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Cento anni di comunismo indiano

Prabhat Patnaik | peoplesdispatch.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

17/10/2020

La sinistra si è fermamente opposta alle politiche neoliberiste, ma ci sono nuove sfide caratterizzate da repressione e "altro" scatenate dai regimi autoritari/fascisti che ora devono essere affrontate



MN Roy (al centro, giacca e cravatta nera), uno dei membri fondatori del Partito Comunista dell'India, con Vladimir Lenin (decimo da sinistra), Maxim Gorky (dietro Lenin) e altri delegati al Secondo Congresso dell'Internazionale Comunista presso Palazzo Uritsky a Pietrogrado 1920. Rivista Krasnay Panorama (Panorama Rosso) / Wikipedia.

Il 17 ottobre 2020 segna i 100 anni dalla fondazione del Partito Comunista dell'India. Il partito è stato costituito nel 1920 a Tashkent. Per questa occasione, vi offriamo un'analisi della storia del movimento comunista indiano del noto intellettuale marxista Prabhat Patnaik

Un'analisi teorica della situazione predominante, da cui deriva il rapporto del proletariato con i diversi segmenti della borghesia e dei contadini e con esso la tattica del partito comunista nei confronti delle altre forze politiche, è centrale nella prassi del partito. Uno studio di tale prassi negli ultimi cento anni di esistenza del comunismo in India, sebbene altamente istruttivo, andrebbe oltre lo scopo di questo articolo. Mi occuperò quindi solo di alcune fasi di questa lunga storia.

Mentre il Sesto Congresso dell'Internazionale Comunista (1928) analizzava la questione coloniale, avanzando preziose enunciazioni come "Lo sfruttamento coloniale produce impoverimento, non proletarizzazione dei contadini", proponeva una linea d'azione per i partiti comunisti dal carattere settario. In effetti, il periodo successivo al Sesto Congresso, spesso indicato come Terzo Periodo, è associato al settarismo.

Fu al Settimo Congresso del 1935, nel pieno della lotta contro il fascismo, che aveva reclamato tra le sue vittime Ernst Thaelman, Antonio Gramsci e molti altri, che questo settarismo fu rettificato e sottolineata la necessità di formare fronti uniti. La tendenza del Settimo Congresso fu tradotta nel contesto indiano dalla tesi di Dutt-Bradley richiedente la formazione di un Fronte unito popolare antimperialista.

Il programma economico suggerito per un tale fronte includeva il diritto di sciopero, il divieto di riduzione dei salari e di licenziamento dei lavoratori, un salario minimo adeguato e una giornata lavorativa di otto ore, una riduzione del 50% degli affitti e il divieto di sequestro di terre contadine per debiti nei confronti di imperialisti, principi nativi, zamindar [proprietari terrieri] e prestatori di denaro.

I comunisti, essendo membri clandestini del Congresso [il Congresso nazionale indiano che era la più potente forza nella lotta per la libertà anti-britannica] (il caso indiano differiva dal Sudafrica sotto questo aspetto, essendo possibile la doppia appartenenza al Partito Comunista Sudafricano e all'African National Congress) e lavorando in collaborazione con il Partito Socialista del Congresso (CSP), furono il risultato di questa intesa.

Questa fase si concluse con l'attacco tedesco all'Unione Sovietica. La tesi del Partito comunista secondo cui la natura della guerra era cambiata a causa di questo attacco, pur raccogliendo pareri favorevoli tra molti importanti membri del Congresso, fu ufficialmente respinta sia dal CSP che dal Congresso, che di fatto lanciò il Quit India Movement proprio in quei giorni (in cui molti comunisti che erano stati membri del Congresso furono incarcerati per lunghi periodi).

Con l'indipendenza emerse la questione della natura del nuovo Stato e del rapporto con la borghesia, che generò un intenso dibattito all'interno del partito e che alla fine lo divise.

La posizione teorica del Partito Comunista Indiano (Marxista), sancita nel suo programma, partiva dalla posizione di Lenin nei dibattiti pre-rivoluzionari all'interno del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, una posizione che doveva essere alla base, in un modo o nell'altro, dei programmi rivoluzionari del Terzo mondo nel XX secolo.

