www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 08-11-06

da La Rinascita della Sinistra, n. 40, 3 novembre 2006
 
Siamo al rovescismo
Intervista ad Angelo D'Orsi
 
di Paola Moroni
 
Angelo d'Orsi, è docente di storia all'università di Torino. In polemica con Giampaolo Pansa ha contestato il "rovescismo" come fase finale del revisionismo.
 
Professore perché in questo momento tanti comunisti fanno il mea culpa.
C'è una corsa alla damnatio memoriae del partito comunista. Trovo pazzesco che si confonda il Partito comunista italiano con la storia del partito comunista internazionale. A partire dalle cannonate di Bava Beccaris, la difesa dello Stato liberale in Italia è stata fatta dai socialisti e dai comunisti. L'esecrazione della Resistenza è scandalosa ed è scandaloso il fatto che tanti comunisti facciano la gara ad assumere una posizione difensivistica quando non buttano fango sulla storia gloriosa del partito comunista. Non si possono scegliere singoli episodi dimenticando i contesti.
 
In quel caso si tratta di cronaca.
La storia va a contestualizzare. Non ha nessun senso dire ci sono stati 100 o 1000 morti senza collocarli in un contesto. Tutte le rivoluzioni hanno prodotto morti e tutte le rivoluzioni hanno prodotto anche ingiustizie. Bisogna guardare l'esito. I processi storici hanno le loro logiche inesorabili.
 
Dove finisce il lavoro dello storico e dove comincia l'uso politico della storia?
La storia ha un nesso strettissimo con la politica ed è sciocco negarlo. Sono favorevole all'uso pubblico della storia contrariamente a quanto pensava il filosofo tedesco Habermas che invece temeva un inquinamento. Credo che debba uscire dai luoghi della ricerca e debba arrivare al popolo, in piazza. Sono invece contrarissimo all'uso politico della storia perché è tutta un'altra vicenda. In questo in Italia siamo all'avanguardia. Politici, commentatori, opinionisti ricorrono alla storia considerandola una specie di supermarket in cui tutto si può prendere a basso prezzo operando delle disinvolte analogie, delle totali decontestualizzazioni.
 
Questo è quello che sta accadendo con l'ingresso sul mercato di fiction, trasmissioni e libri su episodi storici.
Risulta da alcune ricerche che il nostro Paese negli ultimi 15 anni è quello in cui l'uso politico della storia è stato più alto. Questo si vede: un qualunque Berlusconi può dire delle scempiaggini su quel piano. Petacco prima, Pansa dopo e Vespa, sono abnormi fenomeni di uso politico della storia che nulla hanno a che fare con la ricerca storica. La storia come storiografia è una scienza che si fonda su uno statuto disciplinare che è stato costruito se non da Erodoto almeno a partire da Tucidide ed è stato poi perfezionato negli ultimi 3 secoli. Ha un compito preciso: quello di assicurare una conoscenza dei fatti realmente accaduti. La storia non è Porta a Porta, a cui ho rifiutato di partecipare, e le note non sono un ghiribizzo degli accademici. Con Pansa ho avuto la stessa polemica sulle note che il partigiano e grande storico Marc Bloch aveva avuto coi giornalisti del suo tempo.
Le note sono la possibilità che lo studioso serio, non Pansa, non Vespa, ma attenzione Vespa, come ha scritto Sergio Luzzatto sul Corriere, troneggia rispetto a Pansa come un gigante della storiografia, offre al lettore per dare a lui stesso la possibilità di verificare che quello che si racconta non è frutto della fantasia ma è documentato.
 
Che tipo di uso politico della storia si sta facendo in Italia, date le autobiografie di militanti del Pci, i mea culpa sui fatti d'Ungheria e di Praga e i libri sulla resistenza di giornalisti di sinistra?
Le coincidenze insospettiscono. Certamente Pansa e gli altri come lui hanno fiutato l'aria, hanno fiutato il vento. Dopo il mio articolo sul rovescismo ho ricevuto numerosi insulti.
 
Ha creato un dibattito.
E' in atto un cupio dissolvi di ciò che rimane del comunismo italiano. Anni fa nel 1999 alla cerimonia della fondazione Gramsci a Roma Veltroni, allora segretario dei Ds, fece un intervento di carattere neo liberal che gelò la sala. Disse mentre si celebrava il cinquantesimo anniversario della fondazione Gramsci: «Gramsci non ci appartiene più, noi siamo arrivati a Rosselli». Veltroni è un uomo ignorantissimo dato che Rosselli, aveva teorizzato la rivoluzione in Italia ed è stato quello che ha incitato ad imbracciare il fucile. Gramsci è un gigante del pensiero riconosciuto a livello internazionale. C'è un cupio dissolvi che tende a nascondere, a dimenticare e rovesciare il passato. Ma possibile che nessuno di costoro sia stato comunista, erano tutti liberali?
 
Una tendenza a mistificare e a rendere tutto ambiguo.
E' la tendenza a creare un senso comune per cui tutte le opinioni sono lecite. La storia viene ridotta al rango di luogo di opinione, di salotto televisivo, in questo salotto tutte le opinioni hanno lo stesso peso. Il giudizio dello storico fondato sui documenti, su una ricerca sistematica che li ha dimostrati autentici, vale come quello di un qualunque opinion maker di un giornale, un Galli della Loggia qualunque o di un Pansa qualunque e si crea un senso comune per cui le ragioni della Resistenza equivalgono a quelle di Salò.
 
Una situazione paradossale.
Non si può fare di tutta l'erba un fascio e buttare tutto a mare cancellando la propria storia, la propria personalità e vergognandosi delle proprie scelte. Bisognerebbe certo riconoscere gli errori ma ricordandosi sempre che il Partito comunista ha difeso la democrazia in Italia contro i tentativi autoritari prima, contro il fascismo poi, contro quello che Nelio Basso, quando era un comunista, definì un nuovo regime: quello della democrazia cristiana. Non si può dimenticare il ruolo storico che i comunisti hanno avuto in tanti momenti difficili della storia italiana. Sono medaglie al merito le migliaia di morti dei comunisti, i partigiani rossi, e bisogna ricordare che la Resistenza è stata soprattutto dei comunisti. Un'altra verità è che la seconda guerra mondiale è stata vinta grazie al sacrificio di 25 milioni di sovietici.
 
Dove andremo a parare?
A furia di arretrare si lascia il campo all'avversario, più si arretra e più quelli avanzano. Io non faccio una battaglia politica, io faccio una battaglia culturale e cerco di difendere la verità dei fatti, la verità della storia, il mio compito è quello.