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da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol IX, Teti Editore, Milano, 1975
trascrizione a cura del CCDP

CAPITOLO IX

La crisi economica nei paesi capitalisti negli anni 1929-1933

1 Il sorgere e lo sviluppo della crisi economica mondiale
2 Gli Stati Uniti d'America
3 Il Giappone
4 La Germania
5 La Gran Bretagna
6 La Francia
7 L'Italia
8 La Spagna

9 I PAESI DELL'EUROPA CENTRALE E SUD-ORIENTALE
LA POLONIA

Nei paesi dell'Europa centrale e sud-orientale la crisi economica mondiale ebbe ripercussioni particolarmente acute, data la loro dipendenza dai monopoli capitalisti, che cercavano di scaricare sull'economia dei piccoli paesi tutto il peso della crisi. Le classi dominanti di questi paesi svilupparono una vasta offensiva contro gli operai e i contadini, e la condizione delle masse popolari divenne ancor più misera.

La Polonia fu il primo dei paesi dell'Europa sud-orientale ad avvertire i colpi della crisi economica mondiale. Nel 1932 la sua produzione industriale si ridusse di quasi la metà rispetto al periodo precedente. I centri principali dell'industria tessile rimasero paralizzati, e diminuì nettamente la produzione del ferro. Le esportazioni si ridussero del 66%. La crisi agricola danneggiò tutti i rami del settore: il valore totale della produzione agricola scese dai 4 miliardi 700 milioni di zloti del 1928 a 1 miliardo 800 milioni nel 1933, mentre l'indebitamento dei contadini superò i 4 miliardi di zloti. Ridotti in miseria dalla crisi e dalla politica di rapina delle classi dominanti, i contadini spesso furono costretti alla fame. Gli stessi dati ufficiali definivano alcuni milioni di persone legate all'attività agricola "braccia eccedenti". Come conseguenza della crisi s'intensificò anche il terrore governativo. Nel 1930 vennero arrestati e gettati in prigione i dirigenti del blocco di centro-sinistra del Sejm, inclusa l'ala sinistra del Partito socialista polacco. Nel 1931 il governo introdusse ufficialmente nel paese i tribunali eccezionali.

La politica della borghesia e dei latifondisti, che cercavano di superare le tensioni sociali e la crisi a spese delle masse lavoratrici, approfondì il malcontento fra gli operai, i contadini e le nazionalità oppresse. Nel maggio del 1931, in risposta a un tentativo degli imprenditori di ridurre il salario, i minatori dei bacini di Dabrowa e di Cracovia iniziarono un grandioso sciopero, che interessò molte miniere. Gli operai dell'industria tessile a loro volta presero attiva parte alla lotta contro la riduzione del salario. La grande maggioranza degli scioperi del 1931 terminò con la vittoria completa o parziale degli operai. Nel febbraio del 1932 .scoppiò uno sciopero generale dei minatori nei bacini di Dabrowa, dell'Alta Slesia e di Cracovia. Gli imprenditori e il governo concentrarono rilevanti forze per soffocare lo sciopero. Per tre settimane queste regioni carbonifere ebbero l'aspetto di un campo assediato, e in alcune miniere si verificarono scontri con la polizia.

Il 14 marzo lo sciopero venne interrotto dalla direzione dei sindacati. Ma dopo due giorni, il 16 marzo, su iniziativa del partito comunista, venne attuato, nonostante la resistenza dei socialisti di destra, uno sciopero generale di una giornata, al quale parteciparono gli operai metalmeccanici, i minatori, i metallurgici, i tessili, i petroliferi eccetera di Varsavia, Lodz e dei bacini carboniferi. In affollate manifestazioni gli operai protestarono contro la politica di rapina degli imprenditori e del governo Pilsudski. Il governo alla fine dovette rinunciare all'intenzione di ridurre le ferie e di liquidare alcune altre conquiste sociali della classe operaia. Come rilevava in un suo appello il Comitato centrale del partito comunista, lo sciopero generale aveva rappresentato un passo importante nell'azione di lotta contro l'offensiva del capitale. Alla fine di quello stesso mese gli operai dello stabilimento vetrario "Hortensja" proclamarono lo sciopero, occuparono l'azienda, vi organizzarono l'autodifesa e la tennero per circa sette giorni nelle proprie mani; un comitato di aiuto agli scioperanti, creato sotto la guida del partito comunista, effettuò una raccolta di fondi fra gli operai, i contadini e gli intellettuali. Tutti i tentativi della reazione di ottenere la cessazione dello sciopero fallirono. Il governo decise allora di passare alla repressione. Nel 37° giorno di sciopero arrestò il comitato direttivo e circa 50 degli operai più attivi e sciolse il sindacato di sinistra degli operai dell'industria vetraria. Lo sciopero venne così schiacciato.