L'argomento di Lenin era che nei paesi in cui la borghesia è arrivata tardi sulla scena storica, mancava la capacità di portare avanti la rivoluzione democratica antifeudale, per paura che un attacco alla proprietà feudale potesse agevolmente riflettersi in un attacco alla proprietà borghese. Essa, pertanto, non poteva soddisfare le aspirazioni democratiche dei contadini. Solo una rivoluzione guidata dalla classe operaia, in alleanza con i contadini, avrebbe saputo portare a termine la rivoluzione democratica, smantellando la proprietà feudale, distruggendo i privilegi feudali e ridistribuendo la terra. Questo, lungi dal frenare lo sviluppo economico, lo avrebbe di fatto ampliato allargando le dimensioni del mercato interno attraverso le riforme fondiarie, e anche velocizzato, accelerando la crescita dell'agricoltura.

Il rigetto dello Stato indiano post-indipendenza di una radicale ridistribuzione della terra e l'incoraggiamento rivolto ai proprietari terrieri feudali a trasformare invece in senso capitalistico le loro terre, insieme allo strato superiore dei contadini che avevano acquisito i diritti di proprietà sulla terra dai grandi proprietari assenti, rifletteva l'ingresso della borghesia in un'alleanza con i proprietari terrieri.

Poiché era uno Stato borghese-latifondista sotto la guida della grande borghesia, che perseguiva lo sviluppo capitalistico, che nelle campagne comportava un misto di capitalismo latifondista e contadino, il compito del proletariato era di sostituire questo Stato con uno alternativo costruendo un'alleanza con la maggior parte dei contadini e portando avanti la rivoluzione democratica fino al socialismo. Mentre la borghesia aveva l'ambizione di perseguire un percorso capitalistico relativamente autonomo dall'imperialismo, essa collaborava sempre più con il capitale finanziario straniero.

Due aspetti di questa illustrazione meritano attenzione. In primo luogo, il riconoscimento che mentre lo sviluppo capitalista veniva perseguito, ciò non avveniva sotto l'egida dell'imperialismo. La borghesia non era affatto asservita all'imperialismo, fatto di cui l'uso del settore pubblico contro il capitale metropolitano, la decolonizzazione economica con l'aiuto dell'Unione Sovietica nel senso di una ripresa del controllo sulle risorse naturali del paese da parte del capitale metropolitano, e il perseguimento del non allineamento in politica estera erano manifestazioni ovvie. Sviluppare il capitalismo in patria, in altre parole, non significava che lo Stato post-indipendenza si unisse al campo del capitalismo mondiale.

In secondo luogo, lo Stato, pur manifestando il suo carattere di classe difendendo la proprietà borghese e dei proprietari terrieri e inaugurando il capitalismo, compreso il capitalismo junker, non ha agito esclusivamente nell'interesse della borghesia e dei proprietari terrieri. Sembrava essere al di sopra di tutte le classi, intervenendo di volta in volta anche a favore degli operai e dei contadini.

Così, mentre lo Stato presiedeva a un processo di accumulazione primitiva del capitale, nel senso che i proprietari terrieri sfrattavano i mezzadri riprendendosi la terra per l'agricoltura capitalistica, esso ha impedito l'accumulazione primitiva nel senso più comune della grande borghesia urbana, che penetrava l'agricoltura contadina o la produzione artigianale.

Al contrario, lo Stato non solo riservò una quantità di tessuto da produrre nel settore dei telai a mano, ma è anche intervenuto nei mercati agricoli per acquistare prodotti a prezzi remunerativi, intervento di cui i capitalisti agricoli, kulaki o proprietari terrieri, non erano affatto gli unici beneficiari.

Allo stesso modo, tutta una serie di misure per l'agricoltura, come la protezione dalle fluttuazioni del mercato mondiale, input sovvenzionati, credito istituzionale sovvenzionato, nuove pratiche e varietà di sementi diffuse attraverso servizi di assistenza statali, dei cui giovamenti, sebbene la parte del leone finì con l'andare all'emergente classe capitalista nelle campagne, ne hanno beneficiato anche un gran numero di contadini.

