www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 17-02-08 - n. 215

Ci associamo alle parole di Bruno Casati, nel ricordo commosso di Alessandro Vaia, che fu per noi indimenticabile maestro di militanza e di vita. E rivolgiamo il nostro pensiero a Stellina, Franco e Vladimiro, con l’affetto di sempre.
Sergio Ricaldone, Fausto Sorini e Mauro Gemma insieme a tutta la redazione di Resistenze.org
 

da Liberazione del 17/02/2008
 
Alessandro Vaia: più di un ricordo
 
di Bruno Casati
 
17 anni fa ci lasciava il fondatore di Rifondazione Comunista a Milano.
 
Cosa avrebbe detto Alessandro Vaia dinnanzi alla querelle della falce e martello da rimuovere o meno dai simboli? Penso di saperlo, ma questo è il primo pensiero (banale fin che si vuole) che è affiorato nella mia testa nel ricordare, oggi, la scomparsa, ben 17 anni fa, di un grande dirigente del movimento operaio. Con ben altri pensieri e sentimenti lo ricordano la moglie Stellina, il figlio Franco, i parenti e i tanti compagni e compagne a partire da quelli che in quel di Precotto, quartiere di Milano, gli hanno dedicato il Circolo di Rifondazione Comunista.
 
Alessandro Vaia era un dirigente di primissimo piano del Pci, partito al quale decise di iscriversi “in una bella e tiepida giornata di settembre del 1925”. Anni durissimi quelli. Mussolini, superata la crisi intervenuta dopo il delitto Matteotti, andava verso la fascistizzazione dello Stato, con gli aventiniani allo sbando ed il movimento operaio abbandonato a se stesso. Erano gli anni in cui Antonio Gramsci, con un piccolo nucleo di rivoluzionari – come Togliatti, Terracini, Scoccimarro – gettava le basi del grande partito che sarebbe esploso dal ‘43 in poi.
 
Ma è in quella “bella e tiepida giornata” di settembre che parte la storia politica assolutamente straordinaria di Alessandro Vaia. Lui stesso ce la racconta, senza alcun compiacimento, in quel bellissimo libro di storia che è “Da Galeotto a Generale” (Teti Editore, 1977) che Luigi Longo introduce. Libro di storia prima ancora che libro politico. Vi si descrive l’Italia del tempo. L’Italia dei braccianti a giornata e degli operai poveri di una Milano che raramente ho visto rappresentata con tanto amore. Solo Teresa Noce ci descrive la Torino dell’epoca, la città delle sartine e degli operai, con tanta efficacia. Ma è anche l’Italia in cui i comunisti sono incarcerati. E Vaia è recluso a Gaeta per 5 anni. Poi espatria clandestinamente, prima in Francia, poi a Mosca e infine in Spagna, dove incontra un giovanissimo Giovanni Pesce, e diventa comandante di una delle Brigate Garibaldi. Poi ancora il carcere, l’evasione, il rientro in Italia, il comando della Divisione Garibaldi e poi, a Milano, Commissario di guerra del Comando Piazza, quello che guida l’insurrezione del 25 Aprile. Poi infine con molte responsabilità politiche nel Pci e, in seguito, fondatore della casa Editrice Aurora, di Interstampa, del centro Culturale Concetto Marchesi, sino all’annunciata nascita del Movimento per la Rifondazione Comunista.
 
Questa però è storia, del resto assai nota almeno per quella generazione di militanti comunisti di cui Vaia fu fratello: da Giuseppe Sacchi a Jone Bagnoli, da Saverio Nigretti a Sergio Ricaldone sino ai compianti Osvaldo Muzzana e Alberto Cavallotti, un gruppo di compagne e compagni, di altissimo valore, che hanno saputo reggere anche a mortificazioni ed emarginazioni e solo in ragione di un fortissimo senso della dignità e dei principi profondi. Una storia, quella di questi comunisti milanesi, che andrebbe proprio scritta, non va persa. E fu maestro anche della generazione immediatamente successiva, quella degli Antonio Costa, Alfredo Novarini, Michele Tedesco, Roberto Cocevari, Elisa Milanato, Walter Esposti, Aurelio Crippa, Fausto Sorini. Le donne e gli uomini di Via Spallanzani numero 6 dove Alessandro Vaia preparava il Partito che poi non avrebbe visto nascere.
 
Concludo su un ricordo personale. Negli anni dello “strappo” del Pci, quando decollò la parabola che si sarebbe conclusa alla Bolognina, Armando Cossutta, messo ai margini da Enrico Berlinguer, entrò in contatto, a Milano, proprio con quel gruppo che, da tempo, si incontrava al Circolo Marchesi di Via Spallanzani. Anni dopo questi compagni vennero indicati come “cossuttiani”, etichetta un po forzata per i milanesi che furono proprio quelli che subirono quelle mortificazioni con l’innovazione che Togliatti (e Cossutta) introdusse a Milano con mano, diciamo così, pesante. Del tutto motivato perciò il disagio derivante da questa ripresa di contatto vent’anni dopo l’emarginazione. Qui Alessandro Vaia li convocò (c’ero anch’io) e pose così la questione: “noi non dobbiamo avere recriminazioni sul passato: a un compagno dobbiamo chiedere dove va e, se viene con noi, ben venga”. Da allora con Armando Cossutta conducemmo delle belle battaglie. Poi le strade si divisero ancora ma Alessandro Vaia non c’era più ad offrire il suo esempio. Ancora un abbraccio a Stellina e Franco.