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Il crollo dell'impero Austro-Ungarico - La Repubblica ungherese dei consigli

Accademia delle Scienza dell'URSS | Storia Universale, vol 8, cap VI, Teti editore

* * * Parte prima * * *
* * * Parte seconda * * *

2. La repubblica ungherese dei consigli

Dopo la proclamazione della repubblica in Ungheria, il governo di Mihály Károlyi attuò alcune riforme: introdusse il suffragio univer­sale, proclamò le libertà politiche (la libertà di parola, di stampa, di riunione, di manife­stazione), stabilì la giornata lavorativa di 8 ore, approvò una legge di riforma agraria, an­che se assai limitata.

Ma in pratica venne fatto molto poco.
Sotto il dominio della borghesia le libertà poli­tiche delle masse lavoratrici non potevano essere sicure, la legge sulle 8 ore di lavoro non veniva osservata dagli imprenditori, la rifor­ma agraria rimase inattuata.
Il governo fu in­capace anche di prendere misure efficaci per liquidare il dissesto economico postbellico e migliorare la situazione alimentare del paese.

A Budapest e in altri centri industriali molte fabbriche non funzionavano e gli operai di­soccupati erano senza mezzi di sussistenza.
Di­lagò l'inflazione, si arricchirono gli usurai e gli speculatori.
Gli affitti delle abitazioni, i prezzi dei prodotti alimentari, degli oggetti di largo consumo e del combustibile salirono ra­pidamente.
Nel 1918-1919 rincararono, ri­spetto al 1914, il pane, il burro, lo zucchero, le patate, in media del 400-600 per cento, il combustibile del 700-800 per cento, eccetera. Nell'inverno 1918-1919 i lavoratori dovettero affrontare pesantissimi sacrifici.
Il malconten­to delle masse popolari s'accrebbe enorme­mente.

LA FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA D'UNGHERIA. IL CORSO DELLA RIVOLUZIONE SOCIALISTA

Il 20 novembre 1918 nel Corso di un'assem­blea dei rappresentanti dei gruppi rivoluziona­ri venne fondato il Partito Comunista d'Un­gheria.
Il suo nucleo fu costituito dai diri­genti dei primi circoli comunisti ungheresi, Béla Kun, Tibor Szamuely, Ferenc Münich e altri.
Molti di essi avevano partecipato alla Rivoluzione d'Ottobre in Russia, dove ave­vano formato gruppi comunisti tra gli ex­-prigionieri ungheresi, riportando in patria l'in­segnamento di quell'esperienza rivoluziona­ria.

Al partito comunista aderirono anche so­cialrivoluzionari (Otto Korvin, Gyula He­vesi, József Kelen, Antal Mosolygó) e social­democratici di sinistra (László Rudas, Béla Vágó, Gyula Alpari, Béla Szánto e altri).
Dirigeva il partito Béla Kun, che godeva di una grande popolarità tra gli operai unghere­si.

Molto importante per i lavoratori era il fatto che Béla Kun durante il suo soggiorno nella Russia sovietica si fosse incontrato con Lenin: "Ho conosciuto bene il compagno Béla Kun - disse di lui Lenin - fin da quan­do era prigioniero di guerra in Russia e veniva spesso da me a parlare sul comunismo e sul­la rivoluzione comunista". (V. I. Lenin: "Comunicato sulla conversazione per ra­dio con Béla Kun", Opera, vol. 29, pag. 220.)

Il Partito Comunista d'Ungheria si pose subi­to il compito della rivoluzione socialista, sma­scherando l'essenza antipopolare del governo borghese e avanzando l'obiettivo della ditta­tura del proletariato: "Non occorre l'Assem­blea costituente - scriveva il ' Giornale ros­so ', organo centrale del partito comunista. - "Tutto il potere ai soviet!".

I comunisti svol­sero un'attiva propaganda tra le masse con­quistandole alla loro causa.
Essi organizzarono una campagna di protesta contro gli affitti ec­cessivi im­posti dai padroni di casa.
Per loro iniziativa si costituirono comitati di lavoratori per l'ammini­stra­zione delle case.
Una seria at­tenzione venne rivolta alla propaganda tra i disoccupati, gli invalidi e gli ex-combattenti.
Molti soldati, specie nella capitale, seguirono i comunisti.
La loro autorità e popolarità cre­scevano di giorno in giorno.

Nel dicembre 1918 gli operai ungheresi entrarono in agita­zione proclamando scioperi e chiedendo la costituzione di comitati di fabbrica per otte­nere dagli imprenditori i contratti collettivi.
Comitati di fabbrica sorsero spontaneamente, includendo talvolta elementi occasionali e per­fino ostili agli operai, ma complessivamente si trattò di un movimento a carattere rivoluzio­nario.

Dove i comitati erano diretti dai comu­nisti fu instaurato il controllo sull'attività dell'amministrazione, furono allontanati i sabo­tatori, e talvolta la direzione della fabbrica passò nelle mani dei lavoratori; in alcuni casi essi si trasformarono in organi di potere locale.
In molte città di provincia si formarono i Con­sigli dei deputati operai.
Essi però, non erano omogenei e al loro interno vi era lotta tra riformisti e rivoluzionari.

