www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 17-10-19 - n. 725

Il fronte unico proletario e la lotta contro la socialdemocrazia

Fabrizio Poggi | nuovaunita.info

ottobre 2019

Nuova unità n. 5

Lo scorso 18 agosto i comunisti hanno ricordato il 75° anniversario dell'assassinio, a Buchenwald, di Ernst Thälmann, segretario della KPD - Kommunistische Partei Deutschlands. Arrestato nel marzo 1933, un mese dopo la nomina di Hitler a cancelliere, per 11 anni Thälmann fu trasferito da un carcere all'altro. Verso la mezzanotte del 17 agosto 1944, secondo la ricostruzione fatta sull'organo della DKP, Unsere Zeit, "una limousine arrivò al lager di Buchenwald. Il prigioniero fu fatto scendere. Il suo ultimo cammino fu tra un'ala di SS. Si avvertirono tre colpi in rapida successione", poi un quarto. Hitler in persona aveva ordinato l'assassinio.

In certa sinistra, si incappa oggi di rado in giudizi favorevoli su Ernst Thälmann. Sopravvive la stantia omelia di socialdemocratici e trotskisti, secondo cui la contrapposizione, ispirata da Stalin, dei comunisti tedeschi alla socialdemocrazia, avrebbe favorito Hitler. Ma, in quante occasioni, i socialisti in posizioni di comando avevano chiuso sedi comuniste, proibito l'attività dei sindacati comunisti, inviato la polizia a sparare contro i comunisti, come avvenne il 1° Maggio 1929 a Berlino, sotto il governo di Otto Braun, quando il capo socialdemocratico della polizia, Karl Zörgiebel, represse una dimostrazione operaia, provocando 30 morti, o il 17 luglio 1932 ad Amburgo, allorché un altro capo socialdemocratico della polizia fece sparare su un corteo di comunisti, uccidendone 17, e come avvenne a Brema, Monaco, nella Ruhr, in Slesia...

Anche certa sinistra-sinistra, trattando dei comunisti tedeschi dell'epoca, si riduce ai cliché sulle "oscillazioni senza principio dello stalinismo", una delle cui varianti, "nello spartito ideologico staliniano", era la politica del socialfascismo, "promossa da Stalin e dall'Internazionale Comunista stalinizzata tra il 1929 e il 1933", e che "portò il KPD nel 1931 a sostenere un referendum promosso dai nazisti contro il governo Brüning".

La situazione tedesca

In sintesi: nel 1931 la KPD (Kommunistische Partei Deutschlands) si era dapprima opposta al referendum indetto da Elmi d'acciaio e NSDAP contro il governo socialdemocratico di Otto Braun in Prussia; dopo che la SPD ignorò l'appello a unire le forze contro i nazisti, i comunisti si schierarono per il referendum che, pensavano, poteva aprire crepe nell'ala prussiana della NSDAP, di Gregor Strasser.

Oggi, i comunisti imputano doverosamente a Palmiro Togliatti la degenerazione revisionista del PCI, che data anche prima del 1956. Ma, illustrando la posizione dell'Internazionale Comunista sul referendum dell'agosto 1931 in Prussia, egli scriveva: "potevano i comunisti astenersi dal prendere parte alla lotta? ... l'astensione poteva avere un valore solamente... come un appoggio al governo socialdemocratico. Era possibile ai comunisti dare questo appoggio? ... La socialdemocrazia tedesca è, sul continente europeo, la più forte organizzazione reazionaria la quale tenga incatenati al carro del capitalismo dei milioni di lavoratori... La influenza dei capi socialdemocratici sugli operai è il più grave ostacolo a una lotta efficace contro il fascismo, è uno dei più forti elementi che i fascisti, nella loro lotta per giungere al potere, hanno a loro favore".

La SPD continuava infatti a sostenere il governo Brüning e la sua Notverordnungpolitik (decreti d'urgenza, con draconiane misure antioperaie e antipopolari) dicendo che ciò "serve a evitare un male più grave, cioè un governo fascista. La teoria del minor male è, oggi, lo strumento di cui essi si servono per disarmare ideologicamente le masse".

I comunisti contavano inoltre di conquistare determinati settori della NSDAP. In una lettera aperta del novembre 1931 "Agli elettori della NSDAP e ai membri delle SA", ad esempio, la KPD di Berlino-Brandenburgo scriveva che, mentre il "vostro Führer" non fa che servire grande capitale e grossi banchieri, i lavoratori berlinesi dovrebbero seguire l'esempio di tanti membri della NSDAP, che "hanno marciato insieme" ai comunisti; "combattete insieme a noi nel fronte dell'esercito rivoluzionario, per il pane, il lavoro, la libertà, il Socialismo".