Lo sviluppo capitalistico perseguito era quindi sui generis. Fu uno sviluppo capitalista dall'interno, non necessariamente con la benedizione dell'imperialismo e, nonostante la crescente collaborazione, spesso anche a spese del capitale metropolitano. A causa di questo suo carattere peculiare, esso non ha causato uno iato incolmabile all'interno della società, cioè tra le fila delle classi che avevano combattuto insieme l'imperialismo durante la lotta anticoloniale.

In altre parole, mentre la borghesia ha tradito molte delle promesse della lotta anticoloniale, come la terra ai contadini, finché il regime dirigista è durato, non ha tradito del tutto la lotta anticoloniale. Questo è anche il motivo per cui il Partito comunista, pur mettendosi in opposizione al regime, ha sostenuto molte delle sue misure, come la nazionalizzazione delle banche, lo sviluppo del settore pubblico e il suo utilizzo per riprendere il controllo delle risorse naturali dal capitale metropolitano, il Foreign Exchange Regulation Act e altri.

Questo carattere sui generis del capitalismo che si stava sviluppando ha indotto molti a pensare che fosse un "regime intermedio" a governarlo e non uno Stato borghese-latifondista. Ma questo stesso errore è testimonianza del suo carattere sui generis.

Questo sviluppo non poteva durare per almeno quattro ragioni: in primo luogo, il crollo dell'Unione Sovietica, che aveva reso possibile una simile traiettoria di sviluppo. In secondo luogo, la crisi fiscale in cui lo Stato è entrato sempre più dopo l'indipendenza, tra l'altro a causa della massiccia evasione fiscale da parte della borghesia e dei proprietari terrieri.

Terzo, la formazione di enormi blocchi di capitale finanziario nelle banche dei paesi capitalisti avanzati, soprattutto dopo gli "shock petroliferi" degli anni Settanta, che divennero globali dopo il rovesciamento del sistema di Bretton-Woods (esso stesso in parte progettato da questo capitale finanziario), e che hanno approfittato della crisi fiscale per spingere sui prestiti a paesi come l'India. E, quarto, il fatto che il regime dirigista non ha potuto raccogliere il sostegno dei poveri, nonostante i suoi numerosi risultati a loro favore rispetto al periodo coloniale.

Il regime neoliberista sotto l'egida del capitale finanziario ora globalizzato rappresenta il perseguimento del capitalismo del tipo più ortodosso, in quanto distinto dal capitalismo sui generis del periodo dirigista.

Lo Stato sotto il neoliberismo promuove in modo di gran lunga più esclusivo gli interessi delle classi dominanti, in particolare l'oligarchia finanziario-societaria integrata strettamente con il capitale finanziario globalizzato, e direttamente anche dello stesso capitale finanziario globalizzato (a causa del suo timore che altrimenti ci possa essere una fuga di capitali). All'interno del paese si sviluppa ora uno iato incolmabile, con la grande borghesia che si allinea molto più strettamente con il capitale metropolitano, avendo abbandonato la sua ambizione di relativa autonomia vis-à-vis con l'imperialismo.

Il regime neoliberista revoca in larga misura il sostegno esteso alla piccola produzione e all'agricoltura contadina, rendendola molto più vulnerabile. Un processo di accumulazione primitiva di capitale si scatena sull'agricoltura contadina non dall'interno dell'economia rurale (attraverso i proprietari terrieri che sfrattano i mezzadri) ma dall'industria agroalimentare e dai grandi capitali dall'esterno.

Allo stesso modo, lo Stato neoliberista facilita lo scatenarsi dell'accumulazione primitiva nel settore della piccola produzione, ad esempio, attraverso la demonetizzazione e il passaggio a un regime fiscale su beni e servizi. La riserva di prodotti per questo settore viene abbandonata.

