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Una paura sconosciuta: il Giappone triste del dopoguerra

Higinio Polo | rebelion.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

11/05/2019

Hiroshima, mon amour, il primo lungometraggio di Alain Resnais basato sulla trama del libro di Marguerite Duras, contiene un dialogo commovente dei protagonisti, lui e lei:
- Cos'era Hiroshima?
- La fine della guerra. L'inizio di una paura sconosciuta.

È così che è iniziato il periodo postbellico in Giappone, con la popolazione in preda una paura sconosciuta. Dopo l'orrore atomico Hirohito annunciò la capitolazione il 15 agosto 1945, con il suo Gyoku-hōsō (discorso radiofonico, ndt), mentre il 2 settembre i suoi ministri firmarono la resa sulla corazzata Missouri ancorata nella Baia di Tokyo. Il 27 dello stesso mese l'imperatore si recò all'ambasciata statunitense nella capitale per essere ricevuto da MacArthur: in mezzo a una città devastata dalle bombe nordamericane, il tennō (imperatore, ndt), sovrano celeste, incassò l'umiliazione e inaugurò un nuovo periodo ancorato alla paura, dove nulla sarebbe rimasto come prima.

Il Giappone aveva aperto le sue porte al mondo obbligato dai cannoni di Matthew C. Perry nel 1854; pochi anni dopo, l'era di Meiji dà inizio alla modernizzazione del paese, non sapendo che stava cominciando anche un lungo periodo presieduto costantemente dalla minaccia delle truppe nordamericane. La tradizione giapponese esalta il passato, pieno di glorie, come in ogni paese, coniugandola a una rettitudine e una devozione per l'imperatore che spiega la decisione di molti giapponesi di accettare il sacrificio durante la Seconda Guerra Mondiale.

Dal momento che la guerra contro la Russia si concluse con la vittoria nel 1905, il Giappone si immerse in un'espansione imperialista, culminata con l'invasione della Manciuria cinese nel 1931, con l'attacco all'Indocina francese coloniale durante la guerra di Hitler e nella commissione dei crimini di guerra da parte dell'esercito e della Kempeitai (la Gestapo giapponese). Tutto ciò costò la vita a più di venti milioni di cinesi con fatti come il massacro di Nanchino, dove i militari giapponesi assassinarono in un'orgia di sangue duecentomila persone o con il massacro di Changjiao, dove le truppe violentarono e uccisero in trenta giorni trentamila donne, uomini e bambini. Il Giappone ha agito nello stesso modo nel sud-est asiatico, provocando diversi milioni di morti in più con massacri agghiaccianti come quello di Manila nel 1945; schiavizzarono milioni di persone, rapite durante la guerra, nelle loro case e decine di migliaia di giovani donne furono costrette a prostituirsi nelle caserme del proprio esercito.

La prima incursione nordamericana contro il Giappone fu l'operazione Doolittle, guidata dal generale che le diede il suo nome e che bombardò Tokyo e Yokohama nell'aprile del 1942. Nella loro corsa verso l'arcipelago giapponese i nordamericani arrivarono dalle Midway, facendo scorta di ricordi epici e immagini scattate da John Ford, l'abile falsario che cambiava occhio sotto la benda di pirata. La guerra fu crudele e i soldati giapponesi lo mostrarono. Anche i nordamericani: l'ammiraglio William Halsey e il vice ammiraglio Robert Carney si vantavano di aver affondato le navi-ospedale giapponesi e non erano gli unici. La ferocia dei bombardamenti nordamericani (l'atomica su Hiroshima e Nagasaki, ma furono altrettanto devastanti le bombe convenzionali in centinaia di città) hanno lasciato un paese esausto, lacerato. Milioni di case furono distrutte. Perirono due milioni di soldati in guerra e un milione di civili (in particolare per gli indiscriminati bombardamenti statunitensi sulle città).

Quando Hirohito annuncia la resa del Giappone, milioni di giapponesi piangono in silenzio: non avevano mai sentito la sua voce ed era il sovrano celeste. Con un senso incomprensibile del dovere e del sacrificio, di venerazione per l'imperatore, i giapponesi si erano lasciati travolgere dal fascismo e dal militarismo giapponese, dalla retorica patriottica del martirio che aveva colto molti tratti della cultura popolare tra cui quello della bellezza dei sakura, i ciliegi che fioriscono in primavera insegnando la vita effimera e che erano stati rafforzati nel passato da un desiderio di purezza, spesso accompagnato da un'ambizione imperialista che cercava di estendere il potere giapponese all'Asia e che esaltava i giapponesi ignorando l'evidente retaggio cinese in molte delle manifestazioni culturali e religiose dell'Impero del Sol Levante.

