www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 28-07-09 - n. 284

da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. IX, Teti Editore, Milano, 1975
nel settantesimo anno dall'inizio della seconda guerra mondiale
trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Capitolo XXV
 
L'inizio dell'aggressione fascista in Europa
 
Nella seconda metà degli anni 30 i contrasti internazionali divennero bruscamente più acuti. In diverse zone si verificarono guerre locali (Cina, Etiopia, Spagna) nelle quali vennero coinvolte mezzo miliardo di persone. Il fuoco della guerra minacciava d'abbracciare tutto il mondo. Nei paesi capitalisti aumentavano le contraddizioni sociali e di classe, mentre più netta diveniva la polarizzazione delle due principali forze in contrasto: i sostenitori del fascismo e della guerra e i combattenti per la democrazia e per la pace.
 
LA CRISI ECONOMICA DEGLI ANNI 1937-1938
 
La crisi economica esplosa nella seconda metà del 1937 assestò un duro colpo all'industria capitalista, che ancora non si era rimessa dalle conseguenze della crisi degli anni 1929-1933. Quando si avvertirono i sintomi della nuova crisi, la produzione industriale dei paesi capitalisti aveva superato il livello del 1929 soltanto del 5%, e in alcuni Stati (Italia, Francia, Belgio e altri) non aveva neppure raggiunto questo livello.
 
La nuova crisi economica colpì prima di tutti gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia, e in minor misura la Germania, l'Italia e il Giappone, dove, in connessione con la febbrile preparazione alla guerra e con la riorganizzazione militarizzata dell'economia, l'attività industriale si era andata rafforzando. In tutto il mondo capitalista il volume della produzione industriale precipitò del 16%, la produzione della ghisa del 32%, quella dell'acciaio del 40%. Negli Stati Uniti vennero colpite maggiormente dalla crisi l'industria dell'acciaio e della ghisa, quella automobilistica, delle locomotive e dei vagoni; in Gran Bretagna vennero colpite l'industria carbonifera e, in particolare, l'industria tessile, che lavorava per l'esportazione; in Francia ne sofferse la produzione del ferro, dell'acciaio e dei tessuti.
 
L'improvviso calo della produzione industriale portò a un notevole aumento della disoccupazione. Negli Stati Uniti era disoccupato un operaio ogni 5; nel Belgio e in Olanda la stessa sorte colpì un operaio ogni 4, in Gran Bretagna un operaio ogni 7 e in Canada un operaio ogni 8. Inoltre, milioni di operai vennero a trovarsi in uno stato di semi-occupazione. La crisi dell'industria era strettamente intrecciata con una crisi di sovrapproduzione nell'agricoltura. La difficoltà nella vendita dei prodotti agricoli e delle materie prime si rifletteva nel modo più grave sull'esportazione dei paesi industrialmente più deboli e con un sistema economico basato sulla monocoltura. Così, durante l'anno della crisi, le esportazioni dell'Argentina diminuirono del 42%, quelle della Malesia del 37%, quelle dell'India del 25%. L'intero commercio mondiale si ridusse dell'11%. Le grandi potenze capitaliste tentarono di vincere la concorrenza dei loro rivali sui mercati mondiali mediante l'impiego di un complesso sistema di regolamenti doganali, di blocchi e di zone valutarie chiuse. In seguito a questi provvedimenti si rafforzò ancora di più la lotta per i mercati e si acutizzarono le contraddizioni fra gli imperialisti.
 
I CONTRASTI ANGLO-TEDESCHI
 
Il posto centrale nella serie delle contraddizioni tra gli imperialisti era tenuto dalla rivalità economica e politica tra Gran Bretagna e Germania. A partire dagli anni 30 la Germania non soltanto aveva ristrutturato la propria economia, ma si era anche trasformata in uno dei più forti Stati del mondo capitalista. Essa produceva acciaio ed energia elettrica in misura di circa una volta e mezza superiore a quella della Gran Bretagna (rispettivamente 20 milioni di tonn. contro 13 milioni per l'acciaio, e 49 miliardi di kW contro 33 miliardi per l'energia elettrica), e aveva quasi raggiunto la Gran Bretagna per quanto riguardava la estrazione del carbone (240 milioni di tonn. contro 244 milioni). Per quanto concerneva il volume della produzione industriale la Germania era al primo posto in Europa e al secondo posto nel mondo capitalista. Essa occupava una posizione dominante nel mercato del carbone e dell'acciaio dell'Europa occidentale, come pure nell'esportazione di prodotti chimici e nell'industria automobilistica. Soltanto nella Europa settentrionale la Gran Bretagna continuava a mantenere saldamente le proprie posizioni.
 