Alla fine del 1918 s'intensificò nel paese il movimento contadino, che fu particolarmente attivo nell'Ucraina transcarpatica, dove i con­tadini rifiutavano di pagare le tasse allo Stato e i tributi a favore della Chiesa unita. Nei villaggi di Velikie Luki, Podmonastir, Novo­je Selo e in altri si organizzarono reparti ar­mati di contadini, che attaccavano le ville dei signori, occupavano la terra dei grandi pro­prietari, s'impadronivano del bestiame e de­gli attrezzi agricoli.

Nell'inverno 1918-1919 le occupazioni di terra si estesero a molte regio­ni dell'Ungheria (Somogy, Pest, Vác e altre). Nel corso del movimento rivoluzionario l'in­fluenza della socialdemocrazia cominciò a in­debolirsi.

Nel gennaio 1919 i capi del parti­to socialdemocratico, poggiando sulla maggio­ranza che avevano nella direzione centrale dei sindacati, esclusero i comunisti dai sindacati e dal Consiglio dei deputati operai di Budapest.

Gli operai protestarono e varie organizzazioni del sindacato dei metallurgici, il più forte del paese, condannarono l'azione della direzione centrale; centinaia di operai chiesero di aderi­re al partito comunista.
Il sindacato dei tipo­grafi si pronunciò contro la campagna antico­munista.
Gli operai della tipografia del gior­nale socialdemocratico "La parola del popo­lo" protestarono contro la pubblicazione di articoli calunniosi nei confronti dei comuni­sti.

Il governo ricorse allora alle repressioni con­tro il partito comunista.
Il 3 febbraio la polizia distrusse la tipografia del "Giornale ros­so", e il 21 febbraio arrestò quasi tutti i membri del Comitato Centrale del partito.
Ma, nonostante le persecuzioni, i comunisti continuarono la lotta.

Il 24 febbraio, tre gior­ni dopo l'arresto dei membri del Comitato Centrale, il partito comunista rivolse ai lavo­ratori ungheresi l'appello a preparare il rove­sciamento del governo borghese.
Lo stesso giorno un comizio di molte migliaia di operai metallurgici e di disoccupati di Budapest con­dannò gli arbitri della polizia.
I convenuti chiesero la liberazione immediata di tutti gli arrestati.

Queste richieste furono presentate anche a Szeged in una dimostrazione di operai e di soldati armati, il 18 marzo a Budapest in un comizio di 10.000 operai della fab­brica "Csepel" eccetera.
Una serie di sinda­cati, sebbene influenzati dai socialdemocrati­ci, dichiararono la necessità dell'alleanza con i comunisti.

Il 19-20 marzo comizi e scioperi si tennero in molte città del paese.
I Consigli dei deputati operai rompevano con i socialriformi­sti e si erigevano in organi di potere.
Verso la meta di marzo gli operai di Debrecen arre­starono il borgomastro reazionario, gli operai di Szeged posero sotto il proprio controllo ar­mato i funzionati governativi, che proteggeva­no gli usurai e gli speculatori, mentre l'ammini­strazione cittadina passava nelle mani del Consiglio operaio.

I lavoratori sostituirono di propria iniziativa l'amministrazione governativa.
In marzo furono cacciati i governatori da undici regioni.
L'attività delle masse rivoluzio­narie era al culmine e il popolo attendeva solo il segnale dell'insurrezione armata.

LA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA SOCIALISTA

L'intervento degli imperialisti accelerò lo scoppio della rivoluzione.
Il 20 marzo 1919 le potenze dell'Intesa presentarono al governo ungherese l'ultimatum per l'accettazione di una nuova linea di demarcazione che assogget­tava parecchi distretti del paese all'occupazione straniera.
L'attentato degli imperialisti alla sovranità nazionale dell'Ungheria causò un'on­data d'indignazione generale.
I lavoratori chie­sero di respingere le pretese espansionistiche dell'Intesa, e di costituire un governo che esprimesse effettivamente gli interessi nazio­nali.

Reparti armati di operai, diretti dai co­munisti, occuparono i punti più importanti della capitale.
La borghesia non osò opporre resistenza.
Il governo Károlyi, che praticamente aveva perso ogni autorità, non osò accettare l'ulti­matum dell'Intesa, ma nemmeno volle respin­gerlo e consegnò il potere ai socialdemocrati­ci.

Questi non avevano però forze sufficienti per create un governo monopartitico e furo­no costretti a rivolgersi ai comunisti, che go­devano di maggiore autorità tra le masse po­polari.
L'intesa con i comunisti era voluta dai socialdemocratici di sinistra.

Nelle trattative con i dirigenti del partito comunista che si trovavano in carcere, i capi socialdemocratici proposero di costituire un partito unico, spe­rando che l'unificazione meccanica dei due partiti avrebbe tolto ai comunisti la propria capacità di lotta.

Béla Kun e altri dirigenti del partito comunista accettarono la proposta dei socialdemocratici chiedendo a loro volta alcune condizioni: la proclamazione in Ungheria della repubblica sovietica, il disarmo della borghesia, la
organizzazione dell'Esercito Rosso e della milizia popolare, la nazionalizzazione delle azien­de industriali, del commercio al minuto, delle banche, dei trasporti, dei mezzi di comunica­zione, la confisca delle terre dei grandi pro­prietari, la separazione della Chiesa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa, il miglioramen­to delle condizioni di vita dei lavoratori, la conclusione di un'alleanza con la Russia so­vietica.

