www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 18-12-10 - n. 345

Stalin e i comunisti di ieri e di oggi
 
di Diego Bigi – Parma
 
Novembre 2010
 
La rottura storica che si è operata nel 1917 con la Rivoluzione d’Ottobre è un qualche cosa che appartiene a noi tutti e che sta continuando ad operare in Europa e nella vita del pianeta, anche se qualcuno, forse tanti, forse troppi, sembra che non se ne accorga. Ed è proprio la dimenticanza o la intenzionale rimozione di questa rottura che ha causato e sta causando tanti guai anche in Italia.
 
Ovviamente le risposte da dare oggi devono essere trovate oggi ed è il nostro intelletto di comunisti che deve farlo. Dicendo comunismo si dice desiderio di vita e fin quando esisterà la vita la parola comunista non scomparirà, continuerà ad esercitare il suo ruolo di progresso, di emancipazione, di libertà. Il comunismo cammina sulle nostre gambe e sta a noi darci forma e la relativa strategia per conseguirlo deve essere necessariamente diversa dal passato, così come è successo di volta in volta con i motori e in cui l’ultimo ritrovato della tecnica non esisterebbe se non fosse esistito quello più vecchio che viene buttato via. Socialismo e comunismo sono parole probabilmente ancora molto lontane dall’essere realizzate, ma che indicano il percorso da fare, la direzione.
 
Un altro grande evento storico si è determinato sul nostro pianeta e sta continuando a vivere sotto i nostri occhi, con caratteristiche diverse dai precedenti accadimenti e nonostante l’aggressività militare ed economica di cui è vittima: la rivoluzione cubana. E questa non è la sola novità positiva del presente.
 
Quando penso alla storia dell’URSS, alla rivoluzione cinese, alla lunga marcia, alle volte mi viene da dimenticare la parola comunista e ogni altro aggettivo, mi viene da dimenticare anche il nome di Stalin e persino i grandi nomi di Lenin, di Mao Tse Tung, di Togliatti, di Ho Chi Minh, di Vo Nguyen GIAP e di altri.
 
Compagni, questa è soltanto l’Umanità che nel secolo passato ha iniziato a muoversi, che ha cercato per tentativi una strada che in modo concreto portasse l’essere umano fuori dalle guerre, dallo sfruttamento, dalla sofferenza e dalla morte, verso la libertà e la vita. Sarebbe ingenuo aspettarsi che la storia proceda sempre in modo lineare verso l’avanti come se potesse esiste nell’agire umano una bilancina di precisione anche se questa sarebbe la nostra ispirazione, anche se è questo il nostro immaginario. Una cosa è l’immaginario angelico della fantasia, un’altra dover operare responsabilmente nella realtà e confrontarsi con i problemi che essa pone. In U.R.S.S. è stata la prima volta che una parte dell’Umanità ha intrapreso quel cammino per interrompere la storia di sempre e non c’erano esperienze cui rifarsi. Tutto questo in condizioni interne e internazionali tragiche, che spesso vengono dimenticate.
 
È dal contesto storico del passato che noi comunisti dobbiamo uscire in modo completo, ecco perché siamo contrari alla NATO e siamo per il suo superamento, ecco perché siamo stati contrari alla sconvolgente guerra di aggressione al Vietnam, e stando dalla parte di questo popolo, che le nuove generazioni non conoscono, e oggi, in un altro contesto, siamo stati e siamo contrari alla guerra consumata contro l’Iraq e in Afghanistan. Ecco perché siamo contrari al capitalismo e al neoliberismo e ovviamente al neofascismo che sta nuovamente strisciando in Europa e alle volte lo si vede ergersi ancora ben in piedi.
 
Un nome con cui si è chiamati a confrontarsi è alle volte quello di Stalin, Iosif Vissarionovic Dzugasvili, dimenticandoci quasi sempre che è anche stato l’unico capo di Stato che ha aiutato militarmente la repubblica democratica spagnola a difendersi, abbandonata invece dagli altri paesi europei “democratici” e che ha vanamente cercato di creare un fronte anti-nazista con i paesi capitalisti prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. Inoltre il paese da lui diretto ha espresso in tutte le sue fasi solidarietà ad altri popoli.
 
