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Sull'uso ideologico della storia: I GAP di Roma e l'attentato di Via Rasella

Tiziano Tussi

09/09/2017

Festival della mente a Sarzana. Alessandro Barbero, docente presso l'Università di Torino, medievalista ma con interessi ed incursioni anche in altri tempi storici. Un suo libro sulla battaglia di Waterloo (per Laterza) è stato tradotto in sei lingue.

A Sarzana ha incantato il pubblico, circa un migliaio di persone a sera, pere tre sere consecutive, ad un'ora tarda, le undici di notte, per un'ora ogni volta, tagliando anche parti delle relazioni, su tematiche contemporanee. A noi interessa l'argomento della seconda serata, sabato 2 settembre: Le reti clandestine. Una rete di partigiani: i GAP di Roma e l'attentato di Via Rasella.

A mo' di avvertenza alle sue lezioni, e Barbero evidentemente ci tiene, dato che lo ripete ogni sera, sottolinea le sue modalità di esposizione che si serviranno solo di fatti riscontrabili e non di ricostruzioni ideologiche non confermate. Che l'abbondanza di illazioni, storie, fantasie e mezze verità abbondano nelle ricostruzioni storiche in Italia. E che è assolutamente necessario lavorare per smontare tali fantasiose invenzioni, che naturalmente servono solo a disegni politici del momento o alla persona politica che ricopre incarichi importanti, ad obiettivi che con la seria ricostruzione storica decente e motivata poco o nulla hanno a che fare.

Il racconto dell'atto compiuto in Via Rasella il 23 marzo 1944 si avvale nell'esposizione di Barbero, e questo è suo costume di lavoro, di una partenza che sembra minimale, che a sua volta lavora per ricostruire il contesto del fenomeno, suffragato da prove e documentazione certa.

Su via Rasella sono fiorite ricostruzioni di parte che tendono a sminuirne il senso resistenziale, quasi a ridurlo ad atto ciecamente e cinicamente di parte, meramente politico, atto a favorire disegni non etici da parte del settore della Resistenza che lo ha effettuato, la Resistenza di sinistra e marcatamente comunista. Certo non vi erano solo comunisti che avrebbero volentieri partecipato a quell'azione, e Barbero lo ha ricordato, anche i socialisti, con Pertini in testa, avrebbero voluto esserci e comunque hanno approvato politicamente l'attacco ad azione avvenuta. Ma è stato dopo, e non molto tempo dopo, che le critiche si sono sostanziate, pronte ad inveire contro il massimalismo e l'azzardo di quelle morti tra i nazisti che da lì transitavano e che hanno portato all'eccidio, come ritorsione, delle Fosse Ardeatine: dieci romani per ogni nazista ucciso. Quindi non serviva, era stato sbagliato, il solito furore cieco della sinistra resistenziale che andava moderato.

Barbero ricostruisce l'evento andando alle fonti e dice che non vi era mai stata nessuna rappresaglia prima di via Rasella da parte dei tedeschi, nonostante tedeschi morti ve n'erano stati da dopo l'occupazione di Roma da parte loro. Una guerra non guarda in faccia a nessuno. Morti da entrambe le parti, imprigionamenti, torture, ma mai rappresaglie dieci a uno. Per via Rasella scattò la furia di Hitler che, venuto subito a conoscenza del fatto, avrebbe voluto che il rapporto di ritorsione fosse stato di cinquanta ad uno. Solo la pazienza delle SS di Roma riuscì a fare capire al Fuhrer che sarebbe stato poi impossibile sostenere la furia popolare. E così la proporzione di morte di abbassò.

Altro elemento di riflessione: gli atti militari erano richiesti espressamente dal comando alleato, già saldamente attestato in Italia meridionale, proprio per portare più difficoltà militari possibili al nemico nazifascista. Nessun colpo di testa quindi ma organico intendimento bellico, che ogni attore sulla scena svolgeva servendosi delle proprie capacità, per giungere alla liberazione d'Italia dallo straniero e dal fascismo suo tirapiedi.

Barbero ricorda, a questo proposito, che i responsabili dell'esercito alleato in Italia, gli americani soprattutto, come il generale Mark Clarck, che sarà al comando delle truppe regolari alleate alla presa di Roma, si espresse in modo positivo verso i partigiani e le loro capacità militari proprio dopo via Rasella.