L'anno 1933 fu caratterizzato da una maggiore ampiezza del movimento degli scioperi. Nel marzo ebbe inizio uno sciopero dei tessili di Lódz, appoggiati dagli operai dei trasporti urbani e del gas. Vi presero parte in tutto più di 100.000 operai. Contro gli scioperanti vennero inviati reparti della polizia, e gli operai allora alzarono le barricate. Solo dopo che il governo ebbe fatto ricorso agli arresti in massa (in particolare vennero arrestati molti membri del comitato centrale dello sciopero) il movimento cominciò a declinare. I dirigenti di destra dei sindacati, approfittando dell'indebolimento del comitato di sciopero, decisero la sua cessazione. Tuttavia gli imprenditori, temendo la ripresa della lotta, acconsentirono alla conclusione di accordi collettivi e al parziale aumento del salario degli operai.

Accanto a quello degli operai si allargò il movimento dei contadini. Nel giugno del 1932 scoppiò una grossa insurrezione nel distretto di Lisk, nell'Ucraina occidentale. Per due settimane i contadini insorti condussero cruenti scontri contro le truppe regolari e la gendarmeria. Successivamente si sollevarono i contadini della Volinia, che protestavano contro le tasse troppo gravose. Per soffocare l'insurrezione il governo inviò le truppe. Nel settembre-novembre del 1932 scioperarono i salariati agricoli dei voivodati di Varsavia, Kielce, Leopoli e Lódz. Il movimento contadino raggiunse la sua massima intensità nell'estate del 1933, quando scesero in lotta armata 100.000 contadini di vari distretti dei voivodati di Cracovia e di Lódz. I contadini rivendicavano la diminuzione delle tasse, la cessazione delle persecuzioni giudiziarie e poliziesche, la liberazione degli arrestati. La lotta armata durò un intero mese. Cinquanta contadini vennero uccisi e alcune centinaia feriti, migliaia di essi vennero arrestati. Negli anni della crisi migliaia di persone vennero gettate in carcere. Il maggior numero di vittime fu sofferto dal partito comunista: non meno di un terzo dei suoi membri era infatti in prigione.

LA CECOSLOVACCHIA

In Cecoslovacchia il volume della produzione industriale era sceso nel marzo del 1933 al 56% rispetto al 1929. Decine di grandi fabbriche e officine erano chiuse, l'attività di vari rami dell'industria era paralizzata.

La crisi agricola (che si manifestò in modo particolarmente acuto in Slovacchia e nell'Ucraina transcarpatica) provocò una brusca riduzione nei prezzi dei prodotti agricoli, in particolare il prezzo all'ingrosso del grano scese del 40-60%. Nel contempo i monopolisti mantenevano elevati i prezzi dei prodotti industriali. Crebbe rapidamente l'indebitamento dei contadini. Nel 1932 il solo indebitamento da ipoteche delle campagne cecoslovacche era di 27 miliardi di corone. Durante gli anni della crisi andarono in rovina più di 300.000 aziende contadine; molte di esse vennero vendute all'asta. I contadini diventavano braccianti presso i grandi e medi proprietari fondiari o andavano a ingrossare la massa dei disoccupati nelle città.

La crisi permise ai monopolisti di rafforzare la concentrazione della produzione e del capitale, facilitati in questo anche dalla politica del governo, che assegnava ai grossi imprenditori e alle banche sovvenzioni molto rilevanti per il risarcimento dell'industria. Gli imprenditori approfittarono della crisi per intensificare i processi produttivi e lo sfruttamento degli operai. All'inizio del 1933 si contavano nel paese più di 1 milione di disoccupati. L'aumento delle imposte dirette e indirette peggiorò la già grave situazione della classe operaia.

