www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 24-04-03

Istituto di Studi Comunisti
Karl Marx – Friedrich Engels
istcom@libero.it
http://digilander.iol.it/istcom/istcom


Sezione Brevi Monografie

Il Sindacato nella Resistenza 1943 –1945


Piano delle monografie
Storia del Movimento Sindacale Italiano 1943-1980
1. Il Sindacato nella Resistenza: 1943-1945
2. L’Unità Sindacale: 1944-1948
3. 1948-1955: Dalla rottura dell’unità sindacale alle elezioni del 1955 delle Commissioni Interne,
4. 1956-1961: Dal Convegno “ I lavoratori ed il Progresso Tecnico” al 1963
5. La ripresa operaia: 1963-1968
6. L’Autunno caldo: 1969-1974
7. 1975-1984: dalla ristrutturazione capitalistica al movimento degli autoconvocati.
8. Monografia tematica: La stagione dei Consigli
9. La contrattazione: dalla centralizzazione alla trattazione decentrata.

Le monografie sono concepite come brevi monografie di max 8-10pagine, ciascuna a scadenza quindicinale a partire da novembre. Lo scopo è quello di aprire un dibattito sull’esperienza del movimento operaio italiano, come momento per una più ampia riflessione sui problemi ed i compiti che stanno dinanzi alla classe operaia:

Centralità Operaia,
Scienza e centralità Operaia,
Limiti della dimensione nazionale e dimensione europea e ‘ transnazionale’: nuovi compiti di una Organizzazione mondiale Sindacale.
Organizzazione del processo produttivo e organizzazione sindacale.


1. Il Sindacato nella Resistenza: 1943-1945
Novembre 2001
Riteniamo utile aprire questa monografia con un elenco anche se parziale, ma sostanziale, delle lotte operaie del periodo in esame.
E’ questa cadenza, è questo ritmo alto della lotta di classe, l’unico in grado di spiegare tutte le scelte che forze borghesi faranno, in grado di spiegare le posizioni che prenderanno, in grado di far comprendere la direzione che gli eventi presero.
Occorrerà sempre tener presente questo quadro di riferimento per cogliere la dinamica del periodo in esame: esso vede la presenza decisiva del proletariato italiano sulla scena politica nazionale, europea e mondiale e ne detterà ritmi, forme e modi.

Scioperi operai dall’8 settembre al 25 aprile 1945.

- 15 novembre 1943  sciopero di tutte le officine metallurgiche di Torino;
- 22. novembre- sciopero di tutte le officine metallurgiche di Torino;
- 23. novembre - sciopero generale a Genova;
- 27. novembre - sciopero dei tranvieri di Genova;
- 1. dicembre - sciopero delle officine metallurgiche di Torino;
- 10. dicembre - sciopero generale nel Biellese, nella Valsesia e nella Val d’Ossola
- 13-21. dicem - sciopero generale nelle officine di Milano;
- 20. dicembre - sciopero generale nella Valsesia e nel Biellese;
- 16-20. dicem bre - sciopero generale a Genova;
- 20-23. dicembre - sciopero a Savona, Vado Ligure ed in tutta la zona industriale della Val Bormida;
- 23. dicembre - sciopero nei cantieri di Monfalcone, nelle officine di Padova e Porto Marghera;

- 13-20. gen. 1944  sciopero di tutte le fabbriche di Genova;
- 21. gennaio - sciopero nelle officine di Varese, Sesto Calende, Bolzano;
- 1-8. marzo - sciopero generale in tutta l’Italia occupata dai nazisti;
- 5. aprile - sciopero generale a Forlì che salvò dalla morte 9 partigiani;
- 5-12 aprile - sciopero generale a Modena
- 1. maggio - sciopero generale a Imola e sciopero parziale in tutte le provincie dell’Emilia;
- 11-12.maggio - sciopero ad Omegna di protesta contro la fucilazione di 14 partigiani;
- 15. maggio - sciopero allo stabilimento Eridania di Genova;
- 20. maggio - sciopero a Parma per strappare alla morte 37 partigiani;
- 20. maggio - sciopero delle mondine nel Pavese e nel Bolognese;
- 30. agosto - sciopero degli stabilimenti s.Giorgio di Genova;
- 1. settembre - sciopero negli stabilimenti Fiat di Torino;
- 10. settembre - sciopero generale dei ferrovieri nel Piemonte – durerà fino al 25. aprile 1945;
- 21. settembre - sciopero generale di Milano;
- 28. settembre - sciopero nelle fabbriche di Torno contro la fucilazione di 7 partigiani;
- 7. novembre - fermata di lavoro in tutti gli stabilimenti di Torino per commemorare la Rivoluzione d’Ottobre;
- 17. novembre - sciopero alle acciaierie Dalmine di Bergamo;
- 18-20. novembre - sciopero delle maestranze Fiat a Torino;
- 21. novembre - sciopero degli operai della Teti e degli operai del porto di Genova;
- 22. novembre - sciopero degli operai della san Giorgio di Sestri:
- 23 novembre - sciopero generale a Milano;
- 29-30.novem. - sciopero generale a Torino e nel Biellese;
- 30. novembre - sciopero generale nel Biellese;
- 1-10.dicembre - sciopero al cantiere navale di Monfalcone, negli stabilimenti di Porto Marghera, in quelli di Vado Ligure ed alla Pignone di Firenze;
- 12. dicembre - sciopero generale nel Biellese;