La KPD, anche nei momenti di più acuta contrapposizione ai governi socialdemocratici, non aveva mai smesso di cercare l'unità d'azione con quella parte della SPD disposta a lottare contro il Zentrum cristiano-liberale e la destra nazionalista. Nel 1926, comunisti e socialdemocratici avevano fatto fronte comune al referendum, poi perso, sull'esproprio senza indennizzo dei latifondi dei nobili prussiani. Tra fine anni '20 e inizio '30, Thälmann chiama ripetutamente all'unità d'azione operai socialdemocratici e cattolici, per lottare spalla a spalla: Schulter an Schulter mit uns zu kämfen; questo, nonostante le posizioni filo-governative della SPD, che proseguiva nella Tolereriungspolitik, a sostegno dell'impopolare governo Brüning quale "kleinere Übel", male minore.

Nel febbraio 1930, al Presidium allargato dell'IKKI (Com. Esec. dell'IC), mentre si ribadiva la necessità di un "implacabile smascheramento della socialdemocrazia quale principale sostegno per l'instaurazione della dittatura fascista", si sottolineava che si deve "saper distinguere tra apparato partitico social-fascista e operai di fabbrica ancora sotto l'influenza della socialdemocrazia, in modo che, con un'applicazione conseguente della tattica del fronte unico dal basso, si possano conquistare questi operai a una decisa lotta rivoluzionaria comune".

Fronte unico dal basso

Appaiono oggi quantomeno singolari certi sibillini riferimenti alla politica della KPD, e arbitrari accostamenti alla linea dell'IC. È vero che, con il pretesto di "stare in mezzo alle masse", perché si giunga alla "costituzione del Governo di Blocco Popolare che spalancherà le porte al Socialismo", qualcuno aveva aperto un credito in bianco al passato governo gialloverde. È pure vero che altri, pretendendo di lottare contro un PD euro-atlantico (di per sé, cosa doverosa) e suoi accoliti, che "si mobilitano alacremente solo per il Gay Pride e per difendere un'immigrazione senza regole, funzionale e foraggiata dal neoliberismo", hanno finito ugualmente per schierarsi con i fascio-leghisti salviniani. Ma, vedere in tali esternazioni, presunte "oscillazioni senza principio dello stalinismo", significa prendersi gioco della storia.

La KPD, a difesa delle condizioni di vita della classe operaia, massacrata da imposizioni di Versalles e Piano Young, crisi economica e disoccupazione, non poteva non smascherare la politica dei vertici della SPD che, col governo di Hermann Müller, aveva proibito gli scioperi, decretato il blocco delle assunzioni, la fine delle assicurazioni sociali, sparato sugli operai, minacciando l'aperta dittatura fascista.

Nel dicembre 1930, l'organo della KPD, Die Rote Fahne scriveva: "La dittatura fascista non è più una minaccia, ma è già qui. Il capitalismo tedesco è al collasso e nessuna dittatura, nemmeno quella fascista, potrebbe salvarlo. Il nemico principale è ora la dittatura fascista". All'XI Plenum dell'IKKI, nel marzo-aprile 1931, Thälmann affermava che lo sviluppo del fascismo in Germania "non è una manifestazione della forza della borghesia e di debolezza o sconfitta del proletariato, bensì del fatto che la borghesia deve ricorrere alla sua forma estrema di dominio, il fascismo, per impedire l'incombente rivoluzione proletaria". Il "culmine del movimento nazionalsocialista è ormai passato", dirà Thälmann. Correggendo quella valutazione, la stessa sessione dell'IKKI stabilì però che "Se ci ponessimo dal punto di vista che la crisi politica in Germania è già una tappa superata, che siamo entrati in una fase di crisi rivoluzionaria, ... inizieremmo rapidamente ad annullare i compiti che ancora non abbiamo risolto". E proseguiva: "La crescita del fascismo negli ultimi tempi è stata possibile solo sulla base del sostegno della socialdemocrazia... apripista della fascistizzazione dello Stato capitalista… Una lotta vittoriosa contro il fascismo richiede dai partiti comunisti la mobilitazione delle masse sulla base di un fronte unico dal basso contro tutte le forme di dittatura borghese... la borghesia monopolista e il suo Stato organizzano e utilizzano il movimento fascista (nazionalsocialista) delle masse piccolo-borghesi per indirizzare il loro malcontento sul binario del rafforzamento del capitalismo... una vittoriosa lotta contro il fascismo in Germania richiede il tempestivo smascheramento del governo Brüning quale apripista della dittatura fascista".

