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La svolta radicale nel corso della seconda guerra mondiale

Accademia delle Scienze dell'URSS | Storia universale vol. X, pagg. 205-219, Teti Editore, Milano, 1975
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/02/2023

In occasione dell'80° anniversario della vittoria dell'Unione Sovietica a Stalingrado sugli invasori nazifascisti

All'inizio dell'inverno 1942-1943 si apriva sulle rive del Volga e del Don una nuova tappa della lotta mortale contro il nazifascismo, entrata nella storia come il periodo della svolta radi­cale nel corso di tutta la seconda guerra mondiale. Il merito principale della realizzazione di questa svolta a favore della coalizione antifascista appartiene all'Unione Sovietica.
Nelle acca­nite battaglie del 1942-1943 sul fronte sovietico-tedesco si decisero i destini storici non solo del popolo sovietico, ma dell'intera umanità.

1. La disfatta delle truppe fasciste sul Volga. L'inizio della svolta radicale nella guerra

LA SITUAZIONE ALL'INIZIO DELLA CONTROFFENSIVA DELLE TRUPPE SOVIETICHE SUL FRONTE MERIDIONALE

Nell'autunno 1942 il fronte sovietico-tedesco, a eccezione di alcuni settori, si stabilizzò su tutta la linea dal mare di Barents alle pendici del Caucaso. Tuttavia la situazione continuò a essere estremamente grave per l'Unione Sovietica. Leningrado era assediata, grandi for­ze nemiche continuavano a operare sulle lon­tane vie di accesso a Mosca, gli incessanti aspri combattimenti a Stalingrado assorbivano sempre nuove forze, le vie principali di co­municazione con il Caucaso erano interrotte.

Sfavorevole per le forze armate sovietiche era anche la situazione sui mari. La flotta del Bal­tico era bloccata nella parte orientale del gol­fo di Finlandia. La flotta del mar Nero, dopo la perdita della penisola di Crimea e di Novorossijsk, era costretta a far capo a porti inadeguati come quelli di Poti, Gelendžik e Tuapse, e ciò ostacolava le sue azioni. In condizioni più favorevoli si trovava la flotta del nord. Rinforzata con navi fatte giungere dall'oceano Pacifico, essa difendeva le comunicazioni set­tentrionali e prestava un valido aiuto alle trup­pe terrestri nella difesa del litorale.

Nell'au­tunno 1942 divenne chiaro che i piani della campagna estiva-autunnale del comando nazi­sta erano falliti. Benché le truppe tedesche e dei loro alleati fossero giunte sul Volga e si trovassero sulle pendici del Caucaso, esse non avevano raggiunto il loro obiettivo principale. L'avanzata dell'estate era costata alla Germa­nia nazista circa un milione di uomini tra uc­cisi, feriti e prigionieri nonché la perdita di u­na enorme quantità di mezzi e armamenti.

Il gruppo di armate tedesche "A", avendo in­contrato una accanita resistenza da parte delle truppe sovietiche sulle pendici del Cau­caso, venne impegnato in lunghi e logoranti combattimenti. Il gruppo di armate "B" do­vette disporsi su un fronte ad arco della lun­ghezza di 1.300 km. Al centro dell'arco, di fronte a Stalingrado, si trovavano la VI ar­mata di von Paulus e la IV armata corazzata di Hoth, che combattevano per la conqui­sta della città. Alle loro ali erano schierate la III e la IV armate romene e la VIII ar­mata italiana, passate alla difensiva. Le trup­pe satelliti erano più deboli dal punto di vi­sta militare e morale di quelle tedesche.

La situazione delle truppe degli aggressori fasci­sti che si trovavano sotto Stalingrado e nel Caucaso del nord era aggravata dal fatto che le loro riserve strategiche erano quasi completamente esaurite. Sullo sconfinato fronte orientale, che si estendeva per oltre 6.000 km, vi erano nella riserva del comando centrale delle truppe terrestri tedesche solo tre divi­sioni corazzate, una divisione di scorta e due brigate di fanteria; nella riserva dei gruppi di armate vi erano otto divisioni e una brigata.

Nell'ottobre 1942 il comando tedesco, con­siderando compromessa la situazione, prese la decisione di passare alla difensiva. Nell'ordi­ne n. 1 del 14 ottobre 1942 si disponeva: "Dobbiamo affrontare la campagna invernale. Compito del fronte orientale - oltre alle ope­razioni offensive in corso oppure progettate - è di mantenere a ogni costo le posizioni rag­giunte, respingere ogni tentativo del nemico di sfondarle e creare in tal modo i presuppo­sti per continuare la nostra offensiva nel 1943 allo scopo di sconfiggere definitivamente il no­stro più pericoloso nemico".

Sulla base di queste disposizioni le forze armate tedesche iniziarono i preparativi per l'inverno. Su tut­ta la lunghezza del fronte vennero costruite o rafforzate le fortificazioni.
Una particolare at­tenzione venne rivolta al settore centrale del fronte, dove il comando della Wehrmacht si attendeva azioni offensive dell'armata rossa. Qui vennero concentrati i rinforzi principali a detrimento dei raggruppamenti delle altre zone. All'inizio della campagna invernale, nel gruppo di armate centrale era concentrata circa la metà delle unità corazzate e motoriz­zate di cui i tedeschi disponevano sul fronte orientale. Lo stato maggiore di Hitler ritene­va che l'offensiva dell'armata rossa contro il gruppo di armate centrale sarebbe stata lan­ciata agli inizi di novembre.

Dal canto suo il comando supremo sovietico, nel perfezionare i piani dell'offensiva invernale, aveva deciso di sferrare il colpo principale nel settore me­ridionale con le forze del fronte sud-ovest (comandate dal tenente-generale Vatutin), del fronte del Don (comandate dal tenente-genera­le Rokossovski) e del fronte di Stalingrado (comandate dal colonnello-generale Eremenko) partendo dalla zona di Stalingrado con unica direzione verso il bacino del Don. Per prepa­rare la controffensiva e coordinare le azioni dei fronti vennero inviati nella zona di Stalingra­do il generale d'armata Zukov e il colonnello­generale Vassilevski.

