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L'internazionalismo proletario da Marx a Krusciov

Enzo De Robertis

maggio 2018

La Rivoluzione d'Ottobre, fra le tante cose nuove ed importanti che creò, segnò anche la nascita dei Partiti Comunisti in quasi tutti i Paesi del mondo e la loro iniziale unione in un'organizzazione internazionale, la III Internazionale o Comintern. Questa relazione si propone di suggerire spunti per l'approfondimento di temi legati alla storia del Movimento Comunista Internazionale, senza avere la pretesa di fornire delle verità.

"Proletari di tutto il mondo unitevi !" è l'esortazione con cui si chiude il Manifesto del Partito Comunista, scritto da Marx ed Engels nel 1948, ed è un'esortazione che poggia sulla convinzione che gli interessi del proletariato di un paese non possono in alcun modo essere in contraddizione con quelli di un altro Paese o del mondo intero.

Per i due teorici del comunismo vi è una differenza fondamentale fra la borghesia ed il proletariato: la prima è la protagonista dei processi di costruzione degli Stati moderni, ispiratrice dell'idea di Nazione, nonché della sua degenerazione nazionalistica, interessata al massimo profitto, anche a danno della borghesia di un altro Paese, mentre il proletariato è la nuova classe, generata dallo sviluppo capitalistico, che per la sua posizione nel processo produttivo non ha e non può avere interessi economici e politici contrapposti alla classe operaia di un altro Stato.

L'interesse comune di tutti i proletari alla socializzazione dei mezzi produttivi della ricchezza fa della solidarietà e della fratellanza internazionale, non più l'espressione di un sentimento cristiano o idealistico, ma la base per determinare nuovi rapporti internazionali ed uno degli strumenti per realizzare il cambiamento della società verso il comunismo. Peraltro, si sa che tutte le Rivoluzioni per realizzarsi hanno avuto ed hanno bisogno di un concerto di circostanze internazionali favorevoli, oltre che, ovviamente, di circostanze interne e questa nuova forma di solidarietà fa dell'internazionalismo proletario una riserva permanente per ogni Rivoluzione moderna.

Marx ed Engels, che elaborarono nelle loro opere le basi teoriche del  socialismo scientifico, dedicarono, anche, gran parte della loro attività all'organizzazione internazionale del movimento operaio. Dopo l'esperienza della Lega dei Comunisti, a Londra nel 1864 si costituì l'Associazione Internazionale degli operai, la I Internazionale, che raccolse al suo interno gli esponenti e rappresentanti più prestigiosi del socialismo e del nascente movimento operaio di tutto il mondo industrializzato.

L'instancabile opera di Marx ed Engels si concretizzò, sin dall'inizio, in una lotta ideologica a tutto campo per sottrarre il nascente proletariato all'influenza delle teorie borghesi e piccolo borghesi ed per affermare l'egemonia del socialismo scientifico. Fra i primi bersagli vi furono Proudhon, che immaginava il passaggio al socialismo senza la distruzione della società capitalistica, ma attraverso la semplice cooperazione fra lavoratori, e Bakunin, che negava la funzione collettiva della nuova classe e propugnava la distruzione di ogni forma di stato attraverso l'azione violenta individuale.

La I Internazionale ebbe vita fino al 1870 e raccolse prevalentemente singole personalità di vari Paesi. Nonostante la sconfitta subita con la Comune di Parigi, l'azione della I Internazionale da un lato, e lo sviluppo industriale dall'altro, crearono alla fine del XIX secolo le condizioni per lo sviluppo in Europa e negli Stati Uniti di poderose lotte operaie, incentrate su varie rivendicazioni, prima fra tutte la riduzione della giornata lavorativa a 10 e poi ad 8 ore. Ma ben presto si unì anche la rivendicazione di un allargamento della base del suffragio elettorale con l'estensione del diritto di voto alle masse lavoratrici.

In queste condizioni si determinò nei vari Paesi europei anche la nascita dei partiti di massa dei lavoratori, i Partiti Socialisti, o Socialdemocratici, tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 del 1800. In Italia questo avvenne a Genova nel 1892 con la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani, che successivamente, 1895, assunse la denominazione di Partito Socialista Italiano. In Germania, alla fine del XIX secolo, il Partito Socialdemocratico raggiunse un notevole consenso fra i lavoratori tedeschi.

Morto K. Marx nel 1883, F. Engels si assunse l'onere di attrezzare il proletariato internazionale di un'organizzazione unitaria dei partiti dei lavoratori che si andavano allora costituendo, sottraendoli all'influenza delle teorie borghesi e piccolo-borghesi. A Parigi nel 1889, al centenario della Rivoluzione Francese, fu convocato il Congresso dei partiti e movimenti socialisti, che nel successivo Congresso di Bruxelles del 1891 dettero vita alla II Internazionale, facendo del 1° maggio la giornata internazionale del lavoro, da festeggiare con scioperi in tutto il mondo.

Se da un lato la stessa nascita dei partiti dei lavoratori segnava la sconfitta politica del movimento anarchico, che aveva teorizzato, invece, l'inutilità dell'organizzazione politica permanente e l'importanza nella lotta politica del gesto individuale eclatante, dall'altro lato il possente movimento rivendicazionistico che si andava sviluppando in quegli anni pareva mettere in secondo piano il fine ultimo di abbattere la società capitalistica, fonte di tutte quelle discriminazioni. Parallelamente i successi ottenuti sul piano del consenso politico, misurato con un allargamento del suffragio elettorale, creavano l'illusione della possibilità di un raggiungimento progressivo del socialismo per via elettorale, senza uno scontro violento con la borghesia per la presa ed il mantenimento del potere politico.

Morto Engels nel 1895, si rafforzarono nel movimento operaio internazionale le tendenze a "rivedere" i capisaldi della teoria rivoluzionaria marxista. Il "revisionismo storico", come fu successivamente chiamata questa corrente di pensiero, ebbe in Germania e dentro il Partito Socialdemocratico Tedesco i suoi maggiori rappresentanti, che furono Bernestein prima e Kautsky dopo.

Per costoro il movimento rivendicazionistico dei lavoratori era la cosa più importante, mentre il fine ultimo di costruire una nuova società senza sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non valeva l'impegno prioritario del Partito. Inoltre, l'attività legale nelle istituzioni statali della borghesia, in primo luogo i Parlamenti, era l'aspetto principale del lavoro politico su cui i partiti socialdemocratici dovevano concentrarsi, dando priorità al consenso elettorale e non escludendo aprioristicamente la collaborazione con i governi borghesi.

Alla fine del XIX secolo lo sviluppo delle lotte del movimento operaio in tutt'Europa favorì la formazione di correnti di sinistra in tutti i partiti socialdemocratici. In Russia Vladimir Ilic Lenin iniziò a condurre nel Partito Operaio Social Democratico Russo (P.O.S.D.R.) una battaglia politica tendente ad organizzare l'attività del Partito su basi nuove, diverse da quelle degli altri partiti socialdemocratici e più  funzionali agli scopi rivoluzionari del suo programma.

Il Partito "di tipo nuovo" , teorizzato nell'opera "Che fare?"si caratterizzava per il fatto di essere :

un Partito di "quadri", reparto di avanguardia della classe operaia, composto dai suoi elementi migliori e non, invece, dall'ultimo degli scioperanti, professori o studenti che si auto-proclamassero membri del Partito;

un reparto dotato di una teoria rivoluzionaria – "senza teoria rivoluzionaria, diceva Lenin, niente movimento rivoluzionario" -, che gli consentisse di applicare i principi del socialismo scientifico alla realtà del Paese dove il Partito operava, così come Lenin stesso aveva fatto sin dall'inizio della sua militanza, al fine di individuare le alleanze indispensabili per condurre il processo rivoluzionario;

un reparto che sapesse combinare tutti gli aspetti della lotta per la conquista del potere politico, da quelli legali a quelli illegali, senza restare impantanato nelle sabbie mobili della lotta parlamentare; un reparto che sapesse condurre il proletariato nelle avanzate, ma sapesse pure dirigere la ritirata dopo una sconfitta, senza che questa si trasformasse in un disastro ;

un reparto organizzato e disciplinato, dove la minoranza doveva adeguarsi alle decisioni prese dalla maggioranza dei militanti e dove, pur nell'ambito di un costante ed acceso dibattito sull'attività da intraprendere,  non vi fosse, però, spazio per la formazione e l'organizzazione di correnti e frazioni stabili e permanenti.

Lo strumento, a cui Lenin affidava il compito di forgiare il Partito di nuovo tipo, era il giornale, concepito come l'agitatore, il propagandista e l'organizzatore collettivo, dimostrando in questo modo una valutazione moderna e lungimirante degli strumenti di comunicazione di massa che stupisce ancora oggi, se solo riconsidera che l'analfabetismo era una realtà di massa nella Russia zarista.