Spesso si dice, parlando di lui, che questi ha “conquistato” il potere personale. Indubbiamente ha anche dato una stretta impronta personale al suo potere politico. Però, penso che questo modo di vedere e di leggere il personaggio Stalin debba essere circoscritto. Probabilmente non è solo lui che ha dato la scalata al potere, ma è il contesto drammatico dell’epoca che ha fatto emergere una persona con determinate caratteristiche. Supponendo che Stalin fosse deceduto per infarto subito dopo la rivoluzione, probabilmente sarebbe emersa un’altra persona con caratteristiche simili alle sue.
 
Stalin è stato un prodotto del suo tempo e in gran parte determinato dai meccanismi capitalisti, coloniali, imperialisti e nazifascisti che premevano in modo distruttivo ai confine del paese che lui amministrava, l’U.R.S.S. Lui si è mosso come ne è stato capace e come gli diceva la sua testa. E’ in un determinato contesto storico che Stalin si muoveva.
 
Se Stalin è esistito, ed esistito accettato, è perché si rendeva interprete, secondo la sua personalità, di una logica condivisa, condivisa anche a livello di massa. Quindi non un desueto oppressore del suo popolo. Lui esprimeva una esigenza avvertita e condivisa dagli altri. Stalin mai ha espresso logiche politiche di conquista e di arricchimento a scapito di altri sfruttati., che è proprio quello che a modo suo lui riteneva suo compito contrastare.
 
La natura del potere su cui i basava l’autorità di Stalin era assolutamente diversa da quella che faceva da supporto ad esempio ad un re. Stalin aveva poteri enormi, ma il suo era anche un potere estremamente fragile e tuttavia mai si è verificato un tentativo di assassinio nei suoi riguardi o di estromissione violenta dal potere, cose estremamente facili da fare per dei congiurati, che non sono mai esistiti. Solo un dirigente ha espresso individualmente e pubblicamente la necessità di uccidere Stalin, come sfogo personale, una voce inascoltata e solitaria e non certo aggregante. Tutto il paese era e stava al seguito di Stalin perché lui lo interpretava, pur se a modo suo e con metodi suoi.
 
Questo mio discorso e questo modo di leggere la storia li ritengo indubbiamente validi per certi altri avvenimenti, come la costruzione del muro di Berlino. Qui Stalin, da tempo deceduto, e gli stalinisti proprio non centrano. Alternative a questa decisione non ne esistevano, se non la conquista militare di Berlino Ovest, che i rapporti di forza militare purtroppo non consentivano e in tal caso del tutto diversa e in positivo sarebbe stata la storia del pianeta e della stessa storia dell’Unione Sovietica. Quella è stata una decisione necessaria che non è ascrivibile a questo o a quel dirigente politico comunista di allora, come alle volte storicamente si fa, ma era il sistema socialista, così come era organizzato a quel tempo, che aveva ancora una sua forte vitalità e che ha espresso quella decisione come atto di difesa e di sopravvivenza, indipendentemente dalle persone che in quel momento si potevano trovare ai vertici della politica. Lo stesso avviene negli organismi viventi quando questi vengono assaliti da un batterio o da un virus: l’organismo si difende producendo anticorpi e per aiutarlo spesso si assumono antibiotici. Quando l’organismo è particolarmente debilitato scompare ogni capacità di reazione e l’organismo perisce.
 
Non ho difficoltà ad affermare che sono sempre stato schierato dalla parte della Repubblica Democratica Tedesca (D.D.R.), pur non rappresentando questa il mio ideale finale di normalità, ma un passaggio necessario per arrivarvi. Volendo usare parole non mie, il socialismo, un mondo migliore, si stava storicamente realizzando attraverso quelle strade. Per fortuna è poi prevalsa la consapevolezza che un certo percorso era terminato e il “muro” costruito a difesa è stato lasciato cadere. Ora le strade da percorrere saranno assolutamente e inevitabilmente diverse, saranno altre, e, pur se a grandi linee, già penso di intravederne i lineamenti.
 
Stalin è un prodotto geopolitico dell’epoca, che ovviamente assolutamente non ho e che credo nessuno abbia intenzione di riproporre oggi. Vivere l’agire politico di Stalin, o di alcuni altri uomini storici del passato, come attualità su cui dividersi, sarebbe come dividersi oggi tra sostenitori oppure oppositori di Giulio Cesare, di Pompeo, di Cleopatra o di Marc’antonio. Una cosa grottesca. Bisogna vivere il passato guardando in avanti e non vivere il presente guardando all’indietro.
 
