www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 31-03-11 - n. 358

I piccoli patrioti dei motti risorgimentali
 
di Cristina Carpinelli
 
Il 18 marzo 2011, Milano ha celebrato un episodio glorioso della sua storia: le Cinque Giornate (18-22 marzo 1848), durante le quali i milanesi cacciarono dalla città le truppe austriache di Radetzky. Alla cerimonia, che si è svolta nell’omonima piazza cittadina, era presente l’“Associazione Ex Martinitt Ordine e Lavoro”, in onore dei piccoli orfani milanesi, che parteciparono ai motti insurrezionali milanesi. Durante la cerimonia, la Sindaca Letizia Moratti ha riserbato un piccolo spazio anche al ricordo di questi orfanelli, i martinitt, per il loro appassionato contributo alla lotta per la libertà e l’unità d’Italia. Noi vogliamo, però, ricordare questi piccoli araldi, da un altro punto di vista: quello del proletariato, in controtendenza alla retorica patriottarda tesa ad enfatizzare “questo moto di popolo che unì aristocratici borghesi e gente comune nel nome di un ideale comune”.
 
Pochi conoscono la storia dei martinitt e la loro partecipazione alle epiche Cinque Giornate di Milano. Innanzitutto, chi erano costoro? Erano i bambini di Milano, orfani, ospiti per un certo periodo, dell’oratorio di San Martino (da qui la definizione di martinitt: piccoli Martini). Proprio da questo oratorio, i martinitt furono reclutati come staffette degli insorti durante gli scontri delle Cinque Giornate di Milano. L’idea d’istituire una posta ambulante, destinando a questo rischioso compito gli orfani, è da attribuire ad Enrico Cernuschi, imprenditore e finanziere milanese, che partecipò in modo attivo agli atti insurrezionali di Milano del 1848. Fu così che questi piccoli uomini, riconosciuti per la loro uniforme costituita di un cappello basso a staio e giubba di panno a coda, passarono da una barricata all’altra, recando gli ordini del Comitato di guerra e le informazioni delle vedette al Quartier generale. Scrisse, in proposito, il cronista Vittorio Ottolini: “Conosciuti per la loro assisa, essi sgattaiolavano in mezzo alla folla e alle barricate colla noncuranza della loro età e furono utilissimi” (La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849, Milano, Hoepli, 1887). Quelle giornate li videro, dunque, impegnati sulle fortificazioni, prendendo persino parte attiva, negli ultimi due giorni, agli scontri, in particolare a quelli di Porta Vercellina, mentre altri attendevano al servizio di ambulanza e alla cura dei feriti di guerra presso l’infermeria dell’orfanotrofio. Qui furono medicati alcuni combattenti di Porta Tosa, le cui barricate furono elevate grazie all’utilizzo delle fascine di legname prelevate dall’orfanotrofio.
 
Il 23 marzo 1848 il vecchio generale austriaco Josef Radetzky ordinò la ritirata. Milano era finalmente libera. Ma la controffensiva austriaca non si fece attendere. Ecco perché con lettera del 24 marzo 1848, il Governo provvisorio richiese al direttore dell’orfanotrofio maschile 24 bambini “fra i più intelligenti” da porre a disposizione del Comitato di guerra. Richiesta che fu rinnovata il giorno successivo, e altre volte in seguito, per usare i martinitt anche come aiuti per il Comitato di Sicurezza pubblica e per il Comando della Guardia Nazionale. Nel corso dei mesi successivi, ulteriori richieste di martinitt vennero inoltrate alla direzione dell’orfanotrofio maschile, il 31 luglio 1848 dal Governo provvisorio di Lombardia, e il 1° agosto dal Comitato di pubblica difesa, ormai alla vigilia dell’armistizio tra Piemonte e Austria e al termine dell’esperienza rivoluzionaria iniziata con le Cinque Giornate di Milano. Il 6 agosto gli austriaci rientrarono a Milano da Porta Romana.
 
Qualche giorno dopo (l’8 agosto), 51 martinitt furono concessi al Municipio della città “onde servire di guide ai militari che debbano recarsi ai vari negozi per provvedersi di vettovaglie[i] e per altre mansioni, che svolsero fino alla fine di ottobre.
 
Per i martinitt quella fu, tuttavia, solo una prima prova. Altro impegno e sacrificio spesero nelle successive battaglie per l’indipendenza nazionale, in particolare per la guerra del 1866. Del resto, chi meglio di questi “figli d’ignoti” poteva essere assoldato all’esercizio militare, dato che a casa non c’era nessuno che li avrebbe potuti piangere? Questa riflessione raramente accompagna la stampa dell’epoca e quella più recente, che si limita ad esaltare gli esempi mirabili di questi piccoli martiri, che “sotto quei goffi panni nascondevano un’energia e un vero cuore di piccoli eroi![ii]. A ragion veduta, le prodi gesta dei martinitt sono da allora rimaste impresse indelebilmente nel cuore di tutti i cittadini milanesi.
 