Con queste tesi Lenin conquistò la maggioranza al Congresso del POSDR e da allora la parola bolscevico, che significa maggioranza, assunse un preciso significato politico, mentre la frazione minoritaria, i menscevichi, si distaccarono dal POSDR non condividendo l'impostazione leninista. La Rivoluzione del 1905 fu un primo banco di prova per il partito di nuovo tipo e seppure perdente, quella rivoluzione costituì un'esperienza importante per la sua formazione e per le battaglie successive.

Intanto in Europa lo sviluppo capitalistico si indirizzava verso una concentrazione delle imprese industriali in monopoli e trust, verso una fusione sempre più stretta fra capitale industriale e bancario con la conseguente formazione del capitale finanziario, verso una spartizione del mondo fra le principali potenze industriali europee per l'accaparramento delle materie prime ed il controllo dei mercati.

In conseguenza di questi processi nei Paesi più industrializzati si stava formando un fenomeno nuovo, l'imperialismo. Esso si differenziava dalle forme di dominio imperiale storicamente precedenti, perché quelle avevano alle loro spalle la prevalenza della produzione agricola, per cui le guerre erano funzionali e si facevano per l'occupazione di nuovi territori da sottomettere. Questa nuova forma di dominio aveva ora alle sue spalle la produzione industriale, che il capitalismo realizzava su larga scala e che, pertanto, abbisognava di materie prime e di controllo di mercati per poter smerciare i propri prodotti finiti ed i capitali in surplus.

L'imperialismo, che Lenin studiò a fondo e descrisse nell'opera "L'Imperialismo, fase suprema del capitalismo", centuplicava i pericoli di guerra e li proiettava su tutto il globo per la necessità, che avevano le principali potenze capitalistiche, di controllare i mercati ed impedire che altri concorrenti li sottomettessero. La I Guerra mondiale nasce, infatti, dall'affermarsi di questo nuovo fenomeno economico, accompagnato da un'ideologia nazionalistica. S'impone, subito, a tutti i partiti socialdemocratici d'Europa di assumere un atteggiamento chiaro sulla guerra.

La lotta al militarismo era stata fatta propria dalle organizzazioni socialiste sin dal loro sorgere e già al congresso di Zurigo, svoltosi alla fine dell'800, fu adottata una risoluzione che impegnava i Partiti socialisti a votare nei Parlamenti contro i crediti di guerra. Questo fu confermato anche al Congresso di Stoccarda (1907), dove, però, cominciarono a prender corpo teorie opportuniste che giustificavano l'intervento in guerra, quando la Patria (borghese) fosse stata aggredita. Ugualmente sia in Germania  che in Belgio prendevano corpo posizioni all'interno dei rispettivi partiti socialdemocratici che giustificavano l'intervento coloniale.

Lo scoppio del conflitto nel 1914 fa scoppiare anche contraddizioni nel movimento dei lavoratori e segna il fallimento totale della II Internazionale, come ipotesi di alleanza internazionale del proletariato, perché i principali partiti socialisti d'Europa si schierano con le rispettive borghesie nazionali ed invitano il proletariato dei propri paesi a sospendere la lotta di classe per porsi al servizio delle borghesie e farsi così massacrare nel conflitto.

Così i socialdemocratici tedeschi il 4 agosto del '14 votano all'unanimità i crediti di guerra e si impegnano con le autorità a non parlare di lotta di classe sulla propria stampa; in Francia, assassinato Jaures, capo dei socialisti che si era schierato contro la guerra, il Partito Socialista francese invita gli operai a sostenere l'Intesa contro il militarismo prussiano; analogamente fa il partito socialdemocratico in Belgio. E per lo schieramento militare opposto, quello degli Imperi centrali, si schiera il partito socialdemocratico in Austria. In Italia il Partito socialista assume l'atteggiamento neutralista che si riassume nella parola d'ordine "né appoggiare, né sabotare", mentre una parte dei socialisti, capeggiata da Mussolini, esce dal Partito e attraverso un proprio giornale, finanziato con capitali francesi ed inglesi, inneggia alla guerra ed all'intervento italiano nel conflitto.

Solo i socialisti di sinistra prendono apertamente posizione contro la guerra, condannando la carneficina che si sta preparando. Nel corso della guerra si tengono due Congressi della II Internazionale, a Zimmerwald (1915) ed a Kiental (1916), nel corso dei quali si fa più evidente la spaccatura fra la destra revisionista, più o meno appoggiata dai centristi di Kautsky, genericamente pacifisti, a cui si contrappone uno schieramento di sinistra, capeggiato dai bolscevichi, che contrasta la guerra da posizioni rivoluzionarie.

In Russia i bolscevichi, che si erano battuti nei Congressi internazionali perché si sfruttassero le opportunità rivoluzionarie offerte dalla guerra, non si lasciano sorprendere impreparati dall'evolversi degli avvenimenti nel proprio paese. Le Rivoluzioni del 1917, quella di febbraio, che abbatte il regime zarista, e quella di ottobre, che instaura il potere dei Soviet, hanno entrambe la parola d'ordine della PACE IMMEDIATA fra le più importanti rivendicazioni.

La pace di Brest-Litovsk tiene fede alle promesse dei bolscevichi e provoca tanto entusiasmo nelle masse lavoratrici, sia russe che degli altri paesi europei coinvolte ed ormai esasperate dal conflitto, quanto provoca l'ostilità verso i bolscevichi e verso la Rivoluzione da parte dei Governi, soprattutto dell'Intesa, perché la fine del conflitto sul fronte orientale consente agli Imperi centrali di schierare le loro truppe sul fronte occidentale.

Mentre monta il movimento rivoluzionario in tutta Europa per effetto dei disastri provocati dal conflitto, all'interno dei Partiti socialisti e socialdemocratici si rafforzano le correnti di sinistra che guardano al Paese dei Soviet come il primo stato dove la classe operaia è andata al potere. Infatti, le prime misure adottate dal Governo Rivoluzionario sono la nazionalizzazione dei mezzi produttivi e la proprietà statale sulla terra, che trovano codificazione nella prima Costituzione del 1918, oltre alla riaffermazione del potere decisionale ai Soviet, che sono i Consigli eletti da operai e contadini, con la parola d'ordine "tutto il potere ai Soviet".

Di fronte al fallimento della II Internazionale, che non solo non si è opposta energicamente al conflitto, ma ne ha favorito lo svolgimento, consentendo alla borghesia di ogni paese di portare i lavoratori a massacrarsi gli uni contro gli altri, sin da aprile del 1917  Lenin comincia a porre nel partito bolscevico la questione di dar vita ad un nuovo consesso internazionale che rompa del tutto con i vecchi partiti socialdemocratici, dando vita a nuove formazioni politiche, i Partiti Comunisti.

Il 24 gennaio del 1919 viene lanciato dai bolscevichi russi un primo appello per la costituzione di una nuova internazionale, sottoscritto fra gli altri da polacchi, ungheresi, austro-tedeschi, serbi ed americani. Sulla base di quell'appello il 1 ° marzo viene convocato a Mosca il I Congresso della nuova internazionale, la III Internazionale, l'Internazionale Comunista, alla quale partecipano 34 delegati con voto deliberante e 18 con voto consultivo, inviati da 35 fra costituiti partiti comunisti, come in Germania e Polonia, o correnti di sinistra dei Partiti socialdemocratici. Il Congresso decide di costituire la III Internazionale e di condannare l'operato della II Internazionale, ormai al servizio della borghesia.

Per arginare questo impetuoso movimento in crescita, a Berna, precedentemente, nel mese di febbraio del 1919, i capi riformisti avevano riunito quanto rimaneva della II Internazionale socialdemocratica dopo il conflitto mondiale. Sono presenti i delegati di 26 paesi, ma non partecipano le organizzazioni giovanili e femminili. Il blocco di destra ed i centristi di Kaustski si ritrovano uniti nel condannare i bolscevichi, che, a loro dire, in Russia hanno preso il potere con la violenza ed hanno instaurato una dittatura, che è la dittatura di un solo partito, il Partito bolscevico.

Il 1919 e gli anni immediatamente successivi registrano lo sviluppo del movimento rivoluzionario in tutto il mondo, alimentato dalle vicende tragiche del conflitto mondiale, ma anche dai successi ottenuti dagli operai e dai contadini russi, che hanno conquistato il potere e cacciato gli sfruttatori. Scoppiano rivoluzioni operaie in Ungheria ed in Baviera e scioperi ed occupazione delle fabbriche in diversi paesi europei, fra cui l'Italia.

