www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 22-02-14 - n. 487

Luoghi comuni o verità sulla prima guerra mondiale? Risposta a Nicolas Offenstadt

Annie Lacroix-Riz * | Initiative communiste, n °140 historiographie.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

gennaio 2014

Le Monde ha l'abitudine di annunciare la «verità» storica (sull'URSS e il suo «tiranno rosso», sul padronato non «collaborazionista», Louis Renault in testa, sul democratico colonnello de la Rocque, ecc.). Annunciando il 4 novembre 2013 il martellamento ideologico di un anno (almeno) che ci attende, il «giornale di riferimento» ha quindi incaricato il medievalista Nicolas Offenstadt, peraltro specialista delle «memorie» della Grande Guerra, a «farla finita con dieci concezioni errate su» di essa. Perché, ci spiega quest'ultimo, «il suo forte impatto sulla società francese alimenta la circolazione di immagini e luoghi comuni che non corrispondono allo stato delle conoscenze degli storici».

Sdoganare il capitale

In cima al pantheon mitologico ci sarebbe l'idea che «la guerra è stata voluta dagli industriali e dai finanzieri». Citiamo:
«Le interpretazioni marxiste delle origini della guerra, in seguito alle riflessioni di Lenin sull'imperialismo come fase suprema del capitalismo, assegnano un ruolo centrale alle rivalità economiche accentuate dalla caduta del saggio di profitto, e alla natura predatoria degli ambienti industriali. Ci sono certamente dei rapporti di forza commerciali tra i blocchi in Cina o nell'Impero Ottomano, tra la Gran Bretagna - preoccupata del «made in Germany» - e tedeschi. La corsa agli armamenti nell'immediato anteguerra, in tutti i paesi, rafforza questa interpretazione. Ma la storiografia ha dimostrato che le interdipendenze erano in realtà molto forti tra le economie e che, per molti settori (assicurazioni, compagnie minerarie ...), la pace era preferibile alla guerra. La City ha così spinto piuttosto a difendere la pace. Peraltro, in merito alla politica estera, i settori industriali e finanziari non erano uniti.» [1]

Il «luogo comune» proposto non ha alcun fondamento. I marxisti si sono in effetti limitati ad analizzare l'economia capitalistica prima del 1914, senza riferimento ad alcun «auspicio»dei banchieri e degli industriali: Lenin, tanto hegeliano quanto Marx, osserva le pratiche dei «capitalisti, indipendentemente dalla loro volontà e dalla loro coscienza». Egli censisce in L'imperialismo, fase suprema del capitalismo le pratiche, alla vigilia della guerra, del «capitale finanziario [,] risultato della fusione del capitale di alcune grandi banche monopolistiche con il capitale di gruppi industriali monopolisti» nella fase imperialista nata dalla prima grande crisi sistemica del capitale (1873): egli parla, non dei banchieri e degli idustriali, ma di un «pugno di monopolisti», «cartelli e trust» che allora avevano proceduto alla «spartizione del mondo».

L'«oligarchia finanziaria» - ormai più che centenaria - ha resistito alla discesa dei prezzi e del tasso di profitto creando dei cartelli, tagliando i salari e le entrate non monopoliste, in breve, facendo pesare la crisi «sul resto della popolazione». Ma non ha potuto eliminare la sovrapproduzione, cioè l'insufficenza del tasso di profitto atteso rispetto al capitale investito o da investire, né superare le rivalità e le contraddizioni che la lacerano. Essa ha creato o rafforzato cartelli e trust (effettivamente «interdipendenti», per citare Nicolas Offenstadt), ma questi frutti e acceleratori dello sviluppo ineguale del capitale non «sopprimono [affatto] le crisi». Aggravando la concorrenza nei settori soggetti ai cartelli, la crisi costringe dunque i monopoli a distruggere massicciamente capitale e a spartirsi di nuovo il mondo: la loro «caccia alle colonie» o a zone assimilate (gli imperi ottomano e russo) si rafforza «dopo il 1880» ; all'inizio del 20esimo secolo si dispiegano le «guerre periferiche» fin nel cuore del continente europeo, e i piani miranti ad «annettere non solo le regioni agrarie, ma anche le regioni industriali (il Belgio è ambito dalla Germania, la Lorena dalla Francia).»