La borghesia monopolista ceca inoltre cercò una via d'uscita dalla crisi mediante l'intensificazione dello sfruttamento delle minoranze nazionali; la percentuale dei disoccupati fra di esse era assai più elevata che fra i lavoratori cechi.
Gli operai opposero una resistenza accanita contro l'offensiva del capitale. Nel marzo del 1932, in risposta al licenziamento di 15.000 minatori che era stato accompagnato dalla riduzione del salario nella misura del 30%, i minatori iniziarono uno sciopero, che interessò molte regioni carbonifere. Per dirigere lo sciopero venne eletto un comitato centrale, nel quale entrarono i rappresentanti di tutte le organizzazioni operaie e di vari partiti politici con alla testa i comunisti. Lo sciopero fu appoggiato dagli operai di molti altri rami industriali, dai disoccupati, dagli artigiani, dai contadini, dai piccoli commercianti. Centinaia di comitati di solidarietà raccoglievano fondi e generi vari per gli scioperanti e le loro famiglie. Il 13 aprile, per decisione del comitato centrale dello sciopero, venne effettuato uno sciopero generale politico nel bacino ceco-settentrionale. Dimostrazioni e comizi furono accompagnati da sanguinosi scontri con la polizia. A Most vennero uccisi due minatori e molti furono feriti. L'assassinio provocò una ondata di protesta in tutto il paese e i padroni delle miniere dovettero soddisfare le richieste degli operai.

Sotto l'influenza degli scioperi dei minatori si svilupparono due imponenti lotte di classe: lo sciopero dei tessili a Brno e la lotta degli operai edili. Nell'ottobre del 1932 ebbe inizio a Praga lo sciopero generale degli operai delle officine metallurgiche. In una dimostrazione gli operai marciarono dietro la parola d'ordine "Evviva Io sciopero generale!", "Abbasso la polizia!", "Abbasso i licenziamenti!", "Evviva il fronte unico dei lavoratori!". Qualche tempo dopo scesero in lotta gli operai dell'industria carbonifera nei bacini ceco-settentrionale, di Kladno, Handlovs e Kosice.

Il partito comunista cercò di creare un fronte unico dei disoccupati e degli operai in sciopero; e il comitato d'azione dei disoccupati, formato dal partito comunista nel febbraio del 1930, invitò a sviluppare un vasto movimento per il pane e il lavoro, e per la creazione dei comitati d'azione cittadini. I1 6 marzo di quello stesso anno, nella giornata internazionale della lotta contro la disoccupazione, scesero nelle vie delle città cecoslovacche più di 100.000 disoccupati. Nonostante le repressioni del governo, comitati d'azione dei disoccupati sorsero in tutto il paese e nel 1932 il loro numero raggiunse i 1500. Sotto la loro direzione si svolsero numerosi comizi, dimostrazioni e marce di disoccupati.

Nelle regioni agricole prese un notevole slancio il movimento contadino. La conferenza dei contadini della valle di Hanà, tenutasi nel giugno 1931 a Prerov, elaborò un programma concreto di lotta nell'interesse dei contadini, rivendicando la cessazione della vendita per debiti dei loro beni, la concessione di aiuti statali, la diminuzione delle tasse, l'aumento delle imposizioni fiscali ai proprietari fondiari.

Il movimento dei contadini raggiunse un'ampiezza molto rilevante nell'Ucraina transcarpatica. In questa regione il partito comunista aveva avanzato un programma che chiedeva la liberazione sociale e nazionale delle masse lavoratrici; la confisca delle terre dei proprietari fondiari, della Chiesa e dello Stato e la loro distribuzione gratuita fra i poveri della campagna e il proletariato agricolo, nonché l'uso gratuito dei pascoli dei proprietari fondiari e del demanio per il bestiame dei contadini poveri eccetera. Nel 1931 e 1932 le agitazioni contadine abbracciarono tutta la Ucraina transcarpatica. I poveri si rifiutavano di pagare gli affitti delle terre e mandavano il proprio bestiame sui pascoli dei proprietari fondiari. Alle azioni parteciparono 60.000 famiglie di contadini poveri e di braccianti. Altrettanto forte fu il movimento contadino in Slovacchia. In diverse località si verificarono scontri con la gendarmeria.
A seguito di queste lotte di massa il governo dovette temporaneamente cessare la vendita all'asta delle aziende contadine.

