www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 21-09-09 - n. 287

A sessanta anni dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (01/10/1949)
da Centro Studi e Documentazione Marxista, 50° anniversario della RPC, Taranto, 1999
 
Cronologia degli "anni chiave" della rivoluzione cinese
 
(stralciato da Jean Chesneaux: La Cina contemporanea - Storia documentaria dal 1895 ai giorni nostri, Laterza, 1963)
 
1921 (luglio): a Shanghai viene fondato il Partito Comunista Cinese; inizi della propaganda agraria del comunista Peng Pai nella regione di Canton
 
1923 (autunno): arrivo a Canton della missione politico-militare sovietica diretta da Borodin
 
1925 (giugno-settembre): il "movimento del 30 maggio" si sviluppa a Shanghai e in numerose città del Nord, del Centro e dell'est: scioperi e manifestazioni di studenti, scioperi di operai, di commercianti, ecc..
 
1927 (marzo): rapporto di Mao Tse-Tung sul movimento contadino nel Hunan.
(dicembre): fallimento dell'insurrezione comunista di Canton (la "Comune di Canton")
 
1928: formazione nella Cina meridionale di diverse basi rivoluzionarie insorte contro il Kuomintang
 
1930-31: conflitto tra Mao-Tse-Tung, sostenitore dell'azione nelle campagne, e la tendenza di sinistra che dirige il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese e che resta legata alla priorità dell'azione nelle città. 
(novembre). è proclamata a Ruijin, nel Jiangxi, la repubblica dei Soviet cinesi, costituita dall'insieme delle basi rivoluzionarie contadine insorte contro il Kuomintang
 
1934 (autunno): le basi rivoluzionarie dei Soviet cinesi soccombono a una campagna di accerchiamento, la quinta, operata dalle truppe del Kuomintang (quattro campagne precedenti erano state respinte dalle forze comuniste). I superstiti della disfatta intraprendono la "Lunga Marcia" verso l'Ovest, e poi verso il Nord
 
1935 (ottobre): compimento della "Lunga Marcia". I partigiani e i quadri comunisti si installano a Yanan, nello Shenxi, in una posizione laterale che permette di sorvegliare l'avanzata giapponese nella Cina del Nord
 
1936: affare di Xi'an. Chiang Kai-shek, in visita in questa città, vi è trattenuto prigioniero da generali manciù che gli rimproverano di aver difeso male le loro provincie natali contro i giapponesi. I comunisti si intromettono e persuadono i generali a liberarlo, in nome della necessità di un fronte unito contro il Giappone
 
1937 (luglio): attacco generale del Giappone contro la Cina
(estate): annuncio pubblico degli accordi di collaborazione fra il Kuomintang e il Partito Comunista
 
1940: Mao-Tse-Tung pubblica a Yanan la Nuova democrazia
 
1940-1942: il Partito Comunista sviluppa tra le sue fila una "campagna di rettifica"
 
1941: le truppe del Kuomintang attaccano di sorpresa nell'Anhui uno degli eserciti comunisti impegnati nelle operazioni contro i giapponesi
 
1945 (primavera): VIII Congresso del PCC, che rileva le grandi vittorie riportate dai partigiani contadini e la considerevole estensione della loro influenza
 
1946 (giugno): il Kuomintang lancia un attacco generale contro le zone tenute dalle truppe comuniste
 
1947: si estende la guerra civile. Il Partito Comunista procede nelle "zone liberate" da esso controllate ad una radicale riforma agraria
 
1949 (settembre): riunione a Pechino, dove le truppe comuniste sono entrate in primavera, di una nuova Conferenza politica consultiva, cui partecipano i comunisti ed i gruppi del centro
 
1949 (l° ottobre): la Conferenza politica consultiva, adottato un "programma comune", proclama la repubblica Popolare Cinese.

Centro Studi e Documentazione Marxista, 50° anniversario della RPC, Taranto, 1999
tratto da www.linearossage.it/rivolcinese.htm 
 
50° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese (ottobre 1949)
 
Quando Mao indicò la luna
 
di  Ferdinando Dubla
 
La rivoluzione cinese è da considerarsi una delle rotture storiche più rilevanti del XX secolo.
 
Con la rivoluzione d’Ottobre del 1917, essa rappresenta una frattura destinata a sconvolgere il secolo e a determinare l’evoluzione e lo sviluppo dei processi storici successivi. La sua determinazione Comunista è il compimento di un percorso e l’avvio di una reale costruzione storica, il cui riflesso ideale trova in Marx ed Engels nella seconda metà del secolo precedente il suo punto più alto.
 
In questo senso, Lenin e Mao-Tse-Tung incarnano il vero spirito del XX secolo, ad onta dei miserabili corifei della fine delle ideologie e del trionfo del pensiero unico neocapitalista.
 