L'influenza della Germania si era particolarmente rafforzata sul piano economico e politico nei paesi dell'Europa sud-orientale e del bacino danubiano. Nel 1937 il 9% delle importazioni tedesche e il 10% delle esportazioni riguardava questi paesi. Attraverso una politica basata sul dumping, le sovvenzioni statali alle esportazioni e altri metodi di espansione economica, la Germania aveva gradualmente trasformato l'economia di questi paesi in appendici agrarie e fonti di materie prime per la propria macchina bellica. Nel contempo l'imperialismo tedesco tentava di assicurare in questi paesi il predominio dei raggruppamenti e dei partiti fascisti e filo-germanici e di liquidare l'influenza politica della Gran Bretagna e della Francia.
 
In Bulgaria negli anni dal 1929 al 1937 la Germania aveva aumentato la quota delle sue importazioni dal 29,6 al 58%, mentre la quota della Gran Bretagna si era ridotta di quasi due volte. Utilizzando gli orientamenti revanscisti della borghesia bulgara, la Germania concluse con la Bulgaria un accordo segreto sulla fornitura di armi. La Gran Bretagna e la Francia tentarono a loro volta di concludere accordi analoghi con la Bulgaria, ma i circoli governativi bulgari si avvicinavano sempre di più ai fascisti tedeschi.
 
Aspri contrasti si ebbero anche per la Romania, ex alleata della Francia. Nel 1938, in un momento di improvvisa acutizzazione dei rapporti tra ungheresi e romeni per la Transilvania, la Germania, pur appoggiando le pretese ungheresi per poter esercitare una pressione sulla Romania, fece anche vaghe promesse ai romeni. Il ministro degli affari esteri della Germania, Ribbentrop, col cinismo che gli era proprio, scriveva nel novembre del 1938: "L'idea fondamentale della nostra politica nei riguardi dell'Ungheria e della Romania oggi deve essere quella di mantenere allo stato incandescente questi due ferri da stiro e di comporre le questioni nell'interesse della Germania in conformità con lo sviluppo degli avvenimenti". Dopo aver concluso con la Romania una serie di accordi di clearing, la Germania la obbligò a sottoscrivere nel mezzo del 1939 anche un accordo economico generale che poneva l'economia romena sotto il controllo tedesco.
 
In Ungheria, dove dominava il regime dittatoriale di Horthy, il terreno per la realizzazione dei piani tedeschi era ancora più favorevole. I fascisti di Horthy avanzavano pretese su alcuni territori cecoslovacchi e romeni, e la Germania sostenne le loro rivendicazioni, legando così solidamente l'Ungheria al proprio carro.
 
La Germania riuscì a migliorare le proprie posizioni economiche anche in Grecia, benché l'influenza britannica rimanesse qui abbastanza forte.
 
Acute frizioni si ebbero anche a proposito della Jugoslavia, alleata della Francia.
 
La Germania costituiva una seria minaccia per le posizioni della Gran Bretagna nei paesi del Medio Oriente. Ad esempio, quasi la metà del commercio estero turco era monopolizzata dalla Germania, che accumulava in grandi quantità materiali strategici importanti come il rame e il minerale di cromo. A ditte tedesche vennero assegnati ordinativi per la costruzione di una serie di stabilimenti, fabbriche, cantieri eccetera. In Turchia comparvero in gran numero "specialisti" ed "esperti" tedeschi, mentre veniva condotta una intensa propaganda fascista.
 
Gli Stati del blocco fascista volevano poi aprirsi un varco verso il petrolio del Medio Oriente. A tale scopo i capitalisti tedeschi partecipavano alla "Mosul-Oilfields Company", che estraeva il petrolio dell'Iran, e cercavano di ottenere nuove concessioni. Anche il governo fascista di Mussolini aspirava alla conquista delle zone petrolifere del Medio Oriente.
 