L'UNGHERIA

Negli anni della crisi la produzione industriale e agricola dell'Ungheria si contrasse bruscamente. Nel 1932 circa il 60% dei lavoratori dell'industria e dell'agricoltura non aveva lavoro. Non venivano dati sussidi ai disoccupati e non esisteva alcuna forma di assicurazione sociale. Di anno in anno aumentavano le tasse. I salari degli operai subirono drastiche riduzioni e aumentò l'indebitamento dei contadini poveri. Nel 1930 vennero vendute per debiti 5000 aziende contadine, nel 1932 altre 17.000. Anche molti piccoli commercianti e artigiani caddero in rovina. L'aggravarsi della crisi portò nell'agosto del 1931 alla caduta del governo Bethlen, al potere da dieci anni. Il nuovo gabinetto, con a capo Gyula Kàrolyi, per superare la crisi raddoppiò le imposte per i lavoratori, diminuì il salario degli impiegati statali e ridusse al minimo le spese di carattere sociale. Questi provvedimenti provocarono un generale malcontento nel paese, e a Budapest e in altri centri si svolsero imponenti dimostrazioni di operai.

Nel luglio del 1932 le autorità individuarono la segreteria clandestina del Comitato centrale del partito comunista e arrestarono un gruppo di dirigenti del partito, fra cui Imre Sallai e Sàndor Furszt, che furono uccisi.
La repressione e il terrore non fermarono tuttavia lo sviluppo del movimento operaio. Le azioni degli operai proseguirono.

In molte città si svolsero comizi e dimostrazioni di disoccupati, che chiedevano sussidi e lavoro. Nelle regioni agricole i contadini scesero in lotta contro l'oppressione dei proprietari fondiari e contro gli esattori delle tasse. Il governo Kàrolyi si rivelò incapace di risolvere le difficoltà economiche e politiche e fu costretto, nel settembre del 1932, a rassegnare le dimissioni.
Prese così il potere un governo guidato da un abile demagogo, Gyula von Gombos, che si pose come scopo immediato la liquidazione del parlamento.

LA ROMANIA

Durante il periodo della crisi molti altiforni furono spenti e quasi tutti gli stabilimenti saccariferi rimasero chiusi. La massa dei disoccupati raggiunse nel 1932 le 289.000 unità. La crisi agricola portò all'immediata diminuzione dei prezzi nei prodotti agricoli e alla riduzione delle superfici seminate.

A misura che la crisi economica s'aggravava, cresceva il movimento operaio. Gli operai scesero in lotta contro i licenziamenti in massa, contro la riduzione dei salari, contro la politica reazionaria del governo nazional-taranista. Le maggiori lotte della classe operaia si svolsero nel 1933, e videro in prima linea i ferrovieri e i lavoratori delle aziende petrolifere.

All'inizio del 1933, in coincidenza con i licenziamenti di operai e la riduzione dei salari, il comitato operaio delle officine ferroviarie di Grivita (a Bucarest) chiese un aumento sul salario del 20%, la cessazione dei licenziamenti e la riassunzione al lavoro di tutti i licenziati. Le richieste degli operai vennero respinte; per protesta, il 2 febbraio 7000 operai proclamarono lo sciopero. Su invito dei comunisti, agli operai di Grivita si associarono i ferrovieri di Cluj, di Galati e di Pascani. Quasi contemporaneamente contro il tentativo degli imprenditori di ridurre i salari del 40-50% e licenziare circa il 25% degli operai si sollevarono in lotta gli addetti alle aziende petrolifere di Ploesti. Scoppiarono scioperi anche in molte fabbriche e officine.

Il movimento di massa degli scioperi e le decise azioni del proletariato obbligarono il governo e la borghesia a cedere. Le richieste dei ferrovieri e dei lavoratori del ramo petroliero vennero soddisfatte; ma subito dopo il governo fece approvare precipitosamente dal parlamento una legge che decretava lo stato d'assedio e si mise sul terreno dell'aperta repressione terroristica. Molti comunisti e attivisti senza partito vennero arrestati. Il 12 febbraio venne arrestato Gheorghe Gheorghiu-Dej, che aveva diretto lo sciopero dei ferrovieri.

I ferrovieri di Grivita ripresero immediatamente lo sciopero, e in segno di solidarietà scioperarono anche gli operai di altre imprese. A Bucarest si svolse un comizio di 20.000 persone con le parole d'ordine "Abbasso lo stato d'assedio!", "Abbasso il terrore!". Affollate dimostrazioni si svolsero a Pascani, Costanza, Medias, Oravita.