MacArthur arrivò alla baia di Tokyo con il suo aereo Bataan alla fine dell'agosto del 1945 e iniziò a organizzare l'occupazione del paese. I deliri e le decisioni del generale, convinto che Dio lo avesse designato per la missione, furono organizzate nell'edificio Dai-Ichi Seimei vicino al fossato che circondava il palazzo imperiale: c'era lo SCAP (Comandante supremo delle forze alleate, ndt) che governava il paese e copriva i crimini di guerra di tutti i membri della famiglia imperiale. Alla fine della guerra l'industria giapponese produceva solo il 15% delle sue capacità precedenti. Strade e ferrovie erano distrutte, centinaia di città trasformate in montagne di macerie dove regnava la fame e la desolazione e dove gruppi di bambini abbandonati morivano di fame. Il paese era inorridito dal ricordo della devastazione atomica rappresentato dagli hibakusha, i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki che hanno dovuto sopportare l'ulteriore disgrazia dell'oblio del governo.

La fame, la miseria, la vita tra le rovine è lo scenario dei primi anni, accompagnato dall'umiliazione della sconfitta, dalla rassegnazione di fronte al disastro e dall'amarezza precedente l'occupazione nordamericana che fece centinaia di basi e installazioni militari e impose la costituzione del 1947. Più di dieci milioni di persone perderanno la loro casa e saranno costrette a vivere nelle strade, tra le rovine o ospiti da parenti in una scena dantesca dove avvengono crimini e saccheggi e dove la prostituzione raggiunge dimensioni inimmaginabili. Il rifiuto della popolazione giapponese nei confronti dell'esercito sconfitto, responsabile della più grande ecatombe della sua storia, fu travolgente al punto che gli occupanti nordamericani dovettero proteggere l'esercito giapponese.

Milioni di persone erano senza lavoro, con i prezzi alle stelle, prigionieri della corruzione dei militari che presidiavano i negozi di alimentari; subivano il mercato nero delle canaglie che si arricchivano sulla sofferenza, vivendo in un paesaggio dantesco di mutilati, feriti dai bombardamenti che si trascinavano sulle proprie ferite, gli hibakusha, i suicidi di molti giapponesi che si sono sentiti abbandonati. In quella società in crisi, l'attività di MacArthur si concentra sui capi militari del giappone: sarà giudicato Hideki Tōjō, Heitarō Kimura (il macellaio della Birmania); il generale Kenji Doihara; il ministro della Guerra Sadao Araki; il ministro degli Esteri Yōsuke Matsuoka; il generale Seishirō Itagaki, che aveva seminato il terrore in Cina; il ministro Mamoru Shigemitsu che insieme al generale Yoshijirō Umezu firmò nel Missouri, nel 1945, la resa incondizionata del Giappone.

I Processi di Tokyo sono culminati in sette condanne a morte e sedici ergastoli, anche se circa settecento militari sono stati giustiziati ai margini della Norimberga giapponese. Hirohito era rispettato e difeso dalle truppe di occupazione, al punto che MacArthur ordinò di nascondere le prove, non permise che l'imperatore fosse interrogato o di testimoniare al processo e il governo militare nordamericano gli conferì anche l'immunità nonostante le sue evidenti responsabilità nell'aver ordinato crimini di guerra o nell'esserne a conoscenza e aver approvato i massacri commessi a Nanchino o a Shanghai, così come il suo consenso nei criminali esperimenti biologici della terribile Unità 731.

Più tardi, MacArthur collaborerà alla costruzione della menzogna di un Hirohito estraneo alla guerra, imperatore cerimoniale, quasi pacifista, nascondendo il suo ruolo di asse del nazionalismo giapponese negli anni prima della guerra. Non fu l'unico fortunato: Mamoru Shigemitsu divenne ministro degli Esteri e viceprimo ministro nel 1954. La punizione raggiunse anche gli zaibatsu, i gruppi industriali complici del fascismo giapponese: Mitsubishi, Sumitomo, Mitsui, Yasuda.