Le richieste dei comunisti divennero ben presto note alle larghe masse lavoratrici e trovarono il loro appoggio.
I capi socialde­mocratici dovettero quindi accettarle e su questa base avvenne l'intesa tra i due partiti.
Dalla fusione del partito comunista e del par­tito socialdemocratico sorse il Partito Sociali­sta d'Ungheria.
La scissione nella classe ope­raia era organizzativamente superata.
Tuttavia l'unificazione dei due partiti celava un serio pericolo.

Le segrete intenzioni dei capi op­portunisti, come dimostrò il corso degli avve­nimenti, avevano un certo fondamento.
La fusione dei partiti avvenne senza il necessario lavoro preliminare da parte dei comunisti per smascherare ideologicamente l'opportunismo.
Nel nuovo partito assieme a operai rivoluzio­nari entrarono anche elementi occasionali, con­formisti, perfino nemici della classe operaia, con grave pregiudizio per il consolidamento del partito e del potere proletario.

Il 21 marzo il Consiglio dei deputati operai di Budapest proclamò la Repubblica dei Con­sigli d'Ungheria.
Si formò un governo di la­voratori che si chiamò Consiglio del governo rivoluzionario, o Consiglio dei Commissari del Popolo.
Presidente del governo fu nominato il socialdemocratico Garbai.
Il Commissariato del Popolo agli Esteri fu affidato a Béla Kun.

Per dirigere la vita economica del paese ven­ne costituito in giugno il Consiglio dell'Eco­nomia Nazionale, e per i rifornimenti di ma­terie prime alle industrie l'Ufficio Distribuzio­ne Materiali.
Tutto il potere venne concentra­to, nelle diverse località, nelle mani dei Con­sigli elettivi dei deputati degli operai, dei sol­dati e dei contadini.

Il passaggio del potere nelle mani del popolo avvenne nel momento più critico, quando era già imminente il pericolo dell'intervento ar­mato degli imperialisti, che costituiva una mi­naccia diretta all'esistenza stessa dello Stato nazionale ungherese.

La borghesia nazionale dimostrò una totale incapacità a organizzare la resistenza contro l'Intesa.
Essa si era da tempo trasformata in una forza reazionaria che tradiva gli interessi nazionali.
Solo il po­tere popolare poteva difendere il paese.

Ciò era compreso da molti esponenti della classe operaia, dei contadini, degli intellettuali, della piccola borghesia e perfino da una parte di quella media.

In quelle condizioni né la borghesia liberale, raggruppata attorno al partito di Károlyi, né i capi opportunisti socialdemocratici potevano evitare la rivoluzione proletaria.
Questo spie­ga l'atteggiamento di Károlyi, le proposte dei socialdemocratici ai comunisti e in generale il passaggio pacifico del potere nelle mani dei Consigli.

LE PRIME MISURE DEL POTERE SOCIALISTA. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI

Il governo sovietico ungherese attuò impor­tanti riforme nell'interesse dei lavoratori: con una serie di decreti esso si propose di liqui­dare le posizioni politiche ed economiche della borghesia, per difendere e consolidare il potere sovietico.

Tra gli altri i decreti sul di­sarmo della polizia, della gendarmeria, del vecchio esercito e sulla organizzazione della Difesa Rossa e dell'Esercito Rosso, sulla na­zionalizzazione dell'industria, delle banche, dei trasporti, e sul monopolio di stato nel com­mercio con l'estero.

Il potere sovietico pensò subito al migliora­mento delle condizioni di lavoro e di vita delle masse popolari.
Per la prima volta nella storia dell'Ungheria venne introdotta non a parole ma nei fatti la giornata lavorativa di 8 ore, furono elevati di oltre il 25 per cento i salari degli operai, venne data un'abitazione a coloro che non l'avevano con la requisizione delle ville alla borghesia.
Nella sola Budapest 30.000 famiglie operaie ottennero un nuovo alloggio.

Nelle aziende industriali venne instaurato un nuovo sistema di controllo e di direzione me­diante i commissari della produzione, nomi­nati dal governo e tramite i Consigli, eletti dagli operai.
Tutti gli operai e gli impiegati ottennero le assicurazioni sociali a carico dello Stato, le ferie pagate e l'assistenza sanitaria gratuita.
Venne proclamato e attuato il prin­cipio "Chi non lavora non mangia", fu in­trodotto l'obbligo generale del lavoro.

Il po­tere sovietico attuo anche un altro principio: "Uguale salario a uguale lavoro", che assi­curò alle donne condizioni di lavoro pari a quelle degli uomini.
Fu assolutamente proibi­to di utilizzare i fanciulli nella produzione.

La scuola fu separata dalla Chiesa e la Chiesa dallo Stato, fu istituita l'istruzione obbligato­ria gratuita per i ragazzi fino ai 14 anni, fu­rono fondate università operaie, club operai, sale di lettura, biblioteche.
Le scuole superio­ri aprirono le porte ai figli dei lavoratori.

Molta attenzione venne dedicata all'assistenza medica, alla educazione dei ragazzi, alla lotta contro il vagabondaggio e la delinquenza mi­norile.
Lo sport, già privilegio dei soli strati abbienti, divenne patrimonio di tutti.
Nei parchi, dove una volta passeggiava la nobiltà, comparve la gioventù operaia.

Nonostante la guerra, il potere sovietico con­cesse e assicurò condizioni favorevoli di lavo­ro agli intellettuali: scrittori, pittori, composi­tori, insegnanti e artisti; Béla Illés, Jenó Var­ga e molti altri si schierarono con la rivolu­zione proletaria.

