www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 18-09-10 - n. 332

da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia universale vol. XI, Teti Editore, Milano, 1975
 
Capitolo XXI
 
[…]
 
La crescita della organizzazione sindacale della classe operaia
 
Nel dopoguerra ebbe un profondo significato, infine, il grande sviluppo del movimento sindacale della classe operaia.
Alla fine della guerra, alle tensioni democratiche delle masse corrispose dovunque una crescita numerica delle organizzazioni sindacali nazionali e si consolidò il movimento sindacale all’interno di ogni paese.
 
I sindacati rafforzarono le loro posizioni anche nei paesi nei quali esistevano anche prima della guerra. In molte regioni nacquero nuove centrali sindacali. Il movimento sindacale coinvolse una massa enorme di persone che nella maggioranza (operai non qualificati, donne, lavoratori dei paesi asiatici e africani) per il passato non appartenevano ad alcuna organizzazione di classe.
Questo non poté non favorire la crescita di coscienza e di capacità di lotta dei lavoratori.
 
Il ruolo dei sindacati in quanto organizzazioni in grado di educare negli operai la loro coscienza di classe crebbe anche perché nella maggioranza dei paesi nel dopoguerra fu respinta la concezione della struttura aziendale del sindacato e ci si basò sul principio della organizzazione per settori produttivi che favorì il superamento della disgregazione del movimento sindacale.
 
Contemporaneamente quasi dappertutto l’attività dei sindacati assunse un carattere più spiccatamente politico. Questo fu il naturale risultato della guerra, della partecipazione delle masse alla lotta di liberazione, dell’estendersi della lotta di classe.
 
Ebbe notevole importanza anche il fatto che nel dopoguerra si rafforzò quasi dappertutto il carattere unitario del movimento sindacale. La tendenza dei lavoratori alla unificazione degli sforzi fu un segno distintivo di questo periodo. Questo indirizzo fece fallire in molti casi i tentativi della borghesia e dei riformisti che predicavano i principi della collaborazione di classe.
 
L’aspirazione delle masse sindacalizzate all’unità trovò la sua incarnazione nella creazione della Federazione sindacale mondiale.
 
Alla conferenza di Londra del febbraio 1945 erano presenti i rappresentanti sindacali di tutte le centrali sindacali nazionali del mondo a eccezione della Federazione Americana del Lavoro.
 
Nel settembre-ottobre 1945 si tenne a Parigi la seconda conferenza mondiale dei sindacati che diede vita alla Federazione sindacale mondiale. La conferenza approvò lo statuto della federazione e si proclamò il primo congresso mondiale dei sindacati.
 
Al congresso di Parigi presero parte i rappresentanti di 67 milioni di iscritti ai sindacati di 56 paesi. Prima della guerra complessivamente le organizzazioni sindacali di tutto il mondo contavano 45 milioni di iscritti.
 
Lo statuto della federazione fissò i principi generali e gli scopi di questa organizzazione, e tra questi: la lotta contro la guerra e le cause che la potessero generare; l’organizzazione della lotta contro gli attacchi ai diritti economici e sociali dei lavoratori e per le libertà democratiche; aiuti organizzativi per i sindacati operai dei paesi poco sviluppati dal punto di vista socio-economico.
 
Fin dalla sua nascita la Federazione sindacale mondiale si batté per una coerente organizzazione di classe guidata dai principi dell’internazionalismo proletario.
 
La crescita della classe operaia, le trasformazioni del movimento comunista in una forza autenticamente mondiale, il tempestoso sviluppo del movimento sindacale su basi di classe fornirono un solido fondamento all’ulteriore sviluppo della lotta dei lavoratori per i loro diritti, per la pace e la democrazia.
 