Nell'Iran la Germania attuava una vasta attività di spionaggio e di diversione sia contro l'Unione Sovietica che contro la Gran Bretagna. La Gran Bretagna si opponeva al rafforzamento dell'influenza tedesca nell'Iran, ma soltanto nelle sue regioni meridionali. Invece la penetrazione della Germania nel nord del paese verso i porti del mar Caspio e dell'Azerbaigian non veniva ostacolata, poiché i britannici speravano che i tedeschi avrebbero minacciato in questa zona le posizioni dell'Unione Sovietica. In queste condizioni, negli anni 1938 e 1939 la quota della Germania nel commercio estero dell'Iran aumentò fino al 41,5%.
 
Si rafforzò la penetrazione della Germania anche nei paesi arabi. Nel 1938 la Germania occupava il secondo posto nel commercio estero dell'Egitto e della Palestina e aveva rafforzato le sue posizioni nell'Arabia saudita, con cui aveva stabilito nel 1938 rapporti diplomatici. Tuttavia l'influenza britannica nei paesi del Medio Oriente restava predominante. L'8 luglio 1937, spinti dalla diplomazia britannica, la Turchia, l'Iraq, l'Iran e l'Afghanistan conclusero il patto di Saadabad. Questo patto, generalmente interpretato come una iniziativa antisovietica, divenne uno strumento della politica britannica.
 
Utilizzando largamente le sovvenzioni statali, i monopoli tedeschi conquistarono solide posizioni anche sui mercati dell'America latina. Nell'anno 1938 la quota della Germania nell'importazione del Brasile rappresentava il 25%, mentre quella dell'Inghilterra era del 10%; nel Cile tali quote erano rispettivamente del 26 e del 9,5%, nel Perù del 16 e dell'8%. L'antagonismo anglo-tedesco era reso più acuto dalle rivendicazioni coloniali dell'imperialismo tedesco, e in particolare dalle pressanti richieste di restituzione delle colonie africane perdute dalla Germania in seguito alla prima guerra mondiale. La borghesia britannica nella sua maggioranza era schierata contro la restituzione alla Germania delle sue ex colonie; il massimo al quale acconsentivano di accedere i circoli governativi della Gran Bretagna era di soddisfare le pretese coloniali della Germania a spese di altre potenze, e in particolare del Belgio, dell'Olanda e del Portogallo. Ma anche una transazione del genere veniva proposta dalla Gran Bretagna subordinatamente al regolamento di tutto il complesso dei rapporti anglo-tedeschi, che peggioravano di giorno in giorno.
 
La Gran Bretagna tentava di ostacolare la espansione economica della Germania con tariffe preferenziali per gli Stati del Commonwealth, con l'aumento delle sovvenzioni statali alle esportazioni britanniche, con l'organizzazione in comune con la Francia di una controffensiva economica nell'Europa sud-orientale e orientale e con l'avvicinamento agli Stati Uniti d'America.
 
I CONTRASTI FRANCO-TEDESCHI E ITALO-FRANCESI
 
L'espansione politica ed economica della Germania aveva prodotto un acuto malcontento anche in Francia, allarmata dal rafforzamento delle posizioni tedesche nell'Europa orientale e sud-orientale, e in particolare nei paesi già a essa legati (Polonia, Romania, Jugoslavia). Nei circoli governativi francesi non c'era un atteggiamento univoco sulla questione dei mezzi con cui opporsi all'espansione tedesca. Una notevole parte della borghesia francese insisteva per il consolidamento dei legami politici con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti; un'altra parte propendeva invece per un accordo con la Germania ed era persino pronta ad accontentarsi del ruolo di partner minore dell'imperialismo tedesco.
 
Anche i piani aggressivi dell'Italia allarmavano la Francia. L'Italia pretendeva la Corsica, Nizza e la Savoia, e già questa sola circostanza era un motivo sufficiente per il continuo peggioramento dei rapporti italo-francesi. Mentre attuava una rumorosa propaganda per ottenere territori propriamente francesi, l'Italia cercava di ottenere dalla Francia concessioni in Africa, dove - dopo la recente annessione dell'Etiopia - aveva intenzione d'includere nel proprio impero coloniale la Tunisia, e se fosse stato possibile la Somalia francese. Gli imperialisti italiani cercavano di fare del porto di Gibuti uno dei propri punti di appoggio sulla costa dell'Africa e d'impossessarsi della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, che apparteneva ai francesi.
 