L'opportunità di iniziare l'attacco proprio in questo settore era dettata da un insieme di fat­tori politici, economici e militari. La disfatta decisiva del nemico nel sud doveva portare al crollo definitivo dei suoi piani che puntavano sull'arrivo delle truppe tedesche nel Caucaso e sull'entrata della Turchia nella guerra contro l'Unione Sovietica. Ottenendo deci­sivi risultati militari nel sud, si sarebbero li­berate le ricchissime zone cerealicole del Don e del Kuban, sarebbero stati creati i presup­posti per la liberazione del bacino del Don, e sarebbe stata eliminata la minaccia nemica alle fonti di petrolio del Caucaso e alle vie di comunicazione con gli alleati che attraver­so l'Iran giungevano al golfo Persico. Il settore del bacino del Don appariva il punto più vulnerabile nella difesa strategica tedesca.

Con l'arrivo delle truppe sovietiche a Rostov vennero create le condizioni per la sconfitta del gruppo di armate tedesche "A", che ope­rava nel Caucaso settentrionale. La sconfitta del nemico nel territorio tra il Volga e il Don doveva essere solo la prima tappa della campagna invernale. Dopo il suc­cesso di questa operazione il comando supre­mo sovietico calcolava di compiere una serie di operazioni offensive sugli altri fronti. Una particolare importanza veniva data all'elimina­zione dell'assedio di Leningrado e alla sconfitta dei raggruppamenti del nemico nelle zo­ne di Demjansk, Ržev-Vjazma, nel corso supe­riore del Don e nel Caucaso settentrionale.

La prima fase della campagna invernale ven­ne progettata nel modo più completo e accu­rato. Con gli sforzi congiunti dello stato mag­giore del comando supremo, dello stato mag­giore generale e del comando dei fronti di Sta­lingrado, del Don e sud-ovest, venne elaborato un piano che ricevette il nome di "Uranus". Questo piano era fondato su una idea molto ardita: con le forze dei tre fronti circondare e distruggere il grande raggruppamento di truppe fasciste nel territorio tra il Volga e il Don e creare le condizioni per il passaggio delle forze armate sovietiche alla offensiva strategica generale sull'ala meridionale e su­gli altri settori del fronte sovietico-tedesco. I raggruppamenti d'assalto del fronte sud­-ovest e del fronte di Stalingrado dovevano attaccare convergendo su Kalač e Sovjetskij e serrare poi in questa zona l'anello della sacca in cui dovevano restare le truppe degli aggressori.
La difesa del nemico doveva essere spezzata nei settori più vulnerabili, che erano tenuti dalle truppe romene.

L'inizio dell'offensiva era fissato per i fronti sud-ovest del Don al 19 novembre, per il fronte di Stalingrado al giorno successivo. Per attuare l' "operazione Uranus" occorreva un'enorme attività organizzativa per mettere le truppe in piena efficienza in vista dei com­battimenti. Era necessario rafforzare prima di tutto i fronti con uomini, armi, mezzi militari e vettovagliamenti; creare le riserve operative e strategiche; perfezionare la preparazione politico-militare delle truppe; dislocare in segre­to i raggruppamenti d'assalto nelle zone di par­tenza dell'operazione; organizzare il loro coor­dina­mento e la loro direzione. I preparativi erano complicati dal fatto che il trasporto de­gli uomini e dei mezzi avveniva sotto il continuo bombardamento dall'aria su tre ferrovie a binario unico, fatto che limitava la velo­cità di afflusso. Una particolare difficoltà nel garantire la se­gretezza del concentramento delle forze era rappresentata dal carattere prevalentemente stepposo delle zone dove si sarebbe lanciata la prossima offensiva.

Il successo delle operazioni dipendeva in pri­mo luogo dalle azioni delle unità corazzate e meccanizzate. Perciò, alla vigilia dell'offensi­va i fronti vennero rafforzati con unità e re­parti di carri armati. Complessivamente nei tre fronti erano allineati circa 900 carri ar­mati. Oltre 13.500 cannoni e mortai vennero messi a disposizione dell'arti­glie­ria, il doppio di quanti ne erano stati impiegati nella con­troffensiva di Mosca. L'aviazione contava più di 1.000 aeroplani.

Alla vigilia dell'offensiva le truppe sovietiche schierate sui tre fronti non potevano contare su una sostanziale superiorità rispetto al nemico. Ma con l'abile dislocazione delle for­ze e dei mezzi nelle direttrici degli attacchi principali, il comando sovietico riuscì a crea­re potenti blocchi di truppe. Tutte queste forze e mezzi furono preventivamente schiera­ti sulle posizioni di attacco grazie al lavoro organizzato nelle retrovie.

Sul Volga, da Sara­tov ad Astrachan, funzionavano ininterrotta­mente 50 traghetti a vapore. Furono costruiti numerosi ponti di barche. Il concentramento delle forze passò inosservato al nemico: le di­visioni in marcia mantenevano il più assolu­to silenzio radiofonico, tutti gli ordini veniva­no dati a voce. Vennero impiegate largamente anche misure per disorientare il nemico. Un grande aiuto offrirono ai comandi milita­ri la popolazione e le organizzazioni del par­tito comunista della regione di Stalingrado. I lavoratori della regione contribuirono al rifor­nimento delle truppe con viveri e munizioni. Decine di migliaia di cittadini lavorarono alla costruzione di aeroporti, ponti sui fiumi e strade, aiutarono a trasportare le munizioni e a riparare i mezzi militari. Verso la metà di novembre i preparativi per l' "operazione Uranus" erano stati completa­ti. L'armata rossa era pronta a infliggere il colpo decisivo al nemico.

L'ACCERCHIAMENTO E LA DISFATTA DELLE FORZE TEDESCHE A STALINGRADO

Il 19 novembre, alle 8,50 del mattino, dopo un massiccio bombardamento delle artiglierie, le truppe dei fronti sud-ovest e del Don scat­tarono all'offensiva.