Tutto questo non poté non lasciare la propria impronta sugli avvenimenti del dopoguerra.
 

 
da Biblioteca Multimediale Marxista - www.bibliotecamarxista.org/antoniello%20donato/stor_sind_int.htm
 
Breve storia del sindacalismo internazionale dalla Federazione Sindacale Mondiale alla Confederazione Internazionale dei Sindacati
 
di Donato Antoniello
 
L’influenza degli Stati Uniti sulla rottura della Cgil unitaria è ampiamente documentata e, a Torino, resa evidente anche dalle dichiarazioni dell’ambasciatrice americana che, “traducendo forse in modo un po’ rozzo ma certo non criptico, quelli che ritiene i principi irrinunciabili in difesa del suo paese, non esita a scambiare commesse contro drastiche riduzioni dell’influenza comunista in fabbrica”(1).
 
Anche se non vi è dubbio che la scissione della Cgil appartiene alla storia dell’Italia più che a quella delle relazioni tra Italia e Stati Uniti, va però sottolineato l’interessamento americano, così costante e attivo da costituire senza dubbio un fattore di rilievo.
 
“In primo luogo la promozione del piano Marshall investì direttamente o indirettamente tutte le forze politiche e sindacali della responsabilità di una scelta: pro o contro il piano Marshall che, contemporaneamente, includeva temi economici, politici, strategici tanto che rimaneva praticamente impossibile scindere le scelte tipicamente sindacali da quelle internazionali. Il richiamo allo schieramento politico, con gli Stati Uniti o con l’Unione Sovietica, influenzò in maniera determinante anche il mondo sindacale, non solo italiano, provocando una netta divaricazione tra le forze filo-americane e filo-sovietiche. In questo modo si può comprendere l’interesse da parte degli Stati Uniti nella creazione in Italia di un’organizzazione sindacale non comunista, non politica, non settaria con l’obiettivo immediato di convincere i socialisti moderati e i repubblicani a ritirarsi dalla Cgil e ad aderire a tale sindacato o movimento. E si spiega anche perché la scelta cadde su un sindacato aconfessionale piuttosto che su uno cattolico; perché quest’ultimo avrebbe compromesso i progetti americani per la creazione di un’organizzazione sindacale apolitica di tutti gli anticomunisti” (2).
 
Dunque per gli americani il nuovo sindacato doveva corrispondere al proprio modello di organizzazione moderna; forte, capace di assumere la guida e il controllo di fasce importanti di lavoratori e di esprimere un potere pari a quello di altre istituzioni dello Stato.
 
La via era quella indicata dagli schieramenti politici che si andavano formando intorno all’ERP (European-Recovery-Programm), contrastando il ruolo e i risultati ottenuti sino ad allora dal CIO, il Congress of Industrial Organizations, il quale auspicava, invece, a consolidare quella cooperazione tra Stato e sindacato che si era delineata negli anni precedenti, aspirando alla costruzione di uno Stato neo-corporativo in cui il movimento sindacale sarebbe diventato parte integrante delle istituzioni politico-statuali.
 
Governo, imprenditori e sindacato, quindi, che avrebbero “irrobustito forme di cooperazione e negoziazione neo-corporativa che garantissero relazioni industriali scorrevoli e ordinate, una riconversione guidata verso il mantenimento del pieno impiego, alti livelli salariali e possibilmente, una ripresa del riformismo sociale newdealistico” (3). E il presupposto necessario per mantenere queste condizioni era la crescita dell’economia e degli scambi commerciali che divenne per il CIO un obiettivo della sua strategia sindacale.
 
Il CIO, nel clima della nuova unità antifascista tra l’Unione Sovietica e le forze occidentali alleate, ebbe un ruolo di primo piano nel costruire le basi per una nuova internazionale sindacale che avrebbe dovuto sostenere la ripresa economica.
 
Durante la guerra, Sidney Hillman, uno dei maggiori dirigenti del giovane sindacato americano, aveva attivato una rete di contatti con i dirigenti dei movimenti sindacali dei paesi alleati e con le organizzazioni dei lavoratori italiane, francesi e tedesche che si erano ricostituite all’estero o che operavano clandestinamente nei loro paesi nelle lotte di liberazione e per la nascita di ordinamenti democratici.
 