La socialdemocrazia e il fascismo

Intervenendo il 18 settembre 1931 di fronte agli operai amburghesi, Thälmann si rivolgeva ai capi della SPD: "Che cosa ne avete fatto del partito di August Bebel e Wilhelm Liebknecht? Di un partito di socialisti, avete fatto un partito di capi di polizia, ministri, del più incredibile tradimento di classe contro il proletariato!"; e agli operai socialdemocratici: "Il governo prussiano e l'ADGB (Allgemeiner Deutscher Gewerkschaftsbund: sindacati socialdemocratici) non sono elementi di forza per la classe operaia, ma baluardi per il governo Brüning e la reazione capitalista. ...Vi chiediamo, compagni socialdemocratici: volete combattere per Brüning o per il socialismo? Con i comunisti... contro il governo che porta avanti la dittatura fascista, contro Brüning! ... a tutti i compagni di classe socialdemocratici: ... rompete con i socialisti di polizia!".

Due mesi dopo, Thälmann scriveva su Die Rote Fahne che "la socialdemocrazia ha sempre raccontato agli operai che solo Hitler era il fascismo, mentre Brüning era l'ultimo baluardo della <democrazia>"... Si immaginano davvero i capi socialdemocratici che gli operai tedeschi abbiano dimenticato come qualche deputato socialdemocratico abbia dichiarato <Meglio dieci volte con Groener, dieci volte con i monarchici, con i generali della Reichswehr, che una volta con i comunisti>? Abbiano scordato le parole del deputato di Amburgo, Dahrendorf, <meglio dieci nazisti che un comunista nel presidium della municipalità di Amburgo>?... il fascismo non comincerà quando arriverà Hitler, esso è già cominciato da tempo".

Già nel 1924 Stalin scriveva che "Il fascismo è l'organizzazione di combattimento della borghesia, che si fonda sull'attivo sostegno della socialdemocrazia. ... Non c'è motivo di supporre che l'organizzazione di combattimento della borghesia possa ottenere successi decisivi nelle lotte o nella direzione del paese, senza l'attivo sostegno della socialdemocrazia". D'altro canto, parlando dell'Internazionale sindacale di Amsterdam, osservava che essa "riunisce non meno di quattordici milioni di operai organizzati sindacalmente. Pensare che si possa raggiungere in Europa la dittatura del proletariato contro la volontà di questi milioni di operai, significa ingannarsi profondamente, uscire dal terreno del leninismo, condannarsi a un'inevitabile disfatta. Per questo, il compito consiste nel conquistare alla rivoluzione e al comunismo questi milioni di masse, liberarle dall'influenza della burocrazia sindacale reazionaria".

Nel maggio 1932 Die Rote Fahne scriveva che "per due anni i socialdemocratici hanno mentito a milioni di lavoratori, sostenendo che la politica del "male minore" rappresentasse una difesa contro il fascismo... Oggi si rivela giusto quanto detto dai comunisti, che la politica di accelerata fascistizzazione del governo Brüning e della sua filiale prussiana Braun-Severing non costituisce alcun "male minore" per la classe operaia, ma ha preparato la strada a quelle forze che volevano l'aperta dittatura fascista".

La SPD ignora gli appelli all'unità

Il 23 gennaio 1933, una settimana prima della nomina di Hitler a cancelliere, la KPD fa appello a SPD e sindacati cristiani, per lo sciopero generale e invita tutti i lavoratori a lottare insieme ai comunisti per un fronte unico contro il nascente governo nazista; ma la SPD respinge l'appello. Il 7 febbraio, con Hitler già cancelliere, la KPD esorta di nuovo all'unità di tutte le forze antifasciste, ma la SPD ignora ancora una volta l'appello. Il 19 febbraio, il Sozintern risponde finalmente agli appelli della KPD e conviene per l'avvio di negoziati con il Comintern; questo, propone di condurre i negoziati a livello di partito: la SPD si oppone all'unità d'azione con i comunisti e il 17 marzo, i suoi deputati approvano il discorso di politica revanscista di Hitler.

Ciononostante, come tra 1931 e '32 si erano ripetuti i tentativi di Thälmann di correggere gli errori settari del gruppo di Heinz Neumann, puntando sul fronte unico con gli operai socialdemocratici e "qualsiasi organizzazione in cui siano raggruppati gli operai", così anche nei due anni successivi, in Germania, e poi, una volta messi fuori legge, dall'estero, la KPD continuò a lanciare appelli per un fronte antifascista, tanto alla direzione socialdemocratica, quanto alla sua base operaia. Ma le risposte dei vertici socialdemocratici furono immancabilmente negative, a partire dal rifiuto degli scioperi generali proposti dai comunisti: uno, nel luglio 1932, quando il Presidente Hindenburg e il cancelliere von Papen deposero, con un autentico colpo di Stato, il governo socialdemocratico di Otto Braun nel Landtag di Prussia e, un altro, all'indomani della presa del potere hitleriana, nel gennaio '33.