Una intensa nevicata e la nebbia mattutina impedirono l'intervento dell'aviazione. Dopo avere infranto la resistenza delle truppe romene della III armata, il raggruppamento d'assalto del fronte sud-ovest riuscì ad avanzare alla fine del primo giorno di combattimenti di 30-35 km. Contemporaneamente penetra­rono profondamente nel dispositivo difensivo nemico anche le truppe del fronte del Don. Dal mattino del 20 novembre, in condizioni meteorologiche sfavorevoli, passò all'attacco il fronte di Stalingrado. Dopo aver rotto la difesa della IV armata romena a sud della città, le truppe sovietiche si spinsero verso nord-ovest e verso sud-ovest.

Il comando tedesco compì sforzi disperati per arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche, ma tutti i tentativi di bloccarla o anche solo di rallentarla fallirono completamente. Le unità mobili dei fronti sud-ovest e di Stalingrado avanzando rapidamente raggiunsero le ali della VI armata tedesca, facendo pesare sul rag­gruppamento nemico la minaccia dell'accer­chiamento.

Il 23 novembre, il 4° corpo corazzato sovie­tico del fronte sud-ovest al comando del mag­giore-generale A. Kravčenko si congiunse come previsto nella zona del villaggio di Sovjetskij con il 4° corpo meccanizzato del fronte di Stalingrado comandato dal maggiore-generale V.T. Volski, realizzando così l'accer­chia­mento di un grande raggruppamento nemico forte di ben 22 divisioni. Di rincalzo alle unità mobili avanzò la fanteria dei due fronti.

Per non con­sentire la rottura dell'anello da parte del rag­gruppamento circondato o il suo sblocco dall'esterno, le truppe sovietiche continuarono l'avanzata per allargare il corridoio stabilito tra le truppe tedesche nella prima fase dell'ope­ra­zione. Respingendo con successo i con­trattacchi del nemico, esse giunsero la sera del 30 novembre sulla linea dei fiumi Čir e Don. Nel frattempo vennero condotte attive azioni anche sul fronte interno dell'accerchiamento. La sera del 30 novembre la superficie occu­pata dal raggruppamento circondato si era già ridotta di oltre la metà e non superava ormai i 1.500 kmq. Questo settore venne martellato in modo massiccio dal fuoco dell'artiglie­ria so­vietica.

Il 22 novembre, ancor prima che l'accerchia­mento fosse completato, il comandante della VI armata tedesca generale von Paulus convo­cò a Gumrak la riunione dei comandanti dei corpi, i quali giunsero all'unanimità alla conclusione che una lunga lotta difensiva all'in­terno della gigantesca sacca avrebbe portato alla catastrofe e che per evitarla bisognava spingersi immediatamente con il grosso delle forze verso sud-ovest. Il generale von Paulus chiese a Hitler l'autorizzazione a rompere l'ac­cerchiamento verso sud-ovest, ma ottenne un inflessibile rifiuto accompagnato dalla pro­messa che sarebbero state prese tutte le mi­sure per garantire il normale rifornimento dell'armata e contemporaneamente liberarla dall'accerchiamento.

Alla fine di novembre e nei primi giorni di dicembre i tedeschi fecero un primo tentativo di liberate le divisioni circondate, lanciando un contrattacco nella zona del fronte sud­ovest. Ma l'avanzata dei carri tedeschi fu bloccata e respinta.

Nel tentativo di ristabilire la situazione nel sud, il comando tedesco decise di creare in tutta fretta un nuovo gruppo di armate "Don", nel quale furono comprese le truppe che ope­ravano nella grande ansa del Don, insieme al gruppo di armate circondato nella zona di Stalingrado.

A questo gruppo di armate, co­mandato dal maresciallo von Manstein, venne assegnato il compito di arrestare l'offensiva delle truppe sovietiche e, attaccando dalle zo­ne di Kotelnikovo e Tormosin verso Stalin­grado, di raggiungere le truppe circondate, unirsi a esse e ristabilire il precedente fronte di difesa. Il rifornimento del raggruppamento accerchiato sarebbe stato assicurato per via aerea.

Il comando sovietico intuì tempestiva­mente i piani del nemico e si preparò effica­cemente a respingerne i contrattacchi: raffor­zò i propri raggruppamenti che operavano sul fronte esterno del "corridoio", organizzò la caccia contro l'avia­zione da trasporto nemica. In dicembre vennero distrutti in aria o negli aeroporti oltre 750 aerei da trasporto tede­schi. L'annientamento dell'armata di von Pau­lus fu affidata al fronte del Don, comandato dal tenente-generale Rokossovski. Lo stato maggiore del comando supremo era rappresen­tato dal colonnello-generale Voronov. Tutta­via la realizzazione di questo obiettivo dovet­te essere provvisoriamente rinviato.

Il 12 dicembre dal distretto di Kotelnikovo, lungo la ferrovia Tichoreck-Stalingrado, co­minciò ad avanzare il 57° corpo corazzato del gruppo di armate Hoth. Sotto la forte pressione delle preponderanti forze nemiche la LI armata del fronte di Stalingrado, che ope­rava su questa linea, fu costretta a ritirarsi verso nord-est. Tuttavia il 15 dicembre essa riuscì ad arrestare l'avanzata tedesca e nei giorni successivi resistette eroicamente alla pressione del nemico. Il 19 dicembre il grup­po di armate Hoth riprese l'offensiva e il 23 dicembre raggiunse il flume Myškova, a una distanza di circa 40 km dalle truppe della VI armata circondate.

Per respingere l'offensiva nemica venne inviata nella zona di Kotelni­kovo la II armata della guardia comandata dal tenente-generale Rodion Malinovski, desti­nata in precedenza alla liquidazione del rag­gruppamento nemico circondato. Nelle dure condizioni dell'inverno russo le truppe di Ma­linovski si spinsero con una marcia forzata di 40-50 km al giorno verso il fiume Myškova, dove il nemico tentava di ampliare la pro­pria testa di ponte. Appena giunta a contatto col nemico la II armata sovietica lo attaccò di slancio senza arrestarsi.