Il disegno strategico di Hillman non voleva limitarsi alla nascita di rete di solidarietà antifascista tra i lavoratori, ma creare le basi per la costituzione di una nuova alleanza mondiale tra le forze sindacali che nel dopoguerra avrebbero dovuto coordinare azioni collettive di pressione sui governi e sugli organismi internazionali per garantire gli interessi dei lavoratori e promuovere politiche di cooperazione economica e sociale, estendendo a livello mondiale il patto sociale del New Deal.
 
Così, attraverso il proprio bollettino, il CIO illustrava bene le linee generali della politica della nuova internazionale sindacale mondiale:
 
“L’unità internazionale del lavoro significa una forte base sindacale per la cooperazione di tutte le Nazioni Unite, ora e dopo la guerra […] La cooperazione postbellica delle Nazioni Unite significa stabilità mondiale, e quindi commercio mondiale, che a sua volta significa posti di lavoro e prosperità per i lavoratori, all’estero e qui da noi”. (4)
 
Il 3 ottobre del 1945 a Parigi, Hillman, insieme ai rappresentanti dei sindacati inglesi, sovietici, francesi e italiani, fu uno degli “architetti” della nuova unità sindacale mondiale e contribuì alla fondazione della Federazione Sindacale Mondiale, per la quale, abbiamo visto, Lidia Lazzero lavorerà dal ’60 al ’62 per conto della Cgil nazionale.
 
“Fu una conquista del movimento operaio e sindacale… Fu, senza dubbio, il primo intento serio e stabile per conseguire l’unità e il coordinamento del proletariato a livello mondiale contro il fascismo, il capitale e l’imperialismo. L’autorità ed il dinamismo della FSM preoccupò fin da subito gli Stati Uniti, l’Inghilterra ed il capitale internazionale che tentarono immediatamente di sovvertirla e distruggerla” (5).
 
E, in effetti, nonostante l’eterogeneità che contraddistingueva i sindacati aderenti, questi provarono a trovare un denominatore comune che, però, non bastò a salvare l’unità della FSM.
 
L’improvvisa morte di Roosvelt nell’aprile del 1945 e l’insediamento del nuovo presidente, Harry Truman, fece sperare ai vertici del sindacato e alle forze progressiste, che sarebbe stato possibile proseguire la spinta riformatrice del New Deal e la cooperazione con l’URRS attraverso la Nuova Organizzazione delle Nazioni Unite. Purtroppo lo spostamento a destra della maggioranza del Congresso e l’inizio della frattura tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, che avrebbero portato allo scoppio della “Guerra fredda”, obbligarono il CIO a rivedere la propria strategia sindacale e la sua collocazione rispetto alla Federazione Sindacale Mondiale.
 
Il successivo isolamento del CIO, anche in conseguenza del fallimento della lotta sindacale del novembre 1945 alla General Motor, aprì la strada alle limitazioni degli scioperi e alla legge approvata nel 1946, la “Taft-Hartley”, che interveniva direttamente nella regolamentazione dei conflitti di lavoro a favore degli industriali (vietò, ad esempio, gli scioperi di solidarietà, i boicottaggi e i picchettaggi di massa) e inoltre impedì ai militanti comunisti di ricoprire cariche sindacali mentre fu imposto ai funzionari sindacali di prestare giuramento di non appartenere al partito comunista. Di fatto, oltre a rendere illegali le forme di lotta classiche dei lavoratori, questa legge diede inizio alla “guerra civile” all’interno del CIO, tra la destra anticomunista, guidata da Walter Reuther, segretario del potente sindacato UAWU (United Automobile Worker’s Union), e i sostenitori radical del New Deal, molti dei quali erano iscritti al partito comunista.
 