Gli interessi dell'Italia e della Francia si urtavano anche nel mare Mediterraneo. La situazione qui si era estremamente deteriorata in relazione agli avvenimenti di Spagna e in connessione coi piani aggressivi dell'Italia nell'Adriatico e nel Mediterraneo orientale. La realizzazione di tutte le intenzioni dei fascisti italiani li avrebbe trasformati in padroni del Mediterraneo, e avrebbe fatto di questo mare un lago interno italiano. In tal modo l'aggressione italiana minacciava la Francia su tre direttrici: sul confine franco-italiano, nel mar Mediterraneo e in Africa.
 
I CONTRASTI TEDESCO-AMERICANI
 
Le pretese aggressive della Germania fascista venivano considerate dagli Stati Uniti come una minaccia ai loro propri piani, mentre anche l'attività della Germania nell'America latina provocava grande allarme e irritazione. Su questo terreno tra le due potenze si ebbero vari acuti scontri negli anni 1937-1939.
 
Nell'ottobre del 1937 sorse un attrito in seguito al tentativo della Germania di ottenere una concessione petrolifera nel Messico. Nel marzo del 1938 scoppiò un nuovo contrasto, quando la Germania, utilizzando la legge messicana sulla nazionalizzazione delle aziende petrolifere appartenenti a società britanniche e americane, effettuò acquisti strategici di petrolio. Nel maggio di quello stesso anno agenti tedeschi avevano preso parte attiva a un complotto degli integralisti (fascisti brasiliani) contro il governo filoamericano di Vargas, calcolando di poter così rafforzare la propria influenza politica. Sotto la pressione degli Stati Uniti, il Brasile pretese il richiamo dell'ambasciatore tedesco da Rio de Janeiro. In connessione con questi avvenimenti, il governo degli Stati Uniti creò nell'estate del 1938 un comitato speciale formato da rappresentanti del Dipartimento di Stato, da militari e dai rappresentanti dei circoli d'affari per l'elaborazione di opportune misure contro i tentativi della Germania di penetrare nell'America latina.
 
I monopolisti tedeschi erano penetrati anche nel mercato interno degli Stati Uniti. La concorrenza delle esportazioni tedesche appariva talmente seria, che nel marzo del 1939 il governo americano introdusse tariffe doganali sostanzialmente proibitive per le merci tedesche.
 
Una grande importanza nello sviluppo dei contrasti tedesco-americani ebbe anche il fatto che gli Stati Uniti si schieravano decisamente contro i piani di spartizione degli imperi coloniali britannico e francese, dato che calcolavano essi stessi di approfittare, nel loro proprio interesse e al momento propizio, dell'indebolimento della Gran Bretagna e della Francia.
 
Tutte queste circostanze portavano inevitabilmente all'avvicinamento degli Stati Uniti alla Gran Bretagna e alla Francia e ad una alleanza militare e politica tra questi tre paesi.
 
LA PREPARAZIONE ALLA GUERRA DELLE POTENZE IMPERIALISTE
 
Nel corso della lotta imperialista si erano venute costituendo coalizioni di Stati capitalisti nemiche l'una dell'altra. Negli anni 1936-1937 si era formato il blocco aggressivo degli Stati fascisti: Germania, Italia e Giappone. Il ruolo principale in questo blocco era esercitato dalla Germania nazista, i cui fini consistevano nel consolidamento della egemonia tedesca in Europa, nella conquista dei territori dell'Unione Sovietica "sino agli Urali", nell'instaurazione del proprio dominio sui paesi del Medio Oriente e in Africa. La cricca hitleriana mirava all'indebolimento sostanziale della Francia e della Gran Bretagna, alla conquista delle loro colonie e alla creazione di basi militari nell'America latina per una successiva azione contro gli Stati Uniti. Lo scopo finale dei fascisti tedeschi era infatti la conquista del predominio mondiale.
 