I tentativi dei circoli dirigenti di schiacciare lo sciopero con i consueti mezzi polizieschi fallirono. Allora il governo inviò contro i ferrovieri di Grivita il 21° reggimento di fanteria, ma i soldati si rifiutarono di sparare e furono precipitosamente ritirati. Successivamente, per ordine del governo e di re Carol II, furono inviati a Grivita truppe di frontiera e reparti speciali di gendarmeria e di polizia. Il 16 febbraio ebbe inizio la feroce rappresaglia; i reparti militari, i gendarmi e la polizia aprirono il fuoco con le mitragliatrici sugli operai. Vennero uccisi più di 400 operai, centinaia furono i feriti, più di 2000 gli arrestati.

L'eccidio degli operai di Grivita provocò nuovi scioperi e dimostrazioni in tutto il paese. Il governo li soffocò con metodi brutali. Per intimorire gli operai, anzi, organizzò processi contro i dirigenti degli scioperi. Al processo dei ferrovieri gli imputati difesero coraggiosamente gli interessi della classe operaia, smascherando la politica antipopolare del governo borghese-agrario. Comizi di solidarietà con gli operai romeni si svolsero a Mosca, Leningrado e in altre città dell'Unione Sovietica. Gli operai dell'Unione Sovietica, della Cecoslovacchia, del Belgio, del Canada e di altri paesi inviarono a Bucarest mozioni di protesta contro gli arbitrii dei tribunali. Nonostante tutto questo, il tribunale militare, nell'intento di assestare un colpo al movimento operaio, condannò i dirigenti dello sciopero a lunghi anni di lavori forzati.

Il Comitato centrale del Partito comunista di Romania nel 1934 rilevava: "Nelle lotte di febbraio i ferrovieri e i lavoratori petroliferi hanno subito solo una temporanea sconfitta a seguito della preponderanza materiale delle forze dell'avversario. In realtà essi sono usciti da questo scontro come vincitori politici e morali e hanno conseguito non solo il parziale soddisfacimento delle loro richieste, ma hanno anche conquistato per tutto il proletariato, come classe, importantissime posizioni, affermando il suo ruolo di guida nei confronti degli altri strati di lavoratori".

Sull'esempio della classe operaia incominciarono a sollevarsi anche i contadini. Nel corso degli anni 1929-1933 in molti villaggi e regioni essi scesero in lotta contro le tasse insostenibili e la vendita delle loro proprietà per debiti. II governo fu obbligato a vietare temporaneamente le vendite all'asta dei beni dei contadini e a introdurre una legge sulla conversione dei debiti agricoli.

L'ascesa del movimento operaio e contadino rafforzò anche l'attività della piccola borghesia cittadina, degli insegnanti, degli impiegati statali e degli studenti, che si schierarono contro la fascistizzazione del paese e la politica antipopolare del partito nazional-taranista e del governo.

LA BULGARIA

L'azione devastatrice della crisi economica portò a una netta riduzione della produzione industriale (soltanto negli anni 1930-1931 vennero chiuse 2645 imprese industriali), alla diminuzione del salario degli operai (di circa la metà), alla crescita del numero dei disoccupati (più di 200.000 persone) e, in agricoltura, alla rovina in massa dei contadini, quale conseguenza delle diminuite esportazioni di prodotti agricoli e della caduta catastrofica dei loro prezzi.

La classe operaia lottò decisamente contro la offensiva del capitale. Nel 1930 scioperarono complessivamente 25.000 operai. Nel luglio del 1931 a jambol scoppiò un grosso sciopero degli operai tessili. Esso fu subito appoggiato dai minatori, dai conciatori, dagli operai dei tabacchi e in breve abbracciò molte altre città. I contadini inviarono agli scioperanti aiuti in generi alimentari. L'anno successivo (1932) si verificarono 249 scioperi con la partecipazione di 16.000 lavoratori. Nel gennaio 1933 scioperarono gli operai di 80 imprese a Sofia, Chaskovo e Plovdiv, e nel maggio si rovesciò su tutto il paese un'ondata di scioperi politici di protesta contro la uccisione, da parte dei reazionari, del deputato operaio Petko Napetov. Gli scioperi s'intrecciarono con affollate dimostrazioni di disoccupati.