La Cina era un luogo esoterico di una civiltà millenaria sconosciuta, lontana e distante nell’immaginario dei popoli dell’occidente, ma quasi mai dei mercanti (come Marco Polo) della ‘via della seta’ e dei ‘porti franchi’. La Cina era lontana per le grandi distanze che la separavano dai centri di potere dell’Ovest, ma non per gli imperialisti britannici e francesi che vi impiantavano basi mercantili e pagavano con l’oppio, i ‘trattati ineguali’ e la guerra, senza mascherature per la ‘missione civilizzatrice dell’uomo bianco’.
 
La rivoluzione cinese che sfocia nella proclamazione della Repubblica Popolare il 1 ottobre 1949, irreversibilmente avvicinerà la Cina al mondo. A tutto il mondo. E irreversibilmente, nel bene e nel male, la Cina è ora vicina, sempre più vicina. Questa è una delle svolte storiche più radicali del nostro secolo. Chi legga le opere dell’alfiere di quella rivoluzione, Mao-Tse-Tung, il maestro del Hunan divenuto ‘il Presidente’, trova proprio nello spirito di avvicinamento della Cina, della secolarizzazione della sua cultura e della sua complessiva civiltà, il punto saliente della sua più ampia riflessione. Un merito tra i più grandi di quella forza del marxismo, che solo il ‘pensiero unico’, dei dollari e dell’imperialismo, delle mafie e della speculazione, tenta con virulenta sicumera di respingere ai margini di un tempo che fu.
 
Che sia così, ce lo dimostra la stampa italiana che all’argomento ha dedicato alcuni dossier, alcuni ovviamente più vicini (purtroppo mai coincidenti) con la nostra sensibilità, la maggior parte frutto di sterili e istupidite operazioni di propaganda ideologica del capitalismo imperialista.
 
Ma anche a sinistra c’è chi non comprende perché mai non si possa e debba criticare l’attuale Cina postmaoista con una chiave di lettura marxista, cioè dialettica, senza per questo affermare che la Cina è per sempre persa al socialismo. Se così fosse, la costruzione maoista (nelle sue due fasi, rivoluzionaria (1926/1949) e socialista (1949/1976) sarebbe stata così fragile da non permettere una resistenza efficace alla restaurazione capitalista.
 
Ed è proprio questo, per noi, il punto dirimente: non può leggersi la storia con i piedi troppo affondati nel presente, perché si rischia di farle torto e il giudizio sul maoismo è un nodo politico, teorico e storico che nessuno si è peritato, con gli strumenti analitici marxisti, di affrontare seriamente in questi dibattiti sul 50° anniversario.
 
Alle origini della rivoluzione
 
Pochi avrebbero scommesso, quel 1 luglio del 1921, quando a Shanghai in non più di dodici si ritrovarono nella direzione di una scuola femminile per fondare il Partito Comunista Cinese, che quel partito avrebbe condotto in porto una rivoluzione vittoriosa. Non lo comprese neanche a pieno l’Internazionale Comunista, in quel momento presieduta da Zinovjev, che nell’autunno del 1923 spedì a Canton un gruppo di consiglieri sovietici alla testa dei quali erano Borodin e Blucher e che consideravano i processi in atto in Cina con la sola chiave della rivoluzione nazionale e spinsero per un accordo ad oltranza con il Kuomintang, almeno fino a quando Mao non prese definitivamente la guida di tutto il partito (1938) e dunque cambiò anche la concezione che fino allora aveva supportato il gruppo dirigente del PCC e dell’Internazionale, un ruolo di direzione operaia e degli intellettuali avanzati con grave sottovalutazione del popolo contadino e delle sue capacità di emancipazione in un territorio prevalentemente rurale all’80%.
 
La storia non può essere chiusa in schemi a blocchi, in algoritmi: fu questa la profonda riflessione di Mao quando nel 1924 lasciò Shanghai, dove lavorava a tenere i collegamenti tra partito e Kuomintang, e ritornò nel suo natìo Hunan. Nel 1926 riuscì a farsi attribuire la direzione dell’Ufficio rurale del partito comunista, nuovamente a Shanghai e nell’agosto di quell’anno intraprese ad organizzare le leghe dei contadini, che sotto la sua guida mutarono gradualmente carattere e cominciarono a divenire veri e propri organi di un nuovo potere di fatto, costituito nei villaggi come radicale alternativa al potere dei proprietari fondiari e dei notabili legati ai ‘signori della guerra’. Fu una vera e propria svolta per il prosieguo futuro del processo rivoluzionario, teorizzato con la necessità costante dell’ " inchiesta " e riuscì a far conseguire al PCC un successo, militare e politico, destinato a cambiare il destino della Cina.
 