Lo scrittore Zsigmond Móricz definì il nuovo regime "una fioritura".
György Lukács, il filosofo, fu nominato com­missario del popolo all'istruzione nel governo dei Consigli.

Grande importanza ebbe il decreto sulla liqui­dazione dell'oppressione nazionale.
Esso affer­mava che la Repubblica Ungherese dei Consi­gli era una unione di popoli che abitavano la Ungheria e che il governo sovietico avrebbe garantito uguali diritti a tutte le nazionalità, avrebbe eliminato l'oppressione e le ineguaglianze nazionali causate dal capitalismo.

I principi proclamati in questo decreto vennero energicamente tradotti in realtà: sorsero le re­gioni nazionali; nell'Ucraina transcarpatica e in alcune altre zone cominciarono a uscire giornali nelle lingue nazionali, si lavorò inten­samente per organizzare scuole con l'insegna­mento nella lingua materna.

Da Budapest ven­nero inviati nell'Ucraina transcarpatica per soccorrere i cittadini più poveri 5.700 quinta­li di farina, oltre 7.500 quintali di grano da semina, vestiti, calzature.

Le misure del governo sovietico corrisponde­vano agli interessi dei lavoratori.
Nell'aprile 1919 si svolsero le elezioni degli organi di po­tere centrali e locali.
I lavoratori conferma­rono la loro fiducia nella repubblica.

Le ele­zioni si svolsero sulla base del nuovo sistema elettorale democratico, che concedeva il dirit­to di voto attivo e passivo a tutti i cittadini ungheresi di ambedue i sessi, che avessero rag­giunto i 18 anni di età e si dedicassero a un lavoro utile per la società.

Il 14 giugno 1919 si aprì il congresso pan­ungherese dei Consigli, che approvò la costi­tuzione della Repubblica Ungherese dei Con­sigli e legalizzò il regime statale sorto dalla ri­voluzione proletaria: "Il proletariato che ha preso il potere nelle proprie mani - suona­va il primo paragrafo della costituzione - gode nella Repubblica dei Consigli di tutte le libertà e di tutti i diritti. Esso ha liquidato il regime capitalista e il domino della borghesia, sostituendovi il regime socialista".
La costitu­zione abrogò le leggi dello state borghese, con­fermò le riforme attuate dalla dittatura del proletariato, garantì i diritti dei lavoratori.

I comunisti ungheresi non poterono però portare a termine il loro programma, per l'attacco della reazione internazionale.
Inoltre essi stessi commisero vari errori.
In particola­re non riuscirono a risolvere integralmente la questione agraria.

Le aziende agrarie di esten­sione superiore ai 55 ettari furono nazionaliz­zate ma non vennero distribuite ai contadini, bensì formarono aziende statali, deludendo in tal modo i contadini, con i quali la classe ope­raia non riuscì a stringere una solida alleanza.

Altro errore fu la nazionalizzazione delle pic­cole industrie e delle aziende artigianali.

LENIN E LA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI

Lenin salutò con calore la rivoluzione prole­taria in Ungheria: ".. Il seme gettato dalla ri­voluzione russa germoglia in Europa". (V. I. LENIN: "VIII congresso del Partito Comunista Russo (B). Discorso di chiusura", Opere, vol. 29, pag. 202.)

Uno dei primi atti del governo dei Consigli fu un messaggio a Lenin per proporre un'al­leanza fra l'Ungheria dei Consigli e la Russia sovietica.
Ne fu data notizia in una seduta dell'VIII congresso del Partito Comunista Russo (Bolscevico).

Il 22 marzo 1919 il con­gresso inviò ai comunisti ungheresi un tele­gramma di saluto firmato da Lenin. (V. I. Lenin: "VIII congresso del Partite Comunista Russo (B). Radiogramma di saluto del congresso al governo della repubblica sovietica ungherese", Opere, vol. 29, pag. 177.)

Nello stesso giorno Lenin inviò per radio un saluto "Al governo proletario della Repubblica Un­gherese dei Consigli e in particolare al com­pagno Béla Kun".
Tanto il telegramma dell'VIII congresso che il radiogramma di Lenin furono pubblicati nei giornali ungheresi e suscitarono grande entu­siasmo negli strati più larghi della popolazio­ne.

Le masse popolari dell'Ungheria vedevano in Lenin un loro amico.
Il suo nome venne dato a molte istituzioni, scuole, reparti di fab­brica, strade di Budapest e di altre città dell'Ungheria.

Lenin prese tutte le misure per allacciare rap­porti con l'Ungheria e ottenere notizie conti­nue sullo stato delle cose nel paese.

Il 22 marzo nel saluto per radio al governo della repubblica Lenin sottolineava: "È assolu­tamente necessario un permanente contatto radio tra Budapest e Mosca". (V. I. Lenin: "Radiomessaggio al governo della repubblica sovietica ungherese", Opere, vol. 29, pag. 203.)