Nel leggere le memorie di un dirigente comunista italiano di quell’epoca (mi pare Arturo Colombi, dico mi pare perché sto citando a memoria dopo 30 anni) ho appreso che loro stessi andavano molto piano ad affrontare l’argomento perché già l’esperienza di allora dimostrava che chi rompeva pubblicamente con Stalin finiva in breve tempo nel campo avverso, diventando un nemico dei suoi ex compagni, un nemico in tutti i sensi.
 
Un nostro compagno, l’italiano Paolo Robotti, un comunista dotato di una fermezza, di una convinzione, di una determinazione eccezionali, da sempre e per sempre estimatore della società sovietica, è stato vittima in U.R.S.S. in quegli anni di queste indiscriminate repressioni interne ai comunisti. Tuttavia non è stato capace di spiegare qual’era questa logica. Nessuno lo ha mai fatto. Robotti ha parlato di psicosi di “nemico del popolo”. Ma forse non era psicosi, obbediva ad una logica.
 
Un percorso storico di quella portata e in quelle circostanze non poteva essere esente da errori e alle volte anche da comportamenti e decisioni assurde. Talvolta per comprendere gli eventi si deve uscire dalla politica, da come avremmo voluto che questa fosse stata, e anche dall’ideologia per entrare nel campo dei comportamenti umani e in quello che è solamente il cervello umano, che può tanto, ma non tutto.
 
Stranamente quello di cui si parla sempre poco sono i crimini della controrivoluzione e della restaurazione, come quelli consumati contro la Comune di Parigi e contro la rivoluzione francese, e parallelamente poco si parla dei crimini e della sofferenza che hanno innescato e che innescano le rivoluzioni. Invece le rivoluzioni vengono guardate con la lente di ingrandimento per osservare e far osservare la mancanza di perfezione e poi demolirle.
 
Si è sbandato tra apologia (inevitabile) prima e liquidazione ora, anzi tra apologia prima e apologia della liquidazione dopo. Noi comunisti dobbiamo riappropriarci della storia, della sua conoscenza e del suo racconto. Ritengo anche per esperienza che verità immutabili di Partito non debbano più esistere, valide solo nel momento della lotta per la sopravvivenza e dello scontro frontale. Il Partito, però, dovrebbe oggi dare “proposte di lettura” politica della storia. Purtroppo le circostanze a noi avverse non consentono ancora questa attività e prendono spazio singole e lodevoli iniziative di politici e di storici, di filosofi. Lo faccio anch’io su questo indigesto argomento come militante comunista.
 
Dai nostri avversari o nemici si cerca, strumentalmente, di suscitare nella gente l’equazione Stalin=comunismo. Senza voler entrare nel merito, non vedo perché bisogna attribuire ad una sola persona la rappresentanza della parola “comunista”, la rappresentanza di un’idea. Questo vale per tutte le situazioni e per tutte le persone. Uno, ognuno di noi, è comunista lui in quanto lui.
 
Oggi nei nostri giudizi siamo tutti condizionati in negativo dalla propaganda uscita dopo la morte di Stalin, sia in Oriente che in Occidente, sia dal campo comunista e sia dal campo anticomunista. Di questo dobbiamo esserne consapevoli. È molto difficile riuscire a mettersi sull’alto dell’Olimpo ed osservare come nuovi Zeus e con un minimo di distacco il comportamento complessivo degli uomini, ma è questo che dobbiamo sforzarci di fare.
 
A me succede una cosa. Più conosco la Storia e più conosco il capitalismo nella sua completezza e nella sua capacità distruttiva intrinseca, maggiormente comprendo Stalin, pur non provando simpatia personale. Sto utilizzando il verbo comprendere e non il verbo giustificare. Credo anche, però, che chiunque si fosse trovato a governare e a dirigere il paese in quelle tragiche situazioni e a superarle sarebbe stato costretto ad un agire che potrebbe ricevere ampio consenso politico anche con sfumature di ammirazione, ma non di simpatia personale. La storiografia si arricchisce spesso di dati e conoscenze, ma con Stalin, lo ribadisco, ci troviamo davanti ad un uso strumentale e politico della Storia. Meriterebbero di essere riletti i commenti fatti alla morte di Stalin. Non mi riferisco a quelli pronunciati in U.R.S.S. o all’estero dai comunisti. No. Mi riferisco a quelli fatti dagli avversari politici del campo capitalista. Tutti colgono l’esito finale costruttivo del suo agire politico. Certo a quei giudizi ce ne sono da aggiungere ora altri, come quello sui suoi metodi, ma altri giudizi doverosi vengono dimenticati e respinti. È la contingenza politica che determina questo. Ritengo che tentare oggi un giudizio storico complessivo su Stalin non sia ancora possibile, anche perché il farlo determinerebbe la perdita di ogni agibilità politica.
 