Tuttavia, il tempo che i martinitt dedicavano agli incarichi menzionati era tempo sottratto allo studio e al loro lavoro nelle botteghe sparse per la città[iii], causando i richiami dei padroni. Veniva soprattutto meno il salario che, secondo il regolamento dell’orfanotrofio, spettava per un quarto all’orfano e per i tre quarti alla cassa dell’Istituto. Ecco perché il rettore dell’orfanotrofio si rivolse più volte al Governo provvisorio, affinché fosse concesso il ritorno degli orfani alle loro solite occupazioni e fosse riconosciuta una retribuzione per l’opera di guerra da loro prestata.
 
L’impegno dei martinitt alla causa insurrezionale non fu solo fuori le mura dell’orfanotrofio. I più piccoli, rimasti in istituto, diedero anche loro alla patria quel poco che potevano: durante i motti del 1848 s’imposero (sic!) di rinunciare per tre volte la settimana all’unica (si badi bene!) pietanza giornaliera, affinché la corrispondente economia realizzata si versasse al Comitato Milanese di Soccorso, a favore dei feriti di guerra (Ottolini). Dunque, mentre i più grandi adempivano fino in fondo al loro dovere di soldato, gli altri raccolti nell’orfanotrofio davano con tanta “spontaneità” quanto nessuno avrebbe pensato e osato chiedere.
 
Credo che questa pagina della storia risorgimentale, solitamente narrata in chiave romantica (si veda, ad esempio, il dramma in tre atti, 1848, dello scrittore milanese Emilio De Marchi - per molti anni consigliere dell’orfanotrofio maschile - dove sono rappresentate le imprese dei martinitt durante le Cinque Giornate di Milano), dovrebbe, invece, essere ricordata per il sacrificio a cui furono sottoposti questi piccoli eroi “per forza”, reclutati, sebbene per un nobile ideale, alla guerra, o ad altri sacrifici, a causa della loro condizione di “miserabili”.
 
Da allora tutte le celebrazioni del 1848 ebbero come protagonisti i martinitt. Nel giugno 1885, l’orfanotrofio maschile fu insignito della prestigiosa medaglia commemorativa ai combattenti delle Cinque Giornate di Milano, per l’opera prestata dai martinitt a vantaggio dell’Indipendenza nazionale. Alla solenne cerimonia, che si tenne al teatro Dal Verme, si recò l’intera comunità degli orfani in tenuta militare, preceduta dalla banda. Dieci anni più tardi la banda dell’Istituto e una folta rappresentanza degli orfani vennero chiamati ad aprire il corteo organizzato in occasione dell’inaugurazione del monumento commemorativo delle Cinque Giornate. L’orfanotrofio maschile, per altro, aveva partecipato alla raccolta dei fondi per la realizzazione del monumento, organizzando, insieme con l’Istituto dei ciechi, un’accademia vocale strumentale. Avevano aderito alla raccolta dei fondi anche gli orfani allievi dell’officina tipografica dell’Istituto: proprio le prime 100 lire furono depositate su un libretto della Banca popolare in nome del Pio Istituto Tipografico.
 
Una nuova e solenne commemorazione delle Cinque Giornate si tenne in occasione del 50° anniversario, con manifestazioni che si svolsero dal 18 al 22 marzo 1898. Anche in questa circostanza ai martinitt fu riservato un posto d’onore e una delegazione fu invitata a partecipare al banchetto dei veterani delle guerre del 1848-49. Tra i convenuti figurava anche il generale Fiorenzo Bava Beccaris “che brindò alla salute dei suoi vecchi e buoni compagni d’armi, al Re, alla memoria del generale Garibaldi, ed augurò che le nuove generazioni sappiano ispirarsi a quella concordia che fece l’Italia[iv]. Neppure due mesi più tardi (maggio 1898), le truppe del generale, sparando cannonate sulla folla, avrebbero represso brutalmente nel sangue una rivolta popolare scoppiata a Milano, e passata alla storia come la “protesta dello stomaco”, causando la morte di 80 cittadini e di 450 feriti. In segno di riconoscimento per quella che dalla monarchia fu giudicata una brillante azione militare, Bava Beccaris ricevette il 5 giugno 1898 dal re Umberto I la Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia, e il 16 giugno 1898 ottenne un seggio al Senato.
 
 


[i] Dossier. “I martinitt alle Cinque giornate di Milano” - disponibile on line. http://www.idocumentiraccontano.it/wp-content/uploads/2008/11/i-martinitt-alle-5-giornate.pdf
[ii] Ibidem.
[iii] Secondo il codice teresiano, potevano lavorare tutti i bambini che avessero compiuto i 7 anni d’età.
[iv] Ibidem.

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