Il giorno successivo, il 23 marzo, Lenin espri­meva in un radiogramma a Bela Kun i pro­pri timori in merito all'inclusione dei capi del partito socialdemocratico nel governo della repubblica e chiedeva d'informarlo sulla composizione e sul programma del governo: "Vi prego di comunicarmi - chiedeva Lenin - quali garanzie effettive avete che il nuovo go­verno ungherese sarà realmente comunista, e non semplicemente socialista, cioè socialtra­ditore. I comunisti hanno la maggioranza al governo? Quando si terrà il congresso dei so­viet? In che consiste concretamente il ricono­scimento della dittatura del proletariato da parte dei socialisti?" (V. I. Lenin: "Radiogramma a Béla Kun", Opere, vol. 29, pag. 206.)

Nell'aprile-maggio 1919 Lenin trattò più vol­te nei suoi discorsi del significato della repub­blica sovietica ungherese, sottolineando la ne­cessità di rafforzare i legami internazionali del proletariato.

In maggio Lenin s'incontrò con uno dei dirigenti comunisti ungheresi, Tibor Szamuely, che, sorvolando in aereo il territo­rio occupato dalle Guardie Bianche, giunse a Mosca.

Dopo avere ottenuto da Szamuely una relazione particolareggiata, Lenin inviò il 27 maggio una lettera agli operai ungheresi, con la quale ammoniva nuovamente a non ave­re alcuna fiducia nei riformisti: "In Europa la maggioranza dei dirigenti socialisti, tanto della tendenza socialsciovinista quanto della tendenza kautskiana, educati da decenni di capitalismo relativamente 'pacifico' e di par­lamentarismo borghese, si sono talmente im­pantanati nei pregiudizi puramente piccolo-­borghesi, che non possono comprendere il po­tere sovietico e la dittatura del proletariato. Il proletariato non è in grado di compiere la sua missione storica mondiale di liberazione, se non elimina dal suo cammino questi dirigenti, se non li spazza via". (V. I. Lenin: Opere, vol. 29, pag. 335.)

Lenin invitava i co­munisti e il proletariato ungherese a essere vi­gilanti contro le trame dei nemici, a manife­stare fermezza e decisione, e precisava che si possono vincere gli interventisti imperialisti e la controrivoluzione interna solo con una costanza ferrea, con la disciplina, la tenacia e soffocando implacabilmente l'attività sovverti­trice della reazione: "Vi attende ora il com­pito più meritorio e più difficile: resistere nel­la dura guerra contro l'Intesa. Siate fermi!".

Il proletariato ungherese deve consolidare al massimo la propria dittatura, soffocando con decisione la resistenza degli sfruttatori.

Inoltre occorre prestare una solerte attenzione alle necessità dei contadini e della piccola borghe­sia cittadina: "Come lavoratore il contadino - continuava Lenin - tende verso il socia­lismo, preferendo la dittatura degli operai alla dittatura della borghesia ".

Nel saluto di Lenin erano contenuti altri im­portanti suggerimenti sul consolidamento della disciplina cosciente e dello spirito organiz­zativo del proletariato, sulla necessità "di rompere idealmente con ogni ideologia democratico-borghese", di lottare decisamente con­tro la demagogia, l'inerzia, l'andazzo. (V. I. Lenin: "Saluto agli operai ungheresi", Opere, vol. 29, pag. 353)

I consi­gli di Lenin ebbero una grande importanza per il movimento operaio ungherese e internazio­nale.

L'INTERVENTO IMPERIALISTA

Gli imperialisti seguivano allarmati gli avveni­menti ungheresi.
L'atteggiamento dei circoli dirigenti americani venne espresso in quei giorni dal consigliere del presidente Wilson, il colonnello House, che scriveva nei suo diario: "22 marzo... il bolscevismo conquista ovun­que nuove posizioni. Si è appena arresa l'Un­gheria. Noi sediamo su un barile di polvere e un bel giorno una qualche scintilla può farlo esplodere... 24 marzo... attorno a noi crolla il mondo e noi dobbiamo agire con una rapidità commisurata al pericolo che ci sovrasta".

Il giornale "New York Herald" chiedeva l'immediata occupazione di Budapest da parte dell'Intesa e la concessione di aiuti militari ai paesi confinanti con l'Ungheria.
Il "New York Times" in un articolo rivolto contro il popolo ungherese, proclamava che "bisogna dare una lezione all'Ungheria".

Al Parlamen­to francese il ministro degli esteri Pichon tenne un bellicoso discorso per affermare che "tutte le potenze debbono unirsi tra loro e sbarrare la strada al bolscevismo".

Gli Stati Uniti, l'Inghilterra, la Francia e gli altri Stati capitalisti rifiutarono di riconoscere l'Ungheria dei Consigli e di allacciare con es­sa normali rapporti diplomatici, e la sottopo­sero al blocco economico: per disposizione del comando alleato venne vietato qualsiasi com­mercio con l'Ungheria, cessarono le forniture di minerale di ferro, di carbone, di petrolio, di materie prime industriali e perfino di gra­no, del quale la popolazione aveva tanto bi­sogno; l'organizzazione americana degli aiu­ti rifiutò d'inviare prodotti alimentari in Un­gheria; il suo dirigente Hoover dichiarò cini­camente di non volere rifornire di grano i so­viet.

In tal modo gli imperialisti intendevano schiacciare la giovane repubblica sovietica e porre in ginocchio il popolo ungherese.

Come scrisse Lenin, la borghesia imperialistica euro­pea "è giunta a una tale impudenza da pro­porre al governo ungherese: ' Noi vi daremo il grano, ma voi rinunziate al potere sovie­tico '". (V. I. Lenin: "Discorso sugli approvvigionamenti e sulla situazione militare pronunziato alla conferenza di Mosca dei comitati di fabbrica, dei sindacati e dei dele­gati delle cooperative operaie", Opere, vol. 29, pag. 484.)