Nel 1950, in occasione del Congresso del CIO, il segretario Philip Murray annunciò che ormai non esistevano più comunisti nel sindacato, dopo aver condotto l’epurazione di undici sindacati che rappresentavano un totale di 760.000 iscritti, accusati tutti di essere controllati dai comunisti (6).
 
Infine, l’annuncio della proposta del segretario di stato George Marshall il 5 giugno del 1947 di lanciare un piano di aiuti economici per aiutare la ripresa economica dei paesi europei diede il colpo di grazia alla politica estera del CIO all’interno della FSM, nel mediare tra i sindacati sovietici e il sindacato inglese, il TUC (Trade Union Congres), che non aveva mai accettato fino in fondo di collaborare con i comunisti.
 
Senza voler esaminare le diverse interpretazioni storiografiche sull’origine e la funzione del piano Marshall, questa proposta del governo Truman rispondeva ad un complesso intreccio di interessi economici, commerciali e geopoltici: da una parte accelerare la ripresa economica in Europa, che era già in atto, e dall’altra contenere l’influenza dell’URSS e consolidare la stabilizzazione anticomunista nei paesi occidentali.
 
Questa strategia provocò così uno scontro istituzionale tra i sindacati aderenti alla FSM e a sua volta questo scontro si riflettè nei diversi movimenti sindacali nazionali, provocando la rottura dell’unità sindacale in Francia e in Italia, dove Pastore della “Libera Cgil” fu tra i più convinti sostenitori del piano Marshall giudicando antinazionale l’opposizione del partito comunista.
 
E proprio sull’atteggiamento anti ERP assunto dal segretario generale, il comunista Saillant, a nome dell’organizzazione sindacale mondiale, che si consuma la rottura.
 
“L’esecutivo della Federazione Sindacale Mondiale, la sera del 21 gennaio 1949, a chiusura della sessione iniziata il 17 gennaio, rivolgendosi ai lavoratori di tutto il mondo proclamava:
 
lavoratori, lavoratrici, l’unità sindacale mondiale è in pericolo. I rappresentanti dei sindacati britannici (TUC) e dei sindacati americani (CIO) hanno posto il Bureau Esecutivo davanti al dilemma: o sospendere l’attività della FSM o sciogliere l’organizzazione dichiarando esplicitamente che, se la richiesta non fosse stata accolta, avrebbero abbandonato la FSM… Con tale atteggiamento essi avrebbero voluto imporre alle 67 Centrali Nazionali che raccolgono i lavoratori organizzati nel mondo intero, la volontà del TUC e del CIO. La maggioranza dei membri dell’Esecutivo ha proposto la ricerca di alcuni punti d’accordo sulle attività della FSM, ma i rappresentanti inglesi e americani sono rimasti intransigenti e non hanno accettato alcuna discussione, intendendo imporre in modo esclusivo il loro punto di vista. Un tale ultimatum non poteva logicamente essere accettato e la maggioranza ha vivamente protestato contro la pretesa di far adottare dall’esecutivo una decisione su una questione che mette in discussione la vita stessa della Federazione e l’unità sindacale internazionale” (7).
 
Nei mesi che seguirono le dichiarazioni dei sindacalisti Cgil furono tutt’altro che distensive. Di Vittorio spiegava così i motivi della rottura: “[…] La verità è una sola. L’esistenza di una grande organizzazione internazionale dei lavoratori come la FSM costituisce un grande ostacolo ai piani di guerra dell’imperialismo anglo-americano contro l’URSS e contro i paesi di nuova democrazia popolare”. E quindi lanciava il proclama: “La FSM vivrà e sarà all’altezza dei grandi compiti che l’attendono nella lotta per l’elevazione del tenore di vita delle masse lavoratrici, per la conquista e la salvaguardia dell’indipendenza nazionale di tutti i popoli, per la conquista e lo sviluppo delle libertà democratiche, per la difesa vittoriosa della pace contro i fautori della guerra” (8).
 