Sulla spinta del movimento rivoluzionario mondiale e dopo la costituzione della III Internazionale si formano Partiti Comunisti in  altri Paesi e  interi Partiti socialisti o consistenti frazioni di essi chiedono l'adesione alla III Internazionale. Si pone, quindi, la questione di stabilire le condizioni per l'adesione all'Internazionale Comunista, contrastando due tendenze, apparentemente contrapposte, ma in realtà convergenti nel  negare il ruolo e la funzione del Partito di tipo nuovo, teorizzato da Lenin fin dal 1905.

Nell'opera "L'estremismo, malattia infantile del comunismo", scritta nel 1920, Lenin ribadisce la necessità di condurre una lotta ideologica sia contro l'opportunismo, che contro lo sterile dottrinarismo, invita i nascenti Partiti Comunisti a non sottovalutare la necessità di approfondire le condizioni concrete del Paese nel quale operano, senza negare i principi universali del marxismo, a non sottovalutare le possibilità di sfruttare i Parlamenti borghesi, senza cadere nel cretinismo parlamentare, a non trascurare l'azione politica nei sindacati, anche se diretti da capi opportunisti.

Quest'opera di Lenin prepara il terreno per II Congresso dell'Internazionale Comunista, che si apre a Pietrogrado il 19 luglio del 1920 e continua e conclude i suoi lavori in agosto a Mosca. Sono presenti, non solo i costituiti partiti comunisti, ma anche organizzazioni socialiste di sinistra, sindacati rivoluzionari, organizzazioni giovanili e femminili: in tutto 218 delegati di 67 organizzazioni, di cui 27 partiti comunisti.

Sulla base delle tesi di Lenin, che parla alla prima seduta, il Congresso approva, dopo un serrato dibattito, 21 condizioni per l'ammissione di organizzazioni e partiti all'interno della III Internazionale.  Queste condizioni prevedono, fra l'altro, che si attui nei vari Paesi una rottura con le posizioni di destra e centriste della II Internazionale, denunciandone costantemente la pericolosità nell'attività di agitazione e propaganda; che si svolga un lavoro approfondito fra i contadini; che si sostenga adeguatamente il movimento anticoloniale. Le condizioni prescrivono, anche, che i comunisti lavorino nei sindacati e nel Parlamento, senza che il gruppo parlamentare assuma la direzione del partito. Ogni partito che avesse chiesto l'adesione all'Internazionale avrebbe assunto la denominazione di Partito Comunista e si sarebbe impegnato a sostenere la Repubblica dei Soviet, oggetto di attacchi interni ed internazionali.

Il II Congresso approva anche lo Statuto della III Internazionale che fra i suoi compiti annovera quello di portare avanti la grande causa del Comunismo che fu della I Internazionale e che fissa la sua struttura, composta dal Congresso, dal Comitato Esecutivo e dalla Commissione Internazionale di Controllo, e fissa anche i rapporti che questi organi devono avere con i Partiti Comunisti, sezioni della III Internazionale.

L'importanza storica dei primi due Congressi dell'Internazionale Comunista, diretti in prima persona da Lenin, risiede fondamentalmente nell'aver dato la spinta per la separazione dei comunisti dagli opportunisti della II Internazionale, formando nuovi partiti, e nell'aver definito in grandi linee il programma di massima e l'organizzazione dei Partiti Comunisti, sulla base dell'esperienza vittoriosa realizzata dal Partito Bolscevico in Russia. Un'esperienza che assegnerà al Partito Sovietico, per tutta la durata della III Internazionale, un ruolo egemone nel processo di formazione di questi nuovi Partiti, che, così, si trasformeranno da schiera di propagandisti ed agitatori in possenti forze politiche, espressioni del proletariato dei propri paesi.

I successi ottenuti in Russia dai bolscevichi, che avevano sconfitto i tentativi interni ed internazionali di soffocare con la guerra civile la rivoluzione, e la crescita del  movimento rivoluzionario in Europa, spinsero una parte dei "centristi" della II Internazionale, capeggiati da Bauer e Adler, a tentare di riunificare il movimento socialista internazionale, A Vienna nel 1921 11 partiti socialisti si riunirono e fondarono l'Associazione internazionale dei lavoratori socialisti, che passò alla storia come Internazionale 2 e mezzo.

Qualche mese più tardi si riunì a Mosca, sempre nel 1921, il III Congresso del Comintern che prese in esame varie questioni. Fu approvata la tattica della NEP, adottata dal Partito russo per uscire dalla fase del cd "comunismo di guerra"; fu ribadita, soprattutto da Lenin, la necessità di condurre una lotta contro l'opportunismo e, parallelamente, un'attività negli organismi di massa per allargare l'influenza sulla classe operaia. Il Congresso deliberò, anche, che l'organizzazione dei partiti comunisti si dovesse strutturare con cellule sui posti di lavoro.

Fu affrontata, anche, la "questione italiana", consistente nel fatto che, costituito a Livorno il Partito Comunista, Serrati, esponente dell'Internazionale 2 e mezzo, si era rifiutato di accettare le 21 condizioni e soprattutto di rompere con Turati, Treves e Modigliani, esponenti in Italia della II Internazionale. Il Comitato Esecutivo del Comintern condannò Serrati, riconoscendo il PCd'I come unico rappresentante del Comintern in Italia. Serrati si appellò al Congresso, che, invece, ratificò la decisione del C.E. e successivamente aderì al Partito Comunista.

In conformità con le decisioni del Congresso, il C.E. lanciò a dicembre del '21 la parola d'ordine del "fronte unico dei lavoratori", con la quale si intendeva realizzare l'unità d'azione contro il capitalismo di tutti i lavoratori, a prescindere dalle proprie convinzioni ed appartenenze partitiche. Questa tattica, che non escludeva accordi dei comunisti con altre forze politiche, non avrebbe mai dovuto sminuire l'autonomia dei partiti comunisti.

Nel 1921 si tennero anche i congressi formativi dell'Internazionale giovanile comunista, che già ne 1919 aveva visto realizzarsi i primi incontri, e dell'Internazionale Rossa dei sindacati, che raccoglieva i lavoratori ed i sindacalisti più attivi, molti dei quali erano stati espulsi dai sindacati tradizionali. Nello stesso anno venne formato il Soccorso Rosso.

La parola d'ordine del fronte unico dei lavoratori richiedeva uno sforzo di unità, non solo alla base, ma anche al vertice, perché si coordinasse l'azione comune anticapitalistica e di sostegno ai Soviet russi. Per questo scopo il C.E. dell'I.C. si fece promotore di un incontro fra le tre Internazionali, incontro che si tenne a Berlino ad aprile del 1922, dopo varie resistenze e tentennamenti. Nell'incontro si decise di dar vita ad un comitato organizzativo, composto da 9 persone, che si sarebbe preoccupato di lanciare ai lavoratori un appello alla lotta per instaurare la giornata lavorativa di 8 ore, contro la disoccupazione, per l'instaurazione di rapporti economici e politici con la Russia sovietica da parte dei rispettivi governi dei paesi capitalistici.

Nel novembre del 1922, alla vigilia del quinto anniversario della Rivoluzione di Ottobre, si apre il IV Congresso dell'I.C., alla presenza di 458 delegati di 58 Paesi, i cui numeri dimostravano da soli l'allargamento nel mondo ottenuto dal movimento comunista. Il Congresso analizzò i successi ottenuti dalla Rivoluzione in Russia, ma anche il progressivo indebolimento del movimento operaio di fronte all'offensiva borghese. In Italia Mussolini aveva preso il potere e minacce fasciste si profilavano in Ungheria, Polonia e Germania.

Il Congresso ribadì la parola d'ordine del fronte unico, come tattica per la costruzione nei posti di lavoro dell'unità più ampia del proletariato, riprese i temi del lavoro all'interno dei Sindacati, criticando le teorie sulla neutralità e indipendenza (oggi si direbbe autonomia) dei Sindacati dai Partiti, ribadì il lavoro fra i contadini e prese in esame anche il lavoro dei comunisti nei Paesi coloniali. In quest'ultimo ambito si ribadì per la prima volta ufficialmente che la lotta delle colonie per l'indipendenza dalle potenze imperialiste si saldava con la lotta del proletariato dei paesi economicamente più sviluppati, che i Partiti Comunisti dei paesi coloniali non dovevano limitarsi ad organizzare solo gli occidentali "più avanzati", ma anche gli "indigeni", e si criticarono quei partiti, come il PC francese, che avevano prestato una scarsa attenzione alla questione coloniale.

Come era successo per gli altri tenuti in precedenza, anche dopo il IV Congresso si tennero i Congressi delle Organizzazioni sindacali e giovanili che facevano riferimento all'I. C.