Da parte socialdemocratica, ancora nel 1932 si respinge ogni idea di fronte unico operaio e si risponde come Rudolf Hilferding - "il rovesciamento del governo da parte della sinistra, spingerebbe il Centro a destra" - o Karl Kautsky: "La socialdemocrazia... è ancora la roccaforte contro la quale si infrangeranno senza successo le maree del fascismo e dei suoi manutengoli comunisti".

Al XII Esecutivo allargato dell'IC, nel settembre '32, ancora Togliatti denunciava come Trotskij fosse "ipnotizzato da quel caratteristico colpo di Stato fascista... che fu la marcia su Roma. Sino a che non vi è 'marcia su Roma', non vi è dittatura fascista: ecco tutta la saggezza del trotskismo". E invece, in Germania "il processo di fascistizzazione dello Stato è incominciato e dura da anni". E, riguardo alle prospettive della KPD nei confronti delle masse attratte dal nazismo: "mentre il fascismo italiano non aveva tra gli operai né tra i disoccupati alcuna base di massa, una simile base possiede il fascismo tedesco, in misura relativa nelle officine, ma in misura non indifferente tra i disoccupati". Da qui, l'impostazione della KPD "che non è possibile battere il fascismo se non si riesce a penetrare nel fronte di Hitler". Impostazione che sarà ribadita tre anni dopo da Georgij Dimitrov, al VII Congresso dell'IC: "Il compito fondamentale nei paesi fascisti, specialmente in Germania e in Italia... consiste nel saper combinare la lotta contro la dittatura fascista dall'esterno con il lavoro in seno alle organizzazioni di massa fasciste... Dove si trova il tallone d'Achille della dittatura fascista? Nella sua base sociale... estremamente eterogenea. Essa abbraccia diverse classi e diversi strati della società... Orbene, è particolarmente importante nei paesi fascisti che i comunisti siano ovunque si trovano le masse".

Si deve in ogni caso riconoscere che le valutazioni della KPD - forse per il prevalere, in alcuni momenti, della corrente di "sinistra", che considerava il fascismo il "battistrada della rivoluzione" e giungeva a vedere nei nazisti degli autentici anticapitalisti - non sempre furono puntuali. Si reputava, ad esempio, di non lunga durata il successo elettorale della NSDAP, o, comunque, lo si riteneva un sintomo della radicalizzazione delle masse e, dunque, in qualche modo, una sorta di vigilia della svolta delle masse verso il comunismo. Precise le critiche del segretario dell'IKKI, Dmitrij Manujlskij, che disse che tale impostazione, "come se lo sviluppo del fascismo preparasse la vittoria del comunismo... avrebbe condotto alla passività nella lotta contro il fascismo".

I comunisti e le masse

Dunque, partendo da alcune false premesse in cui qualcuno può incappare, altri pretenderebbero di ridicolizzare la storia della KPD e dell'IC, col dire che lavorare in mezzo alle masse significherebbe "schierarsi nel 1922 con la marcia su Roma" o "col movimento di Piazza Maidan in Ucraina". Non capiscono che, lavorare dove sono le masse, non significa "schierarsi" con chi, nell'interesse di banche e monopoli, manipola quelle masse di disoccupati, di operai disillusi, di piccola borghesia rovinata dal grosso capitale? Come la KPD del 1930 o 1931 non si schierava con la NSDAP, ma tentava di penetrare tra quegli strati di disoccupati (a proposito della composizione sociale della NSDAP, si legga il romanzo di Arnold Zweig "La scure di Wandsbek") divenuti inconsapevolmente massa di manovra dei nazisti, così oggi, compito dei comunisti non è certo quello di sostenere questo o quel partito al soldo del capitale, grosso o piccolo, ma lavorare anche là dove sono i settori popolari strumentalizzati da tali partiti.