- 3-4.gernnaio 1945  sciopero generale nel Biellese e nella Val sassera, ad Ovada e Varese;
- 24. gennaio - sciopero di protesta in molte fabbriche di Torino contro le fucilazioni dei partigiani;
- 14. febbraio - sciopero di protesta alla Lancia contro le fucilazioni di partigiani;
- 23. febbraio - fermate di lavoro in tutte le officine milanesi in occasione dell’anniversario della Armata Rossa:
- 11. marzo - sciopero alla Fiat di Torino;
- 10-12 marzo - sciopero a Novara, Vercelli, Aosta;
- 26. marzo - sciopero al cantiere navale s. Giorgio ed alle fonderie Fossati di Genova;
- 28. marzo - sciopero in oltre cento fabbriche di Milano;
- 28. marzo - sciopero generale di 5 giorni nel Biellese contro i rastrellamenti dei partigiani; sciopero alla Viberti di Torino contro la fucilazione di 5 partigiani; sciopero alla manifattura tabacchi di Bologna:
- 10 aprile - sciopero generale a Sesto s. Giovanni.

L’elenco parziale degli scioperi che si ebbero non sono che l’aspetto più eclatante dell’opposizione operaia, a questi vanno aggiunte le decine di migliaia di azioni quotidiane di sabotaggio alla produzione, alle materie prime, al prodotto finito, ritardi nei tempi di lavorazione, rallentamenti per mille e mille scuse e per mille inceppi che si attuavano per rallentare, ostacolare, sabotare la produzione; le migliaia e migliaia di azioni quotidiane nel sabotaggio dei trasporti, nel rallentamento delle consegne e nel ritiro dei materiali prodotti; le migliaia di azioni quotidiane nei quartieri, nei bar, ecc.
Il nemico venne così a trovarsi sotto una costante, quotidiane, fastidiosa azione di opposizione, che ne sfiancava il morale, tagliava le gambe, mostrava appieno tutta l’inutilità della repressione e faceva chiaramente intendere la sconfitta. Il sabotaggio alla produzione era un duro colpo alla produzione bellica tedesca.

Era la fabbrica il centro, il fulcro dell’intera lotta partigiana.
Era la lotta di fabbrica, la classe operaia delle industrie, che costituiva la retrovia e la prima linea della lotta contro i nazisti ed i fascisti. La lotta di fabbrica costituiva al tempo stesso la cerniera tra la città e la campagna, guidava la lotta delle campagne, che si organizzava attorno ai Comitati d’agitazione di villaggio. Era la fabbrica la retrovia della resistenza quella che formava i quadri per la resistenza, tramite la lotta nelle fabbriche venivano reclutati i partigiani e ciascuna fabbrica si faceva carico di un distaccamento partigiano, sostenendolo e provvedendo a fornirgli sempre nuovi partigiani e quadri per la lotta armata contro i fascisti ed i nazisti.
Era la lotta di fabbrica che costituiva esempio e slancio alla lotta delle popolazioni e per tutte le altre categorie: impiegati, lavoratori della sanità, ecc. Era ancora la lotta di fabbrica che teneva impegnate interi reparti tedeschi, sottraendoli così alla lotta contro i partigiani; inchiodando il nemico nelle città e costringendolo a spostare nuove ed altre forze da altri teatri di guerra per tenere sotto controllo le zone industriali dell’intera Italia del centro e del nord. E’ un contributo di vitale importanza: politico e militare che la lotta di fabbrica da.

Le lotte operaie del marzo 1943 segnano un momento di svolte tra le lotte operaie sviluppatesi a partire dall’autunno del 1942 e quelle successive, che sfoceranno nell’insurrezione armata del 25. aprile. 1945. Segnano un salto in avanti dell’opposizione della classe operaia al fascismo, alla guerra, allo sfruttamento. Segnano l’ingresso forte da protagonista del proletariato in quanto classe egemone e dirigente.
Il 5. marzo. 1943 la classe operaia della Fiat incrocia le braccia: è sciopero!
La lotta si estende ben presto alle altre fabbriche di Torino.
Il 14. marzo. 1943 è Porto Marghera.
Il 23. marzo. 1943 sono gli operai della Falck di Sesto San Giovanni.
Alla fine di marzo scioperi ed agitazioni sono diffusi in tutta l’Italia settentrionale, comprese la Toscana e l’Emilia.

L’andamento della protesta seguiva il medesimo andamento, a dimostrazione e conferma di una direzione e di un preciso piano di lotta, partendo da precisi obiettivi di natura economica: salario, abolizione del cottimo, sospensione della produzione durante i bombardamenti, ecc.   approdava a richieste dal significato più propriamente antifascista ed anticapitalistico: il rifiuto della guerra, innanzitutto, e poi il ripristino delle libertà politiche.