L’inchiesta
 
" Chi non fa l’inchiesta non ha diritto di parola " : questo fu uno dei più celebri slogan maoisti molto in voga nei movimenti giovanili del ‘68/’69 europei, ma affondava la sua validità metodologica proprio negli anni in cui Mao si rese conto della peculiarità della composizione di classe del "popolo di Han" e della necessità di non rinchiudere il marxismo nel dottrinarismo sterile e precostituito. In questo senso può studiarsi la dialettica, a volte aspra, a volte celata, che contraddistinse l’azione di Mao nei confronti dell’Internazionale Comunista e dello stesso Partito Comunista Cinese, di cui, come s’è già scritto, egli prese la direzione solo nel 1938, nel periodo di Yenan e dopo aver conquistato la propria leadership direttamente ‘sul campo’.
 
Una lezione severa ai rivoluzionari cinesi, agli intellettuali progressisti, all’Internazionale Comunista, a tutto il PCC guidato da Ch’u Ch’iu-pai (eletto segretario nell’agosto 1927) raffinato intellettuale ma molto debole nel guidare le varie correnti del partito, era venuta dallo scacco della Comune di Canton nella prima metà del dicembre 1927. Carenti nell’ ‘inchiesta’, avevano adottato quella che verrà definita una linea ultrasinistra, una linea tendente a mantenere ovunque una tensione ribellistica che sfociasse nella rivolta operaia. Per cui, le stesse lotte contadine intraprese da Mao dovevano servire da supporto a quella rivolta, per stornare le forze della repressione, non a far scaturire, come si espresse Mao più tardi, da detonatore, da scintilla che incendia tutta la prateria. E invece le forze della repressione si abbatterono sul generoso ma velleitario tentativo ‘comunardo’ di Canton: "Il 14 dicembre le forze della repressione avevano già preso il sopravvento e ben 8.000 comunisti giacevano morti nelle vie della città." [Collotti Pischel, 1982, pag.257].
 
Un peccato di velleitarismo, già paventato da Mao nella sua riflessione sull’inchiesta negli anni immediatamente precedenti, e che non poteva totalmente essere imputato al segretario del partito, all’inviato allora dell’Internazionale Besso Lominadze, al suo collaboratore, il rivoluzionario tedesco Heinz Neumann, ma semmai alla cultura comunista interpretata in modo chiuso e dottrinario, un ‘a priori’ rispetto alla verifica della realtà.
 
D’altra parte, la ferocia della caccia ai comunisti del partito nazionalista guidato da Chiang Kai-shek (Kuomintang), (vedi Scheda 1) aveva punte che nulla avevano da invidiare a quelle naziste che, non a caso, divennero addirittura di esempio: una delle tante "campagne di annientamento", la quinta per l’esattezza, nell’autunno del 1933, combinò le soluzioni strategiche di Chiang a quelle dei suoi consiglieri nazisti, e cioè tagliare la rete di comunicazioni e di approvvigionamenti tra le ‘basi rosse’, impedire le sortite dei partigiani e, appunto, la tecnica suggerita dai generali tedeschi consistente nelle linee fortificate di casematte di cemento che venivano spostate in avanti progressivamente per cingere con un assedio senza scampo le zone ‘sovietiche’ della Cina rossa.
 
La scintilla e la prateria
 
Come e perché allora vinse quella Cina rossa che più e più volte sembrò sull’orlo di crollare definitivamente e a cui invece arrise la vittoria finale?
 
Una svolta importante si ebbe nella tattica della guerriglia. Mao respinse le prospettive strategiche e le applicazioni tattiche discendenti dalla linea politica che aveva portato a Canton, e cioè la ‘linea Li Li-San’, consistente nella frantumazione in piccole unità dei gruppi partigiani, il loro utilizzo nei centri urbani e la creazione di un comando unico centralizzato; secondo Mao, invece, l’esercito rosso doveva conservare per intero la sua compattezza, sebbene duttile e articolata sul piano tattico: le ‘basi rosse’ dovevano costituire le cellule della nuova società, i dirigenti dovevano vivere a contatto con le masse, combattere insieme a esse (embrione della cosiddetta linea di massa), i comunisti dovevano conquistarsi sul campo la direzione di classe del movimento contadino per accerchiare le città. La guerriglia contadina, come è esplicitato in una sua lettera scritta al partito per confutare vedute eccessivamente pessimiste il 5 gennaio 1930 Una scintilla può dar fuoco alla prateria, non può che essere una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata:
 