E questi saranno i compiti affidati a Lidia Lazzero da Agostino Novella che subentrò a Di Vittorio nella carica che occupava come Presidente della FSM dal giugno 1949 fino alla sua morte. Un riconoscimento del contributo che Di Vittorio aveva dato all’organizzazione dei sindacati a livello mondiale e, allo stesso tempo, del peso e dell’importanza della Cgil. Fino all’ultimo Di Vittorio si era battuto per evitare la spaccatura in seno alla FSM, ma la logica dei blocchi contrapposti, il punto discriminante dell’adesione o meno al piano Marshall, non potevano lasciare indenne la Federazione Mondiale dei Sindacati, dalla quale la Cgil, nel 1978, si dimetterà da tutte le responsabilità direttive, conservando solo il titolo di membro associato e non lesinando critiche rispetto alla sostanziale sterilità della Federazione FSM nell’elaborazione di una esauriente analisi della crisi economica dell’occidente, che vada oltre i desueti slogan propagandistici.(9)
 
La Cgil, infatti, già dal 1974 aderisce alla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) nata nel 1973 dalla fusione dei sindacati iscritti alla CISL (Confederazione internazionale dei sindacti liberi, nata a dicembre del 1949 a Londra dopo la rottura con la FSM) dell’area CEE che creano la CESL (Confederazione Europea dei Sindacati Liberi) e i sindacati cristiani la CMT (Confederazione Mondiale del Lavoro)
 
Con la caduta del muro di Berlino entreranno nella CES le CCoo spagnole nel 1991, la Cgtp portoghese nel 1993 e della CGT francese nel 2000.
 
La CES attuale, costituita da confederazioni sindacali libere, indipendenti e democratiche e di federazioni sindacali europee, unitaria e pluralista, rappresentativa sul piano europeo di tutto l’insieme del mondo del lavoro, riunisce 81 organizzazioni sindacali di 36 paesi europei e dodici federazioni di categoria europee, per un totale di sessanta milioni di iscritti. È riconosciuta dall’Unione Europea, dal Consiglio dell’Europa e dall’Aele (Associazione europea per il libero scambio) come unica organizzazione sindacale interprofessionale rappresentativa a livello europeo.(10)
 
La Cgil, infine, aderisce nel 1992 alla ICFTU, sigla inglese della CISL (Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi), “dopo aver fatto parte della FSM – si legge sul sito dell’ISPESL – espressione del sindacalismo socialcomunista scioltosi nel 1989, e aver trascorso alcuni anni di indipendenza rispetto alle organizzazioni mondiali esistenti”(11).
 
Aderisce, quindi, con il Congresso di Vienna, svoltosi dal 1 al 3 novembre 2006, alla nascita del nuovo sindacato internazionale, la CSI – Confederazione Sindacale Internazionale, frutto dell’unione dei precedenti organismi sindacali mondiale: la ICFTU e la CMT, sigla francese della Confederazione Mondiale del Lavoro(12).
 
“Si apre un nuovo capitolo nella storia del movimento sindacale internazionale. La più grande assemblea di organizzazioni sindacali di cui si abbia memoria – più di trecento confederazioni nazionali con quasi duecento milioni di iscritti in centosettanta paesi e territori di tutti i continenti.
Le ragioni dell’unità prendono così il sopravvento su quelle della divisione, e anche della contrapposizione, che hanno caratterizzato la vita del sindacalismo tradizionale per tutto il Novecento, fatta salva – scrive Emilio Gabaglio, ex Segretario del CES – l’effimera e controversa unità dell’immediato secondo dopoguerra nel quadro della Federazione Sindacale Mondiale […] All’origine di questa vera e propria rifondazione del sindacalismo internazionale ci sono sia la presa d’atto che le motivazioni delle divisioni passate sono oggi largamente superate così come la consapevolezza che di fronte alle sfide della globalizzazione l’unità delle forze sindacali è la premessa indispensabile per rendere più efficace ed incisiva l’azione sindacale a livello transnazionale (esattamente quello che sosteneva Giuseppe Di Vittorio nel 1949, N.d.C.)”(13).  
 