Nonostante gli sforzi unitari del Comintern, i rapporti con la II Internazionale e con l'Internazionale 2 e mezzo  erano destinati a rompersi perché opposti erano gli scopi di chi aveva sottoscritto quell'unità. Infatti, a maggio del 1923, dopo il fallimento degli scioperi del '21-'22, esaurito il compito di trattenere le avanguardie operaie dall'aderire all'Internazionale Comunista, l'Internazionale 2 e mezzo converge sulla II Internazionale, dando vita ad una nuova ed unica organizzazione, che fra i suoi scopi si propone quello di ostacolare l'influenza dei partiti comunisti nel proletariato.

Il 1923 è l'anno che segna, anche la sconfitta dei tentativi di rivoluzione in diversi paesi europei. In particolare, in Germania la sconfitta bellica e le pesanti riparazioni di guerra determinano una situazione insostenibile per la classe operaia e le masse popolari, caratterizzata da disoccupazione ed inflazione galoppante, aggravata dalla occupazione delle regioni carbonifere da parte della Francia.

Contrastati i tentativi iniziali di intimidazione reazionaria con l'organizzazione delle "Centurie operaie", una struttura di autodifesa proletaria, simile a quella italiana degli "Arditi del popolo", il proletariato tedesco, guidato dai comunisti si prepara a dare l'assalto alla Repubblica borghese di Weimar. Ma la direzione del Partito, propensa ad un'alleanza con la socialdemocrazia di sinistra, tentenna e prima proclama lo sciopero generale, ma poi lo lascia cadere, lasciando da soli gli operai di Amburgo già pronti per l'insurrezione e determinando, così, la contro-reazione vincente del Governo, il quale stronca la ribellione con feroce repressione.

Analoga sconfitta dei tentativi rivoluzionari avviene in Bulgaria ed in Polonia.

Le sconfitte subite dal movimento operaio europeo nei primi anni '20 sono la conseguenza di una mancata direzione rivoluzionaria, essendo ancora notevole l'influenza politica esercitata sulle masse popolari dalla socialdemocrazia, mentre la recente formazione dei Partiti Comunisti non permetteva ancora la loro piena egemonia sul movimento. Nello stesso tempo il sistema economico capitalistico, dopo la "naturale" crisi post-bellica, aveva ripreso nei vari Paesi il ciclo di accumulazione dei profitti, realizzando, così, una relativa "stabilizzazione".

In queste condizioni apparve chiaro che stava sfumando la possibilità che la Rivoluzione bolscevica accendesse immediatamente analoghi processi rivoluzionari in altri Paesi europei, magari economicamente più sviluppati della stessa Russia zarista, creando così la possibilità in Europa di uno stato di "rivoluzione permanente", auspicato da molti. Il consolidamento del socialismo in Russia, pertanto, diventava una necessità, non solo per gli operai e contadini di quel Paese, ma anche per il proletariato ed i popoli oppressi di tutto il mondo, che in tal modo avrebbero goduto nelle loro lotte di una forte retrovia.

Sono questi gli anni in cui si dà in Russia una soluzione democratica al problema delle varie nazionalità di cui era composto l'impero zarista, attraverso l'autodeterminazione dei popoli. Si forma l'U.R.S.S., acronimo di Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Nello stesso periodo l'URSS comincia ad essere riconosciuta da diversi Paesi capitalistici.

Il 21 gennaio del 1924 muore Lenin.

Degno discepolo di Marx ed Engels, Lenin aveva sviluppato il marxismo nell'epoca dell'imperialismo. Aveva condotto vittoriosamente la Rivoluzione d'Ottobre ed aveva creato le basi per lo sviluppo socialista della Repubblica dei Soviet. Aveva creato l'Internazionale Comunista, che stava ormai raccogliendo l'adesione dei Partiti Comunisti che si costituivano in tutto il mondo.

Nonostante la perdita del grande capo rivoluzionario, nel 1924 comincia il dibattito nel Partito Comunista Russo sulla necessità di abbandonare la NEP, necessaria a superare la fase del cd. "comunismo di guerra" e passare senza indugio ulteriore all'industrializzazione del Paese. Questo dibattito, durato diversi anni, si concluderà con l'elaborazione del primo piano quinquennale 1928-1933.

Per raggiungere questo risultato il P.C. dovette superare notevoli difficoltà, anche di natura teorica, come quella se fosse possibile avviare uno sviluppo dell'industria socialista senza capitali iniziali, senza cioè quel processo di accumulazione di risorse, che originariamente avevano conosciuto altri paesi europei, come ad es. la Francia e l'Inghilterra, nei secoli che precedettero la scoperta delle macchine e la loro applicazione ai processi produttivi e se questa accumulazione potesse avvenire direttamente nella fase della costruzione del socialismo, senza passare da una fase capitalistica, visto che la Russia zarista era un Paese economicamente arretrato.

Inoltre, l'economia pianificata socialista doveva dimostrare nei fatti di essere capace di sviluppare armonicamente i vari settori produttivi – mezzi produttivi e beni di consumo – e le singole fabbriche all'interno di essi, garantendo lo sviluppo, senza quegli scompensi, che il carattere anarchico del capitalismo sempre aveva manifestato e che erano la con-causa delle crisi periodiche di sovrapproduzione, ma che ora, tolta di mezzo la proprietà privata sui mezzi produttivi, non era automatico che sapesse evitare l'inceppamento di tutto il sistema produttivo socialista.

Per superare queste difficoltà il Partito Comunista dell'Unione Sovietica dovette raccogliere tutte le risorse economiche rivenienti dai settori nazionalizzati dell'economia (fabbriche, terra, commercio interno ed estero e banche) e concentrarle in prevalenza nel settore dei mezzi produttivi, ben sapendo, sulla base dell'analisi marxista del processo di realizzazione del capitale, che una parte delle fabbriche che producevano mezzi produttivi per altre fabbriche (come ad esempio l'industria estrattiva del carbone che produce materia prima per l'industria dei macchinari, la quale fornisce, a sua volta, le macchine per estrarre il carbone) potevano scambiarsi i prodotti fra loro, senza avere contatti con il settore dell'industria che produceva beni di consumo. Questo scambio, apparentemente indipendente dal consumo privato, è il motore che sempre sviluppa le forze produttive e nel capitalismo, dove vige l'appropriazione privata del prodotto finito, è pure la causa principale delle crisi di sovrapproduzione relativa. Tuttavia, nel socialismo poteva essere solo fonte di sviluppo.

Queste scelte, però, richiedevano, sul piano del consenso sociale, sacrifici sopportabili solo con un coinvolgimento totale ed una partecipazione della classe operaia, perché ai ritmi rapidi di sviluppo dell'industria pesante, cioè l'industria che produceva mezzi produttivi, non avrebbe corrisposto, nell'immediato, altrettanta rapidità nello sviluppo di quelle aziende che producevano beni di largo consumo. Questo allargamento si sarebbe potuto realizzare solo in prospettiva. Nell'immediato bisognava "stringere la cinghia", come fanno anche oggi tutte le famiglie che partono da zero e vogliono mettere da parte risorse per costruirsi una casa, acquistare un'automobile e tutti gli elettrodomestici necessari.

Ugualmente dicasi per i contadini, ché solo uno sviluppo dell'industria pesante dei trattori e concimi avrebbe permesso il passaggio da un'economia agricola arretrata ad un'economia moderna meccanizzata, unica garanzia di un aumento della produttività dei terreni assegnati alle cooperative agricole  e del reddito degli stessi contadini.

Solo attraverso il coinvolgimento degli operai e dei contadini poteva essere vinta quella battaglia, che all'interno del Partito conobbe anche l'opposizione di alcuni dirigenti, poco fiduciosi nel suo successo, come Trotski e Zinoviev, i quali, pur finiti in minoranza nel Comitato Centrale e poi nell'intero Partito (99 a 1%), continuarono ad opporsi, tentando anche manifestazioni di piazza,  fino a che non furono espulsi dal Partito il 14 novembre del 1927.

Fuori dall'Unione Sovietica la II Internazionale, ormai unificata, teorizzava la fine della concorrenza capitalistica con la creazione di super monopoli e di un super imperialismo e la possibilità di un passaggio pacifico al socialismo attraverso il capitalismo di Stato. Veniva valorizzata l'occupazione coloniale, portatrice di progresso economico nei Paesi colonizzati. Parallelamente veniva sabotata l'unità d'azione proposta e sostenuta dall'Internazionale Comunista, in ciò appoggiata dall'Unione internazionale dei sindacati  riformisti di Amsterdam. A fianco della socialdemocrazia vi erano pure le organizzazione cristiane dei lavoratori che predicavano la conciliazione fra le classi e condannavano apertamente l'Unione Sovietica.

Nell'estate del 1924 si tenne il V Congresso dell'Internazionale Comunista. In questo Congresso si respinse la tendenza che interpretava il fronte unico operaio solo come accordo di vertice, sottovalutando il lavoro alla base che restava, invece, fondamentale e si ribadì la necessità che i Partiti Comunisti allargassero la loro influenza di massa. Nel 1926 il Plenum del C.E. ratificò l'espulsione di Trotski e Zinovjev dal Comitato Centrale del PCUS.