"La Cina intera è cosparsa di rami secchi che presto si incendieranno. Il proverbio ‘una scintilla può dar fuoco a tutta la prateria’ caratterizza bene lo sviluppo della situazione attuale. Basta guardare agli scioperi degli operai, alle rivolte dei contadini, agli ammutinamenti dei soldati e agli scioperi degli studenti, che si estendono in numerose località, per comprendere che ‘la scintilla’ non può tardare a ‘dar fuoco a tutta la prateria’. (..) L’ascesa della rivoluzione è come la nave di cui dalla riva già si scorge la punta dell’albero sul lontano orizzonte; è come il disco del sole di cui già si scorgono dalla cima di una monyagna i raggi luminosi che a oriente squarciano le tenebre; è come il bambino che già si dibatte nel grembo della madre e presto vedrà la luce". (Mao, Opere, vol.2, 1991, pp.227 e 232)
 
E infatti la forza della guerriglia maoista fu sempre nelle milizie di autodifesa che venivano create nei villaggi e nella rete logistica che riforniva e sostentava i partigiani: la resistenza, duttile, intelligente, era costituita anche da ritirate temporanee così come da controffensive. Alle ‘bassi rosse’ arrideva la simpatia dei contadini liberati dal gioco semischiavistico della società feudale dei notabili e dei proprietari terrieri, che non a caso divennero ancora più abietti agli occhi della popolazione, insieme a molti dei comandanti di Chiang che li proteggevano, allorchè tra l’altro, assunsero un atteggiamento collaborazionista durante l’aggressione giapponese. Che consenso mai avrebbero potuto ottenere coloro che si facevano servitori del nuovo padrone distruttore del popolo cinese?
 
L’ "epopea" della Lunga Marcia
 
La tattica della guerriglia fu seguita in particolare durante la ‘Lunga Marcia’ (autunno 1934-ottobre 1935) che militarmente fu una ritirata, iniziata dai superstiti della disfatta della "quinta campagna di accerchiamento" delle truppe del Kuomintang contro le basi rivoluzionarie dei Soviet cinesi: una ritirata naturalmente organizzata magistralmente, per conservare la compattezza centrale delle forze dell’esercito rosso e del partito comunista, sebbene ciò costò gravissime perdite, causa in particolare le avverse condizioni naturali, un succedersi di alte montagne e di ghiacciai, via via che ci si dirigeva verso il nord fino alla Grande Muraglia (la linea sud-nord era bloccata dal nemico). Ma la grande forza dell’esercito rosso fu il supporto dei contadini e l’estrema duttilità delle tattiche impiegate:
 
"La battaglia fu considerata sempre ‘decisiva’ nella storia della "lunga marcia". In essa l’avanguardia adottò lo schema tipico delle battaglie di Lin Piao: un lungo lavoro di agitazione tra i contadini, una serie di finte e di movimenti miranti a disorientare il nemico, una lenta ritirata [durò cinque giorni (si riferisce alla battaglia del passo di Loushan, ndr] verso un passo montano naturalmente impervio, e qui un breve attacco notturno condotto con estrema concentrazione di forze e contando sulla sorpresa." [E.Collotti Pischel, 1972, pag.328].
 
Il PCC lanciò un accorato appello alla resistenza antigiapponese il 1° agosto 1935; rivolto a tutti i cinesi, esso ebbe vasta eco tra i giovani e gli intellettuali, destinati ad ingrandire le fila dell’esercito rosso: lotta di classe contadina e spinta rivoluzionaria delle masse erano per Mao gli ingredienti necessari per la vittoria finale e i comunisti dovevano prevalere innanzitutto nelle regioni principali della Cina, quelle rurali, acquisendo il consenso dei contadini a favore della rivoluzione. Senza quel consenso, e senza le profonde motivazioni ideali che muovevano i quadri dell’esercito rosso, sarebbe stato impossibile superare tutte le prove crudeli, le privazioni, le indicibili sofferenze patite durante la "lunga marcia" (vedi Scheda 2): arrivarono in poco più di 7000 dai 90mila partiti dal Kiangsi.
 
‘Nuova democrazia’ e ‘campagna di rettifica’
 
Fu questa esperienza a segnare in profondità la riflessione di Mao sulla guerra di lunga durata, nello scritto omonimo del 1938, quando l’evenienza dell’aggressione giapponese aveva imposto nuovamente l’alleanza con i nazionalisti di Chiang. E il regime sociale della resistenza avrebbe dovuto essere di nuova democrazia, con la funzione dirigente del Partito Comunista nella difesa nazionale e nel gettare le basi di una rinnovata organizzazione sociale, contrapposta alla dittatura di Chiang e al corrotto regime dei notabili nelle zone non occupate dai giapponesi.
 