Alcuni anni dopo il lancio delle bombe atomiche i bambini venivano protetti dalle ricadute radioattive (fallout nucleare, ndt), dalla pioggia nera del romanzo di Masuji Ibuse, ancora con semplici ombrelli. L'imperatore pagò volentieri il suo debito e divennne un complice del piano anticomunista di Washington, mentre la dottrina Yoshida permeò la vita del paese con tutti i suoi governi dipendenti dagli Stati Uniti al punto che il formale rifiuto del governo di Eisaku Satō (l'architetto del cosiddetto "miracolo giapponese") di possedere, produrre o consentire l'introduzione di armi nucleari in Giappone, fu rotto nel 1969 con la firma di un patto segreto con gli Stati Uniti. Tale patto consentì al Pentagono di immagazzinare armi nucleari a Okinawa. Nel 1965 la portaerei nordamericana USS Ticonderoga perse una bomba atomica all'idrogeno a poco più di cento chilometri dalla costa giapponese. Gli Stati Uniti avevano più di 1.200 armi nucleari a Okinawa, nella loro base a Kadena.

Nel frattempo il paese si stava sviluppando un'economia capitalistica che andava di pari passo con l'occidentalizzazione delle forme di vita, duramente criticata da settori della destra e che coesisteva con il rifiuto delle influenze esterne, il cui modello di azione e sacrificio sarebbe stato realizzato da Yukio Mishima già nel 1970 con il suo tentato colpo di stato (sostenuto solo da un commando di tre persone!) e il suo successivo suicidio.

In quel duro periodo postbellico scoppiarono numerosi scioperi, ma MacArthur si affrettò a mettere ordine, a bandire lo sciopero generale indetto nel dicembre 1947. Washington sostenne di difendere la libertà contro il militarismo giapponese pre-bellico, ma si interessò soprattutto ad impiantare la versione giapponese del capitalismo liberista nordamericano, mentre perseguitava i comunisti giapponesi.

Il Partito Comunista Giapponese era stato illegale sin dalla sua fondazione anche se MacArthur permise ai comunisti di candidarsi alle elezioni: nonostante i sabotaggi subiti, il Partito Comunista Giapponese ottenne tre milioni di voti nel 1949. Nella persecuzione dei comunisti MacArthur faceva affidamento sugli stessi settori che erano stati processati nei Processi di Tokyo. Il fatto che potessero candidarsi per le elezioni del nuovo ordine liberale non implicava che i comunisti potessero agire senza ostacoli: MacArthur ispira una campagna che porterà un'ondata di licenziamenti di lavoratori comunisti, invierà la polizia e l'esercito a molestare e occupare la sede del quotidiano comunista Shimbun Akahata, stimola le decisioni sul divieto di svolgere qualsiasi attività pubblica ai dirigenti del Partito. In seguito alla Rivoluzione Comunista in Cina e alla Guerra di Corea questa campagna anticomunista trascende nell'isteria  con la  proposta di MacArthur al governo Truman di sganciare bombe atomiche sulla Cina e con la messa al bando di Shimbun Akahata e di tutte le pubblicazioni comuniste, insieme al sistematico arresto dei leader comunisti giapponesi.

L'intera struttura costruita dal governo di occupazione nordamericano e dagli eredi del potere precedente, prima con il barone Kijūrō Shidehara e dopo con Shigeru Yoshida, si rivolge al Partito Liberal Democratico che, con l'eccezione dell'effimero governo di Tetsu Katayama guidato dal Partito Socialista, dominerà la vita del Giappone fino ai nostri giorni. Furono le forze di occupazione nordamericane a suggerire la creazione del Keidanren, un gruppo di imprenditori leader del paese che da allora sovvenzionerà il Partito Liberal Democratico e diventerà, in pratica, l'organizzazione sussidiaria dei grandi uomini d'affari alla guida del Giappone del dopoguerra.

Gli anni del primo ministro filo-americano Shigeru Yoshida, che coprirono l'intero dopoguerra fino alla fine del suo mandato nel 1954, culminarono nel trattato di pace di San Francisco nel 1951 e nella guerra di Corea che gli aerei americani bombardarono dalle basi giapponesi come avrebbero poi fatto con l'aggressione del 2003 contro L'Iraq. Il trattato concluse formalmente l'occupazione militare nordamericana, ma immediatamente entrò in vigore l'accordo che, dietro le quinte, il primo ministro Shigeru Yoshida aveva accettato: gli Stati Uniti imposero al Giappone un Patto di sicurezza con cui le truppe nordamericane avrebbero potuto restare nel paese, camuffate come "forze di sicurezza". L'ombra sinistra degli aerei nordamericani, che Shomei Tomatsu così spesso fotografa, è costante.