Gli scioperi del marzo 1943 ebbero ripercussioni sul piano economico, politico e militare, interno ed internazionale.
Sul piano politico interno decretò la fine di Mussolini. La minacciosa comparsa sulla scena politica della classe operaia spingeva la borghesia a sostituire Mussolini.
La borghesia in verità nutriva ancora illusioni, dopo la pesante ed umiliante sconfitta a Stalingrado, sulla controffensiva di Leningrado che Hitler stava preparando, gettando sul fronte settentrionale un milione e mezzo di uomini, ritirati dai vari fronti, compreso quello d’Africa. Sarà l’umiliante sconfitta dell’offensiva, esauritasi nel giro di 48ore, la controffensiva su Leningrado a nord e quella sul saliente di Kursk a sud, che stringerà in un tremenda tenaglia d’acciaio le armate di tedesche e l’avanzata dell’Armata Rossa verso Occidente, che spingerà la borghesia ad abbandonare Mussolini, il fascismo e tutti i gerarchi fascisti alla loro sorte: 25 luglio. 1943.

Le lotte del marzo 1943 acuirono le contraddizioni nel blocco imperialista, staccando definitamente la piccola e media borghesia dal blocco sociale che aveva sino a quel momento sostenuto il fascismo, liberando forze e rendendole disponibili alla lotta.
Giustamente scriverà l’Unità del 31. marzo 1943:
“ La classe operaia sente che è giunto il momento di riprendere, sul terreno dell’azione, la sua importante funzione di avanguardia del popolo italiano nella lotta contro la guerra ed il fascismo. La coscienza di classe si ridesta e con la coscienza rinasce la capacità di lotta dei lavoratori italiani che vogliono rimuovere dalle loro spalle il pesante fardello di sacrifici e privazioni di una guerra ingiusta ed antinazionale.”.
Sul piano internazionale incrina l’asse Roma-Berlino. L’Italia diventa pericolosa per l’incapacità del regime e della monarchia di tenere il fronte interno e sia anche per il pericolosissimo contagio.
Inoltre indicava a tutta la classe operaia europea la via da seguire ed apre al proletariato ed ai popoli la via della lotta: prendere risolutamente nelle proprie mani le sorti del Paese e dell’Europa, agire da protagonista in quanto classe egemone e dirigente.
Sarà poi sull’onda del marzo 1943 e delle contraddizioni che esso aprirà nel fronte borghese, che si avranno poi le Quattro giornate di Napoli del settembre 1943.

Sul piano sindacale gli scioperi portavano a maturazione definitiva la crisi del sistema corporativo fascista, sconquassandone l’intero edificio oppressivo-burocratico.
Andava così, uno dopo l’altro, in pezzi l’intera struttura del consenso coercitivo della borghesia.

Ma gli scioperi del marzo 1943 che erano stati preparati dai comunisti Umberto Massola e Leo Lanfranco, che avevano coordinato poi gli scioperi di Torino, decretarono anche la fine del lungo dibattito che a partire dal 1926, scioglimento della CGL da parte della direzione socialista di D’Aragona, si era aperto nel movimento operaio e sindacale.
Il dibattito vedeva da una parte la Confederazione Generale del Lavoro, CGL, clandestina, operante in Italia e sotto la guida del Partito Comunista d’Italia, sezione della III Internazionale [ PCd’i ], che sosteneva la necessità di organizzare la classe operaia e non lasciarla sotto l’influenza della borghesia e del fascismo. Di Vittorio sosteneva che c’era spazio nelle Corporazioni fasciste, perché viva rimaneva la contraddizione tra sfruttati e sfruttatori, tra lavoro salariato e capitale e che tali contraddizioni tendevano ad esplodere prendendo le più disparate forme, che toccava ai comunisti interpretarle correttamente, organizzarle e dirigerle e far crescere la coscienza di classe e con essa l’organizzazione della classe, a partire dalle singole questioni delle singole aziende. Questa attività clandestina nelle fabbriche si coniugava con quella dell’organizzazione del Partito Comunista d’Italia, attraverso le cellule sui luoghi di lavoro[1].
Vedremo in seguito tutta l’importanza e centralità di questa scelta fatta nel periodo 1926-1943, che costò la libertà a decine di migliaia di quadri operai.

L’altra posizione era quella sostenuta da Bruno Buozzi, a capo d i una fantomatica CGL in esilio a Parigi.
A giudizio di Buozzi la lotta antifascista non avrebbe potuto in alcun modo essere stata calata all’interno dei luoghi di lavoro, giacché le corporazioni rappresentavano nelle loro funzioni la natura di uno Stato totalitario, che andava scopertamente e risolutamente combattuto.
In questo modo da una parte finiva per “ non disturbare il manovratore”, cioè il regime fascista e Mussolini, in sintonia in fin dei conti con la logica che aveva portato la direzione socialista a sciogliere la CGL e dall’altra la fraseologia di sinistra: “ scopertamente e risolutamente  combattuto“ assolveva al ruolo di provocazione, giacché spingeva quadri ed elementi attivi a scoprirsi, mentre loro, e Buozzi in testa, se ne stava a Parigi.
La posizione assunta di una CGL in esilio è un assurdo in sé, che copriva assai poco nobili intenzioni e teorie: “ non disturbare il manovratore”.
Ma tutto questo poggiava su una ben solida concezione teorica, che costituisce poi l’essenza di tutta la concezione teorica socialista fino ai nostri giorni, quella che negava alla classe operaia qualsiasi ruolo e funzione dirigente e leggeva invece la classe operaia come classe subalterna, in grado di essere massa di manovra e carne da cannone per la classe borghese. Negava al proletariato qualsiasi ruolo egemone e dirigente ed affidava questo alla classe della borghesia. L’intera teoria delle riforme dall’alto rimandava poi a questa concezione teorica.
Gli scioperi del marzo 1943 fecero piazza pulita di questa teoria di Buozzi e dei socialisti e simili ( repubblicani, liberali, cattolici). Confermando in pieno la validità della scelta teorica, tattica e pratica del Pcd’i, poneva bene al centro, ed imponeva a tutti, la centralità operaia.