Il partito avrebbe dovuto attrezzarsi per questa strategia: era necessario dunque rinnovare i metodi di attività, di lavoro, di studio, di comando, era necessaria una radicale trasformazione dello stile di lavoro e per questo fu intrapresa un’intensa ‘campagna di rettifica’ ideologica e organizzativa nel 1941-42, contro l’astrattismo, lo schematismo, il formalismo dogmatico non dialettico e non creativo, campagna che fu richiamata spesso anche negli anni ‘43/’44, come nel discorso Il nostro studio e la situazione attuale (2 aprile 1944) pronunciato da Mao a Yenan a una riunione di quadri superiori:
 
" ‘Liberarsi dai fardelli’ significa liberare la mente da tutto ciò che l’ingombra. Molte cose possono diventare un peso, una zavorra, se ci aggrappiamo ad esse ciecamente e senza spirito critico. Facciamo qualche esempio. Se avete commesso errori, potete pensare che qualunque cosa facciate essi vi peseranno addosso e quindi scoraggiarvi; se non avete commesso errori, potete ritenervi infallibili e perciò diventare presuntuosi. La mancanza di successo nel lavoro può causare pessimismo e abbattimento, mentre il successo può generare orgoglio e arroganza. (..) ‘Mettere la macchina in moto’ significa far buon uso del cervello. (..)In poche parole, la saggezza nasce da matura riflessione. Per liberarci dalla cecità che esiste in misura preoccupante nel nostro partito, dobbiamo spingere i nostri compagni a pensare, a imparare il metodo dell’analisi e a praticarlo abitualmente. Questa abitudine è molto poco sviluppata nel nostro partito. Se ci scuoteremo di dosso i fardelli e metteremo la macchina in moto, se non saremo appesantiti da nulla e impareremo a pensare, la vittoria sarà nostra".
(Mao, Opere, vol.9, 1991, pp. 40/41)
 
E con il nuovo stile di lavoro e per la società di nuova democrazia, Mao potè proporre le più ampie prospettive di collaborazione a tutte quelle forze che non accettavano il repressivo e autoritario regime di Chiang, destinato allo sfacelo non in virtù di una minore potenza militare (tutt’altro), ma per l’alienazione delle grandi masse dei contadini del popolo di Han, che avevano in odio la corruzione, il favoritismo, il potere delle "quattro grandi famiglie", gli sprechi e la vergognosa speculazione, nonché anche la miopia delle tattiche militari, come l’inondazione dei campi ad opera del fiume Giallo per averne fatto saltare gli argini con cariche di dinamite per rallentare l’avanzata nipponica o come l’incendio della città di Changsha nel luglio 1937 con le centinaia di migliaia di persone perite nel fuoco delle loro misere case.
 
Rivoluzione agraria
 
L’obiettivo della rivoluzione agraria fu il vero motore della rivoluzione cinese guidata dai comunisti: bisognava dare la speranza concreta di rottura del vecchio ordine sociale rurale alle masse dei contadini poveri, da sempre, da troppo tempo sotto il giogo insopportabile dei notabili e dei ‘signori della guerra’. Bisognava indicare loro la fine del lavoro coatto e del forzato indebitamento, ma non sostituirsi a loro in qualità di avanguardie per sviluppare la mobilitazione di massa: da qui trasse vigorìa la lotta di classe rivoluzionaria guidata da Mao sotto le insegne del marxismo-leninismo. Essa si sviluppò fondendo alfabetizzazione e coscienza di classe: molti giovani impararono a leggere e a scrivere, a dirigere un villaggio mentre contemporaneamente combattevano i giapponesi, molti studenti impararono gli ideali marxisti mentre combattevano la ‘vecchia Cina’. E lo stesso Mao scrisse i suoi più rilevanti saggi filosofici Sulla pratica e Sulla Contraddizione, nell’estate 1937, quando fu sferrato l’attacco generale del Giappone contro la Cina e si era fatta impellente la necessità di coniugare dialetticamente il "fronte unito" con i nazionalisti e la continuazione del processo rivoluzionario.
 
