www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 29-06-10 - n. 325

da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. XII, Teti Editore, Milano, 1975
 
Capitolo IV
 
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L’attivizzazione dei neofascisti e il tentativo di formare un blocco reazionario di destra
 
Contemporaneamente al balzo a sinistra nel rapporto tra le forze politiche fatto in Italia e in relazione all’indebolimento delle posizioni del partito democratico cristiano, si stava assistendo a un consolidamento delle forze più squisitamente reazionarie.
Il settore di estrema destra sulla scena politica del Paese era occupato dal neofascista Movimento sociale italiano che alle elezioni del 1953 aveva ottenuto 1 milione e mezzo di voti e portato il numero dei suoi deputati dai sei di cinque anni prima, a 29. Alle elezioni del 1958 esso ottenne 24 seggi.
 
I quadri del Msi erano costituiti in gran parte da ex-sostenitori di Mussolini che sognavano il ritorno a un regime di tipo fascista.
Augusto De Marsanich, che era stato alla testa del partito dal 1949 al 1954, era stato ministro di Mussolini. Le posizioni ideologiche e programmatiche del Msi erano tratte in gran parte dalla cosiddetta Carta di Verona che i fascisti si erano dati ai tempi della “repubblica di Salò”.
Il Msi si presentava come anticomunista all’estremo e i suoi dirigenti affermavano apertamente che il partito era espressione dell’ “antitesi storica al comunismo”.
 
Al centro della dottrina sociale del Msi stava l’idea di un regime corporativo, presa in prestito dal fascismo.
Al suo III congresso del 1950 il Msi confermò la “vitalità dell’idea corporativa” e costituì l’organizzazione sindacale da esso controllata, la Confederazione italiana sindacati nazionali lavoratori, o Cisnal. Questa organizzazione doveva diventare la roccaforte del crumiraggio, della propaganda dell’ideologia della collaborazione di classe e del corporativismo.
 
I neofascisti si rivelarono come i sostenitori più accaniti della politica di “solidarietà atlantica”.
Arturo Michelini, capo del Msi, affermò alla Camera che il suo partito avrebbe votato per l’orientamento “atlantico” e “occidentale”, dell’Italia per non permettere “passi a sinistra” nel Paese.
 
Il Msi aveva la propria base elettorale negli ambienti reazionari, negli ex-funzionari dello Stato fascista, negli elementi più arretrati dei ceti medi urbani e rurali, specialmente nel Mezzogiorno. Esso prestava una particolare attenzione al reclutamento dei giovani.
Nel 1950 i neofascisti avevano costituito il Fronte universitario di azione nazionale, diventato una organizzazione con un certo seguito.
Il Msi faceva di tutto per collegarsi alle altre forze parlamentari reazionarie: l’ala destra della Dc e i monarchici.
 
Alle elezioni amministrative del 1952 la Democrazia cristiana e il Msi si presentarono in alcuni comuni assieme.
Nell’agosto 1955 il Msi concluse un accordo con i monarchici.
La loro alleanza era cementata dalla comune idea della “lotta per un forte Stato autoritario”.
Nella primavera del 1960 si manifestò una tendenza all’avvicinamento tra il Msi e l’ala destra della Dc. E quando, nell’aprile, si discusse alla Camera la formazione del governo monocolore democristiano di Fernando Tambroni, questi ottenne la fiducia grazie ai voti determinanti dei deputati neofascisti.
 
Il movimento antifascista del luglio 1960
 
Il malcontento generale per la politica del governo Tambroni, alla fine di giugno del 1960 sfociò in un movimento politico di massa.
La scintilla di questo movimento era partita da Genova, dove il Msi aveva tentato di organizzare il suo IV congresso.
 
Genova città medaglia d’Oro della Resistenza, rispose a quella che considerava una provocazione, e il 30 giugno per iniziativa della Camera del lavoro e con l’appoggio di tutti i partiti antifascisti, fu proclamato uno sciopero politico di sei ore e una manifestazione alla quale presero parse circa 100 mila genovesi, e delegazioni antifasciste giunte da altre città. Le vie di Genova furono teatro di violenti scontri tra dimostranti e polizia, nel corso dei quali rimasero feriti 40 dimostranti e 162 poliziotti.
 
Il 1° luglio fu proclamato dalla Cgil uno sciopero nazionale di solidarietà con i genovesi. I comunisti fecero appello al Parlamento. I neofascisti furono costretti a rinunciare al loro raduno.
Dopo aver fatto fiasco a Genova ai primi di luglio, i neofascisti tentarono delle sortite in altre città, incontrando però ovunque una poderosa resistenza popolare.
Il 5-8 luglio la polizia sparò sui manifestanti a Licata, Reggio Emilia, Palermo e Catania, provocando dieci morti e centinaia di feriti. I lavoratori risposero con zioni risolute.
L’8 luglio, su appello della Cgil, scioperi politici ebbero luogo in tutti i grandi centri del paese. A Roma, Milano, Bologna, Napoli e in molte altre città 2 milioni di lavoratori scesero nelle strade recando striscioni con le scritte: “Abbasso il governo!”, “Abbasso il fascismo”.
 
Il giorno successivo, sempre su appello della Cgil, fu effettuato in tutta Italia uno sciopero generale sostenuto dai partiti comunista, socialista, socialdemocratico e repubblicano.
 
Il movimento antifascista assunse un carattere vasto, di massa, abbracciando tutto il paese, da nord a sud. Alle manifestazioni, ai comizi e agli scioperi si calcola abbiano preso parte circa 2 milioni e mezzo di persone.
Alla classe operaia, che aveva preso la testa della lotta, si erano affiancati gli intellettuali progressisti e larghi strati di giovani. Nelle strade cittadine fece la sua comparsa la giovane generazione: migliaia di giovani e di adolescenti che si inserirono nella lotta politica.
 
Dopo lo sciopero generale dell’8 luglio il centro politico della lotta si trasferì in Parlamento.
Su proposta del presidente del Senato, Cesare Merzagora, il governo fece ritirare la polizia nelle caserme.
I partiti di sinistra richiesero con forza le dimissioni del ministero Tambroni, lo scioglimento del Msi e un’inchiesta sui delitti commessi dalla polizia durante gli avvenimenti di luglio.
Il 18 luglio ebbero nuovamente luogo in tutta l’Italia comizi e dimostrazioni in appoggio a queste richieste.
 
Il 19 luglio cadeva il governo Tambroni.
Il movimento di luglio ha rappresentato l’apogeo delle lotte di classe in Italia in quel periodo. Esso fece fallire il tentativo dei circoli governativi di instaurare una dittatura clerico-fascista, diede un poderoso impulso alla lotta per la democrazia politica e sociale, stimolò il processo di rinnovamento della società italiana.
I democristiani furono costretti a manovrare “da sinistra”.
 
Il 26 luglio 1960 fu costituito il terzo governo Fanfani, un monocolore democristiano appoggiato da socialdemocratici e repubblicani.
I socialisti si astennero.
Il nuovo governo presentò un programma nel quale il movimento neo-fascista era condannato e veniva proclamata l’intangibilità delle libertà democratiche.
Nello stesso tempo, però il governo confermava la posizione anticomunista dei democristiani.
Il programma di riforme sociali presentato da Fanfani era oltremodo vago.
Perciò i comunisti votarono in Parlamento contro la fiducia al suo governo.
 
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