I contadini sfollati ed i piccoli produttori si trasferiscono nelle città in cerca di lavoro, ma l'occupazione diventa sempre più scarsa a causa dell'abbandono di tutti i vincoli al cambiamento tecnologico-strutturale nell'economia che il sistema delle licenze aveva imposto in precedenza.

La crescente riserva di forza lavoro peggiora la situazione dei lavoratori organizzati. Il destino dei contadini, dei braccianti agricoli, dei piccoli produttori e degli operai organizzati è indissolubilmente legato e questo destino peggiora notevolmente, portando non solo ad un massiccio allargamento delle disuguaglianze economiche, ma anche ad un accentuarsi della povertà.

Allo stesso tempo, tuttavia, il neoliberismo ha comportato lo spostamento di una serie di attività, soprattutto nel settore dei servizi (servizi legati all'IT) dalla metropoli all'economia indiana, il che tra l'altro ha aumentato il tasso di crescita del PIL nell'economia. Ciò pone una nuova sfida al CPI (M) a causa del seguente argomento.

Marx, nella sua prefazione a Per la critica dell'economia politica, aveva parlato di un modo di produzione che diventa storicamente obsoleto quando i rapporti di produzione che lo caratterizzano diventano un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Da ciò si trae spesso la conclusione che finché le forze produttive continuano a svilupparsi, quel modo di produzione continua a rimanere storicamente progressivo.

Un indice evidente dello sviluppo delle forze produttive è il tasso di crescita del PIL, da cui ne consegue che fintanto che questa crescita rimane rapida, opporsi a un regime in nome della sua iniquità e del suo carattere di sfruttamento è storicamente ingiustificato. I comunisti, secondo tale argomentazione, non dovrebbero opporsi alla globalizzazione neoliberista, ma dovrebbero unirsi ad altre forze politiche nell'accettarla, anche se in modo critico.

Questo argomento, tuttavia, non può essere preso in esame. Gli storici economici concordano sul fatto che la Russia, prima della Rivoluzione, stava sperimentando tassi di crescita economica senza precedenti, in particolare la crescita industriale, e il mondo capitalista avanzato nel suo complesso aveva assistito a un boom prolungato. Tuttavia, Lenin non esitò a chiamare il capitalismo di quel tempo "moribondo". In breve, prendere la crescita del PIL come indicatore dello stato storico di un modo di produzione è una forma di feticismo delle merci. Si cerca di localizzare nel mondo delle "cose", fenomeni che appartengono al mondo delle "relazioni".

Mentre altre forze politiche hanno accettato la globalizzazione neoliberista, il CPI (M) si è fermamente opposto ad essa. Insieme ad altre forze politiche di sinistra, si è schierata dalla parte dei lavoratori e dei contadini vittime della globalizzazione neoliberista invece di accettarla come un segno di progresso, come hanno fatto esplicitamente o implicitamente molte formazioni di sinistra in altri paesi.

Ciò ha comportato problemi pratici. Sotto il regime dirigista, una misura che separava i comunisti dagli altri era la riforma agraria. Quando un governo comunista è salito al potere, il suo compito era chiaro, ovvero realizzare riforme agrarie. Ma quando le riforme agrarie sono completate in misura significativa, il compito successivo non è chiaro.

Mentre l'industrializzazione è necessaria, quale forma dovrebbe assumere e in che modo dovrebbe essere effettuata sono questioni su cui i governi statali (dove tipicamente si trovano i comunisti) hanno ben poca voce in capitolo all'interno di un regime neoliberista. Quindi, i governi statali comunisti all'interno di un tale regime, sono spesso costretti a imitare, a loro spese, altri governi statali per effettuare l'industrializzazione. Questa è un'area in cui è necessario pensare e sperimentare molto di più.

La stessa globalizzazione neoliberista, tuttavia, ha raggiunto un punto morto, un sintomo del quale è il proliferare di regimi autoritari/fascisti in varie parti del mondo, per la conservazione del moribondo capitalismo neoliberista, attraverso una combinazione di repressione e deviazione dell'attenzione verso "l'altro" come nemico. Il superamento di questa congiuntura è la nuova sfida di fronte al comunismo indiano nel suo centenario.


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