La vittoria Il temporaneo ravvicinamento tra nazionalisti del Kuomintang e comunisti, imposto dall’invasione giapponese del 1937, segnò una battuta d’arresto nella guerra civile, ma, scomparso il pericolo esterno, la lotta riarse implacabile nel 1946. " I Giapponesi sono una malattia della pelle ", aveva detto Chiang nel 1941, " i comunisti una malattia del cuore ". Al momento del crollo del Giappone avevano in effetti compiuto grandi progressi: più di novanta milioni di contadini vivevano sotto amministrazione comunista. L’ Armata Rossa era ora forte di 600-900 000 soldati regolari, nonchè di un numero ancora maggiore di truppe non regolari, contadini allenati a combattere nelle regioni che abitavano. Le forze comuniste erano sostenute da una gran parte della popolazione contadina, oltrechè dal proletariato industriale delle città; dietro il Kuomintang, che era venuto trasformandosi in senso sempre più decisamente conservatore, erano i proprietari fondiari e la borghesia burocratica: un regime inefficiente e corrotto (l’inflazione dilagante aveva fatto della corruzione dei funzionari un male endemico), che riusciva a sostenersi grazie all’aiuto finanziario e alle armi fornite dagli Stati Uniti, interessati a fare della Cina, con l’avallo del Kuomintang, un’area di penetrazione e di sfruttamento. La corruzione era anche in alto (Chiang Kai-shek e gli altri capi nazionalisti prosperavano sugli aiuti americani) e contrastava agli occhi del popolo con l’austerità di Mao e dei dirigenti comunisti, vestiti di una semplice casacca. Tuttavia dal punto di vista militare v’era una forte sproporzione tra i due campi avversi. I nazionalisti avevano a loro favore la superiorità del numero (tre milioni di uomini, contro poco meno di un milione), le risorse di un retroterra molto più esteso e più ricco. Ma il basso morale dei soldati (contadini reclutati di prepotenza e sensibili alla propaganda dei contadini della parte opposta, che avevano avuto il vantaggio della distribuzione delle terre) moltiplicò le diserzioni e perfino le defezioni di intere unità. La lotta si protrasse dal 1946 al 1949 e si concluse con l’avanzata dell’Armata Rossa da nord a sud e a sud-ovest dell’immenso paese. Chiang si salvò ritirandosi coi resti del Kuomintang nell’isola di Formosa sotto la protezione della flotta americana. Il 1° ottobre 1949 fu proclamata, sulla piazza Tien An Men, la Repubblica Popolare Cinese (RPC). Si iniziò così l’opera di edificazione del socialismo, che ha mutato profondamente l’aspetto del paese sia nei rapporti sociali, sia nelle strutture economiche, sia nelle idee e negli orientamenti umani. La nuova società si caratterizzò come " dittatura democratica popolare ", secondo la definizione datane da Mao in un articolo scritto il 30 giugno 1949 per commemorare il 28° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (luglio 1921).
 
Il governo popolare centrale si dedicò alla creazione delle strutture amministrative (governi popolari locali) e alla ripresa delle attività economiche in tutto il paese, nell’ambito della politica di fronte unito e di nuova democrazia. (vedi Scheda 3).
 
Il popolo cinese, come affermò Mao nella piazza Tien An Men nel discorso di insediamento in quel 1° ottobre, " si era alzato in piedi " .
 
E quella Cina sarà da allora ancora e per sempre vicina. Cinquanta anni fa, Mao aveva coscienza di aver chiuso un ciclo e di averne aperto un altro altrettanto se non più difficile e indicò la strada al suo popolo, accingendosi a costruire un’esperienza formidabile per i comunisti di tutto il mondo; e non solo per i comunisti, ma per ogni popolo anelante alla libertà e all’eguaglianza.
 

SCHEDA 1
 
TRE MILIONI DI MORTI
 
[E.C.Pischel: Storia della rivoluzione cinese, Roma, 1982(2^ed.) pp.290-91]
 
Dopo il bagno di sangue di Shanghai dell' aprile del 1927, dopo le ondate di terrore massicce dell'estate 1927 nelle campagne, il regime del Kuomintang non poteva non essere caratterizzato da quello che rimase sempre il suo tratto fondamentale: la repressione di classe continuata, sistematica, articolata e feroce. Il regime del Kuomintang non fu soltanto un regime conservatore; fu un regime reazionario nel senso preciso della parola, cioè un regime impegnato nella lotta ininterrotta (e armata) contro le spinte di forze rivoluzionarie che tendevano a rovesciarlo e che alla fine giunsero appunto a questo risultato.
 
Nei dieci anni intercorsi dal 1927 al 1937, le vittime della repressione violenta - cioè non di cause naturali come la fame e le inondazioni, ma degli assassinii e dei massacri - furono 3 milioni almeno: un decimo giovani studenti ed intellettuali; un sesto comunisti, due terzi contadini delle " basi rosse ".
 
Quello di Chiang Kai-shek non era certamente l'unico regime del mondo ad essere contraddistinto da questa caratteristica negli anni attorno al 1930. Non sarebbe tuttavia esatto identificare senz'altro il regime del Kuomintang con un qualsiasi regime fascista, perché la realtà cinese era molto piu' complessa: in essa entravano in gioco componenti molteplici e diversificate da zona a zona e da settore a settore. Una analisi di tutti questi fenomeni è importante non soltanto per vedere in quali condizioni concrete la rivoluzione cinese giunse al successo, ma anche per comprendere la matrice di taluni problemi presentatisi dopo la fondazione della repubblica popolare e soprattutto per afferrare taluni tratti che sono tuttora tipici della maggioranza dei regimi " nazionalisti " dei paesi arretrati. E' necessario cioè demistificare il quadro che il Kuomintang aveva diffuso di se stesso come di un regime unitario, moderno ed indipendente (cioè di un valido erede ed esecutore degli ideali di Sun Yat-sen): perchè la Cina del Kuomintang fu tutto meno che unitaria moderna e indipendente.
 