L’avanzata dell’Armata Rossa verso Occidente stimola la lotta e l’opposizione. La borghesia è costretta alla scelta del 25 luglio: arresto di Mussolini e governo Badoglio.
La lotta di classe conosce nuovi sviluppi e la borghesia con Picardi, ministro del Lavoro del governo Badoglio, crede di poter tornare ad una gestione socialdemocratica e chiama Buozzi a dirigere il sindacato.
Occorreva fare i conti con l’organizzazione comunista salda nelle fabbriche e fu costretto ad affidare a Roveda la sezione degli operai delle industrie ed a Di Vittorio quella del proletariato agricolo: braccianti; Grandi ed altri dell’opposizione borghese in esilio a Parigi facevano da spalla a Buozzi.
Si apre così una fase di transizione che durerà fino alla primavera del 1944: rinascita della CGIL.
Mentre per Buozzi, Grandi ed ‘ i parigini’ l’intento era quello di fornire una base di massa al governo Badoglio e contenere, spezzare, frammentare la spinta della lotta di classe e l’organizzazione operaia;  per i comunisti: Di Vittorio e Roveda costituiva solo una fase transitoria breve, in grado di avviare un lavoro di riorganizzazione sindacale vasto e capillare e di tessere una fitta rete organizzativa provinciale e nazionale in grado di assolvere ai compiti che di lì a poco l’organizzazione sindacale sarebbe stata chiamare a rispondere: la Resistenza.

Già da qui si profila un ruolo poco chiaro della fazione socialista ed in specifico del Partito d’Azione, che si porrà su di una posizione estremistica al fine di sfiancare a sinistra il Pcd’i, nel tentativo di rivendicare a sé la direzione della lotta al fascismo. Il loro atteggiamento sarà deleterio nel corso della Resistenza, quando sotto la bandiera della falsa partecipazione e democrazia si pretendeva che ogni azione militare venisse discussa ed approvata dalle singole unità componenti le brigate partigiane, e la partecipazione dei componenti determinata dalla loro accettazione dell’azione. Questo consentiva molte volte per esempio a Rodolfo Morandi di teorizzare la giustezza dell’astensione dalla battaglie dei singoli, che all’interno di una brigata partigiana, si facevano sostenitori delle sue teorie. Questo Morandi lo andava scrivendo sui giornali. E’ evidente a chiunque quali conseguenze questo può portare sul piano della condotta di un’operazione militare.
Nella situazione sindacale specifica del luglio 1943 i socialisti si facevano sostenitori di una insurrezione generale. Nelle condizioni del 1943 voleva dire il massacro dei lavoratori, stroncare sul nascere tutte le future azioni. Un ruolo grave, che dall’ultrasinistra  assolveva al compito di aiutare la borghesia nella lotta contro la classe operaia.

Il movimento popolare si riaccendeva al Nord il 19. agosto 1943. Gli scioperi partendo da Torino e Milano si facevano subito molto estesi, malgrado la ferocia reazionaria borghese. Esteso era il ventaglio delle rivendicazioni: ferma richiesta della pace, ripristino degli organismi operai di fabbrica, liberazione dei prigionieri politici, fine della disciplina militare.
Dinanzi a tale innalzarsi dello scontro di classe la borghesia deve correre ai ripari: incontrare le delegazioni operaie e cedere alle loro richieste.
E’ un punto alto che viene raggiunto: le lotte avevano segnato un punto di rottura e di non ritorno con il regime fascista e le corporazioni. I socialisti giocano all’ultrasinistra, spostando in avanti i livelli di rivendicazione e bollando l’accordo siglato. Nelle condizioni di transizione dal 25 luglio all’8 settembre si trattava da una parte di non spingere settori della borghesia nelle braccia dei tedeschi, ora che si era alla vigilia dell’accordo dell’8 settembre e dall’altro di non far allontanare i settori più arretrati del movimento operaio e popolare e consentire nel contempo al movimento di consolidare quanto aveva raggiunto, riprendere fiato, stringere nuove reti organizzative e riprendere su di un nuovo piano lo scontro.
Ma i socialisti giocano all’ultrasinistrismo, mentre la componente Grandi-De Gasperi per ora se ne sta in disparte, essi che proprio a partire dal 1924 aveva abbandonato i lavoratori, lavorato per far fallire lo sciopero del 1926 ed avere così la giustificazione per sciogliere la CGL, che per tutto il ventennio fascista aveva predicato la calma e la non necessità di organizzare gli operai sui luoghi di lavoro e da Parigi davano vita ad una irrisoria quanto ridicola CGL in esilio. In questo modo essi bruciavano fasi e momenti successivi, rendevano impotente la classe operaia ed il suo movimento di lotta, per poter poi ripresentare la vecchia pattumiera reazionaria, ossia il vecchio apparato burocratico sindacale prefascista con i soliti nomi.
Ma è la lotta della classe operaia che adesso impone i ritmi dell’azione.