Per rimanere in tema di referendum: per il fatto che nel 2016, in Italia, tra i sostenitori del No figurasse anche la degna nipote del duce, i comunisti avrebbero dovuto forse votare per il ducetto fiorentino e il grande capitale europeo? La polemica sollevata strumentalmente da certuni, non fa che rivelare molta confusione "ideologica". Se si dice che "Normalmente la scuola ideologica staliniana sostiene storicamente la politica dei fronti popolari antifascisti, cioè la subordinazione dei lavoratori ai liberali e alla sinistra borghesi nel nome della lotta al pericolo fascista" e poi si aggiunge che "una variante nello spartito ideologico staliniano è la politica opposta del socialfascismo", non si vede, o si ignora consapevolmente, il contesto storico (tra l'altro, ribaltandolo) in cui operavano i comunisti dell'epoca. Contesto in cui, dapprima, la socialdemocrazia aveva aggravato la propria parabola regressiva iniziata nel primo decennio del secolo, aveva ripudiato il socialismo, combattuto contro la Rivoluzione d'Ottobre ed era divenuta, effettivamente, il puntello dei governi borghesi, autoritari o apertamente fascisti e, successivamente, dopo la presa del potere da parte dei fascisti in vari Paesi europei, la stessa socialdemocrazia, dovendo rispondere alla domanda posta dalle larghe masse che ancora la seguivano, di porre un argine al fascismo, prese a lavorare (spesso malvolentieri, o soltanto perché messa fuori legge) con i comunisti e altre forze antifasciste.

Dunque, concludeva Dimitrov a chiusura del VII Congresso dell'IC, "Per la mobilitazione delle masse lavoratrici contro il fascismo è in particolar modo importante la creazione di un largo fronte popolare antifascista sulla base del fronte unico proletario", attraverso una "alleanza di combattimento del proletariato con i contadini lavoratori e con le masse fondamentali della piccola borghesia urbana"; e avvertiva che "il fronte unico del proletariato e il fronte popolare antifascista sono connessi dalla viva dialettica della lotta, si intrecciano... non si può pensare seriamente che la realizzazione del fronte popolare antifascista sia possibile senza l'unità di azione della classe operaia, che è la forza motrice di questo fronte popolare. D'altra parte, l'ulteriore sviluppo del fronte unico proletario dipende in grande misura dalla sua trasformazione in fronte popolare contro il fascismo", pur se "in tutta una serie di paesi" si dovrà "spezzare la resistenza della socialdemocrazia al fronte unico di lotta del proletariato, mobilitando le masse operaie".

I nazisti al potere e la guerra incombente

Ernst Thälmann e la KPD giudicavano la lotta contro il fascismo parallela a quella contro la socialdemocrazia e al tempo stesso esortavano al fronte unico gli operai socialdemocratici. Consapevoli del bisogno di difendere da ogni attacco il primo Stato socialista al mondo, i comunisti vedevano gli avversari più pericolosi dell'amicizia tedesco-sovietica nei socialdemocratici, che sostenevano Brüning orientato verso la Francia, giudicata all'epoca la più pericolosa minaccia imperialista europea. Brüning infatti, tramite il Vaticano, cercava contatti con i cattolici francesi e con quelli più reazionari di USA e Gran Bretagna, allarmandoli col "il pericolo bolscevico".
Nell'agosto 1930, la KPD diceva che "I capi socialdemocratici... sono i tirapiedi della borghesia tedesca, e al tempo stesso gli agenti volontari dell'imperialismo francese e polacco".

Con la guerra che si stava avvicinando sempre più, l'IC poneva alle proprie sezioni nazionali il compito della difesa dell'URSS, i cui principali nemici, su scala internazionale, erano considerate allora quelle potenze che respingevano ogni proposta di accordo sulla sicurezza collettiva lanciato da Mosca. L'URSS infatti, consapevole della propria debolezza militare, si stava muovendo alla ricerca di alleati o, quantomeno, di Paesi disposti alla neutralità, contro quelle capitali che, dall'intervento del 1918, non avevano mai smesso di tentare il soffocamento della Repubblica dei Soviet. È così che Mosca aderisce alla lega delle Nazioni, opera per la creazione del Patto orientale, tenta un avvicinamento con Francia e Piccola Intesa e l'IC fa i primi tentativi di dar vita a Fronti popolari. Tant'è che è proprio in quegli anni, fine 1933-inizi '34, che all'interno dell'URSS prende avvio il complotto di "sinistra" Enukidze-Tukhačevskij per eliminare la cosiddetta "dirigenza ristretta" del Politbjuro (Stalin, Molotov, Kaganovič, Vorošilov, Ordžonikidze, Ždanov), in cui vedeva una "svolta borghese" e rispondere così all'appello lanciato dall'estero da Trotskij a liquidare "la burocrazia staliniana termidoriana".