Nella metà degli anni '20 alla "stabilizzazione" relativa del capitalismo occidentale, che usciva dalla crisi post-bellica, si contrapponeva quella dell'Unione Sovietica che si avviava verso un processo di industrializzazione, dopo aver stabilizzato anche il sistema politico interno e le relazioni internazionali. Tutto ciò aveva  convinto i più della impossibilità di un immediato sviluppo di un nuovo processo rivoluzionario in Europa e, quindi della necessità di consolidare i successi nell'unico paese dove la classe operaia aveva preso il potere. Tuttavia, nel movimento operaio ed anche fra alcuni comunisti si era generata la convinzione che la stabilizzazione capitalistica fosse un dato ormai permanente ed in altri, invece, che non ci fosse proprio una stabilizzazione e che il processo rivoluzionario potesse riprendere presto.

In questo contesto si tiene a Mosca nel luglio-agosto del 1928 il VI Congresso dell'I.C., che vede presenti 532 delegati in rappresentanza di 1.799.000 iscritti ai PP. CC., di cui 1.210.000 in URSS. Nel Congresso viene approvato il Programma dell'Internazionale Comunista, che definisce i punti essenziali che costituiscono gli scopi dell'attività di tutti i PP.CC., fra cui la lotta per l'instaurazione della dittatura del proletariato. Ma il VI Congresso è passato erroneamente alla storia come il Congresso dove fu coniato il termine di "social-fascismo", che, invero, non si ritrova nei documenti congressuali ma solo in quelli dei Plenum successivi del C.E.

Il termine fu sicuramente poco felice perché equiparava i partiti fascisti a quelli socialdemocratici, all'interno dei quali considerava addirittura più pericolosa la frazione di "sinistra". I capi della destra socialdemocratica con la loro politica antidemocratica e di "fascistizzazione" della vita civile, con le loro repressioni antioperaie (a Berlino nel 1929 si sparò il 1° maggio su di una manifestazione operaia per ordine del capo della locale Polizia, che era un socialdemocratico) facevano di tutto per guadagnarsi l'epiteto. Ma questa definizione non teneva nel dovuto conto il peso di milioni di operai, ancora influenzati allora dalla socialdemocrazia, e rendeva pure difficile l'attuazione della parola d'ordine del fronte unico, che il Comintern continuava a sostenere.

Tuttavia, una seria opera di critica storica dovrebbe analizzare più  attentamente il contesto degli avvenimenti e delle situazioni per comprendere le posizioni assunte  da parte del Comintern e del suo Comitato Esecutivo, evitando di farsi condizionare da quanto di strumentale ed artificioso è stato sovrapposto successivamente.

Il 1929 è l'anno in cui scoppia la grande crisi economica, che coinvolge tutti i paesi capitalistici, dimostrando quanto relativa e temporanea fosse la stabilizzazione del sistema, in cui tanti avevano creduto. Le merci cominciano ad accumularsi invendute nei magazzini industriali, i prezzi cadono e con essi cadono i profitti, il valore delle azioni crolla per effetto della fuga dagli investimenti borsistici divenuti ormai rischiosi, cala anche il valore degli immobili, si susseguono fallimenti a catena delle Banche che hanno elargito crediti ormai inesigibili, aumenta vertiginosamente la disoccupazione. Emerge con tragica evidenza la contraddizione fra il carattere sociale della produzione e l'appropriazione privata dei prodotti, tipica del capitalismo.

La crisi, che nel capitalismo pre-monopolistico durava qualche mese, questa volta durò per quasi cinque anni, fino al 1933, prima di far registrare una qualche ripresa degli investimenti produttivi. Essa manifestò i suoi effetti deleteri in tutti i paesi industrializzati, a dimostrazione della natura internazionale raggiunta ormai dal capitalismo nella fase dell'imperialismo, anche se gli effetti furono diversificati e più o meno gravi nei vari paesi. La crisi accentuò i contrasti fra le potenze imperialiste per il controllo sui mercati, mettendo in discussione la ripartizione delle zone di influenza precedentemente concordate. Le conseguenze della crisi non furono uguali per le classi contrapposte, perché nella borghesia la crisi segnò un impoverimento degli strati intermedi ed un arricchimento degli strati più alti, con una ulteriore concentrazione del capitale, mentre nel proletariato significò perdita del potere d'acquisto dei salari e dei diritti e, soprattutto, disoccupazione.

La crisi generò anche forti lotte operaie contro la disoccupazione dilagante e contro la perdita di reddito e diritti conquistati negli anni precedenti. In queste lotte si distinsero i Partiti Comunisti, ma il grosso dell'influenza politica sul movimento operaio veniva ancora esercitata dalla socialdemocrazia che si guardava bene dal dare una prospettiva anticapitalistica alle rivendicazioni dei lavoratori. La situazione di "stallo" nel rapporto fra le classi non era destinata a durare e ben presto in molti  paesi  capitalistici, presero corpo movimenti composti dalla piccola borghesia urbana e dalla borghesia agraria che con azioni violente e criminali contro il movimento operaio e le sue avanguardie, cercarono di instaurare regimi fascisti simili a quello che Mussolini aveva instaurato in Italia 10 anni prima.

In particolare in Germania il partito di Hitler attraverso una campagna demagogica che attaccava i trattati vessatori di Versailles, fonte di tutti i guai tedeschi, vantando un superiorità razziale germanica, rivendicando una ripresa degli armamenti, promettendo sussidi e lavoro per tutti, conquistò un forte consenso nel popolo tedesco, quasi sette milioni di voti alle elezioni del 1930. Avanzarono anche i comunisti, che ottennero in quelle elezioni 4 milioni e mezzo di voti, mentre i socialdemocratici persero clamorosamente consensi.

Gli avvenimenti che si susseguono in Germania nel periodo compreso fra il 1930 ed il gennaio del 1933, quando Hindenburg, presidente tedesco eletto precedentemente con i voti della socialdemocrazia, affida l'incarico ad Hitler per formare il governo, vedono crescere le aggressioni e le intimidazioni nei confronti delle organizzazioni del movimento operaio, alle quali i comunisti reagiscono organizzando l'autodifesa ed invitando i dirigenti socialdemocratici ad agire uniti contro il fascismo. Essi, però rifiutarono come in passato di entrare nel fronte unico, lasciando campo libero ai nazisti, che ormai godevano del pieno appoggio della grande finanza tedesca.

Quanto succede dopo il gennaio del '33 in Germania è noto a tutti. Vengono messi fuorilegge il Partito Comunista a marzo ed il Partito Socialdemocratico a giugno. In quello stesso anno gli hitleriani organizzano la provocazione dell'incendio del Parlamento tedesco, di cui incolpano il dirigente comunista G.Dimitrov, emigrato dalla Bulgaria in Germania, il quale, però verrà successivamente assolto dal Tribunale tedesco. Si allargano le aggressioni e le intimidazioni anche su base razziale (nei soli primi due mesi di potere hitleriano vengono arrestati 18mila attivisti comunisti), ed inizia l'emigrazione forzata dalla Germania degl'intellettuali progressisti tedeschi.

La presa del potere dei nazisti in Germania e le mire espansionistiche della loro politica estera, sostenuta dal capitale finanziario tedesco, accentuarono in altri paesi europei le spinte verso una politica apertamente reazionaria e fascista, che negava qualsiasi diritto democratico ai lavoratori e qualsiasi possibilità d'azione alle loro organizzazioni, sindacali e politiche. Alla luce di questa nuova situazione, la politica del fronte unico dal basso che aveva  caratterizzato fino a quel momento l'attività dei Partiti Comunisti e dell'I.C. richiedeva una revisione che favorisse una unità d'azione fra i partiti e le forze politiche perseguitate dal nazismo e dal fascismo.

Preceduto da una serie di incontri internazionali, come i Congressi di Amsterdam e Parigi, di personalità del mondo della cultura e della scienza contro i pericoli di guerra, alimentati dalla politica di riarmo della Germania e del Giappone, e preceduto dalle  pressioni esercitate dal C.E. dell'I.C. verso la II Internazionale perché si arrivasse all'unità d'azione contro il nazismo, si aprì a Mosca il 25 luglio del 1935 il VII Congresso dell'Internazionale Comunista. Al Congresso parteciparono 513 delegati in rappresentanza di 65 partiti comunisti ed organizzazioni aderenti al Comintern. Le condizioni in cui si trovavano ad operare i partiti comunisti erano difficili. Infatti, su 76 partiti aderenti all'I.C., ben 50 operavano nella clandestinità.