Gli scioperi che a partire dal marzo 1943 si erano sviluppati e dilagati in tutte le fabbriche del centro-nord e del sud avevano spinto ad una forte ripresa dell’organizzazione della classe operaia. Ai vecchi quadri del periodo prefascista si erano andati sostituendo una nuova leva operaia.
Queste lotte avevano trovato nel lavoro di organizzazione e formazione dei quadri, sviluppato negli anni Trenta dai comunisti, svolto nell’assoluta clandestinità, un saldo punto di appoggio e di direzione.
Dinanzi a questo salto di qualità della lotta di classe la Confindustria è costretta a sbaraccare tutto: licenzia Mussolini ed il fascismo e con l’accordo del 2. settembre liquida definitivamente le Corporazioni e deve accettare di reintroduzione l’organizzazione sindacale dei lavoratori:
la Commissione Interna.
All’indomani dell’8 settembre e con l’occupazione tedesca dell’Italia del centro-nord e l’occupazione angloamericana nel sud e nelle isole la lotta di classe si diversifica.
La repubblica fantoccio di Salò conosce da subito il nuovo clima politico:
il 2 novembre 1943 alla Breda di Milano l’agitazione si estende ad altre fabbriche, le lotte chiedevano la corresponsione del salario anche per i periodi di interruzione forzata del lavoro. Ma è a Torino, ed ancora una volta alla Fiat, che la protesta operaia divampa a livello di massa e ripetutamente tra il 18 novembre ed il 1 dicembre, avendo al centro la richiesta della sospensione del lavoro durante i bombardamenti aerei. Da Torino le agitazioni ritornano su Milano prima e poi a Genova, dove la sollevazione operaia raggiungeva una qualità di lotta mai vista in precedenza e che aveva dovuto far fronte e respingere la sanguinaria repressione fascista, con le armi naziste, di due operai e poi la fucilazione in gennaio di altri 7 operai e la deportazione in massa di interi reparti produttivi in Germania. Ed è nel fuoco di questo scontro di classe che si formano i Comitati Sindacali Clandestini, espressione della volontà di unità e di lotta della classe operaia.

L’intensificarsi della lotta di classe e la nuova situazione politica pongono nuovi problemi di direzione ed organizzazione.
Nell’Italia del centro-nord occorreva ritornare alla clandestinità, ma essa si poneva in maniera diversa da quella che si era avuta negli anni 1926-1943. Era cioè una forma diversa di clandestinità: una era della fase di resistenza all’offensiva capitalistica ( 1926-1943 ), l’altra era invece la forma nella fase dell’offensiva operaia. L’organizzazione doveva essere sufficientemente elastica per poter consentire all’offensiva operaia di espandersi in qualità e quantità, in grado di abbracciare ed unificare i temi rivendicativi, quelli politici fino ad includere quelli insurrezionali e della centralità operaia, agendo cioè su tutti i possibili sviluppi, che la lotta avrebbe posto. Questo richiedeva l’esistenza di un apparato di quadri, in grado di dirigere la nuova e fortemente mutevole situazione: i repentini alternarsi di momenti di attacco, difesa, resistenza, ecc.
Questi quadri non potevano essere forniti all’istante, dovevano essere stati formati in precedenza sul piano teorico generale. Doveva infine essere sufficientemente estesa e capillare.

L’altro punto era il rapporto tra attività sindacale e Resistenza e quindi il rapporto con il CLNAI ( Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ); il rapporto tra lotta operaia e lotta di liberazione, tra fronte di fabbrica e fronte partigiano. Queste lotte e questa organizzazione, diretta dai quadri formatisi durante la dittatura terroristica del capitale finanziario ( fascismo ), impressero all’interno del CLNAI la centralità operaia, imponendo la direzione operaia alla lotta antifascista.
Nell’Italia del centro-nord l’organizzazione sindacale è il Comitato Sindacale clandestino, che prenderà il via agli inizi del 1944, ma che si era ampiamente legittimato sul campo, negli scioperi del novembre-dicembre.
Nell’Italia meridionale e nelle isole, invece, il movimento operaio e sindacale procede per altre vie.
Già verso la fine degli anni Quaranta si era accentuata la disgregazione del blocco sociale agrario, diveniva ora inarrestabile la disgregazione dei rapporti agrari tra la grande proprietà latifondista, gli affittuari, i piccoli proprietari terrieri ed i braccianti. I nuovi meccanismi che si determinano nella fissazione dei prezzi agricoli favoriscono la rendita agraria e speculativa a danno della massa dei piccoli proprietari. Questo determina  una massa crescente di piccoli proprietari impoveriti, gettati al rango del proletariato. Una massa questa che va ad aumentare quella del lavoro precario e giornaliero che preme sulle città.
Questo determina lo sviluppo del movimento di lotta nelle campagne: Foggia, Campobasso, Matera, Cosenza, Salerno, Bari, Brindisi che si combina con il movimento di lotta operaio nei nuclei industriali di Napoli, Taranto, ecc. e con quello del movimento popolare nelle città.

Città e campagna sono così in movimento al Sud come nell’Italia del centro-nord con forme, tempi e modi diversi, ma entrambi convergenti nella lotta per la modifica dei rapporti di produzione e lotta contro il fascismo ed il nazismo.
In questa complessità città-campagna, lotta anticapitalistica e lotta per la pace, in questa diversa e complessa interazione dei movimenti di lotta al sud ed al cento-nord d’Italia avviene lo sviluppo del movimento sindacale. L’animarono anime diverse e contraddittorie.
Su questa diversità vengono ad articolarsi gli indirizzi diversi che gli angloamericani, cattolici, socialisti e comunisti tendono ad imprimere al movimento operaio e sindacale ed entro cui matura il patto di Roma, che costituirà il superamento dell’accordo Buozzi del luglio ’43 e la nascita della CGIL nell’aprile 1944.