Al XVII Congresso del VKP (b), nel 1934, Stalin, constatata la positiva conclusione di patti di non aggressione tra URSS e vari paesi, tra cui Polonia, Finlandia, Francia, Italia, e rispondendo indirettamente a "certi politici tedeschi", che accusavano Mosca di "orientarsi verso Francia e Polonia e da nemica del trattato di Versailles trasformarsi in sostenitrice", disse esplicitamente che "non eravamo orientati prima verso la Germania, così come ora non lo siamo verso Polonia e Francia. Noi ci orientavamo in passato e ci orientiamo al presente verso l'URSS e soltanto verso l'URSS. E se gli interessi dell'URSS richiedono l'avvicinamento a questi o quei paesi non interessati a distruggere la pace, noi seguiremo questa via".

La Repubblica spagnola

Venne quindi la rivolta di Franco e l'aggressione italo-tedesca alla Repubblica spagnola; venne l'autunno 1936, con l'Asse Roma-Berlino in ottobre e, un mese dopo, il patto anti-Comintern Germania-Giappone. A novembre, il Ministro degli esteri dell'URSS, Maksim Litvinov, intervenendo all'VIII Congresso straordinario dei Soviet, in cui si discuteva il progetto di nuova Costituzione, e rigettando le accuse mosse al Politbjuro, di ritornare con essa "in seno al democratismo europeo, alle libertà borghesi", disse che invece era "più corretto affermare che noi prendiamo dalle deboli mani della decrepita borghesia, la bandiera della democrazia che essa ha lasciato cadere, e riempiamo questo concetto di un contenuto sovietico". Sui temi internazionali, disse che "la nostra cooperazione con altri paesi, la nostra partecipazione alla Lega delle Nazioni si basano sul principio della coesistenza pacifica di due sistemi"; e, nello specifico delle vicende spagnole: "... abbiamo a che fare con la prima grande sortita del fascismo al di fuori dei confini nazionali... Abbiamo a che fare con un tentativo di instaurazione violenta in Spagna del regime fascista dall'esterno... Se tale tentativo riuscisse, non ci sarebbe garanzia alcuna contro una sua ripetizione più larga in altri Stati. È necessario partire dal fatto che il fascismo è non solo un particolare regime interno, ma è allo stesso tempo preparazione alla guerra contro altri Stati".

Ecco contro chi ci si preparava, già da anni, a Mosca, sicuri dell'inevitabilità di un attacco da occidente. Il fascismo e il militarismo al potere erano una realtà che significava una cosa certa: guerra; contro di essa, chiunque non sia mosso da sole considerazioni libresche, cerca ogni via per scongiurarla o, almeno, per costruire un argine da opporre alla marea aggressiva. Un argine in cui, guarda caso, finiscono per trovarsi anche diversi partiti o vari settori popolari che, disgraziatamente, non ne vogliono proprio sentir parlare di rivoluzione e di socialismo. Ma tant'è: anch'essi sono contro il fascismo e contro la guerra. E, però, la sinistra-sinistra afferma che "la scuola ideologica staliniana sostiene storicamente la politica dei fronti popolari antifascisti, cioè la subordinazione dei lavoratori ai liberali e alla sinistra borghesi nel nome della lotta al pericolo fascista: fu la politica che nella guerra di Spagna disarmò la rivoluzione a tutto vantaggio del generale Franco". Chi combatté davvero, e chi meno, contro Franco e il fascismo italo-tedesco in Spagna?

In occasione del 1° maggio 1937, Georgij Dimitrov ribadiva sulla Pravda i concetti espressi due anni prima, al VII Congresso del Comintern: "l'importante consiste ora, rafforzando ulteriormente l'unità della classe operaia su scala nazionale, trovare un linguaggio comune, una piattaforma comune, che assicuri la possibilità per il proletariato di esprimersi con un fronte comune su scala internazionale, concentrando tempestivamente le proprie forze principali contro il fascismo". Condannando le posizioni della Seconda Internazionale e di quella di Amsterdam, che respingevano le proposte del PCE e dell'IKKI per azioni comuni contro Franco, Dimitrov insisté su quattro necessità: concentrare la lotta contro il nemico principale, cioè il fascismo; rintuzzare i nemici del fronte unico in seno al movimento operaio; dare la più energica risposta a coloro che alimentano la campagna di calunnie contro l'URSS; conducendo la lotta contro il fascismo, colpire senza pietà i suoi agenti trotskisti; lottare contro il riformismo.