Contemporaneamente le potenze imperialiste passarono all'organizza­zio­ne dell'in­tervento militare contro l'Ungheria.
A Belgrado, Pra­ga e Bucarest venne inviato l'ordine alle mis­sioni militari dell'Intesa di preparare l'aggres­sione.
Alla Cecoslovacchia e alla Romania ven­ne promesso in cambio del loro intervento un allargamento dei loro territori.
Il 16 aprile 1919 truppe coloniali francesi, romene e cecoslovacche penetravano in Un­gheria.

Tra i paesi capitalisti solo l'Austria riconob­be la Repubblica Ungherese dei Consigli.
Ma pur avendo proclamato la neutralità nei con­fronti dell'Ungheria, di fatto la violò.
Il go­verno austriaco, diretto dal socialista di destra Renner, dichiarò il blocco all'Ungheria, seque­strò l'oro ungherese depositato nelle banche di Vienna, proibì l'invio di viveri e di armi.
Vienna divenne il centro principale dell'Intesa per le sue attività sovversive in Ungheria.

Il nuovo Stato popolare si trovò stretto nella mor­sa dell'aggressione militare e del blocco eco­nomico.
All'inizio del maggio 1919 la situazione mili­tare divenne critica.
Il comando supremo dell'esercito ungherese, diretto dal socialista di destra Vilmos Bohm, proditoriamente diede ordine di ritirarsi senza combattere.

Molti uf­ficiali passarono dalla parte del nemico.
Sul fronte della Transilvania un'intera divisione tradì, aprendo il fronte alle truppe interventi­ste romene.
Queste, avanzando da est, giunsero al Tibi­sco e in alcune località superarono il fiume.
Da nord attaccavano le truppe cecoslovacche.

La controrivoluzione rialzò la testa anche a Budapest.
I socialisti di destra minavano la combattività dell'esercito, dichiarando inutile ogni resistenza e la necessità di arrendersi al nemico ormai vincitore.

La reazione internazionale esultava in attesa della prossima vittoria.
Il giornale inglese "Times" scriveva il 7 maggio 1919 che "il governo ungherese dei Consigli deve capitolare al più presto.... Budapest sarà occupata dalle truppe dell'Intesa.... Il governo dei Con­sigli deve dare le dimissioni".

LA LOTTA DEL POPOLO UNGHERESE CONTRO GLI INTER­VEN­TI­STI. GLI AIUTI DEL PROLETARIATO INTERNAZIONALE

I comunisti chiamarono la classe operaia a re­spingere il nemico.
Il 1° maggio si tenne a Bu­dapest una grande manifestazione, alla quale par­te­ciparono oltre 90.000 operai e soldati rossi.
I dimostranti portavano bandiere rosse, ritratti di Lenin, cartelli con le scritte: "Evvi­va la dittatura proletariato, evviva l'Ungheria sovietica, evviva Lenin - capo del proleta­riato mondiale!".

Vennero formati nuovi distaccamenti dell'Esercito Rosso.
In alcuni giorni fu organizza­to un esercito di 100.000 operai armati pronti al combattimento.
Si arruolarono i miglio­ri comunisti, tutti i militanti dei sindacati, gli operai di molti reparti al completo.
Nelle aziende di Budapest e di altri centri industria­li gli operai lavoravano instancabilmente per produrre armi per  l'Esercito Rosso.

L'intera classe operaia ungherese scattò in piedi per difendere la propria rivoluzione.
Il governo prese misure drastiche contro la controrivoluzione interna.
Presidente del tri­bunale rivoluzionario straordinario per la lot­ta alla controrivoluzione venne nominato comunista Tibor Szamuely, a capo della se­zione del Commissariato del Popolo agli Af­fari Interni fu messo il comunista Otto Kor­vin.

A nome del tribunale rivoluzionario straordinario Tibor Szamuely pubblicò un procla­ma, nel quale si diceva: "Al nemico di clas­se del proletariato - la borghesia - io non rivolgo alcuna preghiera. Vorrei solo che la borghesia ricordasse quanto segue: chi alzerà la mano contro il potere del proletariato, chi apertamente o segretamente attenterà contro di esso e nasconderà agenti della controrivo­luzione, chi non adempirà tutti gli ordini del Consiglio dei Commissari del Popolo e del co­mando centrale, costui firmerà la propria sen­tenza di morte. L'esecuzione della sentenza è compito nostro".

L'incessante attività dei comunisti creò una svolta favorevole al fronte.
L'Esercito Rosso fermò l'offensiva degli interventisti e passò al contrattacco, agevolato anche dalla avanzata che compiva in quel periodo l'Armata Rossa verso le frontiere occidentali dell'Ucraina.
Lo spirito combattivo dei lavoratori ungheresi si elevò, aumentò in essi la fiducia nella possibi­lità di una sconfitta degli interventisti.

Un notevole aiuto prestò alla Repubblica Un­gherese dei Consigli anche il proletariato in­ternazionale: spalla a spalla con i soldati rossi ungheresi combatterono contro le truppe dell'Intesa i soldati della Brigata internazionale: cechi, slovacchi, serbi, croati, romeni, italiani, francesi.