Già qui si delineano le linee strategiche delle tre componenti che daranno vita alla CGIL: la democristiana, la socialista e la comunista e delle tre organizzazioni sindacali: CGIL, CISL, UIL.
Si delineano già qui le interconnessioni tattiche tra democristiani e socialisti e l’unitarietà del loro piano strategico. Sostanzialmente la componente democristiana è quella che ha il ruolo dirigente, che segna la direttrice di marcia, mentre la socialista ha il duplice ruolo in supporto alla democristiana o nella forma dell’ultrasinistrismo, con il compito di sfiancamento della comunista, o ultra destra al fine di rendere credibile, o quantomeno accettabile, la proposta democristiana ed al tempo stesso cortina fumogena degli intenti strategici che entrambi perseguono, pur nella diversità tattica. Una disamina a parte va condotta  - ma qui la diamo per data – circa il ruolo e la funzione del sindacalismo americano AFL-CIO sul sindacalismo democristiano e socialista: finanziamento, formazione quadri, ecc.
Già da qui si diceva.

Infatti i socialisti proponevano il sindacato unico ed il riconoscimento giuridico dal governo. Mentre gli fa eco la posizione dei democristiani di Grandi-De Gasperi che volevano invece garantire la preminenza degli organismi verticali su quelli orizzontali. Questo significava la negazione di qualsiasi ruolo della partecipazione democratica dei lavoratori, imponendo nel contempo il vecchio apparato sindacale prefascista: risuscitando così vecchie cariatidi e loschi figuri, facendo infine chiaramente intravedere quale era la loro idea dopo la guerra: un semplice ripristino del vecchio apparato monarchico-reazionario. Inoltre essi chiedevano di fissare sul piano statutario norme rigorose per l’attuazione del diritto di sciopero e che negassero, inoltre, l’intervento del sindacato nelle questioni politiche.
Di Vittorio-Roveda si oppongono sia alle posizioni De Gasperi-Grandi e sia a quelle socialiste.
Essi sostenevano, giustamente, che il riconoscimento giuridico del sindacato equivaleva a mantenere in vita il vecchio apparato riformista della burocrazia sindacale prefascista a danno di una reale partecipazione alle decisioni da parte della classe operaia. Entrambe le posizioni mostravano appieno tutta la loro natura liberticida, entrambe perseguivano lo stesso obiettivo strategico di rimettere in sella il vecchio apparato burocratico sindacale prefascista, di cui essi in prima persona ne era parte, mettere da parte la classe operaia, riconducendola al ruolo di subalternità alla borghesia in
quanto massa di manovra e carne da cannone

Risuscitando uomini, strutture e mezzi perseguivano l’obiettivo di svuotare di qualsiasi contenuto democratico e programmatico la CGIL e vanificare il ruolo della classe operaia, riducendo la massa operaia  a cassa di risonanza per il carrierismo opportunistico-burocratico di questi individui e loro comparielli. La posizione assumeva in verità una ben grave dimensione se inquadrata nel momento storico in cui veniva formulata: una posizione del genere avrebbe spezzato sul nascere tutto lo slancio delle lotte operaie, non solo imponendo vecchi figuri compromessi con il fascismo, ma demoralizzato il movimento rivoluzionario negandogli qualsiasi ruolo e funzione nei processi decisionali.
Costituiva cioè un attacco collaborazionistico: sfiancava le lotte operaie, demoralizzava le proprie fila, forniva al nemico strumenti forti di repressione. Il loro obiettivo principale non era tanto la liberazione del Paese dai criminali fascisti e nazisti, quanto quello di lottare contro la classe operaia in ogni modo possibile: aperto o subdolo, armato o parolaio.
Per ora sotto il possente incalzare delle lotte operaie, con il profilarsi alto della centralità operaia, la questione viene spazzata via: la classe operai in piedi ha facile gioco di queste trame cospirative e gli stessi socialisti e democristiani sono costretti a camuffarsi da amici dei lavoratori e del popolo italiano, ed impone l’unità e la direttrice di marcia verso un sindacato unitario dei lavoratori.
In questo precisa situazione tattica la posizione socialista assolve al ruolo di cortina fumogena per quelle ben più gravi di De Gasperi-Grandi .

Il Patto di Roma
Lo sviluppo alto della lotta di classe rintuzza le aspirazioni democristiane e socialiste ed impone di giungere alla nascita della Confederazione Generale Italiana del Lavoro il 4. giugno 1944.
Al Partito d’Azione viene affidato il compito di mantenere aperte le porte del dissidio e della divisione; questo da posizioni ultrasinistre avanza critiche, sospetti, cautele, pregiudiziali.
Anche questa posizione assume una gravità eccezionale: il popolo lavoratore era in lotta contro un nemico feroce e spietato, l’importanza della costituzione di un sindacato di tutti i lavoratori, il segnale forte di unità di tutte le sensibilità e convincimenti politici in un unico grande sindacato costituiva un contributo forte per la lotta, una spinta in avanti. Il lavoro svolto invece dal Partito d’Azione agiva nella direzione opposta: seminava sfiducia, seminava il veleno dei sospetti. L’unico risultato di una tale azione in un momento decisivo di scontro armato poteva essere solo quello di demoralizzare le forze, sfiancarle, e consegnarle così alla ferocia nazista e fascista.
Ma essi non erano nessuno e non avevano alcun legame con la classe operaia per cui non fecero danno alcuno: ma questo non toglie la gravità dell’azione condotta: non vai mai dimenticato il grave momento costituito dalla preparazione delle forze per l’assalto decisivo contro il nazismo ed i loro servi fascisti.