Anche il cinese Mao Tse Tung, espressione di un altro contesto, pur avendo un’altra formazione culturale rispetto a Stalin, aveva di questi una grande considerazione, un grande rispetto come condottiero e guida del suo popolo.
 
Il problema non è tanto evitare un altro Stalin, storicamente impossibile e stupidamente evocato come spauracchio dalla destra ed anche da un certo tipo di ex sinistra o ex comunisti, bensì è evitare il crearsi di situazioni di violenza che rendano necessario mettere in campo una analoga reazione di violenza, di cui non si possono conoscere gli sviluppi. Durante la guerra civile in Russia i comunisti veniva uccisi, bruciati vivi, non vi era nessuna distinzione di sesso e di età, nemmeno per i bambini piccoli, i comunisti venivano inchiodati e torturati, il padre di un partigiano russo morto combattendo in Italia e che per questo ha ricevuto un’onoreficienza italiana, è stato crocifisso sulla porta di casa dai bianchi. Da una qualche parte ho letto che nulla era più terribile di una insurrezione di schiavi, non rimaneva in piedi un filo d’erba. Non faccio fatica a crederlo. Il Vietnam, diretto da un capace, consapevole e solido partito comunista, appoggiato dall’U.R.S.S., Stato che Stalin aveva contribuito in modo determinante a creare, è stato capace di reggere la furia distruttiva e criminale degli U.S.A. e di uscirne in positivo. In Cambogia invece la violenza distruttiva e scientifica che ha colpito quella popolazione ad opera dei bombardieri e dei militari U.S.A. ha contribuito, e forse in modo determinante, alla presa del potere da parte di Pol Pot e dei cosidetti Kmer Rossi, non per niente successivamente difesi sul piano diplomatico e politico dagli stessi Stati Uniti, in funzione antivietnamita, antisovietica e anticomunista.
 
A livello planetario ci troviamo di fronte ad una dura lotta che la specie umana sta conducendo al suo interno. Il pianeta tutto, per la sua stessa sopravvivenza, ha bisogno di socialismo, che non rappresenta più soltanto una opzione di giustizia, una opzione morale ed umana, ma una necessità.
 
Anche la chiarezza storica diventa una premessa indispensabile per l’agire politico.
 
Per quanto riguarda l’Italia noi comunisti italiani abbiamo avuto una storia diversa da quella dei paesi dell’Est europeo e la nostra storia nazionale è da rivendicare con orgoglio al completo. In Europa però sono state fatte anche altre esperienze e con la storia, lo ribadisco, bisogna sempre confortarsi per comprenderla.
 
Al comportamento di Stalin e a certe sue decisioni viene dato un carattere di unicità, presentando questa a sua volta come una unicità comunista rispetto al capitalismo ed è così che viene fatto percepire alla gente. Questo è un proposito che deve essere contrastato e vedo che alcuni storici e filosofi lo stanno facendo.
 
Si parla spesso e del tutto strumentalmente di certi fatti dell’epoca di Stalin dimenticando però che in quell’epoca, e senza essere in uno stato di necessità e senza nessuna motivazione militare, e per motivi decisamente abbietti come storicamente si va evidenziando, è stato compiuto dagli U.S.A. un massacro intenzionale di oltre 200.000 civili in Germania con il bombardamento della città di Dresda.
 
Un discorso simile vale per le due bombe atomiche sganciate su due città del Giappone, che non erano assolutamente un obiettivo militare. Sono stati trasformati in vapore una massa enorme di civili in modo intenzionale. Questo fatto non crea a nessuno problemi politici o morali di sorta, ma l’argomento Stalin sì. A giustificazione della bomba atomica si dice sempre, come la cosa più naturale, che la guerra così è finita qualche giorno prima, risparmiando la vita a vari soldati statunitensi. Questo è da giudicare come un pensiero fortemente cinico e disumano.
 
Per usare una parola oggi molto usata, si è trattato di terrorismo di massa, che però nulla toglie alla necessità di una vittoria di questa parte.
 