Anarchici, trotskisti, guerra

Questi accenti riflettevano direttamente la nuova situazione venutasi a creare in Catalogna, dopo l'uscita degli anarco-sindacalisti della CNT dalla Generalidad, nel marzo precedente, dopo la (molto) relativa concordia dei mesi precedenti, quando leader quali Garcia Oliver e Buenaventura Durruti si erano espressi per l'unità col PCE nella lotta al fascismo. L' 11 maggio '37, una delle prime cronache della Pravda dopo la rivolta anarchica di Barcellona, parlava di "Putsch trotskista-fascista a Barcellona"; e il rappresentante ufficiale dell'IKKI in Spagna, Stojan Minev ne riversava la piena responsabilità sul POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista): "I trotskisti spagnoli costituiscono di per sé il reparto organizzato della quinta colonna di Franco". Con la rivolta del 3 maggio a Barcellona, anarchici e trotskisti pretendevano vari Ministeri, tra cui quelli di guerra, polizia, agricoltura. Invece di combattere al fronte, le armi erano usate nei centri repubblicani per le proprie mire di partito.

Quanto poco fossero interessati i poumisti al Fronte popolare e quanto invece perseguissero propri interessi, incuranti della guerra, lo dimostrarono appunto le giornate di Barcellona. Il pretesto per il putsch, scrive Dolores Ibarruri, era che, secondo loro, la rivoluzione falliva e che per salvarla era necessaria la socializzazione e la collettivizzazione di tutto il paese. Tra diversi settori di operai catalani, FAI e CNT continuavano a essere abbastanza forti, anche se stavano perdendo molti appoggi tra i contadini, a causa della collettivizzazione forzata e delle riscossioni violente a favore dei "Comitati".

Al fronte, invece, anarchici e poumisti si distinguevano per inattività, così che i fascisti potevano ritirare forze dal fronte d'Aragona per concentrarle su Madrid. A parte l'eccezione di Durruti, scrive Ibarruri, "la guerra si svolgeva con una minima partecipazione anarchica alle operazioni fondamentali", e continua: "la verità vera dell'immobilismo del fronte aragonese stava nella volontà del conclave faista-trotskista diretto da Abad de Santillan", che "non voleva logorare le forze al fronte" e impiegarle "come mezzo di pressione sulle altre forze del Fronte popolare".

Il corrispondente della Pravda in Spagna, Mikhail Koltsov, racconta come tre colonne del POUM (circa 800 uomini) avessero abbandonato il fronte d'Aragona prima dell'inizio dei combattimenti e l'11° e 12° Brigate internazionali avessero smentito di contare tra i propri reparti uomini del POUM, come invece da essi sostenuto. Luigi Longo scrive delle "isole di anarchismo" di CNT e FAI in Aragona, cui partecipavano anche elementi del POUM, e che di tutto un po' si occupavano, tranne che della guerra. Sicuramente riferendosi a tali "oasi di comunismo libertario", il segretario del PCE Josè Diaz affermava alle Cortes il 1 dicembre 1936 che "Non bisogna soffermarsi troppo in esperimenti di questa o quella dottrina economica, di questo o quel sistema teorico, nel desiderio di costruire troppo il futuro, dimenticandosi del presente. Il presente ci dice che primordiale, immediato, urgente, indispensabile è ganar la guerra. Primero ganar la guerra: ¡basta de "ensayos" y "proyectos"! Per prima cosa vincere la guerra: basta con "esperimenti" e "progetti"!  Per questo obiettivo, il PCE è disposto a sospendere ogni altra rivendicazione".

Il POUM, racconta qualcuno, "accusava l'IC di aver abbandonato ogni prospettiva socialista ponendo la centralità della dicotomia fascismo-democrazia, favorendo in questo modo le socialdemocrazie e le classi borghesi". Di fatto, coloro che anteponevano i propri "programmi rivoluzionari" allo sforzo bellico anti-franchista, non facevano che sguarnire il fronte e, in definitiva, finirono per avvantaggiare la vittoria di Franco. Mentre le fabbriche di armi controllate da CNT e FAI producevano quasi solo per le colonne anarchiche, anche le industrie fedeli alla Repubblica riuscivano a produrre solo una parte infinitesimale (o non producevano affatto) di armamenti e munizionamento occorrenti: a marzo 1937 si sfornarono circa 500.000 proiettili per armi leggere, artiglieria, o mine da mortaio, contro un fabbisogno di oltre 3,5 milioni. La Repubblica, visti i rifiuti delle "democrazie" occidentali, si rivolse all'URSS per l'acquisto di armi.