Sei furono i rapporti previsti per il Congresso e G. Dimitrov tenne il rapporto introduttivo più importante. In esso chiarì come il fascismo, di cui il nazismo tedesco assolveva al ruolo di "reparto d'assalto", non dovesse essere qualificato come movimento piccolo-borghese, ma che fosse la forma più terroristica di dittatura  borghese, portata avanti dal capitale finanziario. Esso rappresentava non una forma di governo da contrastare al pari delle altre, ma una trasformazione radicale della stessa dittatura del capitale monopolistico nella direzione di un esercizio del potere nella forma più violenta e brutale.

Questo modo di concepire il fascismo portava con sé la conseguenza che il fronte unico operaio dovesse ora costruirsi, non tanto per l'instaurazione della dittatura del proletariato, come era avvenuto in passato, quanto, piuttosto, per la difesa delle libertà democratiche e della stessa democrazia borghese, messa in pericolo dall'azione fascista e dovesse essere concepito non solo come alleanza alla base, ma anche come unione di partiti, anche non socialisti o comunisti, cioè come fronte popolare antifascista.

All'interno dei paesi sottoposti al giogo dell'imperialismo la parola d'ordine dei fronti popolari doveva dare priorità all'alleanza fra operai e contadini, ma non poteva escludere l'alleanza dei comunisti con i settori della borghesia nazionale disposti a difendere l'indipendenza del proprio paese. L'alleanza fra movimento operaio in lotta nei paesi economicamente sviluppati e movimenti antimperialisti presupponeva un lavoro di educazione all'internazionalismo proletario, come antidoto al veleno dello sciovinismo inoculato nella coscienza delle masse dal fascismo.

Infine il Congresso rilanciò la lotta per la pace, contro i pericoli di guerra e di aggressione all'URSS, di cui il nazismo non faceva affatto mistero. La difesa dell'URSS restava un compito prioritario in caso di scoppio di un conflitto, a cui i comunisti si sarebbero opposti in ogni modo, ma che avrebbero trasformato in guerra di classe, se non fossero riusciti ad impedirlo.

Infine il Congresso ridefinì i rapporti fra Comitato Esecutivo e sezioni, cioè Partiti, nel senso di una maggiore autonomia decisionale degli stessi, che sin dagli inizi era stata, invece, surrogata da un controllo costante di quello su queste, un controllo giustificato ed utile all'inizio, data la necessità che i giovani partiti si formassero  e costruissero sulla base dell'esperienza del partito bolscevico.

Il primo banco di prova della nuova tattica dei fronti popolari si concretizzò con successo nella mobilitazione popolare contro l'invasione fascista dell'Etiopia, operata dalle truppe italiane. Anche in Francia la tattica dei Fronti Popolari dette i suoi frutti, sia sul fronte dei diritti dei lavoratori, che si videro riconoscere i contratti collettivi di lavoro, la settimana lavorativa di 40 ore e le ferie pagate, sia sul fronte politico perché le organizzazioni fasciste non riuscirono a prendere il sopravvento.

Ma il paese europeo in cui la tattica dei Fronti Popolari dimostrò a pieno la sua giustezza fu la Spagna, dove nel febbraio del 1936 il Fronte Popolare conquistò la maggioranza alle elezioni, avviando con il Governo un programma di trasformazioni politico-economiche, contro cui le classi reazionarie scatenarono la guerra civile. Anche se l'esito della Guerra Civile spagnola non fu positivo, la solidarietà internazionale fu notevolissima e si concretizzò nella formazione delle Brigate Internazionali antifasciste e nell'appoggio e nel sostegno che i democratici e progressisti di tutto il mondo dettero alla repubblica spagnola. Il Comintern e l'URSS furono in prima fila.

La Guerra Civile spagnola anticipò, in un certo senso lo scenario che qualche anno più tardi si sarebbe manifestato in Europa con lo scoppio della II Guerra mondiale. La politica dei Fronti popolari antifascisti, avviata dal Comintern al VII Congresso,, tendente ad unire tutte le forze operaie e popolari e tutte le forze politiche democratiche nella lotta contro il nazifascismo ed i pericoli di guerra che esso portava con sé, fu il  contraltare ad una politica estera dell'URSS che, dopo aver neutralizzato i tentativi messi in atto soprattutto dai governi di Francia ed Inghilterra di spingere la belva hitleriana ad attaccare prima ad oriente l'Unione Sovietica, seppe costruire un'alleanza antifascista con gli stati democratico-borghesi.

L'azione in un primo tempo solo politica e, dopo le occupazioni delle truppe nazifasciste, anche militare delle formazioni partigiane, facenti riferimento ai Fronti popolari, costituì un aiuto prezioso per le attività degli eserciti regolari delle potenze alleate, così come le vittorie militari dell'Esercito Rosso, prima fra tutte quella di Stalingrado, dettero un contributo determinante sull'esito della guerra e la sconfitta definitiva del nazifascismo.

Attuando la tattica dei Fonti popolari i Partiti Comunisti allargavano la loro influenza fra i lavoratori, divenendo partiti seguiti dalle masse e maturavano nella pratica una capacità direttiva prima sconosciuta. Si attenuava, così, l'esigenza di mantenere un centro esterno, come era stata l'Internazionale Comunista e, soprattutto, il suo Comitato Esecutivo, che aveva seguito passo dopo passo la crescita di questi Partiti.

 Contestualmente nel corso della guerra cresceva la propaganda hitleriana che presentava il Comintern come una centrale internazionale, la cui attività era mirata al sovvertimento delle democrazie occidentali, allo scopo di seminare diffidenza verso l'URSS nel fronte democratico e così spaccarlo. Dall'altro lato si temporeggiava subdolamente da parte delle nazioni alleate nell'apertura del fronte occidentale dopo la vittoria di Stalingrado, nella convinzione che il ritardo avrebbe logorato ulteriormente nazisti e sovietici.

In questo contesto maturò il 13 maggio del 1943 nel Presidium della CE la convinzione che fosse maturo il tempo per avviare nei Partiti Comunisti la discussione per lo scioglimento dell'IC  e, non potendo convocare un nuovo Congresso ad hoc per la guerra in corso, lo stesso Presidium predispose un documento da sottoporre alla approvazione di tutte le sezioni dell'I.C. 31 sezioni si espressero per lo scioglimento, nessuna vi si oppose. Tutte ribadirono la necessità di non indebolire, sia il legame ideologico fra i vari reparti del movimento comunista mondiale, che la solidarietà proletaria. Così nel giugno del 1943 veniva sciolta l'Internazionale Comunista ed i suoi organi direttivi e contemporaneamente cessava di esistere l'Internazionale Giovanile.

A dispetto di quanto sperassero le forze reazionarie, lo scioglimento dell'Internazionale non indebolì l'azione dei partiti Comunisti, che nel corso degli ultimi due anni di guerra allargarono la loro influenza sulle masse e nell'immediato dopoguerra seppero conquistare il potere politico in molti stati, anche senza l'aiuto determinante dell'Esercito Rosso dell'URSS.

Il bilancio dei 24 anni di esistenza dell'Internazionale Comunista è senza dubbio positivo perché essa favorì la nascita di Partiti Comunisti, dette loro un programma ed una struttura, favorì il processo della loro proletarizzazione e li attrezzò con una tattica adeguata che consentì loro di porsi alla testa di milioni di lavoratori in tutto il mondo, per favorire il progresso delle loro condizioni economiche e dei loro diritti.

Finita la II Guerra Mondiale con i bagliori delle due bombe atomiche scagliate sul Giappone, la speranza di perpetuare l'alleanza antifascista che aveva piegato il nazi-fascismo naufragò ben presto sugli scogli di quella Guerra Fredda che i paesi capitalistici, con gli USA in testa, immediatamente avviarono contro l'URSS e contro i paesi del neo-nato campo socialista.

 "Nel 1947-49 il movimento comunista fu posto di fronte a nuovi fenomeni e a nuovi problemi. Lo slancio della lotta democratica nelle diverse regioni del pianeta, in tutti i continenti, pose il problema della necessità dell'elaborazione di una nuova strategia che fosse adattata alle condizioni della situazione e cioè alla notevole crescita dell'internazionalizzazione della lotta di classe, alla interdipendenza e alla reciprocità di influenza dei diversi reparti del movimento rivoluzionario. Sul corso degli avvenimenti in tutte le regioni del mondo esercitava una influenza crescente la contrapposizione tra i due sistemi. Tutto questo trovò espressione nella politica del movimento comunista.

Ebbe una importanza grandissima anche il fatto che i comunisti si scontravano non solo con le forze unite del nemico di classe, che operavano contro il processo sociale, ma anche con il rafforzamento formale di questa unione che si esprimeva in una serie di blocchi e di alleanze a cominciare dalla NATO per finire alla Organizzazione degli Stati americani…."[1]

Peraltro, con la conclusione vittoriosa della II Guerra mondiale e la conseguente creazione di un "campo socialista" con la costituzione di due blocchi politici, economici e militari contrapposti, si imponeva ai Partiti Comunisti la necessità, a mio avviso, di una riflessione e di un confronto che definisse una nuova strategia, adeguata alle nuove condizioni internazionali.