Ex-prigionieri di guerra russi, che si trovavano ancora in Ungheria, entrarono nei reparti dell'Esercito Rosso ungherese e forma­rono un battaglione della Brigata internazio­nale di oltre 1.000 uomini.
Due battaglioni vennero costituiti dai rivoluzionari polacchi; oltre 1.200 combattenti, guidati dal comuni­sta Leo Rotziegel, vennero inviati dagli ope­rai austriaci.
I comunisti cechi e romeni condussero una va­sta opera di chiarificazione tra le truppe in­viate contro l'Ungheria del Consigli e la loro propaganda rivoluzionaria aprì gli occhi ai sol­dati degli eserciti interventisti.
Tra essi ap­parvero fermenti rivoluzionari.

In Slovacchia, nelle retrovie degli interventisti, si sviluppò il movimento partigiano.
In alcuni reparti ceco­slovacchi si ebbero sommosse; in aprile due battaglioni delle truppe cecoslovacche passaro­no all'Esercito Rosso ungherese.
Il governo della Iugoslavia, a causa del mo­vimento rivoluzionario esistente all'interno del paese e della "insicurezza" delle proprie truppe, dovette rinunciare all'intervento.
Le agitazioni s'intensificarono anche nei reparti militari romeni.

Nel maggio 1919 con l'appoggio della popo­lazione e dei partigiani della Slovacchia e dell'Ucraina transcarpatica, l'Esercito Rosso un­gherese intraprese una campagna vittoriosa verso nord.
Nel suo saluto del 27 maggio agli operai ungheresi Lenin scriveva: "Voi fate l'unica guerra legittima, giusta, veramente ri­voluzionaria, la guerra degli oppressi contro gli oppressori, la guerra dei lavoratori contro gli sfruttatori, la guerra per la vittoria del so­cialismo. In tutto ll mondo tutto quanto c'e di onesto nella classe operaia è dalla vostra parte". (V. I. Lenin: "Saluto agli operai ungheresi", Opere, vol. 29, pag. 357)

In giugno l'Esercito Rosso ungherese, dopo aver spezzato il fronte delle truppe ceche e romene, entrò nel territorio della Slovacchia.
Il 16 giugno nella Slovacchia sud-orientale venne proclamata la Repubblica Sovietica Slo­vacca.

LA CADUTA DELLA REPUBBLICA UNGHERESE DEI CONSIGLI

Allarmati dai successi dell'Esercito Rosso un­gherese, gli imperialisti occidentali decisero di intensificare l'intervento contro l'Ungheria so­vietica.
Nel giugno 1919 i rappresentanti dell'Inghilterra, della Francia, dell'Italia e degli Stati Uniti alla conferenza della pace di Pari­gi si accordarono per una nuova offensiva.

Il 13 giugno Clemenceau inviava a nome della conferenza un ultimatum al governo unghere­se, chiedendo la cessazione immediata dell'offensiva dell'Esercito Rosso ungherese e il suo ritiro sulla linea di demarcazione stabilita dall'Intesa alla firma dell'armistizio del 3 no­vembre 1918.

Nell'ultimatum si affermava: "Se le potenze dell'Intesa, sulla base delle in­formazioni dei propri rappresentanti, entro 4 giorni dallo scoccare del mezzogiorno del 14 giugno, non riceveranno notizie sulla effettiva esecuzione di questo ordine, esse riterranno lo­ro diritto inviare truppe oppure prendere al­tre misure....".

In caso di accettazione dell'ul­timatum, Clemenceau prometteva di ritirare i reparti romeni sulla linea di demarcazione e d'invitare i rappresentanti del governo della Repubblica Ungherese dei Consigli alla con­ferenza di pace a Parigi.

L'Ungheria dei Consigli aveva bisogno di ces­sare la guerra per passare all'attività economica.
Inoltre l'invito alla conferenza interna­zionale avrebbe significato un riconoscimento ufficiale dello Stato popolare.
Queste promes­se tuttavia erano un'astuta trappola di Clemenceau, che non pensava minimamente di adempierle.

L'ultimatum di Clemenceau venne discusso il 19 giugno 1919, nel I congresso dei Consigli della repubblica ungherese.
I riformisti, che disponevano della maggioranza dei voti, ottennero l'ap­pro­vazione delle proposte dell'Intesa senza alcuna garanzia di una loro esecuzione.
Alcuni comunisti, tra cui Béla Kun, sottovalutando le fatali conseguenze di questo passo e non volendo provocare una divisione nel governo, concordarono con i socialisti.
Gli avversari dell'accettazione dell'ultimatum, Tibor Szamuely, Ottò Korvin, László Rudas e altri rimasero in minoranza.
Il governo ordinò alle sue truppe di ritirarsi a nord della linea di demarcazione.

Nel frattempo Clemenceau, ingannando perfidamente l'Ungheria, lasciava i reparti romeni sul territorio ungherese.
L'ingiustificata ritirata demoralizzò l'Esercito Rosso, mentre favorì l'atti­vi­tà sovversiva degli ufficiali e di altri elementi ostili.

Il 24 giugno scoppiò a Budapest una rivolta controrivoluzionaria.
Essa venne soffocata dai reparti armati degli operai e dei soldati, ma il governo, temendo l'intervento dell'Intesa, non punì i capi dei ribelli.