Il 24 dicembre l'ar­mata Malinovski passò all'offensiva con una azione coordinata con una parte delle forze della V armata d'assalto e della LI armata.
Dopo avere infranto la resistenza tedesca, le truppe sovietiche occuparono il 29 dicembre Kotelnikovo. Venne cosi realizzato l'obiettivo di impedire il nuovo tentativo del nemico di sbloccare l'armata di von Paulus, chiusa irri­mediabilmente nella sacca di Stalingrado, che ora appariva condannata senza scampo alla totale distruzione.

Al successo dell'azione contribuirono le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest. Il mat­tino del 16 dicembre, dopo un ora e mezza di fuoco di artiglieria, le truppe dei fronti di Voronež e di sud-ovest sfondarono la dife­sa del nemico in alcuni punti e la sera del 24 dicembre avevano realizzato un'avanzata di 100-200 chilometri. In otto giorni di duri combattimenti esse inflissero una severa scon­fitta all'VIII armata italiana e all'ala sinistra del gruppo di armate "Don", creando così una minaccia di profondo accerchiamento dal nord del grosso delle sue forze.

Il 30 dicembre le truppe sovietiche avanza­rono profondamente nelle retrovie del nemi­co sulla linea Nikolskaja-Ilinka. Nel tentativo di arrestare l'avanzata dei fron­ti di Voronež e di sud-ovest, il comando te­desco fu costretto a fare affluire frettolosa­mente 8 divisioni destinate in precedenza allo sblocco delle truppe di von Paulus. Agli inizi del gennaio 1943 la situazione delle truppe chiuse nella sacca peggiorò notevol­mente. L'anello dell'accerchiamento si restrin­geva sempre più. Ai tedeschi mancavano ri­serve di qualsiasi genere. Le munizioni e il combustibile stavano per fi­nire. I morale delle truppe accerchiate era bassissimo anche se i soldati continuavano a combattere.

Nel tentativo di evitare un inutile spargimen­to di sangue, l'8 gennaio 1943 il comando so­vietico offrì a von Paulus la resa con l'onore delle armi, proponendogli di cessare l'insensa­ta resistenza. Sperando sempre nell'arrivo dell'armata di "soccorso" e in obbedienza agli ordini di Hitler, von Paulus respinse la ge­nerosa offerta. Il 10 gennaio 1943 le truppe del fronte del Don passarono quindi all'an­nientamento del raggruppamento accerchiato.

Superando la forte resistenza del nemico, le truppe del fronte giunsero il 17 gennaio a Voroponovo; il comando sovietico propose di nuovo a von Paulus di arrendersi. Ma anche questa proposta fu respinta.

Le truppe del fronte del Don continuarono gli attacchi e il 25 gennaio le avanguardie sovietiche giunsero a Stalingrado dall'ovest. Alla sera del 26 gen­naio le truppe della XXI armata si congiun­sero nella zona della collina di Mamai alle truppe della LXII armata, spezzando così in due parti il raggruppamento accerchiato. La combattività del nemico diminuiva ora per ora e molti soldati cominciavano ad arrendersi.

Il 31 gennaio venne spezzata definitivamente la resistenza del gruppo meridionale e il 2 feb­braio quella della parte settentrionale dell'ar­mata di von Paulus.

Le truppe del fronte del Don avevano annien­tato 22 divisioni, facendo prigionieri 91 mila tra soldati e ufficiali con lo stesso maresciallo von Paulus (Hitler lo aveva promosso sul campo sperando così di indurlo a non arren­dersi e a sacrificare fino all'ultimo i suoi sol­dati) e conquistando una ingente quantità di armi e mezzi militari. Nel corso dell'offensiva, durata due mesi e mezzo, vennero sbaragliate complessivamente 5 armate fasciste. Le perdite in uomini delle truppe tedesche e alleate superarono, dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, gli 800 mila uomini. Nello stesso periodo l'armata ros­sa distrusse o catturò 2.000 carri armati e can­noni semoventi, oltre 10 mila cannoni e mor­tai, 2.000 aerei da combattimento e da tra­sporto, oltre 70 mila automezzi.

L'OFFENSIVA GENERALE DELL'ARMATA ROSSA NELL'IN­VERNO 1942-1943

La vittoria sul Volga mutò decisamente la si­tuazione strategica sull'in­tero fronte sovietico-­tedesco e innanzitutto nel suo settore meridio­nale. Il comando supremo sovietico decise, fa­cendo entrare in azione nuove forze, di allar­gare il fronte dell'offensiva strategica. Lo svi­luppo della controffensiva in offensiva generale iniziò ancor prima del completo annienta­mento del raggruppamento tedesco circondato sul Volga. Complessivamente, per l'offensiva generale della campagna invernale 1942-1943, venne utilizzato oltre il 70% di tutte le forze e dei mezzi dell'esercito sovietico combattente. L'offensiva strategica si sviluppò su un fron­te di 3.000 km e per una profondità di 600-700 km.

Ebbe così inizio la cacciata degli oc­cupanti dal territorio sovietico. Lo stato mag­giore del comando supremo sovietico approvò il piano dell'offensiva delle truppe dei fronti sud e del Caucaso, con l'obiettivo di circondare e distruggere il raggruppamento tedesco che operava sul fronte caucasico. In base a questo piano, le truppe del fronte sud, al comando del colonnello-generale Ere­menko dovevano portarsi nella zona di Ro­stov e tagliare la via della ritirata al raggrup­pamento nord-caucasico della Wehrmacht.

L'a­la sinistra di questo fronte doveva attaccare verso Tichoreck attraverso le steppe di Salsk, per non consentire la ritirata del nemico ver­so la penisola di Taman. Le truppe del fronte del Caucaso, al comando del generale d'arma­ta I. Tjulenev, dovevano attaccare con le for­ze del gruppo del mar Nero verso Krasno­dar e più oltre verso Tichoreck, e, unitamente alle truppe del fronte sud, circondare in que­sta zona il grosso del raggruppamento tede­sco nord-caucasico.

