www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 18-10-13 - n. 471

La verità sull'Ungheria

Aldo Calcidese ( pubblicato sul periodico nuova unità)

Ogni anno, fra la fine di ottobre e i primi di novembre, vari ''comunisti pentiti'' come Fassino, D'Alema, Napolitano e company vanno in pellegrinaggio a Budapest a rendere omaggio alle tombe di Imre Nagy e degli altri fascisti ungheresi, protagonisti della controrivoluzione del 1956, che tutti i giornali della borghesia, dal Corriere della Sera all' Unità al Manifesto ricordano come ''una grande rivolta popolare contro la dittatura comunista''.

Forse su nessun avvenimento storico sono state scritte tante menzogne – in maniera assolutamente compatta da tutte le correnti della borghesia, dai fascisti ai revisionisti - come sui fatti di Ungheria del 1956, applicando la massima di Goebbels secondo cui una menzogna tante volte ripetuta si trasforma in una verità indiscutibile.

Bisogna dire innanzitutto che la controrivoluzione ungherese del 1956 fu una delle conseguenze più mostruose del colpo di stato di Chruscev e del XX Congresso del PCUS.

Una volta impadronitisi del potere, Chruscev, Mikojan e i loro seguaci si dedicarono al consolidamento di questo potere non solo in URSS ma anche negli altri paesi socialisti, dove si preoccuparono di mettere in condizioni di non nuocere tutti coloro che non si erano schierati apertamente col nuovo corso. Dopo avere sistemato le cose in Bulgaria, in Cecoslovacchia e in altri paesi – con l'estromissione degli elementi leninisti e rivoluzionari – il gruppo chrusceviano decise di occuparsi dell'Ungheria, dove la direzione del partito non si mostrava abbastanza ligia alla linea revisionista di Mosca.

Ma sull'Ungheria avevano puntato gli occhi anche Tito e gli americani.

Manovre a Mosca, controrivoluzione a Budapest.

Pochi mesi prima dei tragici avvenimenti di ottobre, la direzione di Mathias Rakosi era divenuta il bersaglio delle forze più reazionarie, capeggiate dal clero ungherese, del titismo jugoslavo e, infine, anche di Chruscev, che non gradiva Rakosi perché, con il peso della sua personalità in alcune occasioni si era opposto ai disegni di Chruscev nelle riunioni congiunte.

''Rakosi proveniva dalla vecchia guardia del Comintern e il Comintern era la bestia nera dei revisionisti moderni. Così l'Ungheria divenne il campo degli intrighi e delle combinazioni orditi da Chruscev, da Tito e dai controrivoluzionari (spalleggiati dall'imperialismo americano), che corrodevano dall'interno il partito ungherese e le posizioni di Rakosi e degli elementi sani della sua direzione. Rakosi costituiva un ostacolo sia per Chruscev, che cercava di includere anche l'Ungheria nella sua sfera d'influenza, sia per Tito, che cercava di distruggere il campo socialista e odiava doppiamente Rakosi come uno degli ''stalinisti'' che lo avevano smascherato nel 1948''.

(Enver Hoxha, I chrusceviani, edizioni 8 Nentori, Tirana, p.71).

Gli sforzi di Chruscev e di Tito per liquidare quanto di sano c'era in Ungheria coincidevano ed è per questo che essi coordinarono le loro azioni.

Intanto Imre Nagy, che era stato espulso dal partito come controrivoluzionario, aveva offerto per il suo compleanno un sontuoso banchetto a cui aveva invitato circa 150 persone tra cui anche membri del C.C del partito e membri del governo. Molti di loro avevano accettato l'invito.

Secondo la testimonianza dei comunisti albanesi, che seguirono da vicino gli avvenimenti ungheresi, alla fine di agosto del 1956 essi avevano informato la direzione sovietica sulla loro convinzione che la situazione in Ungheria stava precipitando.

''Durante la sosta a Mosca incontrammo Suslov al quale comunicammo le nostre inquietudini.

Non abbiamo notizie né dai nostri servizi di informazione né da altre fonti che indichino che là stia covando la controrivoluzione, come voi affermate – ci disse Suslov. I nemici stanno facendo molto rumore a proposito dell' Ungheria, ma la situazione va via via normalizzandosi. Quanto al compagno Imre Nagy, non possiamo essere d'accordo con voi, compagno Enver.

Mi meraviglia molto il fatto – gli dissi – di sentirvi definire compagno Imre Nagy, dal momento che il Partito dei Lavoratori Ungheresi lo ha ripudiato.

Poco importa se l'hanno ripudiato – disse Suslov – ma egli si è pentito e ha fatto l'autocritica.