Quasi contemporaneamente si ebbero rivolte a Paks, Kalocsa e in altre città.
La controrivoluzione cominciò a formare gli organi di potere che dovevano sostituire il governo dei Consigli.
Ad Arad e a Szeged, sotto la protezione delle truppe di occupazione francesi, venne costituito un governo borghese con alla testa il conte Gyula Károlyi; ministro della guerra divenne l'ammiraglio Horthy.
A Vienna era pronto un altro candidato a primo ministro del governo ungherese, il socialista di destra Garami.
A Budapest l'organizzazione controrivoluzionaria clandestina progettò la creazione di un governo "esclusivamente socialista", sotto la presidenza di Peidl.

Anche la situazione internazionale era peggiorata.
Dopo la ritirata dell'Esercito Rosso ungherese dalla Slovacchia, venne schiacciata anche la Repubblica Sovietica Slovacca.
L'avanzata delle Guardie Bianche di Denikin in Ucraina impedì di stabilire contatti diretti tra gli eserciti della Russia  e dell'Ungheria sovietica.

In questo periodo i militaristi romeni raccolsero nuove forze per un nuovo intervento contro l'Ungheria rivoluzionaria.
In queste condizioni il comando dell'Esercito Rosso ungherese prese la decisione di sventare l'attacco delle truppe dell'Intesa e il 20 luglio cominciò l'of­fen­siva contro le truppe romene.
Ma le operazioni erano state preparate in fretta.
Il capo di Stato Maggiore dell'Esercito Rosso tradì, consegnando al nemico il piano operativo dell'offensiva.
Anche molti alti ufficiali tradirono.
L'Esercito Rosso ungherese venne sconfitto sul fiume Tibisco e sotto la pressione delle soverchianti truppe romene si ritirò verso Budapest.

I comunisti chiamarono alla resistenza: "Noi non cederemo nella nostra lotta rivoluzionaria", scriveva il 1° agosto Béla Kun in un appello rivolto al proletariato internazionale.
Ma alla dittatura proletaria venne inferto un colpo alla schiena.
I socialdemocratici di destra, membri del Consiglio dei Commissari del Popolo, organizzarono una congiura, e, sfruttan­do la loro superiorità numerica, ottennero il 1° agosto le dimissioni del governo e la forma­zione di un governo cosiddetto "sindacali­sta", capeggiato da Peidl e Pejer.

Il "go­verno sindacalista" emanò un decreto sullo scioglimento dell'Eserci­to Rosso, revocò la na­zionalizzazione delle banche e delle aziende in­dustriali, liquidò anche le altre conquiste della rivoluzione ungherese.
Il tradimento compiuto dai riformisti alla vigi­lia dell'entrata a Budapest delle truppe rome­ne tolse alla classe operaia ungherese ogni possibilità di continuare la resistenza.

Lenin ritenne l'attività sovversiva dei socialdemocra­tici di destra una delle cause principali della caduta della Repubblica Ungherese dei Consi­gli.
Il fatto fu denunciato anche da un manifesto dell'Internazionale comunista: "È stato com­messo un gravissimo tradimento. Il potere so­vietico in Ungheria è crollato sotto i colpi dei banditi imperialisti e del tradimento mostruo­so dei socialtraditori. Sulla fronte di questo partito c'e ora il segno di Caino. Esso ha tra­dito il proletariato, la rivoluzione, il glorioso partito dei comunisti ungheresi, l'Internazio­nale".

Il tradimento dei socialdemocratici di destra aprì la strada alla dittatura militate.
Nel paese s'instaurò il sanguinoso regime terrorista dell'ammiraglio Horthy.
I comunisti e altri patrioti vennero torturati, gettati con le ma­ni legate nel Danubio, impiccati ai lampioni delle strade.
Circa 5.000 eroi della Repubblica Ungherese dei Consigli immolarono la propria vita per la causa della rivoluzione, oltre 40 mila persone vennero gettate in carcere, deci­ne di migliaia partirono per l'esilio.
Tra gli uccisi vi furono i dirigenti comunisti Otto Korvin e Jeno Laszlo.
Il 2 agosto 1919 ven­ne ucciso anche Tibor Szamuely.

La repubblica ungherese venne così sconfitta.
Le cause principali furono l'intervento degli Stati imperialisti e il tradimento dei socialde­mocratici di destra.
Ma la rivoluzione prole­taria non passò senza lasciare tracce nel popo­lo ungherese.
Nella sua memoria rimasero per sempre i 133 giorni eroici, in cui i lavorato­ri dell'Ungheria seppero conquistare per la prima volta nella storia del paese le libertà veramente democratiche e in cui il potere so­vietico attuò nell'in­te­resse del popolo profon­de trasformazioni economiche e sociali.

La dittatura del proletariato in Ungheria eb­be un grande significato internazionale.
Nelle tesi del Comitato Centrale del Partito Operaio Socialista Ungherese, pubblicate in occasione del quarantesimo della fondazione del Partito Comunista di Ungheria, si affermava: "Il pro­letariato ungherese, sotto la direzione dei co­munisti, per primo dopo la classe operaia rus­sa, seppe conquistare il potere e fare uscire la nazione dal gorgo dello sfruttamento e dell'immiserimento capitalista. La Repubblica Ungherese dei Consigli dimostrò che la con­quista del potere e la dittatura del proletaria­to non sono una semplice ' particolarità rus­sa ', ma l'esigenza generale di liquidare il ca­pitalismo e affermare il regime socialista".


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