Per prepararsi alla guerra la Germania nazista andava creando riserve di materie prime strategiche, e i suoi principali fornitori erano proprio la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
 
Nel 1938 la Germania acquistò il 45% del minerale di ferro necessario per la sua industria nei paesi dell'impero britannico, in Francia e nelle sue colonie, in Belgio e nel Congo belga; da questi stessi paesi, oltre che dall'Olanda e dagli Stati Uniti, proveniva 1'89,5% di tutta la ghisa e dei rottami di ferro importati in Germania nel 1938. Crebbe improvvisamente l'importazione di minerali di ferro dalla Svezia, di volframio dalla Spagna, dal Portogallo e dalla Cina. Come i fascisti tedeschi, anche i militaristi giapponesi importavano dall'estero (e anche dagli Stati Uniti) una grande quantità di materie prime strategiche e di altri materiali bellici. Nel 1938 la quota degli Stati Uniti in tutta l'importazione di petrolio del Giappone era del 75,6%; gli Stati Uniti fornivano inoltre il 90,4% dell'acciaio e dei rottami di ferro, il 90,9% del rame, il 76,9% degli aeroplani, il 64,7% delle automobili.
 
In Italia dal tempo della guerra con l'Etiopia andava crescendo di continuo il peso specifico dei settori militari dell'economia nazionale (metallurgia, industria chimica, industria per la costruzione di macchine) , mentre si riduceva la produzione di merci di largo consumo.
 
Mentre in questo periodo gli Stati del blocco fascista avevano già convertito fondamentalmente la propria economia per i bisogni della guerra, in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e, in notevole misura, anche in Francia, questo processo era invece appena iniziato. I governi di questi paesi si impegnarono soprattutto nell'ampliamento e rafforzamento delle vecchie basi marittime militari e ne crearono di nuove: la Gran Bretagna negli oceani Indiano e Pacifico, nel Mediterraneo e nell'Africa meridionale, gli Stati Uniti negli oceani Pacifico e Atlantico, la Francia nel Mediterraneo. A ritmo accelerato vennero portati avanti i lavori di fortificazione lungo i confini della Francia, del Belgio e dell'Olanda. Nel maggio del 1938 negli Stati Uniti fu presa la decisione di aumentare del 20% il tonnellaggio della marina da guerra. All'inizio del 1939 il Congresso approvò un nuovo programma per l'aviazione, in base al quale il numero degli aerei venne portato a 5500 unità.
 
I magnati del capitale finanziario dirigevano direttamente la preparazione economica della guerra. Così nel comitato delle risorse militari degli Stati Uniti, creato nell'agosto del 1939, entrarono i rappresentanti del trust dell'acciaio Morgan, della "American Telephone and Telegraph Company", della "General Motors" e di altri monopoli. In Gran Bretagna, tra i componenti della commissione nominata dal governo per il controllo sull'attuazione del programma di riarmo, c'era il direttore e amministratore delegato della ditta "Courtauld", produttrice di fibre artificiali, il presidente della società per la produzione dei pneumatici "Dunlop Rubber Co.", il presidente della Federazione delle industrie britanniche e il presidente della "British Imperial Chemical Industries Ltd.".
 
I guadagni delle imprese dell'industria degli armamenti e dei rami affini crescevano quotidianamente. Il consorzio per le costruzioni navali e meccaniche "Sven Hunter" registrò nel 1938 un aumento dei propri guadagni del 166,9% rispetto al 1936. I guadagni della Krupp crebbero nel 1937-1938 di oltre tre volte rispetto agli anni 1927-1928. I profitti delle maggiori società giapponesi furono nella prima metà del 1939 dal 20 sino al 27% del capitale. Il valore delle azioni della società italiana Breda aumentò nel 1938 di oltre 16 volte rispetto al 1932.
 
LA POLITICA DI «INCORAGGIAMENTO» DELLE POTENZE OCCIDENTALI NEI CONFRONTI DEGLI AGGRESSORI
 
Nonostante la presenza di acuti contrasti fra i due gruppi di potenze imperialiste, la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti non si decidevano a organizzare un saldo blocco contro gli aggressori fascisti. La politica da essi scelta mirava a deviare la minaccia di guerra dall'Occidente e ad indirizzarla verso Oriente, contro l'Unione Sovietica. Nella politica internazionale esistevano tre indirizzi fondamentali: l'indirizzo apertamente aggressivo della Germania, del Giappone e dell'Italia orientato allo scatenamento di una guerra mondiale; la politica di tacito consenso o di diretto appoggio agli aggressori da parte della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti; l'orientamento dell'Unione Sovietica per la creazione di un fronte di Stati interessati a contrastare l'aggressione fascista, per l'organizzazione della sicurezza collettiva e il mantenimento della pace tra i popoli.
 