- Le parole volano – ribattei – non fidatevi delle parole…

No – disse Suslov diventando rosso – abbiamo la sua autocritica per iscritto – e così dicendo aprì un cassetto, tirò fuori una lettera firmata da Imre Nagy e indirizzata al Partito Comunista dell' Unione Sovietica, in cui riconosceva di avere sbagliato'' nei pensieri e nelle azioni'' e chiedeva il sostegno dei sovietici.

E voi credete a questa autocritica? – domandai a Suslov.

– Ci crediamo e come! mi rispose, e poi proseguì: i compagni possono anche sbagliare, ma quando riconoscono i loro errori dobbiamo aiutarli.

- Egli è un traditore - dissi a Suslov – e noi pensiamo che state commettendo un grave errore aiutando un traditore ''.

(Enver Hoxha op. cit. , pp.280-282)

Infatti, appena due mesi dopo, la controrivoluzione infuriava in Ungheria. Alla testa dei rivoltosi stava, fra gli altri, il cardinale Mindzenty Nel suo libro ''La verità sull'Ungheria'' Herbert Aptheker scrive:

''Il cardinale fece opposizione alla fine del regime monarchico, favorì il ritorno degli Absburgo, si oppose alla punizione dei criminali di guerra fascisti''

(Herbert Aptheker, La verità sull'Ungheria, Parenti editore, Firenze, 1958, p.189).

Quando venne arrestato e condannato per le sue attività eversive, la Chiesa riformata, la maggiore comunità protestante d'Ungheria, pubblicò una dichiarazione in cui si affermava che il cardinale era stato condannato per le sue attività politiche, e non per quelle religiose.

''Contemporaneamente, tre vescovi luterani affermarono in una dichiarazione separata che le attività del cardinale Mindzenty sarebbero state proibite da qualunque governo.

(H.Aptheker, op. cit. ,p.196)

Budapest 1956 come Berlino 1933

Il segno politico dei moti di piazza fu subito chiaro. Apparve subito evidente che non si trattava di una ''rivolta popolare spontanea'', come la presentò quasi tutta la stampa occidentale.

Squadre perfettamente organizzate ed inquadrate percorrevano la capitale, segnando con croci bianche le case dei comunisti e con croci nere le case degli ebrei.

Come a Berlino nel 1933, si bruciavano i libri marxisti e si dava la caccia ai comunisti e agli ebrei. La sera del 23 ottobre il comitato centrale del Partito dei Lavoratori Ungheresi, ormai epurato degli elementi leninisti, offriva la carica di primo ministro a Imre Nagy.

Contemporaneamente, si radunavano vari gruppi armati per dare l'assalto a edifici pubblici.

''Il carattere disciplinato dei gruppi di attaccanti era manifesto; si osservò pure che essi erano ben equipaggiati con armi da fanteria e che molti portavano dei bracciali d'identificazione tutti uguali fra loro, apparsi repentinamente per la vie della città, si direbbe, e ormai a centinaia…Nella giornata del 25 bande armate incendiarono il Museo nazionale: lavoratori, pompieri e semplici cittadini che tentavano di impedire la distruzione delle opere d'arte furono accolti dalle pallottole dei banditi.

Sempre il 25, nei villaggi fuori Budapest e nelle campagne, gruppi di armati da venti a cinquanta uomini, montati su veicoli…cominciarono a darsi alla caccia all'uomo. Questo era semplice terrorismo fascista e nello spazio di poche ore in circa quindici piccoli centri dei dintorni le bande procedettero sistematicamente al massacro di tutti i comunisti noti, presidenti dei Consigli locali, guardie di polizia e dirigenti di cooperative e collettivi.''

(H.Aptheker, op. cit., pp.322-323-331)

Imre Nagy, in un discorso alla radio, negò che il movimento in corso fosse da considerare una controrivoluzione, anzi lo definì ''un movimento nazionale e democratico''.

Intanto il governo Eisenhower offriva al nuovo governo ungherese 20 milioni di dollari a titolo di ''aiuti''. Il 31 ottobre vennero ricostituiti vari partiti fascisti e reazionari.

Le forze che l'apprendista stregone Chruscev aveva liberato ormai erano sfuggite al suo controllo e si rivolgevano alle potenze imperialiste per chiedere il loro aiuto. Il Daily Express di Londra del 31 ottobre pubblicava una descrizione del lungo e sistematico assalto condotto il giorno prima contro la sede centrale del partito a Budapest, dovuta al suo corrispondente Sefton Delmar che si era trovato sul posto. Gli attaccanti, scrive Delmar, ''hanno impiccato tutti senza eccezione gli uomini e le donne trovati nel palazzo, fra cui alcuni comunisti buoni, sostenitori della ribellione contro Mosca del primo ministro comunista Nagy…

Gli impiccati pendono dalle finestre, dagli alberi, dai lampioni, da qualunque oggetto a cui si possa impiccare un uomo''.