SCHEDA 2
 
L'EPOPEA DELLA LUNGA MARCIA
 
[E.C.Pischel: Storia della rivoluzione cinese, Roma, 1982(2^ed.) pp.336-37]
 
I superstiti del Kiangsi, subito dopo Maoerlikai, dovettero subire una delle più dure prove della "lunga marcia": la traversata delle " praterie ", cioè di una vasta distesa di paludi in altopiano, caratterizzate dalla presenza di profondi strati di fango e da sabbie mobili di origine glaciale e dall'assoluta assenza di prodotti commestibili, ad eccezione di pochi funghi ed erbe velenose.
 
I molti giorni passati prima di uscire da quella zona furono uno dei peggiori incubi degli uomini della " lunga marcia " per la pioggia continua che cadeva gelida da un cielo senza stelle, mentre ogni punto di riferimento mancava in quella piana desolata: pochi erano i sentieri e conosciuti soltanto dalle guide locali della minoranza Man. Questa non volle perdere l'occasione di dimostrare il proprio secolare risentimento contro le depredazioni dei cinesi di razza Han, " bianchi " o " rossi " che fossero, e riparò con tutto il proprio bestiame verso rifugi montani, lontani e misteriosi, difendendo però accanitamente le proprie pecore appena i fuggiaschi tentassero di avvicinarsi, anche solo per comperarle, come avevano fatto ogni qualvolta avevano dovuto chiedere rifornimenti ai contadini durante la " lunga marcia " (invece i beni dei proprietari venivano confiscati senza compenso ed il loro denaro passava alle casse della repubblica sovietica). In questa distesa paludosa avvennero gli incidenti più strazianti di tutta l'impresa: decine e decine di guerriglieri sfuggiti per anni alle persecuzioni, alla guerriglia ed alle malattie, scomparvero lentamente nel fango sotto gli occhi dei loro compagni che non potevano fare nulla per salvare chi fosse appena di poco uscito dal sentiero battuto. La solida roccia ed i picchi nevosi del passo di Latsekou, che dallo Szechuan immette nella provincia nord-occidentale del Kansu, apparvero quindi quasi un conforto dopo quell'esperienza, anche se ormai l'autunno incalzava (era il 18 settembre, la neve cadeva fitta e gli uomini dell'armata rossa avevano da tempo perduto tutto l'equipaggiamento invernale: molti l'avevano abbandonato nelle umide giungle dello Yunnan ma molti altri l'avevano semplicemente "mangiato" nei momenti più drammatici, perchè' i vestiti di cotone imbottiti di ovatta, tipici dei contadini cinesi, avevano rivelato di possedere un minimo di valore nutritivo. Ma anche più integralmente erano stati mangiati tutti gli articoli di pelle di cui disponevano i soldati (ed in Cina l'unica pelle disponibile su larga scala è quella di maiale, spesso solo superficialmente conciata): le cinture, le giberne, le finiture degli zaini, tutto, salvo le cinghie dei fucili.
 
L'arrivo nella Cina di nord-ovest segnò anche il ritorno alla lotta contro il nemico: già al passo di Latsekou il Kuomintang aveva cercato di bloccare la strada ai superstiti del Kiangsi, ma non aveva saputo condurre una battaglia in alta montagna. Nel Kansu le truppe rosse adottarono ancora una volta la tattica di dividersi in molte colonne e di operare una serie di finte. Un'ultima catena di montagne, i monti Liu-p'an, le separava ancora dai compagni della " base rossa " dello Shensi: quando la passarono, il 7 ottobre 1935, Mao scrisse l'ultima e la più nota delle sue poesie della " lunga marcia ", ormai con una certezza di vittoria.
 
Due settimane dopo a Wuchichen, presso Paoan nello Shensi, sui muri dei villaggi erano preparate le scritte con le quali i guerriglieri della " base rossa " salutavano i loro compagni: poco più di 7.000, dei 90mila partiti dal Kìangsi. Ad accogliere Mao e gli altri dirigenti si fecero incontro Liu Chih-t'an e Hsu Hai-tung. In tutto, i guerriglieri rossi nella nuova base erano attorno ai 15 mila.
 