Le parole d'ordine anticomuniste dei fascisti rafforzavano nei circoli dirigenti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia le loro illusioni sulla possibilità di un accordo con i paesi fascisti sulla base del soddisfacimento delle loro aspirazioni di conquista a spese dell'Unione Sovietica. Attuando questa politica di "appeasement" verso gli aggressori, le potenze occidentali speravano di incoraggiare l'attacco della Germania hitleriana contro i confini dell'Unione Sovietica e favorivano lo scoppio di una guerra tra Germania e Unione Sovietica, che avrebbe frenato lo sviluppo socialista dell'Unione Sovietica e nello stesso tempo avrebbe talmente indebolito la Germania, che essa avrebbe cessato di rappresentare per un lungo periodo una minaccia per gli interessi dei suoi competitori imperialisti.
 
Sui problemi della politica estera esistevano dei dissensi nei circoli dominanti della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Francia. Così in Gran Bretagna il gruppo di Winston Churchill e Anthony Eden, che rappresentava la opposizione del partito conservatore, prendeva posizione per la resistenza alla pressione degli aggressori e contro ogni intesa con questi in cui non fossero contenute garanzie reali di sicurezza per la Gran Bretagna e il suo impero. Questo gruppo riteneva che gli aggressori potevano essere fermati soltanto con la forza, e per questo si era espresso per ricreare la coalizione di potenze della prima guerra mondiale (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, e Russia sovietica) al fine di mettere la Germania dinanzi alla prospettiva di una guerra su due fronti. Tuttavia questo gruppo si limitava a discorsi critici e non attuava una lotta sufficientemente decisa contro la politica di favoreggiamento agli aggressori che veniva attuata dal leader conservatore Neville Chamberlain.
 
Nei circoli governativi degli Stati Uniti vi era un aspro contrasto fra i partigiani dell'intervento negli affari europei ( che venivano chiamati "interventisti") e i loro avversari (gli "isolazionisti"). Il presidente Roosevelt e gli uomini a lui vicini appartenevano agli interventisti. L'influente gruppo della borghesia americana che appoggiava Roosevelt comprendeva che l'aspirazione degli Stati fascisti al dominio mondiale poneva in pericolo la sicurezza e gli interessi degli Stati Uniti. Roosevelt era ostile al fascismo anche per le sue convinzioni personali. In numerosi discorsi pubblici egli condannò le azioni aggressive della Germania nazista e invitò a prendere provvedimenti contro l'aggressore. Il 5 ottobre 1937 egli dichiarò a Chicago: "Le nazioni amanti della pace devono prendere posizione in comune contro la violazione dei trattati e il disprezzo dei sentimenti umani che hanno creato oggi una situazione di anarchia e di insicurezza internazionale, dalla quale non si può uscire con il semplice isolazionismo o la neutralità". Ma nonostante tali dichiarazioni gli Stati Uniti attuavano una politica di "neutralità" e di non intervento.
 
Un forte influsso sulla politica estera degli Stati Uniti era esercitato dall'odio dei circoli dirigenti per l'Unione Sovietica e dalla disponibilità di alcuni gruppi monopolistici ad appoggiare gli Stati fascisti se avessero scatenato la guerra contro l'Unione Sovietica. Perciò gli Stati Uniti, mentre favorivano concretamente la preparazione militare della Gran Bretagna e della Francia vendendo loro armamenti, rifornivano contemporaneamente il Giappone e la Germania di materiali strategici.
 
In Francia vaste masse popolari avevano compreso meglio che in Gran Bretagna e negli Stati Uniti quale minaccioso pericolo per i destini del paese rappresentasse l'aggressione fascista. Rendendosi conto della gravità della situazione, alcuni esponenti della borghesia (Paul Boncour, Édouard Herriot e altri) si schierarono contro la politica di "appeasement".Tuttavia il ruolo decisivo nella politica non veniva esercitato da loro, ma da personaggi come P. É. Flandin e Pierre Laval, che esprimevano gli interessi dei circoli più reazionari del capitalismo monopolistico e si appoggiavano sulle organizzazioni fasciste. La loro parola d'ordine era: "Meglio Hitler che il fronte popolare".
 
[…]