Si provi ad immaginare la ricaduta psicologica e politica che ci sarebbe stata e che ci sarebbe oggi se questi fatti fossero stati commessi da Stalin e con queste espressioni verbali come giustificazione. L’orrore morale si scatenerebbe in tutti.
 
Voglio anche ricordare un fatto italiano: il cervello del povero Giovanni Passannante, il cervello di un cosidetto nemico, un italiano che aveva osato compiere un attentato dimostrativo contro il re d’Italia, rompendone la sacralità del potere, è stato esposto fino a qualche anno fa sotto formalina al ludibrio pubblico e lo si poteva osservare spendendo la piccola cifra di due euro a Roma. In pochi leggono in questo fatto il vero volto delle nostre classi dominanti e della nostra struttura sociale. Si provino ad immaginare le ricadute politiche e psicologiche se un crimine analogo a quell’esposizione fosse successo in URSS, e magari compiuto da Stalin: le ricadute sarebbero completamente diverse. O magari fosse accaduto a Cuba con il cervello di un controrivoluzionario.
 
É mia ferma convinzione (parlo ovviamente a titolo strettamente personale) che la figura di Stalin debba essere ricollocata rispetto alle due immagini che ne sono state date: esagerata, adulatoria, mitizzante la prima immagine, ma che coglieva ampia parte di verità pur dimenticando altri aspetti, solamente demonizzante e quindi falsante la seconda, storicamente non vera. Molte volte si perde la visione dell’insieme. Parlare di Stalin non significa certo volerlo riproporre. Anche volendo, questo sarebbe storicamente impossibile. Il suo nome racchiude in sé qualche cosa di bello, di storicamente grandioso, ma anche qualche cosa di tragico. Ecco il silenzio che incute in me quel nome e non solo in me.
 
Decisamente falsa l’affermazione storica, che talvolta emerge, di uno Stalin antisemita, come lo ha definito trent’anni fa un noto storico e giornalista dell’Unità, Giuseppe Boffa, pur essendo lui un uomo di grandi conoscenze. Mah!
 
Non voglio entrare nel merito della scelte che all’epoca potevano essere le migliori e che non ci sono state. A me interessa conoscere l’esperienza, osservare la scelta che è prevalsa e le conseguenze che ne sono derivate, i problemi che ha risolto e i problemi nuovi che ha creato. Voglio conoscere, non giudicare, questo viene dopo.
 
Come ho cercato di far vedere, la lotta politica ha caratteristiche spesso anche psicologiche. Si fa in modo che si inneschi un meccanismo di identità con coloro che sono state o sarebbero state vittime di Stalin, o comunque, in altre circostanze, del comunismo, e viceversa che si stabilisca un senso di estraneità personale verso i drammi con cui il capitalismo ha travolto e travolge altre persone o altri popoli, accettati in quanto contro gli altri.
 
Vedo che la cultura egemone nelle nostre società induce nella gente una sostanziale accettazione dei meccanismi economici capitalisti che la determinano e le loro conseguenze. Non emerge nessuna rivolta morale. Inoltre non bisogna mai dimenticare che dicendo capitalismo non si dice certo nazifascismo, ma bisogna sempre ricordare che è da questo che esso è nato.
 
Debbo aggiungere che i comunisti e i rivoluzionare giunti al potere nel secolo passato mai, mai!, hanno potuto fare quello che desideravano. Per sopravvivere, i protagonisti della Rivoluzione d’Ottobre del 1917 hanno dovuto affrontare l’intervento militare delle potenze capitaliste. Vinto anche questo, il paese si è trovato sotto assedio economico e militare, un paese in cui quasi la metà degli aratri usati in agricoltura era ancora di legno e l’industria appena accennata. Per non scomparire come nazione e come popolo i dirigenti comunisti dell’U.R.S.S. hanno dovuto decidere l’industrializzazione forzata del paese al fine di porlo almeno militarmente alla pari degli altri paesi nemici. Si dice correntemente che questo paese ha dovuto fare con un salto di 10 anni quel percorso che i paesi occidentali e capitalisti avevano fatto in 40. Ma non è vero, la realtà va ben oltre, i paesi capitalisti occidentali avevano alle spalle secoli di storia e di progresso che all’URSS mancavano, un divenire che non avevano. Per fare tutto questo una popolazione già misera ha dovuto spremere se stessa come un limone e solo per questo, arrivati i nazifascisti fino a Stalingrado, è riuscita a respingerli militarmente evitando il destino che era già stato loro assegnato e salvando tutto il pianeta. Il freddo e la neve sono stati solamente qualche cosa che ha agevolato i sovietici e non certamente i fattori determinanti, come si sente dire nelle chiacchiere e spesso in modo superficiale anche su certi libri. Il freddo e la neve, l’inverno, hanno duramente colpito la ritirata di eserciti che erano già stati sconfitti. I sovietici sono poi riusciti a far sventolare la bandiera rossa con falce e martello sul Reichstag a Berlino.
 