La guerra di Corea alimenta il miracolo economico giapponese, sostenuto anche dai bassi salari e da un'attività criminale che ignora completamente la distruzione che causa alla popolazione: il fotografo William Eugene Smith, per esempio, ha documentato, negli anni settanta, gli effetti dell'inquinamento industriale tra i pescatori di Minamata, sull'isola di Kyushu, dove la grande azienda Chisso - oggi JNC, collegata alla banca giapponese Mizuho, una delle più grandi al mondo - ha provocato migliaia di morti a causa delle emissioni di metilmercurio nelle acque. Alcuni imprenditori non esitarono a ricorrere alla yakuza, la mafia giapponese, per intimidire coloro che protestavano e per accompagnare il governo nella repressione politica, espulse i comunisti da qualsiasi responsabilità pubblica, mentre i vecchi complici del militarismo fascista e persino molti criminali di guerra furono riabilitati. Come il conflitto coreano la guerra del Vietnam ha stimolato l'economia giapponese che ha così potuto vendere materiali da costruzione, armi e petrolio raffinato alle truppe nordamericane che invasero le terre vietnamite. Il nuovo Giappone si presenta già nei Giochi Olimpici del 1964 e nel Banpaku di Ōsaka (Expo Park di Osaka, ndt) del 1970.

L'americanizzazione della vita giapponese suscita ribellione come nella rivolta studentesca degli anni sessanta, ma stimola anche passività, rassegnazione e malinconia che nasce dall'amaro ricordo della sconfitta e da un confuso senso di perdita di un passato che non sarebbe mai tornato in vista di uno sviluppo che imita molti costumi del paese devastatore del Giappone. Anche se i comunisti e il resto della sinistra hanno lottato contro il deliberato silenzio e l'oblio del fascismo giapponese e della sua responsabilità per la sconfitta, così come la distruzione e l'occupazione militare nordamericana del dopo guerra, la maggior parte della popolazione non ha voluto guardare indietro, nonostante l'orrore atomico avesse creato luoghi di memoria come il parco costruito sopra il devastato distretto di Nakajima, nel centro di Hiroshima.

Negli anni sessanta, gli Stati Uniti imposero al Giappone la rinegoziazione di un trattato di sicurezza militare che rendeva permanenti le basi nordamericane nel paese nonostante la resistenza di una parte della società giapponese che condusse una grande campagna contro il trattato con il sostegno dei comunisti giapponesi e del Gensuikyō che non riuscì a vanificare la sottomissione politica e militare del governo agli Stati Uniti. Molte di queste basi militari esistono ancora oggi: oltre un centinaio in tutto il territorio giapponese, come nelle isole Okinawa di KunioYanagita, da dove partivano gli uccelli della morte che bombardarono il Vietnam. In quegli anni sessanta il potere giapponese impose l'oblio del passato sia del Giappone fascista di Hirohito e Tōjō, sia delle bombe atomiche nordamericane; non a caso tutti i governi giapponesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale hanno accettato tutte le imposizioni nordamericane al punto che, negli anni sessanta, l'esercito statunitense sviluppò test di armi biologiche a Okinawa.

Solo il Partito Comunista Giapponese e altri gruppi minori di sinistra si ribellarono contro questo potere che cambiò il volto delle città e la pelle del paese. Il trepidante Shinjuku dei nostri giorni sorge quindi con migliaia di nuovi edifici che spiano l'eterna notte di Kabukichō, con bordelli avvolti da neon e silenziosi uomini della yakuza, ascoltando l'inutile suono delle sfere d'acciaio del pachinko e la nostalgia per la cultura tradizionale che si conserva nelle piccole taverne di Omoide Yokochō o dei delicati giardini imperiali di Hamarikyu.

