerchiamo almeno di definire poche linee di tendenza. Vediamo la parte individuale, che viene ricordata in uno scritto da Michel Onfray del 2021, Coscienze Ribelli. L'analisi condotta vuole mettere in luce la parte maudite (maledetta) dello stesso. Certo bisogna fare la tara all'opera di Onfray, ma il suo approccio scava nella personalità di Politzer, con qualche particolare di interesse. "Nella sua scheda di iscrizione (al PCF, ndr) Politzer si sottopone a una severa autocritica: confessa di essersi sbagliato sul piano intellettuale, prende le distanze dal suo lavoro di psicologia concreta che ormai considera un chiacchiericcio pseudoscientifico, si rammarica di aver cercato di elaborare un pensiero rivoluzionario scorretto perché avrebbe potuto sedurre i borghesi, e, peccato mortale, distogliere le masse dal bisogno della vera rivoluzione che, invece, passa per il partito. Tutto dimostra che egli rinuncia all'intelligenza, allo spirito critico e al suo genio personale, all'epoca molto promettente, per servire un partito che amava umiliare i suoi intellettuali, ai quali rimproverava sistematicamente le loro origini borghesi. Politzer si fa violenza; al tempo stesso agisce da violento."[3]

Onfray segue cronologicamente gli interessi di Politzer che mettono prima, nel tempo, la psicologia e poi la filosofia. Sul carattere violento, quantomeno forte, di Politzer insiste anche Nicole Racine. " Nel gruppo "Philosophies", Georges Poltizer, con un fisico vigoroso, capelli rossi, temperamento violento, ha svolto un ruolo originale; era "forse il più dotato, il più bizzarro, il più oltraggioso", scrive Henri Lefebvre, che ricorda anche la  "grande voracità intellettuale" di Politzer, i suoi "lampi teorici di genio".[4]

Chiudiamo con un altro punto significativo del suo lavoro sottolineato da Etienne Balibar nella prefazione ad un lavoro proprio su Politzer: "la critica althusseriana di Politzer è stata sempre diretta [] a colpire l'illusione che nasceva, secondo lui, dalla pretesa di pensare il «concreto» mediante modalità esse stesse «concrete» (e quindi tautologicamente), alla qual cosa si opponeva, seguendo Spinoza, l'idea che: «Il concetto di cane non abbaia», e conseguentemente, che la scienza del concreto non potesse sorgere dal concreto stesso, ma che al contrario fosse, e dovesse essere, teorica, se non addirittura astratta. Questa convinzione ha guidato tutta la mia formazione. "[5]

Richiamo solo i nomi di intellettuali che si aggirano attorno a Politzer: Lefebvre, Nizan, e ancora, successivamente, attorno ai suoi lavori, Merleau- Ponty e Lacan, Althusser e Balibar. Solo per citare i più conosciuti. Può fare sorridere trovare briciole di riferimento a Politzer qua e là. Due piccoli esempi: a) il primo lo troviamo nel libro di Henri Lefebvre, Critica della vita quotidiana (secondo volume), pubblicato in Francia nel 1961 ed in Italia nel 1977. A pagina 422, nella nota 1 il riferimento a Politzer dice così: "Protesta che si esprime ugualmente nel brillante pamphlet filosofico di Georges Politzer, Le bergsonisme, fin d'un parade philosophique."[6] Tutto qui.; b) un libro di Louis Althusser, Freud e Lacan, raccolta di saggi ed interventi che spaziano dal 1964 al 1975. A pagina 26 salta fuori Politzer: "Di conseguenza, la teoria psicoanalitica sfugge alle antinomie idealistiche classiche formulate per esempio da Politzer, il quale mentre esigeva dalla psicoanalisi (di cui fu il primo in Francia a cogliere la portata teorica rivoluzionaria) che fosse scienza del «concreto», una vera «psicologia concreta», le rimproverava le sue astrazioni: l'inconscio, il complesso di Edipo, il complesso di castrazione, ecc. Come può la psicoanalisi, si chiedeva Politzer, pretendere di essere la scienza del concreto, come vorrebbe e potrebbe essere, se si ostina in astrazioni che altro non sono che il «concreto» alienato in una psicologia astratta e metafisica?"[7]