È stato, il loro, un impegno di costruzione enorme e che non viene definito impossibile e assurdo solamente perché ha avuto successo. Si tratta di una situazione che ha richiesta grande partecipazione, grande consenso di massa, ma anche la messa in campo di un apparato coercitivo e questo alle volte può andare oltre il dovuto, può camminare per conto suo. Questo sforzo così sovrumano ha potuto realizzarsi perché i comunisti in quel paese interpretavano una necessità storica. La battaglia di Stalingrado, per le sue caratteristiche dure e spettrali, non è in nulla paragonabile alle altre battaglie della seconda guerra mondiale. Pure l’assedio di Leningrado, descritto anche da uno storico statunitense, non ha un suo uguale nella storia umana della lotta al fascismo. A Stalingrado e a Leningrado si è espressa in forme diverse la grandiosità umana nella sua volontà di sopravvivenza. Per avvicinarsi alla realtà in questi casi bisogna far entrare in campo l’immaginazione, così come ritengo bisogna fare per comprendere il vissuto di che è stato nei campi di sterminio nazisti. L’U.R.S.S. ha svolto il ruolo principale e forse determinante nel capovolgere quello che poteva diventare un tragico percorso dell’Umanità.
 
I sacrifici per l’U.R.S.S. non sono certo finiti con la fine della seconda guerra mondiale. Per i popoli sovietici nel 1945 è iniziata una nuova corsa verso la sopravvivenza.
 
Gli Stati Uniti uscivano dalla seconda guerra mondiale con una economia rafforzata e in pieno sviluppo, l’Inghilterra aveva subito danni sostanzialmente marginali, restando una grande potenza mondiale e coloniale, l’U.R.S.S. invece aveva dovuto combattere la guerra sul proprio territorio ed usciva prostrata e semidistrutta, per non parlare della sofferenza vissuta, che non ha avuto eguali negli altri paesi occupati. Giustamente l’Unione Sovietica ora esigeva i danni di guerra dai paesi invasori, ma è subito emersa l’idea capitalista occidentale che questi dovessero essere riscossi solo nella parte orientale della Germania, quella occupata dai sovietici. Un nuovo confronto politico e militare si è subito delineato. La parte occidentale della Germania, anziché concorrere alla parziale riparazione dei danni causati all’URSS, riceveva addirittura finanziamenti economici e militari da USA e Inghilterra in funzione antisovietica e anticomunista. Dopo pochi anni veniva creata la N.A.T.O. e come risposta sul versante opposto è stato creato il Patto di Varsavia. Anziché creare una Germania unita, neutrale e disarmata come voleva l’URSS (e Stalin), i paesi occidentali hanno proceduto a creare una moneta separata nella parte occidentale. Quelli dell’altra parte non erano certo degli scemi per non riuscire ad intuirne gli sviluppi. Il popolo sovietico, già stremato, è stato nuovamente costretto a spremere se stesso per creare un esercito all’altezza della situazione e anche per non soccombere al ricatto atomico. Ha dovuto impegnarsi nella corsa allo spazio, diventando il primo paese che metteva in orbita attorno alla Terra un satellite e un uomo.
 
A questo punto non è mai male ricordare i crimini individuali e di massa commessi dalla Chiesa attraverso il tempo, attraverso i secoli, tutti crimini non riconducibili ad una persona o a un periodo particolare, ma alla struttura organizzativa e di pensiero che aggregava il potere temporale della Chiesa cattolica. La tortura, quella più crudele e più scientifica, era pratica ricorrente. Giustamente nessuno chiede per questo la chiusura delle Chiese. Anzi, noi comunisti difendiamo la libertà di ogni persona di credere in una religione, qualsiasi religione, e di tutte le Chiese, ma anche di non professarne nessuna.
 