Molto più numerosi sarebbero divenuti nel corso dell'anno, a misura che i vari gruppi rimasti indietro nel corso della " lunga marcia " ripercorsero la via dell'avanguardia: in effetti le forze dirette da Ho Lung avrebbero lasciato il Hunan soltanto un mese dopo l'arrivo nello Shensi dei loro compagni e vi sarebbero giunte esattamente l'anno successivo, dopo aver combattuto nel Kansu un'aspra battaglia nella quale un tentativo del Kuomintang di impedire il ricongiungimento di tutte le forze " rosse " fu sbaragliato da un duplice attacco, dei guerriglieri stanziati nello Shensi e di quelli in arrivo dal sud; pochi giorni dopo soltanto sarebbero arrivati, come si è accennato, Chu Teh e quanti erano stati bloccati dall'incidente Chang Kuo-t'ao. Ma ci furono altri dispersi che continuarono ad arrivare alla spicciolata fin nella primavera del 1937.
 

SCHEDA 3
 
LA FONDAZIONE DELLA NUOVA CINA
 
[E.C.Pischel: Storia della rivoluzione cinese, Roma, 1982(2^ed.) pp.440-41]
 
Il significato di rottura che la rivoluzione cinese assumeva di fronte all’equilibrio creato nel mondo da cent’anni di dominazione imperialista e al tempo stesso – per necessaria correlazione – di fronte a tutto il corso della storia cinese caratterizzato dalla frattura tra una classe dirigente sfruttatrice e le masse oppresse era messo in luce chiaramente dallo scritto Sulla dittatura democratica del popolo con il quale Mao Tse-Tung, alla fine di giugno del 1949, delineava le caratteristiche storiche generali del regime nuovo che stava per nascere ufficialmente in Cina. Si trattava di un’opera di estremo rilievo nella quale era condensata, quasi di scorcio, l’esperienza di una generazione che aveva disperatamente cercato la via per "salvare la Cina", aveva visto cadere le speranze di ‘riformare’ il vecchio sistema o di ‘cercare la verità dall’Occidente’ e che aveva avuto la certezza di aver intrapreso la strada della liberazione soltanto quando "le salve della rivoluzione d’ottobre portarono in Cina il marxismo leninismo". Si era trattato certamente di una strada lunga, contorta, estremamente costosa dal punto di vista umano, che non sempre era stato facile discernere e riconoscere, ma che, una volta intrapresa, era stata percorsa senza compromessi e senza cedimenti.
 
Quando il 1° ottobre 1949, nel palazzo che era stato degli imperatori Ming e Ch'ing, Mao Tse-tung, circondato da molti suoi compagni e da altri uomini (disposti ad accettare, seppure non senza riserve sociali, il nuovo regime), proclamava la fondazione della Repubblica popolare cinese, cominciava un'altra difficile strada, quella della lotta contro l'arretratezza e contro la minaccia di aggressione imperialista: molte nuove difficili scelte strategiche si sarebbero presentate e nuove lotte si sarebbero aperte soprattutto attorno all'alternativa se il progresso e la difesa della Cina dovessero essere assicurati attraverso una modernizzazione ed un’industrializzazione effettuate dall'alto e dal centro oppure attraverso una mobilitazione quotidiana e capillare dell'iniziativa e delle forze di milioni di contadini per modificare dal basso la situazione esistente. Sotto certi aspetti questi problemi e queste lotte sono collegati, in modo organico, allo sviluppo della rivoluzione cinese nel suo lungo corso dai T'ai-p'ing al 1949; sotto altri aspetti rientrano nella complessa problematica della costruzione del socialismo; sotto altri ancora si ricollegano al lungo corso storico della vita della Cina, della sua terra, del suo popolo, ma anche della sua cultura e della sua classe dirigente. Tre filoni che non devono mai essere visti isolatamente e che rendono comunque la storia della Cina contemporanea un oggetto degno di ricerca, di indagine e di discussione.
 

BIBLIOGRAFIA DI ORIENTAMENTO
 
Jean Chesnaux, La Cina contemporanea-Storia documentaria dal 1895 ai giorni nostri, Laterza, 1963
E.Collotti Pischel, Storia della rivoluzione cinese, Editori Riuniti, 1971
E.Collotti Pischel, Le origini ideologiche della rivoluzione cinese, Einaudi, 1958
E.Collotti Pischel, La rivoluzione ininterrotta, Einaudi, 1962
Edgar Snow, Stella rossa sulla Cina, Einaudi, 1965
Piotr Vladimirov (Sung Ping), A Yenan con Mao (‘42/’43), Teti, 1976
Chu The, La lunga marcia, Editori Riuniti, 1971 (riedizione)
Primrose Gigliesi (a cura), La fuga sulla luna, De Donato, 1969
Jacques Guillermaz, Histoire du Parti Communiste Chinois, Paris, Payot, 1968 (in it. Milano, Feltrinelli, 1970)
Jan Myrdal, Rapporto da un villaggio cinese, Einaudi, 1965
Opere di Mao-Tse-Tung, voll.1-25, Edizioni Rapporti Sociali, 1991-94