Contemporaneamente, ven­ne ordinato al gruppo settentrionale delle trup­pe del fronte del Caucaso di spingere, avan­zando con la propria ala destra attraverso Mozdok in direzione di Armavir, il grosso della I armata corazzata tedesca verso le pen­dici della catena centrale del Caucaso per poi distruggerlo.

Il 1° gennaio 1943, le truppe del fronte sud passarono all'esecuzione del piano. Quando, dopo aver superato la forte resistenza del nemico, esse giunsero al fiume Manyč, il grup­po di armate tedesche "A" si trovò chiuso in una profonda sacca, e, per non venire iso­lato, cominciò a ritirarsi velocemente verso Rostov.

Il 3 gennaio, il gruppo settentrionale delle truppe del fronte caucasico iniziò l'insegui­mento delle unità in ritirata della I armata corazzata tedesca. Tuttavia il ritmo della sua avanzata era insufficiente. Dopo il gruppo set­tentrionale, iniziò l'avanzata anche il gruppo del mar Nero che operava nelle difficili con­dizioni dell'inverno sulle montagne, senza poter contare, a causa del maltempo, sull'appoggio dell'aviazione. In gennaio, superan­do la resistenza del nemico e i valichi mon­tani, le truppe di questo gruppo liberarono Nalčik, Stavropol, Armavir e numerose altre località.

Un grande aiuto alle truppe diedero i partigia­ni di Stavropol diretti, dal comitato di par­tito della regione. I patrioti attaccavano gli hitleriani, distruggevano o si impadronivano dei loro mezzi, dei ponti, dei depositi, delle locomotive, dei vagoni, liberando anche diverse località. Il gruppo settentrionale delle trup­pe del fronte del Caucaso, al comando del tenente-generale I. I. Maslennikov, entrò in azione il 24 gennaio 1943 sul fronte del Caucaso del nord.

Superando la resistenza del ne­mico, la impraticabilità dei luoghi e il mal­tempo, le truppe raggiunsero ai primi di feb­braio il mare d'Azov. Nella testa di ponte del Kuban, venne isolata la XVII armata tedesca, che ora poteva man­tenere i collegamenti con il grosso delle forze naziste solamente attraverso la Crimea.

Intan­to le armate del fronte sud combattevano nei dintorni di Rostov. Una notevole parte del Caucaso settentrionale fu liberata, ma non si riuscì a circondare il raggruppamento nemico nord-caucasico come previsto dal piano. Con l'arrivo, alla fine del gennaio 1943, delle trup­pe sovietiche nei pressi di Rostov, la resisten­za del nemico aumentò. Il comando tedesco compiva sforzi disperati per guadagnare il tem­po necessario per il ritiro delle proprie forze dal Caucaso del nord. Combattimenti accaniti si svolsero nella zona della stazione ferro­viaria di Bataisk, a 10 km da Rostov, attraver­so la quale i tedeschi trasportavano uomini e mezzi.

Si sviluppò anche l'offensiva delle truppe del gruppo del mar Nero. Il 4 febbraio esse giun­sero al fiume Kuban e nei pressi di Krasno­dar. Per impossessarsi di Novorossijsk e della penisola di Taman, nella notte del 4 feb­braio il comando del fronte del Caucaso del nord e della flotta del mar Nero passò ad attuare una grande operazione di sbarco nella zona di Jušnaja Osereika. Tuttavia, accolta dal forte fuoco del nemico e avendo subito forti perdite, una parte delle navi da sbarco fu costretta a ritirarsi, mentre le truppe già sbar­cate non riuscirono a mantenere la testa di ponte a causa dell'ineguaglianza delle forze.

Più favorevole fu l'esito dello sbarco delle truppe di rinforzo, al comando del maggiore Z. L. Kunikov, nella zona del villaggio di Stanička e del monte Myšako, nei pressi di No­vorossijsk. Questa spedizione composta da 800 uomini della fanteria di marina, rinforzata rapidamente con altri reparti, occupò e tenne saldamente una piccola testa di ponte.

Lo stato maggiore hitleriano, compreso il peri­colo che incombeva sul raggruppamento di Novorossijsk, diede ordine di ricacciare a ogni costo in mare i soldati sovietici. Contro le modeste truppe sovietiche furono concentrati gli effettivi di 5 divisioni tedesche.

Tuttavia i loro sforzi cozzarono contro il va­lore della fanteria da marina sovietica. Ebbe inizio una lotta che doveva durare sette me­si nella testa di ponte di Myšako, che venne denominata "Piccola terra". Per tutto questo periodo non cessarono mai i combattimenti col nemico che impiegava carri armati, artiglieria e aviazione.

I difensori della "Piccola terra" si coprirono di gloria, scrivendo una pagine di autentico eroismo nella storia della grande guerra pa­triottica. Le truppe del fronte del Caucaso del nord liberarono il 12 febbraio Krasnodar e, affron­tando aspri combattimenti, continuarono l'a­vanzata lungo le rive del Kuban e nel Cau­caso occidentale verso la penisola di Taman. Frattanto le truppe del fronte sud attaccarono le linee nemiche davanti a Rostov. Nei pressi della città si sviluppò una accanita battaglia.

Il 14 febbraio, dopo alcuni giorni di aspri combattimenti, Rostov venne liberata. In seguito all'offensiva furono liberate le re­gioni della Ceceno-Inguscezia, della Ossetia set­tentrionale, della Cabardino-Balcaria, il territo­rio di Stavropol, e una gran parte della regione di Rostov e del territorio di Krasnodar. In queste regioni vivevano prima della guerra 10 milioni di persone. Gli invasori tedeschi reca­rono un enorme danno all'economia della zona, uccisero molte migliaia di cittadini sovie­tici. Nel solo territorio di Stavropol, si resero responsabili del massacro, di oltre 30 mila civili

Contemporaneamente all'offensiva delle trup­pe sovietiche del Caucaso del nord vennero lanciate operazioni offensive nelle zone Ostrogožsk-Rossošk, e Voronež-Kastornoje.