Si pensi alla storia dell’Umanità: la schiavitù, le invasioni, lo sterminio di interi popoli, come Aztechi e Incas, i pellerossa, le persecuzioni religiose o etniche, il tentativo rivoluzionario della Comune di Parigi, da ultimo l’irrompere nella storia, vittoriosa, della Rivoluzione d’Ottobre, portatrice di nuovi principi nei rapporti tra gli uomini e gli Stati. il dilagare del nazismo e del fascismo, e poi lo sventolare sul Reichstag a Berlino della bandiera rossa, ancora vittoriosa.
 
Tuttavia, nonostante certi accadimenti, quella che in modo travagliato si è formata e che nel 1989 1991 è purtroppo implosa è stata la migliore organizzazione sociale che l’uomo ha creato nella sua storia. Almeno così io l’ho sempre giudicata e la giudico tuttora, soprattutto se osservo la realtà d’oggi che ha sostituito il socialismo reale, il socialismo esistente. Non ritengo che questa implosione sia unicamente imputabile al tradimento del gruppo dirigente sovietico, che non ha assolutamente cercato di dirigere gli eventi, ma penso che la società sovietica avesse dei forti caratteri autolimitanti e che, storicamente, forse non poteva non avere. Quella che è crollata è un’aspirazione di sempre quasi realizzata.
 
Oggi in Polonia (e altrove) è tornata ad affermarsi una realtà fatta di fanatismo politico e religioso, di oscurantismo, di intolleranza, di violenza sociale. Le passate vicende politiche di quel paese sono solo un pretesto, un alibi per legittimare la politica di oggi. Sono loro, i dirigenti politici polacchi di oggi, che sono così.
 
Un accenno ad un crimine non militare del capitalismo commesso in tempo di pace e non di guerra voglio però farlo. Recentemente si è parlato per motivi giudiziari della strage causata dallo stabilimento chimico statunitense a Bhopal in India nel dicembre 1984. L’isocianato di metile e altre sostanze chimiche hanno causato la morte di 6.000 persone già nei primi giorni ed altre migliaia ne hanno fatto seguito nel tempo per arrivare fino ad oggi, continuando a causare la nascita di numerosi bambini deformi e i contadini poveri della zona continuano a bere la loro acqua contaminata. Questa tragedia non è imputabile alla casualità, ma è rientrata nei costi calcolati della produzione della fabbrica, con una crudeltà non dettata certo dalla necessità di sopravvivenza di un qualche cosa, ma solamente sostenuta dalla volontà di portare a compimento un progetto che portasse all’arricchimento rapido, distruggendo la vita delle persone e l’ambiente. La percezione di quel crimine, uno dei tanti e che rientra nell’impianto costitutivo del capitalismo, non scuote più di tanto le coscienze dei nostri gestori e facitori dell’opinione pubblica. Non vedo nessuna mobilitazione collettiva nelle coscienze delle persone.
 
Non bisogna mai dimenticare, anzi, bisogna tener sempre presente che il nazifascismo è stato un prodotto uscito dalle società capitaliste e che ha visto subito nei comunisti la sua negazione.
 
Alle volte è anche l’asprezza della lotta che rende possibili o necessari certi comportamenti. A prescindere da Stalin ho constatato, osservando la storia, che comportamenti estremi si determinano quando estrema è la situazione in cui si vive.
 
La Cina, dopo la vittoria della rivoluzione, si è trovata davanti alle scelte da compiere per dare uno sviluppo rapido al paese e si sono delineate una opzione di sinistra e una destra. Ha preso il sopravvento una opzione di centro, cosidetta di centro, con Hua Kuo Feng che si è liberata delle altre due correnti anche fisicamente, ma con una differenza. Quelli di destra sono stati messi in carcere, quelli di sinistra fucilati. Quelli di destra dopo alcuni anni sono usciti dal carcere e sono diventati la forza dirigente del paese. Qui Stalin non centra proprio nulla e quelle fucilazioni, non impressionano proprio nessuno, per il semplice motivo che la nuova realtà era ed è più omologabile all’esistente capitalista. Tuttavia questo paese sta svolgendo un ruolo positivo a livello mondiale e l’esercito di questo grande e immenso paese è uno dei pochi a non essere presente tra le truppe d’occupazione in Iraq. Questo paese è senza basi militari all’estero e senza truppe d’occupazione in giro per il mondo. Vedremo in futuro. La Cina, diretta da partito che si definisce comunista e che sta utilizzando il capitalismo per poter fare il suo sviluppo in tempi rapidi, è un fatto politico irripetibile e dico irripetibile perché essa è il prodotto di una storia passata che gli altri paesi non hanno, così come questa non ha loro, ma continua a venir percepita dai paesi capitalistici come un ostacolo, come un nemico di base.
 