Il ritorno de «l'ultra-imperialismo»

È allora che Kautsky, il più prestigioso marxista vivente dopo la morte di Engels, aderisce al riformismo, ideologia allora trionfante degli «agenti della borghesia nel movimento operaio» : forgia la «teoria dell'ultra-imperialismo» [o super-imperialismo] pacifico, secondo cui i capitali concentrati-cartellizzati «preferiscono» il compromesso al conflitto. Questo sogno smobilitatore gli vale gli assalti di Lenin prima che la guerra generale del 1914 decida.
«I cartelli internazionali, in cui Kautsky vede l'embrione dell'ultra-imperialismo (così come la produzione di compresse di laboratorio «può» essere proclamata embrione dell'ultra-agricoltura), non ci danno l'esempio di una continua spartizione del mondo, della transizione dalla spartizione pacifica alla spartizione non pacifica e viceversa? […]
Il capitalismo si è trasformato in un sistema di oppressione coloniale e di strangolamento finanziario della schiacciante maggioranza della popolazione del mondo da parte di un pugno di paesi «progrediti». E la spartizione del bottino avviene tra due o tre rapaci potenze mondiali armati fino ai denti (America, Inghilterra, Giappone) [per non parlare di Germania e Francia], che coinvolgono tutta la terra per la spartizione del loro bottino».

In ciascun paese, una storiografia documentata, non sempre marxista, ha corroborato, sia per il 1914 che per il 1939, «le interpretazioni marxiste delle origini della guerra». La tesi del conservatore Fritz Fischer, Dozent (assistente universitario) sotto Hitler, Les buts de guerre de l'Allemagne impériale 1914-1918, dimostrano l'unanimità in favore della guerra di conquista di un «pugno» di decisori tedeschi, sostenuta dalla quasi totalità delle forze politiche (S.P.D. «maggioritaria» inclusa). Vecchia di oltre 50 anni (1961, tradotta nel 1970), è sempre attuale. Certo, la storiografia dominante la esclude dalle bibliografie ufficiali dei concorsi di assunzione in storia dagli anni 2000 : si parla solo di Georges-Henri Soutou, «L'or et le sang. Les buts de guerre économiques de la Première guerre mondiale» (1989), che contesta il consenso dei decisori tedeschi sulla questione e contraddice Fischer su quasi tutto. Poco importa che le fonti originali attestino il consenso sulla guerra e sui suoi obiettivi economici (dopo qualche esitazione sui compromessi possibili) del blocco della Banca di Francia, del Comité des Forges e Houillères [organizzazioni padronali della siderurgia e del carbone (ndt)], padroni dello Stato francese. «La City ha […]  piuttosto spinto a difendere la pace»? No, essa ha cercato prima del 1914 di concludere un compromesso coloniale con il Reich a scapito dei loro rivali comuni, francesi, portoghesi, belgi, ed ha ricominciato prima del 1939.
Nel 1937, l'ambasciatore di Francia a Londra Charles Corbin ha dimostrato in base agli archivi che l'appeasement del tandem Chamberlain-Halifax (all'epoca focalizzato sull'espansione in Austria e in Cecoslovacchia) ricalcava quello del 1912 applicato al campo coloniale: Londra aveva allora offerto su un vassoio d'argento a Berlino di soppiantare tutti gli imperi coloniali europei escluso quello britannico. [2] Entrambi i tentativi, anche duraturi e accaniti, alla fine falliranno perché la crisi sistemica del capitalismo condannò momentaneamente il compromesso. E ciò che vale per l'Inghilterra vale per le relazioni degli Stati Uniti con il Reich e con il Giappone.

Inno all'Unione Europea

Nicolas Offenstadt non fa riferimento alla «storiografia», ma solo alla «storiografia dominante» antimarxista, prescritta oggi dall'università ai futuri insegnanti con l'esclusione di tutti gli altri: quella dei Somnambules di Christopher Clark che in circa 670 pagine pretende di dimostrare, suscitando l'ammirazione generale, che i dirigenti di tutti i paesi hanno «marciato verso la guerra» manipolati da questo o quello (ah, il tema di Elena e la guerra di Troia proclamato come «nuovo»!), vittime di concatenazioni maledette (ma Clark non dimentica di scagionare la Germania, guidata dall'Austria, per lo scoppio del conflitto, per subissare i serbi, russi, …ecc.). Questo scalpore farcito di propaganda su «l'Unione Europea» garanzia di pace eterna - come i cartelli del 19esimo e del 20esimo secolo ? - sotterrano gli archivi diplomatici, economici e militari che hanno annunciato senza soste la guerra generale durante le crisi precedenti del 1914 e del 1939. [3]

La storiografia americana, così ricca sulla «spartizione del mondo», mostra a partire dai lavori di William Appleman Williams («The Tragedy of American Diplomacy», 1a ed., 1959) quanto fosse pertinente il giudizio di Lenin riguardo le relazioni tedesco-americane del 1916: «Il capitale finanziario dell'America e di altri paesi, che si divideva pacificamente il mondo con la partecipazione della Germania, ad esempio nel sindacato ferroviario internazionale o nel trust internazionale della marina mercantile, non procede adesso ad una nuova spartizione sulla base dei nuovi, mutati rapporti di forze in un modo assolutamente non pacifico?»