Nella seconda metà del gennaio 1943 le trup­pe del fronte di Voronež, al comando del tenente-generale F. I. Golikov, circondarono e distrussero un forte raggruppamento nemico attestato sul Don tra Voronež e Kantemirovka.

Il colpo principale venne inferto alla II ar­mata ungherese e all'VIII armata italiana, di­slocate in questa zona. Nel corso delle opera­zioni furono completamente distrutte oltre 15 divisioni, mentre 6 divisioni vennero grave­mente colpite. Oltre 86 mila tra soldati e ufficiali nemici furono fatti prigionieri.
Le trup­pe sovietiche avanzarono di 140 km verso il flume Oskol.

Quindi le truppe dell'ala destra del fronte di Voronež e dell'ala sinistra del fronte di Brjansk attaccarono e sconfissero a Kastornoje il raggruppamento nemico della linea Voronež-Kastornoje. Solo pochi gruppetti di soldati riuscirono a sfuggire all'accerchiamento. Durante questa operazione vennero distrutte 11 divisioni ne­miche. Le truppe dei fronti di Brjansk e di Voronež liberarono una gran parte delle re­gioni di Voronež di Kursk, le città di Voronež, Kastornoje, Staryi Oskol e Tim.

In queste due operazioni nel corso superiore del Don il gruppo di armate tedesche "B" subì una dura sconfitta. Perdite assai gravi subirono le armate dei satelliti della Germania (Ungheria e Italia). La II armata ungherese fu di fatto distrutta, avendo perso 135 mila uomini. La stessa sorte toccò all'VIII armata italiana. Avendo perso completamente la ca­pacità combattiva, essa venne ritirata dal fron­te sovietico-tedesco. La disfatta delle armate ungherese e italiana produsse una forte im­pressione in Ungheria e in Italia e contribuì allo sviluppo delle tendenze antifasciste fra la popolazione dei paesi satelliti della Germania.

Sviluppando la loro offensiva le truppe sovie­tiche occuparono l'8 febbraio Kursk e il 16 febbraio Charkov. Nel frattempo, le truppe del fronte sud-ovest, al comando del colonnello­generale Vatutin, lanciarono un attacco verso Mariupol, per tagliare la ritirata verso ovest al raggruppamento nemico del bacino del Don.

Il ritiro parziale delle truppe nemiche dal cor­so inferiore del Don verso Mius e gli sposta­menti compiuti dai tedeschi nel bacino del Donec furono erroneamente valutati dal co­mando dei fronti sud-ovest e di Voronež come l'inizio di una ritirata generale delle trup­pe fasciste oltre il Dnepr. Lo stato maggiore del comando supremo concordò con questa valutazione. In tal modo, nonostante le truppe di questi fronti si fossero indebolite e avesse­ro urgente bisogno di rinforzi, la loro offen­siva venne forzata in tutte le maniere. Dal canto suo il comando nazista progettava una grande controffensiva in questo settore.

Il 13 febbraio il gruppo di armate tedesche "Don" venne trasformato in gruppo di ar­mate "Sud", che fu frettolosamente raffor­zato con unità fatte giungere dall'Europa oc­cidentale, dai Balcani, e da altri settori del fronte sovietico-tedesco. A Zaporožje si ten­ne alla presenza di Hitler una riunione del co­mando supremo della Wehrmacht. Nella riu­nione venne approvato il piano della con­troffensiva, che prevedeva l'attacco alle trup­pe del fronte sud-ovest, in marcia verso il Dnepr, per respingerle oltre il Don settentrio­nale. Il piano prevedeva anche l'accerchiamen­to delle truppe sovietiche nella zona di Char­kov, e, dopo la loro sconfitta, la penetrazione nelle retrovie del fronte di Voronež e una avanzata verso Kursk.

Nello stesso tempo dalla zona a sud di Orël doveva iniziare un'offensiva contro le retrovie del fronte centrale sovietico, per circondare le truppe dell'arma­ta rossa concentrate nella zona di Kursk. Alla vigilia delle operazioni il gruppo di armate te­desche "Sud" disponeva di 31 divisioni, 13 delle quali erano corazzate o motorizzate, ossia della metà di tutte le unità mobili operanti sul fronte sovietico-tedesco. Per la verità, le divisioni naziste, specialmente quelle coraz­zate, erano incomplete in uomini e in mezzi.

La controffensiva contro l'ala destra del fron­te sud-ovest ebbe inizio il 19 febbraio. Sotto la pressione delle preponderanti forze nemiche le truppe sovietiche furono costrette a riti­rarsi verso il Donec settentrionale. Successiva­mente le unità tedesche attaccarono le truppe avanzanti dell'ala sinistra del fronte di Voronež. Le truppe sovietiche difesero coraggio­samente ogni palmo di terreno. In queste gior­nate ricevette il battesimo del fuoco sul fron­te di Voronež il battaglione cecoslovacco al comando del colonnello Ludvik Svoboda.

Il 13 marzo i tedeschi occuparono nuovamen­te Charkov e respinsero le truppe dell'ala si­nistra del fronte di Voronež verso Belgorod creando una situazione difficile non solo per questo fronte, ma anche per le retrovie del fronte centrale. Lo stato maggiore del comando supremo sovietico spostò allora verso le zone minacciate le riserve con le quali, verso la fine di marzo, venne arrestata la controf­fensiva tedesca. Su tutta l'ala meridionale del fronte sovietico-tedesco da Belgorod al mare d'Azov entrambi gli eserciti passarono sulla difensiva.

Il comando tedesco non riuscì a raggiungere i suoi obiettivi, anche se con la sua offensiva era riuscito a rioccupare una parte delle zone nord-orientali e orientali dell'Ucraina. Ma que­sti successi costarono un prezzo molto alto. Uno degli obiettivi principali raggiunto dalle truppe sovietiche nella campagna invernale 1942-1943 fu l'eliminazione dell'assedio di Le­ningrado. Lo sfondamento della difesa fortifi­cata del nemico venne realizzato dalle truppe del fronte di Leningrado, al comando del tenente-generale L. A. Govorov e da quelle del fronte di Volchov, al comando del generale d'armata K. A. Merezkov.