* * *

Questo è il paese che fotografa Shomei Tomatsu. Il Giappone era sprofondato in una paura sconosciuta, che avrebbe schiacciato i suoi abitanti per anni. Molti fotografi documentano il Giappone del dopoguerra, gli anni della vergogna e della paura. Prima, Tamoto Kenzō aveva documentato la vita degli abitanti di Hokaido, alla fine del XIX secolo, aprendo la strada alla fotografia. Poi vengono le immagini di Kazuo Kitai, Kineo Kuwabara, Seiichi Motohashi, Daidō Moriyama, Takeyoshi Tanuma, Nobuyoshi Araki, Ihei Kimura, Hiroshi Hamaya, Ken Domon (che partecipò anche alla propaganda del regime fascista) che diventano le principali figure della fotografia documentativa giapponese, conservati grazie a finanziamenti al TOP Museum de Tokio. Molti di loro conoscevano la fotografia europea e nordamericana e furono influenzati da autori occidentali: alla fine della sua vita, Tomatsu citò Eugene Atget e William Eugene Smith come i fotografi che più lo interessavano. Il reporter di guerra Smith vide le stesse città devastate di Tomatsu: accompagnò i marines nordamericani durante l'invasione del Giappone.

Tomatsu, di cui un paio di mesi fa per la prima volta in Spagna è stata realizzata una mostra di sue fotografie, è nato nel 1930, all'età di quindici anni ha assistito nella sua nativa Nagoya ai bombardamenti dei B-29 nordamericani che stavano lanciando le bombe incendiarie del sanguinario generale Curtis LeMay, trasformando le città principali (Tokyo, Yokohama, Osaka, Nagoya, Kobe, Okayama, Kawasaki) in fumanti montagne di macerie e cadaveri. Tomatsu è interessato ai nuovi costumi, all'influenza nordamericana che avviene con l'occupazione militare, ai sopravvissuti dell'orrore atomico e alle prostitute dei tempi della desolazione. Inoltre, anni dopo, fotografa l'Afghanistan, per conto di una rivista; nel 1959 fotografa il tifone Ise (dove è situato il più importante santuario shintoista del paese), è interessato alla vita nelle basi militari nordamericane di Okinawa, Yokosuka, Chitose, Yokota, Sasebo: raccoglie le sue fotografie dell'occupazione militare, in una serie dall'espressivo titolo: Gomme da masticare e cioccolato, chiara allusione alla mancanza di volontà e all'incuria degli statunitensi mentre guardavano il mare di macerie e la fame del dopoguerra: "stavamo morendo di fame e loro [i soldati nordamericani] ci hanno gettato gomma da masticare e cioccolato", dice Tomatsu.

Nelle sue fotografie si vedono aerei e soldati, il vagabondaggio delle prostitute, l'insopportabile umiliazione del continuo stupro delle donne da parte dei militari nordamericani. I sopravvissuti di Okinawa avevano visto morire duecentocinquantamila persone durante i giorni della battaglia alla fine della guerra, durante l'apocalittica pioggia d'acciaio; avevano assistito ai suicidi collettivi disperati di centinaia di persone, che Kihachi Okamoto avrebbe ricordato nel suo film. È lì che Tomatsu scoprì, alla fine degli anni sessanta, le caratteristiche del Giappone tradizionale che sopravvive e che sopporta rassegnato l'occupazione militare.

Nel 1960 su commissione del Gensuikyō, Tomatsu iniziò a fotografare Nagasaki, i volti devastati delle vittime, le ustioni e le cicatrici dei sopravvissuti, per poi pubblicare un libro, Hiroshima-Nagasaki Document 1961. Il Gensuikyō (The Japan Council against A & H Bombs nel suo nome inglese, collegato al Partito Comunista Giapponese) è stato creato nel 1955 dopo gli esperimenti atomici effettuati dagli Stati Uniti sull'Atollo di Bikini nel marzo 1954, con l'obiettivo di aiutare gli Hibakusha e ottenere il divieto delle armi nucleari: la campagna ha raggiunto più di trentadue milioni di firme in Giappone. Tomatsu è tornato in città molte volte: il suo primo libro fotografico sarà intitolato Nagasaki 11:02, per l'ora della bomba atomica. Lo stesso anno fu pubblicata L'ira del popolo, cronaca delle proteste contro il Trattato di Sicurezza tra Stati Uniti e Giappone, con la partecipazione di Hiroshi Hamaya, Ihei Kimura, Shigeichi Nagano, oltre a Tomatsu.