A fianco di questa azione del Partito d’Azione si articola l’opposizione democristiana nella forma della cautela, ma che annuncia già i futuri motivi della lacerazione e delle divisioni.
Essi portano avanti la polemica pubblica, provvedendo così ad informare bene e nei dettagli il nemico delle divisioni interne al fronte di lotta antinazista, di cui la propaganda hitleriana se ne avvarrà nel disperato tentativo di sfiancare e demoralizzare la classe operaia, i contadini ed il popolo italiano in lotta. Tentativo disperato ma vano: ma resta la gravità di Grandi che il 13. giugno 1944 in un articolo sul Popolo espone le riserve, le divergenze e l’opposizione e la forma molto condizionata dei democristiani alla nascita della CGIL.
L’articolo tra l’altro espressamente dichiara in tono minaccioso che prelude a scissioni:
“ Ma se per deprecabile evento l’accordo [ sulle questioni ancora controverse: sciopero e preminenza struttura verticale ] dovesse fallire ogni corrente sindacale riprenderà la sua libertà d’azione .. “
Ciascuno può valutare da solo il vero senso di una tale dichiarazione espresso nel giugno 1944, mentre furiosa si abbatteva la belva nazista sul popolo lavoratore italiano che in tutte le forme: sindacali, politiche e militari si opponeva.
Ma questa è già la scissione annunciata del 1948!

Aspetteranno i democristiani tempi migliori.
Atteggiamento diverso viene utilizzato nell’Italia meridionale, posta sotto l’occupazione militare delle truppe angloamericane. Qui sotto il diretto controllo ed egemonia statunitense e del sindacalismo americano AFL – CIO e con il sostegno esplicito e attivo delle gerarchie reazionarie vaticane viene data vita ad una Confederazione Generale del Lavoro. Se ne facevano promotori esponenti del Partito d’Azione – sempre pronto! – che avevano trascorso l’esilio in America ed in Inghilterra, da vecchi quadri del sindacalismo prefascista ed esponenti socialisti: tutti uniti nell’opposizione alla Confederazione Geniale Italiana del Lavoro, ponendosene in netta antitesi.
Il sostegno angloamericano e delle alte gerarchie reazionarie vaticane deve pur dire qualcosa!
In realtà questa costituiva il terzo braccio della tenaglia che doveva stritolare la nascente CGIL.
Come le precedenti due anche questa era di una gravità eccezionale: costituivano tutte e tre espliciti e dichiarati sostegni alla belva nazista. L’odio sincero contro la classe operaia in lotta li faceva preferire di aiutare la ferocia sanguinaria nazista anziché dare un aiuto al popolo in lotta contro i traditori fascisti e gli occupanti tedeschi.

Lo scontro divenne particolarmente forte man mano che si procedeva verso la costituzione della CGIL: era affidato ad essi, posti sotto la protezione delle armate angloamericane, che occupavano l’Italia meridionale, il compito di assalto violento e truculento.
Ma proprio la loro manovra scoperta, la rozzezza dell’attacco che gli angloamericani affidano loro, è la causa del loro essere spazzati via e senza tante cerimonie, e finiranno per essere scaricati dai loro mandanti.
Era questo un tentativo angloamericano di spezzare il fronte dell’opposizione ed al tempo stesso iniziare una penetrazione silente, un agganciare uomini e strutture con ampi mezzi finanziari e prospettive premianti. Questa linea di opposizione violenta alle lotte della classe operaia costituiva un momento tattico della direttrice strategica di sconfiggere la classe operaia, demoralizzarla, spezzare la resistenza operaia: sindacale, politica e militare per giungere alla conclusione della guerra in una maggiore posizione di forza la fine di sottomettere maggiormente l’Italia ai destini e voleri dell’imperialismo americano. Esso si coniugava con altri momenti:
* il proclama Alexander, che imponeva il disarmo dei partigiani;
* aiuti scarsi, molto condizionati, di pessima qualità ed efficienza: non raramente le armi si rivelavano difettose, si inceppavano durante le azioni di guerra o scoppiavano tra le mani dei partigiani, ecc. ecc. e gli ‘ aiuti’ erano molto discriminati tra le varie forze, le munizioni in gran parte scadenti ed i viveri di pessima qualità ed assolutamente scarsi;
* l’azione di rallentamento nell’avanzata degli angloamericani all’80% non trovava alcuna giustificazione sul piano militare, l’unico risultato che otteneva era quello di consentire alle milizie fasciste e naziste di abbattere la Resistenza in quel luogo.
Ed in fatti in molte azioni di ritirata i tedeschi mostravano molta sicurezza nell’attardarsi per esecuzioni e massacri di partigiani e popolazioni, mentre avevano il ‘ nemico’ angloamericano alle spalle;
* azione di contatto  e collaborazione con le forze naziste al fine di frenare, ostacolare, distruggere forze partigiane ed il movimento di lotta della classe operaia: una di queste forme era costituita dal ‘ lancio’ di aiuti, che nel modo e nella forma in cui avvenivano, e per l’alta perdita di uomini che si aveva, fanno chiaramente intendere che i tedeschi erano lì ad aspettarli o perché sapevano o perché per la lentezza e la forma erano facilmente individuabili e quindi in grado i tedeschi di appostarsi per imboscate. Dopo un po’ di questa storia le forze partigiane molte volte non si presentavano all’appuntamento del lancio, ma aspettavano le truppe germaniche che razziavano quanto gli ‘ alleati’ avevano paracadutato e lì infliggevano dure perdite ai tedeschi.