“Quanto al primo aspetto è evidente che la caduta del muro di Berlino ha creato anche sul piano sindacale una situazione completamente nuova. La FSM è praticamente uscita di scena, ridotta ad entità residuale senza più affiliati in Europa, salvo che a Cipro, e una presenza negli altri continenti sostanzialmente limitata con qualche significativa eccezione, come l’India, alle organizzazioni dei paesi ancora a regime comunista, con l’eccezione però della Cina, i cui sindacati mantengono una posizione indipendente […] La nascita del CIS – conclude Gabaglio riassumendone i passaggi che hanno portato alla sua costituzione - non risolve, né poteva essere altrimenti, tutte le questioni aperte di carattere strategico ed organizzativo (l’unificazione a livello continentale seguirà entro un anno) per realizzare un nuovo e più efficace internazionalismo sindacale. Essa non è che l’inizio, ma in una stagione non facile per il sindacato si tratta pur sempre di un buon avvio”(14).
 
A gennaio del 2006 si è svolto all’Avana il 15° Congresso della FSM all’interno del quale si sono svolti “due work-shop tematici: il primo sul ruolo dei sindacati nei confronti della globalizzazione neoliberista e il secondo sulla lotta per la pace e contro l’imperialismo [con] appassionati appelli alla resistenza classista affinché globalizzazione non sia sinonimo di imperialismo, come – sostengono gli aderenti alla FSM – è il caso attualmente. Durante il work-shop – si legge sul sito della sezione ticinese del PsdL – è intervenuto anche Pierpaolo Leonardi della CUB, il quarto sindacato nazionale italiano, che è un sindacato di base. Il suo discorso è stato fondamentale per evitare che i compagni asiatici e africani coltivino false speranze: non è vero che l’Europa è la faccia buona della globalizzazione rispetto agli USA, in realtà è un tutt’uno fatto di sfruttamento delle risorse dei paesi più poveri e di attacco ai diritti sociali dei lavoratori occidentali”(15).
 
“Non bisogna mai dimenticare – conclude il documento – che ogni popolo ha la sua cultura e le sue tradizioni (che si ripercuotono anche nel modo di lavorare in un partito o in un sindacato) che non si possono cambiare imponendo il nostro metodo (quello occidentale, presumo, NdC); […] in paesi dove vige un sistema socialista il ruolo del sindacato è profondamente diverso rispetto a quello che si concepisce in una società ad economia di mercato in un regime di cosiddetta democrazia liberale. Ma se c’è – da parte degli aderenti, e qui il documenti si rivolge al SISA ticinese - la volontà di lavorare nella FSM è anche perché i documenti congressuali hanno dimostrato che la volontà di ‘aprire’ la federazione ai movimenti e alle associazioni plurali esiste.
A piccoli passi forse, ma un processo rivoluzionario (ma davvero ben fatto e serio) è sempre molto concreto, pragmatico”(16).
 
Credo, in conclusione di un lavoro che richiederebbe una trattazione articolata, che la posizione della FSM, sicuramente ridimensionata rispetto alla sua nascita, di prospettiva rivoluzionaria, offra anche spunti alla Confederazione Internazionale dei Sindacati per una collaborazione che vada oltre gli steccati e limiti ideologici che la CIS afferma di aver superato.
 
La FSM sarà pure residuale ma un sindacalismo internazionale che voglia affrontare seriamente i problemi legati alla globalizzazione della disoccupazione di massa e agli attacchi globali ai diritti dei lavoratori e alla loro dignità di persone, deve farsene carico anche con il contributo dei movimenti e delle associazioni plurali a cui fa riferimento la FSM.
 