''Mentre ottobre passava in novembre, la furia cresceva, e sempre più il massacro prendeva la forma di un'azione bene organizzata. Vi sono prove conclusive del fatto che solo l'entrata delle truppe sovietiche a Budapest prevenne l'uccisione di centinaia, forse di migliaia di ebrei: fra la fine di ottobre e l'inizio di novembre, i pogrom antisemiti – segni del terrore fascista senza più freni – erano riapparsi in Ungheria.''

(H.Aptheker, op. cit., p.378)

L'intervento sovietico

Mentre I controrivoluzionari facevano stragi e chiedevano l'intervento armato dell'imperialismo, Chruscev esitava a intervenire. Finalmente, fu costretto ad impartire l'ordine di intervento alle truppe. La sorte del governo e di Nagy era ormai segnata. Quando la controrivoluzione fu repressa, egli si rifugiò nell'ambasciata jugoslava.

''Era chiaro che egli era un agente di Tito e della reazione mondiale. Egli godeva anche dell'appoggio di Chruscev, al quale sfuggì di mano perché voleva andare ed in effetti andò più lontano. Per mesi interi Chruscev litigò con Tito per ottenere Nagy, che egli non voleva consegnare, finchè giunsero al compromesso di consegnare Nagy ai rumeni…Quando si placarono gli animi e furono sepolte le vittime della controrivoluzione ungherese, che era stata soprattutto opera di Tito e di Chruscev, Nagy fu giustiziato. Neppure questo era giusto, non perché Nagy non meritasse questa condanna, ma perché non doveva essere fatto, come fu fatto, di nascosto, senza processo e senza il suo smascheramento pubblico. Egli doveva essere processato e punito pubblicamente, secondo le leggi del paese di cui era cittadino. Ma questo processo non interessava certo né a Chruscev né a Tito, perché Nagy avrebbe potuto scoprire i panni sporchi di coloro che avevano manovrato i fili della congiura controrivoluzionaria.''

(Enver Hoxhe, op. cit., pp.293-296)

Nei partiti comunisti occidentali, i fatti d'Ungheria suscitarono un acceso dibattito. Diversi intellettuali presero posizione contro l'intervento sovietico, sostenendo che era stata schiacciata una rivolta popolare. Nel suo intervento all'VIII Congresso del PCI, Concetto Marchesi prese posizione in questo modo sugli avvenimenti ungheresi:

''Si è ripetuto e si ripete che nella sommossa erano operai e studenti. La qualifica di operaio e di studente non basta a nobilitare la loro azione. Operai rinnegati e studenti alimentarono lo squadrismo e le brigate nere di Mussolini! Sotto la corteccia della repubblica democratica, in Ungheria, restavano forse ciurme di servi che aspettavano i vecchi padroni per opprimere altri servi.

A ciò non hanno badato quegli intellettuali comunisti che hanno testè sollevato gli entusiasmi della stampa borghese e di taluni uomini di sinistra addetti ad un perpetuo esame di coscienza.

Vercos, autore di ''Silenzio del mare'', poteva scrivere: ''L'esercito rosso, schiacciando coi suoi carri armati gli operai ungheresi si è battuto per la prima volta contro la liberazione di un popolo e ha perduto così, agli occhi di milioni di uomini, la sua innocenza''.

Sono le belle frasi dei letterati che alle belle frasi sacrificherebbero, se ne avessero, le belle idee. In Ungheria era cominciata non la guerra civile, ma la caccia al comunista. Per codesti intellettuali comunisti i massacri dei comunisti non contano. Essi sono gli olocausti dovuti alla sacra ira del popolo insorto, anche se di questo popolo i nuovi capi siano il cardinale primate e i castellani di Horty''.

(Concetto Marchesi, Umanesimo e comunismo, Editori Riuniti, pp.114-115)

Questa è la semplice verità sui tragici avvenimenti che si svolsero in Ungheria nel 1956. Una verità che nessuno dei pennivendoli che scrivono sui giornali della cosiddetta ''sinistra'', anche quella sedicente radicale, ha mai rivelato ai suoi lettori; anzi i suddetti pennivendoli si sono accodati completamente alla versione dei fascisti e dei borghesi, presentando le vittime come carnefici e i macellai fascisti come ''vittime del comunismo''


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