Potrei parlare di tante altre cose, come dell’annientamento fisico della popolazione armena ad opera dei turchi ad inizio novecento, che ha preceduto di poco quello degli ebrei. Solamente che di fronte a certi accadimenti si dice “ecco il comunismo”, di fronte ad altri mai “ecco il capitalismo”.
 
Le atrocità commesse per motivi di dominio in Cina e altrove dall’imperialismo del Giappone alleato di Hitler non impensieriscono più di tanto la gente, che si sente mobilitata solo quando l’urto giapponese avviene contro gli statunitensi e inglesi ed è per l’esistenza di questo urto che si fa un po’ caso anche al resto. Sono tutti pensieri indotti dalla cultura egemone nella nostra società.
 
Nella gestione del potere Stalin è stato certamente severo e direi alle volte anche terribile. A Stalin, però, per motivi esclusivamente contingenti, si nega la possibilità di essere giudicato come tutti gli altri protagonisti della storia passata, che vengono letti e giudicati non con gli occhi di chi ne è rimasto vittima.
 
Persino lo Zar Pietro per i suoi intendimenti nel dirigere quell’immenso paese viene chiamato Pietro il Grande. Si provi ad immaginare le ricadute politiche che ci sarebbero se qualcuno usasse l’espressione “Stalin il grande”. I resti di un personaggio come l’ultimo Zar, anziché essere messi giustamente in un cimitero, sono state portate in una basilica per essere omaggiate e venerate, persino in un pericolo mortale lontano nel tempo come Gengis Kan si ravvisano capacità costruttive per il suo popolo, penso poi anche all’imperatore romano Augusto.
 
Gli errori che sono stati fatti all'epoca o che possono essere stati fatti, sono irripetibili, anche se li si volesse intenzionalmente rifare. I paesi socialisti, pur nella loro grandezza storica, sono stati un prodotto della loro epoca, compreso i loro errori, ma nel nostro tempo quelle esperienze sarebbero nel loro insieme non più proponibili anche volendo perché diverso è il contesto.
 
Nel nostro pianeta c’è bisogno dei comunisti, c’è bisogno di sinistra, c’è bisogno di una prospettiva socialista, la sola capace di fermare anche la devastazione ambientale che è in atto. Il pianeta per affrontare i suoi problemi ha bisogno di pace, non di guerre di invasione.
 
Gli eventi storici hanno avuto in questi ultimi 20 anni un decorso decisamente sfavorevole per noi comunisti, che ci vede ridotti fortemente come consistenza numerica. Nonostante questo sono decisamente contrario ad abbandonare il nostro simbolo di Falce e Martello oppure il nostro nome. Non vedo motivazioni valide. Costruire una sinistra forte senza la presenza dei comunisti non ritengo sia un percorso fattibile. Si finirebbe per scomparire sicuramente o si verrebbe omologati in tutto, come anche l’esperienza storica del P.D.S. evidenzia e l’Italia ha bisogno di altro.
 
Alle volte sento dire che bisogna ripetere l’esperienza della Die Linke tedesca. Ogni regione europea ha avuto la sua storia che a sua volta esprime il suo presente ed è sbagliato voler copiare esperienze di altri. La stessa Linke si è formata senza prendere a modello altre esperienze, ma come esperienza dello Stato che la esprime.
 
Qui in Italia sono favorevole alla formazione di un unico partito comunista perché la nostra storia di comunisti ha alle spalle il Partito Comunista Italiano e non esistono più motivazioni storiche per la presenza di due partiti comunisti.
 
Il capitalismo per ora è riuscito vincente, vincente non solo come sistema economico, ma anche culturalmente. Però, quando dico vincente intendo dire solamente che è questo che è rimasto, che ha prevalso. Ha prevalso la risposta peggiore anche se vedo ovunque corposi tentativi di fuoriuscirne, perché nella vita della gente e del pianeta il capitalismo è un meccanismo sociale perdente, distrugge e rovina.
 
 

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