Molte volte con la scusa di coordinare le azioni, imponevano loro ufficiali che facevano opera di disgregazione, sabotaggio, demoralizzazione e delazione ai tedeschi. Molti sono i casi di brigate partigiane che hanno dovuto cacciare tali ‘ consiglieri amici’; nella maggior parte li tenevano all’oscuro e non consentivano loro di seguirli nelle azioni partigiane con vibrate proteste dell’alto comando alleato al CLNAI.

Lo sviluppo imponente della lotta di classe, che era ormai saldamente nelle mani del proletariato italiano, diretto dal Partito Comunista d’Italia e che vedeva nella fabbrica il centro decisivo dell’intera azione sindacale, politica e militare impone a tutti i ritmi del proletariato.
Chi tenta una minima opposizione è spazzato via.
In queste esatte condizioni politiche e militari, ossia con la classe operaia in piedi nelle fabbriche ed in armi, si svolge il primo congresso della Confederazione Generale Italiana del Lavoro, che raccoglie l’eredità della Confederazione Generale del Lavoro, che aveva continuato ad esistere sotto il fascismo ad opera della tenacia degli operai comunisti.
I nemici del proletariato sono costretti a camuffarsi e ad accettare la convocazione e lo svolgimento del 1° Congresso della C.G.I.L.
Esso si tiene in due fasi: il 15-16 settembre 1944 si tiene il Convegno delle organizzazioni sindacali dell’Italia liberata e poi quattro mesi dopo il 1° Congresso delle organizzazioni sindacali svoltosi a Napoli dal 28. gennaio al 1° febbraio. 1945.
Lo sfalsamento dei tempi di quattro mesi è determinato dalla presenza del falso sindacato messo su dagli angloamericani con la complicità del Partito d’Azione, socialisti e agenti del vecchio sindacalismo prefascista e delle alte gerarchie del Vaticano.
Il Congresso conferma appieno le indicazioni e le linee programmatiche e statutarie dei comunisti, spazzando via le tesi socialiste sul sindacato unico e quelle sul diritto di sciopero e le strutture verticali democristiane. Di Vittorio sarà eletto Segretario Generale della Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Sarà il Sindacato di tutti i lavoratori ricostituito a dirigere gli ultimi mesi della lotta operaia contro i fascisti ed i tedeschi, ad avere un ruolo centrale nell’insurrezione generale del 25. aprile.
Si tende in generale a sminuire l’importanza del Sindacato di tutti i lavoratori in questa ultima fase della lotta. Ancora una volta una borghesia pavida e mentecatta che aveva gozzovigliato al banchetto delle armate germaniche che occupavano il suolo italiano con commissioni e profitti, adesso dinanzi alla disfatta fuggono, cercano riparo all’estero in Svizzera o sotto le armi angloamericane.
Questi mentecatti non opporranno alcuna Resistenza ed abbandoneranno le fabbriche al nemico senza alcuna preoccupazione se non quella di portare in salvo se stessi ed i soldi che avevano arraffato con il collaborazionismo e preoccupati di distruggere incartamenti che li potessero compromettere nell’Italia post-1945. Molti dei figli di questi ricchi borghesi verso la fine del 1944 pensano bene di acquistare qualche credito aiutando i partigiani e la Resistenza, alcuni sul finire della guerra aderendo con funzione del tutto subalterna e secondaria alla Resistenza stessa, ma ben pronti a far pesare questo trasformismo dell’ultim’ora. Ma essi non si preoccupano affatto delle sorti del Paese. Spetta ancora alla classe operaia italiana, al proletariato italiano, farsi carico dei problemi non solo di accelerare la fine della guerra, ma di provvedere al futuro del Paese stesso. I tedeschi nella ritirata tentano disperatamente di portare via i macchinari e distruggere materie prime e quanto potesse essere utile per la ricostruzione alla fine della guerra oramai imminente. Mentre i caporioni mentecatti borghesi pensano a salvare la loro pelle, la classe operaia provvede a smontare interi macchinari, o privarli di elementi centrali, rendendole così inservibili, salvando così il patrimonio tecnico ed industriale del Paese premessa fondamentale per la ripresa. Ai borghesi non resterà, finita la guerra, e sotto la  protezione delle armi dell’esercito occupante angloamericano, che presentarsi e rivendicarne la proprietà, mentre non se ne erano preoccupati affatto prima.




[1] Atti e risoluzioni del III Congresso, Lione 1926, del IV Congresso Basilea, 1933.

  Atti, risoluzioni dell’Internazionale Comunista.