"Lo scioglimento dell'Internazionale Comunista - scrive A. Zhdanov nel Rapporto tenuto alla Conferenza costitutiva del Cominform -, rispondente alle esigenze di sviluppo del movimento operaio nella nuova situazione storica, ha avuto una funzione positiva. …

L'Internazionale Comunista era stata fondata dopo la prima guerra mondiale, quando i partiti comunisti erano ancora deboli, quando il legame tra la classe operaia dei diversi paesi mancava quasi completamente e i partiti comunisti non avevano ancora dei dirigenti del movimento operaio universalmente riconosciuti. I meriti dell'Internazionale Comunista consistono nell'aver stabilito e consolidato i legami tra i lavoratori dei diversi paesi, nell'aver elaborato le questioni teoriche del movimento operaio nelle nuove condizioni del suo sviluppo nel dopoguerra, nell'aver fissato le norme comuni di agitazione e di propaganda del comunismo, e nell'aver facilitata la formazione dei dirigenti del movimento operaio. Così, sono state create le condizioni per la trasformazione dei giovani partiti comunisti in partiti operai di massa. Tuttavia con la trasformazione dei giovani partiti comunisti in partiti operai di massa, la direzione di questi partiti, da parte di un unico centro, diveniva impossibile e inadeguata. In conseguenza, l'Internazionale Comunista, da fattore che aveva reso possibile lo sviluppo dei partiti comunisti, si cominciava a trasformare in fattore che frenava questo sviluppo. La nuova fase nello sviluppo dei partiti comunisti esigeva nuove forme di legame tra i partiti. Queste circostanze hanno determinato la necessità di sciogliere l'Internazionale Comunista e di organizzare nuove forme di collegamento tra i partiti.

Nei quattro anni successivi allo scioglimento dell'Internazionale Comunista si è prodotto un rafforzamento considerevole dei partiti comunisti, un aumento della loro influenza in quasi tutti i paesi dell'Europa e dell'Asia. L'influenza dei partiti comunisti è aumentata non solo nell'Europa orientale, ma anche in quasi tutti i paesi dell'Europa in cui dominava il fascismo, e anche in quelli in cui ha avuto luogo l'occupazione fascista tedesca, come in Francia, in Belgio, in Olanda, in Norvegia, in Danimarca, in Finlandia, ecc. L'influenza dei comunisti si è rafforzata particolarmente nei paesi di nuova democrazia, dove i partiti comunisti sono diventati i partiti più influenti nei rispettivi stati.

Tuttavia, nella situazione attuale dei partiti comunisti vi sono anche delle deficienze. Alcuni compagni avevano interpretato che lo scioglimento dell'Internazionale Comunista significasse la liquidazione di qualsiasi collegamento, di qualsiasi contatto tra i partiti comunisti fratelli. Nel tempo stesso, l'esperienza ha dimostrato che una simile mancanza di collegamento tra i partiti comunisti non è giusta, è nociva ed è sostanzialmente non naturale. Il movimento comunista si sviluppa nel quadro della nazione, ma nel tempo stesso vi sono compiti e interessi comuni ai partiti dei diversi paesi. Si è in presenza di un quadro abbastanza strano: i socialisti, i quali si sono fatti in quattro per dimostrare che l'Internazionale Comunista avrebbe imposto le direttive di Mosca ai comunisti di tutti i paesi, hanno ricostituito la loro Internazionale, mentre i comunisti si astengono perfino dall'incontrarsi tra loro e, ancor più, dal consultarsi sulle questioni che li interessano reciprocamente, per timore della calunnia dei nemici circa la «mano di Mosca». I rappresentanti dei più diversi rami d'attività, gli scienziati, i cooperatori, i sindacalisti, i giovani, gli studenti, ritengono possibile mantenere un contatto internazionale, scambiarsi le loro esperienze e consultarsi sulle questioni del loro lavoro, organizzare conferenze e unioni internazionali, mentre i comunisti, perfino in quei paesi che hanno rapporti di alleanza, si fanno scrupolo di stabilire tra loro rapporti di amicizia. Non v'è dubbio che se una simile situazione dovesse protrarsi, sarebbe gravida di conseguenze estremamente dannose allo sviluppo del lavoro dei partiti fratelli. Questa esigenza di consultarsi e di coordinare volontariamente l'azione dei diversi partiti è maturata soprattutto adesso, che un prolungato isolamento potrebbe diminuire la comprensione reciproca e, col tempo, indurre in seri errori." [2]

"Ai primi di marzo del 1947, per iniziativa del Partito comunista britannico, si svolse a Londra una conferenza dei partiti comunisti dei paesi dell'Impero Britannico. Vi parteciparono rappresentanti dei partiti comunisti di Gran Bretagna, Australia, Canada, Unione Sudafricana, Irlanda, Birmania, Malaisia, Cipro, Ceylon. Erano presenti alla conferenza osservatori dei partiti comunisti degli USA, della Francia, del Belgio, dell'Olanda, della Siria, del Libano, di Cuba e del Pakistan. La discussione toccò i problemi all'ordine del giorno nella lotta di liberazione nazionale e le azioni da intraprendere per contrastare le manovre della destra e delle forze reazionarie.

Nell'aprile dell'anno seguente a Bruxelles fu organizzato un incontro regionale di comunisti, una consultazione tra i rappresentanti dei partiti comunisti francese, britannico, belga, olandese e lussemburghese. Si trattava di organizzare la resistenza alla politica di fondazione dei blocchi militari, una politica che cominciava appunto ad assumere contorni reali. La Conferenza di Londra e la consultazione di Bruxelles ebbero indubbiamente un ruolo importante ai fini del coordinamento degli sforzi dei partiti fratelli e dimostrarono che questo tipo di incontri potevano avere un valore notevolissimo per la soluzione dei problemi comuni a tutto il movimento comunista.

Tuttavia, questi incontri non risolvevano il problema del coordinamento internazionale delle azioni dei partiti fratelli.

Nella seconda metà del 1947, tenendo conto della situazione e dell'offensiva scatenata dalla reazione, il Partito operaio polacco lanciò una iniziativa molto importante, la proposta di creare un organo internazionale di coordinamento dei partiti comunisti. Questa iniziativa trovò larghi consensi. Nel settembre del 1947 ebbe luogo a Varsavia[3] una conferenza dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai di Bulgaria, Ungheria, Italia, Polonia, Romania, URSS, Francia, Cecoslovacchia e Jugoslavia.

I partecipanti alla conferenza ascoltarono i rapporti informativi sull'attività dei Comitati centrali dei partiti rappresentati, si scambiarono informazioni sui problemi di attualità relativi alla situazione internazionale. I risultati della discussione trovarono sistemazione in una dichiarazione, approvata all'unanimità. Un'importante conclusione contenuta nella dichiarazione riguardava il riconoscimento che la guerra aveva portato nei primi anni di sviluppo del dopoguerra a un nuovo rapporto di forze su scala mondiale. Si erano formati due campi contrapposti, il campo imperialista e antidemocratico e il campo antimperialista e democratico. La lotta tra questi due schieramenti era divenuto l'elemento risolutivo di tutta la vita internazionale. L'attività del campo imperialista aggressivo costituiva una seria minaccia per le conquiste delle masse lavoratrici, per l'indipendenza e la libertà dei popoli.

«Ne consegue — era detto nella Dichiarazione — che i partiti comunisti si trovano a dover affrontare un nuovo problema. Essi devono prendere nelle loro mani la bandiera dell'indipendenza e della sovranità nazionale dei rispettivi paesi […] mettersi alla testa delle forze che si dichiarano pronte a difendere l'onore e l'indipendenza nazionale ».

Nella dichiarazione era anche detto che la minaccia più pericolosa era quella di una nuova guerra. Tuttavia «tra il desiderio degli imperialisti di scatenare una nuova guerra mondiale e la possibilità di organizzare questa nuova guerra, c'è una grandissima distanza. I popoli di tutto il mondo non vogliono la guerra. Le forze che vogliono la pace sono grandi e possenti; se queste forze mostreranno fermezza e coraggio nella difesa della pace, se manifesteranno questa fermezza e questo coraggio, i piani degli aggressori falliranno» .