Per l'offensiva venne scelto il settore a sud del lago Ladoga, lungo la linea tedesca Schlüsselburg-Sinjavino. Gli attacchi delle truppe dei due fronti furono concertati in modo da prendere i tedeschi tra due fuochi e da con­sentire il congiungimento dei soldati dell'ar­mata rossa per la via più breve.

Comprendendo l'importanza strategica di que­sto settore, gli hitleriani vi concentrarono in­genti forze ben addestrate alle azioni in zone forestali-paludose.
Nello spazio di un lungo periodo i tedeschi avevano costruito una serie di potenti fortificazioni difese a scaglioni. L'as­salto a queste posizioni era estremamente dif­ficile. Dopo avere completato lunghi e accu­rati preparativi, le truppe dei fronti di Lenin­grado e di Volchov passarono all'offensiva il 12 gennaio 1943.

Alla rottura dell'assedio presero parte attiva i marinai della flotta del Baltico (comandati dal viceammiraglio V. Tribuz) e della flotti­glia da guerra del lago Ladoga (comandati dal contrammiraglio V. S. Čerokov). Dopo aspri combattimenti le truppe sovietiche eb­bero ragione della difesa del nemico e il 18 gennaio si congiunsero nella zona dei sobbor­ghi operai n. 1 e n. 5. L'assedio di Lenin­grado era rotto. Lungo il litorale meridionale del lago Ladoga si formò un corridoio largo 8-11 km, lungo il quale la città poté ri­stabilire il collegamento per terra con il resto del paese. In questo corridoio venne costruita in breve tempo una ferrovia che nel feb­braio 1943 entrò in funzione. I leningradesi la chiamarono "ferrovia della vittoria".

La rottura dell'assedio rese meno precaria la situazione di Leningrado. Per 18 mesi i leningradesi, sopportando pri­vazioni indicibili, erano stati sottoposti a un completo assedio da parte del nemico. Com­plessivamente, specialmente nel primo inver­no dell'assedio, erano morti per fame e per gli attacchi nemici oltre 600 mila abitanti.

Ma i leningradesi resistettero. Per tutto il mondo la difesa di Leningrado divenne il sim­bolo della volontà del popolo sovietico di vin­cere il nemico. Il presidente degli Stati Uniti d'America Roosevelt, nel diploma inviato a Leningrado, scrisse: "A nome del popolo de­gli Stati Uniti d'America consegno questo di­ploma alla città di Leningrado a ricordo dei suoi valorosi combattenti e dei suoi fedeli abitanti, uomini, donne e bambini, che isolati dalla restante parte del loro popolo e nono­stante i continui bombardamenti e le indicibili sofferenze provocate da fame, freddo e malat­tie, hanno difeso con successo la loro cara città nel periodo critico dall'8 settembre 1941 al 18 gennaio 1943, assurgendo così a simbolo dello spirito invincibile dei popoli dell'Unio­ne delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e di tutti i popoli del mondo che si oppongono alle forze dell'ag­gressione". Le gesta degli eroici difensori della città di Lenin sono ri­maste impresse per sempre nella memoria dei popoli del mondo.

Nel febbraio e nel marzo 1943 nei settori centrale e nord-occidentale del fronte vennero compiute operazioni offensive per la liquida­zione di due avamposti del nemico, profonda­mente incuneati nel dispositivo delle truppe sovietiche. Il 15 febbraio 1943 le truppe del fronte nord-ovest al comando del maresciallo Timošenko e la III armata d'assalto del fron­te di Kalinin iniziarono l'offensiva contro le unità della XVI armata tedesca, attestata nel­la "sacca di Demjansk", senza però riuscire a circondare e distruggere le truppe nemiche. I tedeschi, subendo forti perdite, si sottras­sero all'accerchiamento.

Nei combattimenti a nord di Velikije-Luki, il 23 febbraio, nel gior­no anniversario della fondazione dell'arma­ta rossa, compì una impresa eroica il giova­ne comunista diciannovenne Aleksandr Ma­trossov. Egli ostruì con il suo corpo una feri­toia da mitraglia di un fortino nemico e im­molando la propria vita garantì il successo del suo plotone. Il nome di Aleksandr Ma­trossov, eroe dell'Unione Sovietica, è iscritto per sempre nell'albo d'onore del 254° reg­gimento di fanteria della guardia, che porta il suo nome.

Le truppe dei fronti ovest e di Kalinin svilupparono in marzo un'offensiva verso Ržev-Vjazma. Sotto gli attacchi delle truppe sovietiche e paventando la minaccia di accerchiamento, il nemico fu costretto a re­trocedere. La linea del fronte venne così non solo allontanata di altri 130-160 km da Mo­sca verso occidente, ma anche raccorciata.

L'IMPORTANZA POLITICO-MILITARE E INTERNAZIONALE DELLE VITTORIE DELL'ARMATA ROSSA NELLA CAMPAGNA DELL'IN­VERNO 1942-1943

Per 4 mesi e mezzo, dalla metà di novembre 1942 alla fine di marzo 1943, si protrasse la campagna invernale, che registro grandissi­me vittorie dell'ar­ma­ta rossa. Un posto centrale ebbe in questa campagna l'accerchiamento e l'annientamento delle truppe nemiche sul Volga.

Dopo avere sostenuto la pressione delle trup­pe fasciste nell'estate 1942, l'armata rossa in­flisse loro un colpo decisivo. Come era acca­duto presso Mosca, nelle condizioni difficili dei combattimenti difensivi, venne preparata una controffensiva delle truppe sovietiche su scala strategica. Tuttavia la situazione nella quale iniziò e si svolse la campagna invernale 1942-1943, si distinse sostanzialmente dalla situazio­ne dell'inverno 1941-1942. Sotto Mosca la sconfitta delle truppe tedesche fu ottenuta in una congiuntura in cui le risorse economiche e militari del paese erano ben lungi dall'essere completamente utilizzate, mentre le retrovie si trovavano in una situazione estremamente difficile.