L'appeasement prima del 1914 (come prima del 1939), mirava a prevenire la guerra? No, solo a negoziare le condizioni e le conseguenze alle migliori condizioni per i rivali-alleati. Ci si vuol bene tra banchieri «nemici», non ci si «augura» di scannarsi, ci si frequenta anche in tempo di guerra. Ma, poiché si riesce bene con le armi - oggetto di profitti giganteschi - a sbarazzarsi del capitale «eccedentario», forze produttive umane incluse, e aprire i mercati chiusi, si mandano all'inferno i popoli che non hanno saputo dire no (altro oggetto di «luoghi comuni» che meriterebbe di essere messo a fuoco). Rifiutarsi di esaminare, con la teoria e con le fonti storiche, la natura guerriera del capitale porta ad accreditare la mitologia «psicologica» della sequenza fatale, ma evitabile (!) di eventi. E' più seducente, certo, del richiamo Lenin alle «decine di milioni di morti e mutilati lasciato dalla guerra fatta per determinare quale dei due gruppi di briganti finanziari - inglese o tedesco [americano, ecc.] - deve ricevere il grosso del bottino».

Nel contesto attuale di scontri inter-imperialisti sulla «nuova spartizione» delle risorse mondiali tanto spietati come quelli che hanno portato alle due guerre mondiali, trionfa nuovamente, sullo sfondo di una «unione sacra» europea e nazionale, la stupida favoletta di Kautsky sull'ultra-imperialismo «pacifico». Ciò che si attribuisce alla «storiografia» è tutto dovuto alla cappa di piombo antimarxista che pesa sulla società e sull'università. La prima guerra mondiale è ben stata, come la seconda, una guerra di rapina e di «nuova spartizione del mondo» tra i giganti imperialisti. Sulla natura del capitale, le sue crisi e le sue guerre, non attenetevi né a Le Monde né a «la storiografia» antimarxista. Correte a leggere Marx e Lenin (L'imperialismo, fase suprema del capitalismo mette le cose in chiaro sul «capitalismo finanziario» spacciato come recente e permette, più in generale, di non morire idioti), e informatevi sulla «storiografia» critica.

* Annie Lacroix-Riz, professore emerito di Storia Moderna, Università di Parigi 7
Pubblicato su Iniziativa Comunista, mensile del PRCF, n °140, gennaio 2014, p. 14-15

* * *
Nota. Tra i «dieci preconcetti» che Nicolas Offenstadt combatte figura, al terzo posto, la grande menzogna, continuamente ripetuta agli studenti di Francia da circa cento anni, che «i taxi hanno giocato un ruolo decisivo nella battaglia della Marna». Ma perché lo storico, che di solito argomenta i «luoghi comuni» addotti, qui rinuncia a ristabilire la verità? È perché sarebbe stato necessario ricordare che, secondo le parole del marzo 1939 del sottosegretario di Stato permanente presso il Foreign Office, Robert Vansittart, «la Francia non avrebbe avuto la minima possibilità di sopravvivenza nel 1914, se non ci fosse stato il fronte orientale» ? [4]

* * *
[1] Corsivo mio. Per quanto segue, tratto da Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, in corsivo nel testo.

[2] Dispacci 918 e 924, Londra, 15 e 16 novembre 1937 (su due colonne raccolta comparativa di testi intitolata «Les voyages à Berlin de Lord Haldane et de Lord Halifax, 1912-1937»), Gran Bretagna 1918-1940, 287-287 bis, MAE. Confronto, Annie Lacroix-Riz, La scelta della sconfitta: le élite francesi negli anni 1930, Parigi, Armand Colin, 2010, p. 418-419.

[3] Cfr. in particolare la ricchissima Nuova serie 1897-1918, Archivi del Ministero degli Esteri (La Courneuve). Tema della formazione degli insegnanti, Lacroix-Riz, Storia contemporanea ancora sotto l'influenza, Parigi, Le temps des cerises, 2012, cap. 1 e passim.

[4] Michael Carley 1939, «1939, The alliance that never was and the coming of World War 2», Chicago, Ivan R. Dee 1999 p. 4, sottolineato nel testo (traduzione francese, PU Montreal, 2001).


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