Si ebbero contemporaneamente diversi movimenti di massa nelle campagne, dove sorsero vari comitati contadini. Il fermento rivoluzionario interessò anche l'esercito. Nel 1933 in alcune guarnigioni a Sofia, Plovdiv, Stara Zagora, Sumen, Kazanlyk, Burgas e Varna vennero scoperte dalle autorità organizzazioni clandestine fra i soldati, vennero trovati manifestini, vennero accertati legami di soldati con gli operai rivoluzionari. Più di 200 fra soldati e marinai furono giudicati dal tribunale militare e 54 di essi furono condannati alla pena di morte.

Lo sviluppo del movimento di massa spinse la borghesia a manovrare sul terreno politico. Nella primavera del 1931, durante la campagna elettorale, l'opposizione piccolo-borghese formò il "blocco popolare", composto da rappresentanti del partito democratico, dell'ala destra dell'Unione agraria, dei partiti radicale e nazional-liberale. Essi presentarono un programma pieno di promesse, e alle elezioni del 1931 per l'Assemblea nazionale (Subranie) ottennero la vittoria sul partito reazionario di governo dell"'intesa democratica". In sostituzione del governo di Ljapcev salì al potere una compagine del "blocco popolare" guidata da A. Malinov.

Tuttavia, contrariamente alle sue promesse pre-elettorali, il nuovo governo non attuò nessuna riforma sociale, non realizzò la democratizzazione del regime e non migliorò la situazione degli operai e dei contadini. Sotto la maschera di un frasario di sinistra, esso attuò invece una politica di terrore contro il partito comunista e le organizzazioni sindacali; proibì e perseguitò duramente le dimostrazioni e gli scioperi. Nell'aprile del 1933 i deputati operai furono espulsi dal parlamento.

LA JUGOSLAVIA

La crisi economica risultò in Jugoslavia ancora più lunga e rovinosa che in Bulgaria. Molti rami dell'industria rimasero parzialmente paralizzati. L'industria del legname lavorava solo al 50% delle sue possibilità, quella metallurgica al 40%. Vennero ridotti in modo catastrofico i prezzi agricoli. Calò bruscamente l'esportazione, e si approfondì il divario fra i prezzi delle merci agricole e di quelle industriali.

Il governo della dittatura monarchico-fascista, guidato da Zivkovic, aiutava in tutti i modi i capitalisti e i proprietari fondiari a scaricare sui lavoratori il peso principale delle difficoltà: il salario degli operai era in continua diminuzione, cresceva la disoccupazione, aumentavano le tasse dirette e indirette a danno dei lavoratori. Per estendere la sua influenza nella campagna, il governo concesse nel 1930, attraverso la Banca Agraria, crediti per 780 milioni di dinari ai proprietari fondiari e ai contadini medi, soprattutto quelli serbi. All'inizio del 1931 venne creata la "Società privilegiata per l'esportazione dei prodotti agricoli", che ottenne dallo Stato un rilevante aiuto finanziario.

L'indebitamento dei contadini durante gli anni della crisi superò i 5 miliardi di dinari.I proprietari fondiari, grandi e medi, denunciarono gli accordi esistenti con i lavoratori agricoli, ridussero del 20-30% i salari e prolungarono la giornata lavorativa. La disoccupazione si estese Al 75% dei salariati agricoli. Gli operai e i contadini vennero sottoposti a un brutale regime di terrore da parte dell'apparato militare e poliziesco. Migliaia di comunisti vennero arrestati, esiliati o torturati nelle prigioni. Il terrore più brutale però non fermò la lotta delle masse popolari contro la dittatura monarchico-fascista. Il movimento degli scioperi interessò gli operai degli stabilimenti cementiferi della Dalmazia, i ferrovieri della Crozia, i minatori della Serbia. I contadini, schiacciati da insostenibili tasse, opponevano a volte una resistenza armata ai funzionari, alla polizia e alla gendarmeria. In Bosnia, in Croazia, in Montenegro e nella Macedonia la lotta del movimento operaio assunse anche un carattere di liberazione nazionale.

Nel 1932 il movimento dei contadini della Lika si trasformò in lotta armata in trenta villaggi. Con l'aiuto delle truppe, l'insurrezione venne schiacciata e centinaia di contadini furono gettati in prigione. Tuttavia poco dopo in Dalmazia, Macedonia, Croazia ed Erzegovina si verificò una nuova ondata di agitazioni contadine.