Qui lasciamo Althusser e riprendiamo Balibar nella prefazione ricordata sopra. Dopo aver lodato il testo che introduce e che gli avrebbe fatto cambiare, in parte, idea, sulle problematiche che abbiamo ricordato ed indicato sopra: "…credo di aver preso coscienza del grado di complessità teorica (e quindi, in un certo senso, di astrazione) che «tale psicologia del concreto» reca con sé. Ho messo meglio a fuoco [] perché fosse sbagliato []  giudicare Politzer, e perciò, a fortiori, condannarlo: è molto più giusto studiarlo, riappropriandosi così dei problemi e delle questioni che lui aveva iniziato ad esplorare, e, in relazione a ciò, ricostruire il momento, la congiuntura intellettuale di cui fu partecipe, di cui fu, a dispetto dell'oblio in cui è caduto, un attore essenziale."[8]

Mettiamo in fila un discorso analitico su un punto significativo che ci propone lo stesso Politzer nel libro qui presentato, che vuole arrivare alla concretezza psicologica: "Ciò che abbiamo detto del lavoro vale anche per il delitto. Il delitto è un fatto psicologico soltanto nella misura in cui, come scena attuale della vita umana, deve venire effettivamente compiuto da uno o più individui. [] L'analisi del delitto, fatto economico-sociale, condurrà ancora una volta lo psicologo all'economia marxista, quindi al materialismo dialettico, di cui ha assolutamente bisogno per svolgere la propria ricerca particolare. [] Questo vuol dire, per esempio, che sarebbe inaccettabile una teoria «interamente» psicoanalitica del delitto, una teoria che dilati la psicoanalisi al di là dei confini della psicologia, non sarebbe che un prolungamento mitologico della psicoanalisi, necessariamente idealista, in quanto sostituirebbe la realtà con un romanzo."[9]

Si vede bene, anche in questo passo, l'insistenza per la riconduzione continua alla concretezza della vita dell'individuo.  Un campo che Politzer definisce come dramma, il campo di esistenza umano, dell'uomo individuo concreto. Ed aggiunge, ancora più preciso, poco dopo: "In altre parole, l'intera psicologia è possibile soltanto se innestata nell'economia. Ed è per questo motivo che essa presuppone tutte le conoscenze acquisite dal materialismo dialettico e deve continuamente ricorrere ad esse. Dunque la vera base ideologica della psicologia positiva è proprio il materialismo."[10]

Interessante e sorprendente sia l'opera di Politzer, nel segno psicologico, sia la sua vita e la morte.  Come ho scritto sopra, materiale di studio e di conoscenza, oltre al libro che Resistenze propone, se ne può trovare in rete ed anche qualche altro libro, che ho indicato nelle note del mio breve scritto, ma ripeto, sorprendente, anche se ci siamo abituati, per gli aspetti di cultura formativa, militante in questo caso, la dimenticanza e l'oblio di tasselli significativi di un periodo culturale storico preciso. Dimenticati idee e uomini, oppure negletti. Occorre un lavoro di scavo per rimettere in circolazione sia le idee sia gli uomini. Georges Politzer rappresenta un limpido esempio di questo lavoro.

Note:

[1] Georges Politzer, I fondamenti della psicologia, Mazzotta, Milano, 1975, dall'introduzione di Stefano marzocchi, p. 29-30.

[2] Ibidem, p. 30

[3] Michel Onfray, Coscienze ribelli. Controstoria della filosofia IX, Ponte alle Grazie, Milano, 2021, p. 35.

[4] Georges Politzer, Nicole Racine, in rete,  https://maitron.fr

[5] Aldo Pardi, Il sintomo e la rivoluzione. Georges Politzer crocevia tra due epoche, manifestolibri, Roma, 2007; dalla prefazione di Etienne Balibar, p. 14.

[6] Henri Llefebvre, Critica della vita quotidiana (volume secondo), Dedalo libri, Bari, 1977. La citazione è alla nota 1, p. 422. Tralasciamo il contesto. Vale la pena rilevare la pochezza della citazione.

[7] Louis Althusser, Freud e Lacan, Editori Riuniti, Roma, 1977, p. 26.

[8] Aldo Pardi, cit., sempre dalla prefazione di Balibar, p. 14.

[9] Georges Politzer, cit., p. 154.

[10] Georges Politzer, cit., p. 155


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