La desolazione postbellica si riflette anche nelle fotografie delle vittime di Ken Domon in un ospedale di Hiroshima; nelle fotografie di Yōsuke Yamahata: la solitaria torii tra le macerie dell'uragano di Nagasaki, nel cadavere nerastro sopra le rovine; nel bambino confuso e triste, con la faccia sporca di schegge, con in mano una palla di riso. Yamahata aveva fotografato Nagasaki il giorno dopo il bombardamento atomico, ma gli occupanti nordamericani per molti anni hanno vietato le immagini degli effetti del bombardamento, al punto che il paese ha ignorato le conseguenze: solo gli abitanti di Hiroshima e Nagasaki lo sapevano. Il periodo postbellico è anche mostrato bene nel libro di Tomatsu pubblicato nel 1967 in Giappone, dove sono raccolte insieme alle fotografie dell'occupazione nordamericana, altre della natura e della vita. Alla fine del secolo Tomatsu visse a Nagasaki e fu in grado di testimoniare ancora una volta le tracce della bomba: uno dei tristi paradossi della storia è che un uomo come lui, determinato a mantenere il ricordo dell'orrore, poteva vedere i soldati nordamericani camminare per la città, alieni dall'apocalisse che avevano seminato mezzo secolo prima.

* * *

Gli Stati Uniti avevano iniziato a punire il Giappone di fronte ai propri cittadini dal marzo 1942, chiudendo più di centoventimila persone di origine giapponese nei campi di concentramento in California e Arizona, Colorado e Arkansas, in Idaho, Wyoming e Utah. Gli internati nei campi furono costretti a vendere le loro proprietà ad un prezzo basso, i loro risparmi furono confiscati dal governo e le loro case e terre perse. Poi, il desiderio di radere al suolo le città giapponesi portò Washington ad emulare i crimini di Auschwitz. Presso l'Istituto di Malattie della Bomba Atomica a Nagasaki, sono conservati per la ricerca contenitori con organi di persone colpite da bombe nucleari nordamericane: sono la testimonianza dell'apocalisse, del coltello funebre che Truman affondò nella gola del Giappone, come lo sono quelle scene che Tomatsu fotografò: la bambina che teneva la mano di un veterano di guerra cieco che stava camminando con il suo cane; il casco di un soldato con i resti del cranio; i due soldati nordamericani, che ridendo molestano una ragazza giapponese e che costringono a fuggire. Tutti parlano di un passato atroce e di un presente ferito, della grande onda di Kanagawa che Hokusai ha lasciato come espressione del disastro apocalittico, della distruzione, della morte.

Gli Stati Uniti hanno insabbiato il ruolo decisivo di Hirohito nell'avventura criminale imperialista giapponese e hanno cercato di nascondere la propria responsabilità per i crimini di Hiroshima e Nagasaki, perfettamente paragonabili all'orrore nazista di Auschwitz. Tuttavia i fantasmi di un tempo di caccia e di bugie persistono. Il potere giapponese continua a negare i massacri in Cina, il crimine di Nanchino; i suoi governanti continuano a visitare il Santuario di Yasukuni che ospita gli spiriti dei criminali di guerra, tra cui Tōjō e le ipoteche del passato non sono scomparse: la Russia sostiene che gli Stati Uniti possiedono armi nucleari nelle loro basi a Okinawa e tra la popolazione locale la convinzione è generale. Kadena, il più grande impianto nordamericano dell'isola, è anche un focolaio di ubriachi, stupri frequenti, marines litigiosi, anche omicidi, rumori insopportabili per chi vive a Okinawa: centocinquanta aerei atterrano o decollano ogni giorno, perché la macchina da guerra nordamericana non riposa.

Oltre a Okinawa, Tomatsu ha fotografato anche quelle strade di Shinjuku dove la sinistra giapponese ha protestato contro le basi militari nordamericane e contro i bombardamenti criminali in Vietnam: le sue immagini hanno un dolore sereno e contenuto, registrano anni bui e sono il ricordo della cicatrice nascosta, dell'umiliazione silenziosa che il Giappone continua a sopportare. Le notti interminabili di Shinjuku, con il loro educato contenimento, con il loro discreto profumo di degrado e di criminalità, sono state riflesse nel torbido sguardo di coloro che avevano accompagnato la sottomissione e la sconfitta, le bugie che salvarono Hirohito, il fatalismo di un popolo prigioniero del fascismo nipponico, la vergogna di sopportare i carnefici di Hiroshima, il passato militarista conservato a Yasukuni, nascondono una paura sconosciuta che opprimeva il triste Giappone del dopo guerra.


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