Anche perché, “i processi di globalizzazione”, come scrive Gabaglio, “nelle condizioni in cui si stanno realizzando, rimettono in discussione le basi stesse della forza contrattuale del sindacato. Della sua rappresentanza e della sua capacità d’influenza sociale. C’è un effetto di spiazzamento a cui occorre reagire dando all’azione sindacale una dimensione transnazionale che, malgrado alcuni positivi ma sporadici risultati, fa ancora pericolosamente difetto a livello mondiale”(17).
 
Note:
 
1) Claudio Dellavalle, La rifondazione e i duri anni cinquanta, in A. Ballone-C. Della valle-M. Grandinetti, Il tempo della lotta e dell’organizzazione – Linee di storia della Camera del Lavoro di Torino, Feltrinelli, Milano, Aprle 1992, p. 130
 
2) S. Colarizi, La seconda guerra mondiale e la Repubblica , in Storia d’Italia diretta da Galasso, Torino, Utet, 1984, p. 57. Citato in Roberta Cortonesi, Dalla libera Cgil alla Cisl – 1948/1950, Tesi di Laurea in Scienze Politiche conseguita presso l’Università degli Studi di Siena, A.A. ‘92/’93, relatore prof. Antonio Cardini, p. 7
 
3) Cfr. Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo 1944-1951, Edizioni Lavoro, Firenze, 1989, p. 24
 
4) New World Labour Setup to guarantee Unity, Postwar Jobs, in “Cio News”, VII, 50, 11 decembere 1944, citato in Federico Romero, Gli Stati Uniti e il sindacalismo europeo, op. cit. pp. 35-36
 
5) Cfr. Plataforma, documento ufficiale della Federaciòn Sindical Mundial, liberamente tradotto da B. Maurizio, p. 1
 
6) Judith Stepan-Norris, Maurice Zeitlin, Left Out. Reds and America’s Industrial Union, Cambridge University Press, 2003, Steve Rosswurm, The CIO’s left-led unions, New Jersey, 1992, Rutger Univeristy Press.
 
7) Cfr. Notiziario Cgil 30 gennaio 1949, riportato in Roberta Cortonesi, tesi di laurea cit., p. 8
 
8) Cfr. I teorici della scissione, in Vie Nuove del 6 febbraio 1949, riportato in Roberta Cortonesi, tesi di laurea cit., p. 8.
 
9) Rassegna Online CES/Com’è organizzata e i suoi compiti, su http://www.rassegna.it/2007/sindacati/articoli/ces3.htm
 
10) Cfr. Mauro Bruscagin, Le posizioni degli eurocomunismi sulla crisi dell’economia occidentale e sulla CEE- III parte. “l’impegno”, a. XVII, n. 3, dicembre 1977. Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nelle province di Biella e Vercelli, p. 7, su http://www.storia900bivc.it/pagine/editoria/bruscagin397.html
 
11) Cfr. http://www.ispesl.it/cis/exr/shownews.asp?news=253
 
12) Ibidem
 
13) Cfr. Emilio Gabaglio, contributo del 8 novembre 2006, pubblicato dalla fondazione Di Vittorio (FDV), su http://www.fondazionedivittorio.it/news_view.php?id=2154 p. 1
 
14) Ivi, pp.1-2
 
15) Niko Bilusic & Massimiliano Ay – Gennaio 2006 – 15° Congresso della FSM all’Avana, su http://www.partitocomunista.ch/index2.php?option=com_content&task=view&id=26&po...
 
16) Ibidem
 
17) Cfr. Emilio Gabaglio, contributo del 8 novembre 2006, pubblicato dalla fondazione Di Vittorio (FDV), su http://www.fondazionedivittorio.it/news_view.php?id=2154 p. 2 .
 
 

Resistenze.org     
Sostieni una voce comunista. Sostieni Resistenze.org.
Fai una donazione o iscriviti al Centro di Cultura e Documentazione Popolare.

Support a communist voice. Support Resistenze.org.
Make a donation or join Centro di Cultura e Documentazione Popolare.