Ma l'attacco, le morti tra le fila del battaglione di SS-Polizeiregiment "Bozen", che causarono 33 morti tra la colonna, la rappresaglia di prigionieri italiani, ebrei e non ebrei, 335 morti alle Fosse Ardeatine, i tedeschi esagerarono anche con l'aritmetica, e lo scompaginamento che provocarono attacco e rappresaglia sono note nella loro genesi. Barbero la traccia con chiarezza e leggerezza, nella serata a Sarzana, città meritoria della lotta antifascista, nel 1921, assieme a Parma, l'anno dopo ad agosto. Ma sono poche le eccezioni di tal fatta all'incedere fascista in Italia in quel periodo. Ricordiamo per il meridione Viterbo nel 1921.

Quindi al di là della riproposizione dell'accadimento, che mantiene comunque intatta la sua importanza, è l'uso distorto che dello stesso ne è stato fatto che ci può ora interessare.

Abbiamo rivolto qualche domanda al professor Barbero.

Vogliamo tornare sulla chiusura della sua relazione e sottolinearne il significato di disvelamento, di ricerca di un percorso di verità. L'attacco di via Rasella è stato da più parti dipinto come una cinica tattica da parte dei resistenti per fare nascere una rappresaglia a tal punto crudele ed assassina che avesse come risultato la sollevazione popolare contro i nazifascisti. Tragico disegno che non si sarebbe arrestato neppure di fronte all'eccidio che, si dice, sarebbe certamente scaturito. Insomma avere dei morti tra la popolazione civile per poterla poi guidare verso una sollevazione generalizzata.

Questa è la solita dietrologia all'italiana, che non vuole cercare di capire la condizione psicologica di allora. Un'azione preparata nel giro di qualche giorno per colpire una colonna tedesca e pensare che in quella situazione, con i pericoli presenti tutti i giorni a Roma, pensare che qualcuna avesse avuto la lucidità di costruire tale scenario di utilitarismo politico sulla pelle de romani non ha proprio senso di esistere. I tedeschi venivano uccisi ogni giorno e mai vi furono, prima di via Rasella, rappresaglie di sorta verso i civili ed i prigionieri delle carceri. Le dichiarazioni di Kappler a proposito sono chiare. Si trovavano cadaveri di tedeschi nel Tevere ogni giorno e mai era venuto in mente all'occupante di operare rappresaglie. Certo, arresti e torture ve n'erano. Ma i tedeschi non pubblicizzavano neppure tali morti tra le loro file per dare l'impressione di controllare Roma molto agevolmente, il che non era vero. E pesare che il Pci avesse a tavolino pensato in quel modo aberrante non si basa su nessuna fonte storica attendibile.

C'è un momento nel quale tali invenzioni sono apparse a livello pubblico?

Travisamenti e false interpretazioni sono subito scese in campo. Già all'indomani di via Rasella le autorità fasciste hanno subito dichiarato che se gli attentatori si fossero fatti vivi, si fossero consegnati, avrebbero potuto fermare la rappresaglia. Questo non è assolutamente vero. I tedeschi organizzarono subito la reazione e quando ne diedero notizia la strage era già stata effettuata. Alle autorità tedesche non venne neppure in mente una tale possibilità, tale scambio. Non vi sono tracce di richieste simili tra i documenti e le testimonianze del momento in campo nazista. Kesserling negò anche di avere mai pensato allo scambio tra l'ipotetica consegna degli autori dell'attacco e la sospensione della rappresaglia di cui si saprà a strage avvenuta solo il 25 marzo. L'Osservatore romano aumenterà tale assurda attesa di una consegna in mano ai tedeschi nei giorni successivi. Insomma una richiesta che aveva come origine non i tedeschi ma ambiti politici di altra provenienza. Rimane poi tremendamente curioso l'idea di partigiani che compiono un atto simile e che poi si vanno a consegnare.

Ma le dietrologie sono tante e le invenzioni storiche servono da utile volano per progetti e disegni politici che nulla hanno a che fare con gli atti in sé. Occorre ristabilire in continuazione la verità storica per quanto è possibile basandoci su fatti accertati, fonti il più possibile verificabili. Altro non rimane da fare per cercare di arginare la cattiva abitudine, tutta italiana, ad un uso ideologico della storia.


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