A settembre 1936, non senza molte discussioni, Mosca decise il passaggio da aiuti puramente umanitari e sanitari, a quelli militari. Gli iniziali dubbi sovietici erano dovuti al fatto che, con la guerra mondiale alle porte, fossero in gioco i rapporti esterni dell'URSS. Come scrive Jurij Rybalkin: "verosimilmente... la questione se prestare o meno aiuto alla Spagna era fuori discussione. Il problema si presentava piuttosto nel decidere le forme e la scala di tale aiuto, data anche l'assenza di una frontiera terrestre comune tra i due paesi". Fu così che cominciarono ad arrivare in Spagna le prime navi con gli aiuti russi: caccia biplano e monoplano Polikarpov I-15 e I-16 (i famosi "Chatos" e "Moscas"), bombardieri veloci Tupolev SB-2 e R-Z; carri armati T-26 e BT-5; autoblindo BA-3, BA-6 e FAI; motosiluranti G-5; artiglierie, mortai, mitragliatrici, granate, bombe da aereo, combustibile, ecc. Tra il 1936 e il '39 l'URSS fornì 650 aerei, 350 carri, 1.200 pezzi d'artiglieria, 21.000 mitragliatrici e circa 500.000 fucili, oltre a 870 milioni di proiettili, 110.000 bombe da aereo e altro materiale.

I comunisti oggi senza l'URSS

L'esperienza del movimento comunista internazionale, dell'Unione Sovietica con Stalin, dell'Internazionale Comunista e delle sue sezioni nazionali, insieme a indubbi errori, analisi non sempre esatte, previsioni a volte troppo ottimistiche, hanno in ogni caso consegnato ai comunisti un preziosissimo bagaglio che sarebbe scandaloso ignorare e diabolico ridurre a considerazioni opportunistiche, volte a demonizzare - alla maniera demo-revanscista "europeista" - o ridurre a obbrobrio dottrinario - al modo trotskista - la costruzione del primo Stato socialista che, proprio grazie alla salvaguardia delle conquiste economiche, a una corretta linea politica interna e duttili rapporti internazionali, riuscì in poco più di un decennio a creare le condizioni per annientare l'aggressione hitleriana e liberare mezza Europa dal nazismo. E ci riuscì anche grazie al lavoro di decine di migliaia di comunisti che, in tanti Paesi, operarono con quella doverosa duttilità nei rapporti con le masse non comuniste, che deve accompagnare la denuncia delle politiche liberal-borghesi con cui il nemico di classe assopisce le coscienze. Quella duttilità leninista, quella pratica politica interna ed esterna staliniana, poterono conservare ai comunisti di tutto il mondo la piazzaforte che rintuzzava gli attacchi del nemico di classe; lo poterono, almeno finché l'aggressione ideologica e politica esterna e il lavorio revisionista interno non ne minarono le basi politiche (la svolta khruščëviana) ed economiche (le famigerate "riforme" Liberman-Kosygin), portando infine alla caduta degli anni '80.

Non c'è purtroppo bisogno di ricordare quanto la fine dell'URSS pesi oggi sul movimento comunista mondiale. Proprio come diceva Stalin, con drammatica e lucida previsione, già nel 1926: "Cosa accadrebbe se il capitale riuscisse ad annientare la Repubblica dei Soviet? Avrebbe inizio l'epoca della reazione più nera in tutti i paesi capitalisti e coloniali, si comincerebbe a soffocare la classe operaia e i popoli oppressi, verrebbero liquidate le posizioni del comunismo internazionale".

Così è, purtroppo, per ora; perlomeno, fino alla prossima, ineluttabile, ondata rivoluzionaria, perché "Il sistema socialista finirà col sostituirsi al sistema capitalista; è una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell'uomo" (Mao). Decisivo sarà, allora, che i comunisti siano pronti, forti dell'organizzazione indipendente del proletariato.

Fonti:

Unsere Zeit,  https://www.unsere-zeit.de/de/5133/theorie_geschichte/11994
Willi Bredel, Ernst Thälmann; Dietz verlag, 1950
Jurij Žukov, Inoj Stalin; Moskva, 2017
Kommunističeskij Internatsional v dokumentakh; Moskva, 1933
Zur Geschichte der KPD; Berlin, 1955
Thomas Weingartner, Stalin und der Aufstieg Hitlers; Berlin, 1970
Aldo Agosti, La Terza Internazionale; Ed. Riuniti, 1979
Arkadij Erusalimskij, Da Bismarck a Hitler; Ed. Riuniti, 1974
Palmiro Togliatti, Opere, voll. 3*, 3**; Ed. Riuniti, 1973
Franco De Felice, Fascismo democrazia fronte popolare; De Donato, 1973
Enzo Collotti, La Germania nazista; Einaudi, 1962
Mikhail Koltsov, Ispanija v ogne; Moskva, 1987
Dolores Ibarruri, Memorie di una rivoluzionaria; Ed, Riuniti, 1962
Luigi Longo, Le brigate internazionali in Spagna; Ed. Riuniti, 1956
Jurij Rybalkin, Operatsija "X"; https://vk.com/doc225306680_516122072
https://www.icl-fi.org/italiano/spo/73/spagnola.html


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