Consci delle responsabilità internazionali dei partiti comunisti e della necessità di rendere più intensi i loro contatti, i partecipanti alla conferenza di Varsavia decisero di istituire un Ufficio di informazioni (Cominform). Gli scopi dell'Ufficio furono definiti con chiarezza: «Favorire l'organizzazione dello scambio di esperienze tra i partiti e, in caso di necessità, il coordinamento dell'attività dei partiti comunisti sulla base del reciproco consenso». I partiti comunisti che avevano partecipato alla conferenza, così come quelli che non vi avevano preso parte, approvarono con calore la creazione dell'Ufficio informazioni sottolineando la tempestività della nascita di un organo che assicurasse lo scambio di informazioni tra i partiti fratelli e aiutasse a migliorare il lavoro politico e organizzativo.

Le forze reazionarie del mondo occidentale accolsero la nascita dell'Ufficio di informazioni dei partiti comunisti con una nuova campagna di calunnie. Il motivo ricorrente di questa campagna definiva questo nuovo organo una copia del Comintern, un mezzo per dare concretezza alla direzione unitaria del movimento comunista. Nel rispondere a questa campagna, nell'articolo di fondo della «Pravda» del 10 ottobre 1947 era detto: «L'istituzione dell'Ufficio di informazioni. composto da rappresentanti di alcuni partiti comunisti, non significa il ristabilimento di una organizzazione comunista mondiale unitaria, quale fu a suo tempo l'Internazionale comunista […] Il Comintern […] è una fase superata nella storia dello sviluppo del movimento operaio internazionale. Ritornare al Comintern sarebbe oggi un passo indietro e non in avanti.»"[4]

Costituito il Cominform nel 1947, composto dai sette Partiti comunisti al potere, con l'esclusione, però. del Partito Comunista Albanese e con l'aggiunta dei Partiti Comunisti Italiano e Francese, posta la sua sede a Belgrado, si era data soddisfazione all'esigenza di confronto ed unità che era sicuramente preminente e comune a tutti i partiti, non altrettanto comune era, però, la loro concezione di quali tipi di rapporti interni dovessero essere instaurati fra soggetti collettivi, come erano i Partiti Comunisti, ormai cresciuti e divenuti "adulti".

In un programma comune dei Partiti Comunisti vi era in primo piano sicuramente la lotta per la pace contro i pericoli di guerra che il blocco dei paesi capitalistici alimentava, avendo come bersaglio l'URSS ed i Paesi che avevano intrapreso una strada anticapitalistica di sviluppo. Ad essi gli USA, il cui apparato industriale era uscito indenne dal conflitto ed il cui apparato finanziario si presentava al mondo come forza economica dominante, accanto al bastone della guerra offriva la carota di piani di investimento per favorire la ripresa economica e la crescita post-bellidca, purchè i beneficiari cacciassero i comunisti dai rispettivi governi, si distaccassero  dal blocco dei Paesi socialisti, assumendo, se possibile, atteggiamenti ostili.

In queste condizioni era chiaro che la lotta per l'indipendenza nazionale dovesse essere posta al centro del programma di ogni P.C., sia che fosse già al potere, sia che lottasse per la sua conquista. L'esempio dell'URSS che era partita da condizioni di arretratezza estrema sotto il regime zarista ed era diventata una grande potenza industriale, seppure a prezzo di duri sacrifici, poteva diventare la via maestra dello sviluppo per tutti.

Ma attraverso quale struttura questo poteva essere assunto dal Movimento Comunista Internazionale? La struttura gerarchizzata con cui aveva funzionato il Comintern, che aveva avuto anche una funzione pedagogica e formativa nella fase iniziale di attività dei PP.CC., non era ovviamente più riproponibile ora; restava il problema di attrezzare il movimento comunista internazionale di una strategia ed una tattica comune a tutti, ma non era chiaro e soprattutto unanimemente definito ed accettato dai Partiti partecipanti al Cominform con quale struttura si dovesse garantire questa unità di intenti e di strategia.

Durante i primi anni di vita del Cominform furono formulate critiche ai Partiti che ne facevano parte, come quelle sull'eccessiva importanza data al lavoro nei rispettivi Parlamenti rivolte nei confronti dei due Partiti, il PCI ed il PCF,  che agivano senza essere al potere, senza, però, che nei loro confronti o di alcuni loro dirigenti fossero adottate sanzioni. Mentre diversa fu la vicenda che portò all'espulsione dal Cominform del Partito Jugoslavo, dopo un carteggio con il PCUS, ed alla condanna politica del suo massimo dirigente, J.B.Tito.

Morto Stalin nel 1953 ed avviato nel 1956 il processo di de-stalinizzazione con il XX Congresso del PCUS, si andò progressivamente affievolendo quell'unità ferrea che aveva caratterizzato l'attività dei PP.CC. Non è del tutto casuale, a mio avviso, e merita una riflessione più specifica ed approfondita la circostanza che una delle prime iniziative del PCUS, post-XX Congresso, sia stata quella di sciogliere, il 17 aprile del 1956, nove anni dopo la sua costituzione, il Cominform con il consenso degli altri Partiti Comunisti che l'avevano fondato !

La fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 segnano l'avvio di una frattura nel Movimento Comunista Internazionale che vedrà da una parte il PCUS di Krusvev appoggiato da altri partiti e dall'altra parte il Partito Comunista Cinese e Albanese scontrarsi soprattutto sul terreno della strategia da adottare contro l'imperialismo ed i pericoli di guerra e su come dovesse intendersi la coesistenza pacifica.

Gli ultimi incontri fra tutti i PP.CC. si sono tenuti a Bucarest e Mosca nel 1957 e 1960, ma non sono riusciti a sanare questi contrasti. Gli scontri militari sovietico-cinesi sul fiume Ussuri  negli anni '70 hanno, se non sepolto, almeno oscurato l'idea originaria che l'internazionalismo proletario segnasse la fine di tutti i conflitti nazionalistici.

Da qualche anno è ripreso il  cammino per la ricostruzione di una struttura permanente di confronto fra PP.CC. nella prospettiva della definizione in futuro di una strategia comune condivisa e nell'immediato per la realizzazione di un'unità d'azione su obbiettivi comuni. La Dichiarazione comune dei PP.CC. riunitisi a Mosca per il Centenario della Rivoluzione d'Ottobre fa ben sperare nel futuro.

E la Speranza, si sa, è l'ultima a morire !

Bari, 7 maggio 2018

Vincenzo De Robertis

Note:

[1]     Da Storia Universale. Teti Editore Vol.11° , pag.563

[2] Andrei Zhdanov: PER IL SOCIALISMO CONTRO L'IMPERIALISMO E LA GUERRA. Rapporto tenuto alla Conferenza costitutiva del Cominform, pubblicato nel n. 20 del Bolscevik, 30 ottobre 1947. Da Andrei Zdanov, Politica e ideologia, Edizioni Rinascita, Roma, 1949,  pp. 25-54.

[3] La riunione, in verità, non si tenne a Varsavia, ma in un'altra località polacca, Szklarska Poreba, come attesta E. Reale, che vi partecipò con L.Longo per il P.C.I., a pag.18 del suo libro "Nascita del Cominform", Milano , Mondatori 1958:

"Fu lo stesso Komar [generale, capo dei servizi di sicurezza dell'esercito polacco  NdA] ad annunziarci che la riunione si sarebbe tenuta a Szklarska Poreba, una cittadina nota in Polonia per le sue fabbriche di vetro, a qualche decina di chilometri da Wroklaw, l'antica Breslavia. Fu detto poi che la Conferenza ebbe luogo a Varsavia, altri sostennero che fu tenuta a Byalistock ed è con questo nome, anzi, che essa è comunemente designata. Nulla di vero. La conferenza, come ho detto, per la località dove fu tenuta, dovrebbe chiamarsi la Conferenza di Szklarska Poreba o, al più, di Wroklaw. Essa si svolse in una grande villa adibita a casa di riposo per i funzionari di polizia e momentaneamente sgombrata per ospitare i rappresentanti dei più importanti partiti comunisti di Europa. "

[4] Da Storia Universale. Teti Editore Vol.11° , pagg. 563-65. E. Reale conferma a pag. 50 dell'Op. cit.:" Nella seduta finale che ebbe luogo il giorno 27 la decisione di dar vita all'Ufficio di Informazione fu presa, naturalmente, all'unanimità e una commissione composta dai rappresentanti dei partiti sovietico, polacco, iugoslavo e francese fu incaricata di preparare la risoluzione finale nonché un comunicato sui lavori della Conferenza da pubblicare tra due settimane. …Prima di sciogliersi, la Conferenza prese ancora alcune decisioni pratiche sulla sede dell'Ufficio di Informazione per la quale furono i sovietici a proporre Belgrado, sulla nomina dei rappresentanti dei partiti nell'Ufficio stesso e sulla creazione di un organo di stampa che avrebbe dovuto esser pubblicato a Belgrado nelle principali lingue. La discussione su questo argomento provocò un breve incidente tra me e Zdanov, avendo io protestato contro il titolo Per una pace stabile, per una democrazia popolare da lui proposto e che io trovavo troppo lungo e complicato."


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