L'armata rossa, avendo subito enormi perdite in uomini e mezzi nell'estate 1941, non poteva ancora assicurarsi una decisa superiorità sul nemico e lanciò la controffensiva disponendo di forze e mezzi assai limitati. Questa fu una delle cause principali per cui la battaglia da­vanti a Mosca non riuscì a realizzare l'accer­chiamento e la distruzione di grandi forze ne­miche.

Nell'autunno 1942 la situazione era diversa. Nel paese era già in funzione una eco­nomia bellica organizzata e in grado, nono­stante le grandi perdite dell'estate 1942, di ri­fornire l'esercito della quantità necessaria di mezzi e armamenti. La solidità delle retrovie, la rapida ed energica mobilitazione dell'intera economia per le esigenze della guerra, il lavo­ro del popolo, diretto dal partito comunista, furono la premessa che assicurò all'armata rossa la possibilità di passare alla controffensiva.

Le forze armate sovietiche, temprate nelle precedenti battaglie, dotate di esperienza e di grandi capacità combattive, potevano ora af­frontare e risolvere compiti offensivi su scala strategica. Non cause occasionali, ma la soli­dità del regime socialista, la consapevolezza del dovere da parte di tutto il popolo e il suo elevato patriottismo, permisero all'Unio­ne Sovietica non solo di resistere nella dura lotta, ma anche di capovolgere il corso di tut­ta la guerra mondiale a favore della coalizione antifascista.

La vittoria delle armi sovietiche sul Volga fu il frutto degli sforzi eroici dell'intero popolo sovietico, delle sue realizzazioni sul fronte mi­litare ed economico. Questa vittoria alzò il mo­rale dei cittadini sovietici, i quali videro che il loro sangue e il loro lavoro non erano stati vani. Essa diede nuove forze a coloro che con­tinuavano a languire sotto il giogo degli inva­sori fascisti. La disfatta delle armate nemiche sul Volga spezzò la preziosa macchina bellica forgiata dai generali tedeschi per le aggressioni di Hi­tler.

Il mito della invincibilità dell'esercito te­desco cadde miseramente, mentre l'iniziativa strategica gli veniva tolta per sempre. La vit­toria storica sul Volga consentì all'armata ros­sa di sviluppare un'of­fen­siva generale su lar­ga scala e di iniziare la liberazione del terri­torio sovietico dagli invasori. Nel corso della campagna invernale le truppe tedesche non solo persero tutto ciò che avevano raggiunto nell'estate 1942, ma furono costrette ad ab­bandonare una serie di città e di regioni, do­ve si erano attestate nel 1941.

In certi punti il fronte si spostò verso ovest di 600-700 km. Un enorme territorio di 480 mila chilometri quadrati venne liberato dagli invasori. Le popolazioni delle regioni di Voronež e di Stalingrado, delle repubbliche auto­nome di Ceceno-Inguscezia, Ossetia setten­trionale, Cabardino-Balcaria e dei calmucchi, del territorio di Stavropol, delle regioni auto­nome dei circassi, dei caraciai e degli adigheti, di quasi tutto il territorio di Krasnodar, delle regioni di Rostov e di Kursk, di notevole parte delle regioni di Vorošilovgrad, Smolensk e Orël riacquistarono la liberta.

Vennero ristabiliti i collegamenti interrotti dal nemico su molte ferrovie e lungo il Volga. Durante la campagna invernale 1942-1943 gli aggressori fascisti subirono colossali perdite. Dall'ottobre 1942 al marzo 1913 oltre 1.300.000 tra soldati e ufficiali furono presi dal nemico come forza combattente. Perdite particolarmente gravi subirono gli eserciti dei satelliti della Germania. La III e la IV arma­te romene, la II armata ungherese, l'VIII ar­mata italiana cessarono praticamente di esi­stere. L'armata rossa distrusse o catturò enor­mi quantità di armi e di mezzi del nemico. Ma non si trattava solo delle perdite umane e materiali subite dalla Germania hitleriana e dai suoi alleati. Le sconfitte fecero cadere il morale dell'esercito e della popolazione dei paesi dell'Asse fascista.

I governanti fascisti furono costretti ad an­nunciare un lutto di 3 giorni per i caduti a Stalingrado. Per la prima volta dall'inizio della guerra, nei giorni del febbraio 1943, gli abitanti delle città e dei villaggi tedeschi sen­tirono, invece delle marce della vittoria, il rintocco funebre delle campane delle chiese.
Mutò anche il tono della propaganda tedesca, che cominciò a parlare delle difficoltà e della crisi dell'esercito tedesco in Oriente. Fra i te­deschi si diffuse la "malattia" che il coman­do germanico chiamava "influenza dell'ani­ma", esprimentesi nello scetticismo a nella crescente sfiducia nella vittoria finale.

La propaganda e il terrorismo non riuscivano più a guarire da questa "malattia". Le sconfitte all'est scossero l'intero blocco fasci­sta. Tra la Germania e i suoi alleati si creò un'atmosfera di reciproca sfiducia, si intensifi­carono i dissensi che testimoniavano la crisi iniziatasi nel covo delle potenze dell'Asse. Risultò indebolita anche l'influenza della Ger­mania nei paesi neutrali. Il Giappone, che con­tava di godere dei frutti dei successi militari delle truppe dell'Asse e che attendeva solo il momento propizio per aggredire l'Unione So­vietica, fu costretto a rinunciare alle sue in­tenzioni.

La vittoria dell'armata rossa sul Volga e la suc­cessiva offensive sovietica segnarono l'inizio della svolta radicale non solo nel corso della grande guerra patriottica del popolo sovietico, ma anche di tutta la seconda guerra mondiale. Questo fatto venne riconosciuto in tutto il mondo. Nel diploma inviato ai difensori di Stalingrado, il presidente Roosevelt scrisse che "la loro gloriosa vittoria ha arrestato l'onda­ta della invasione e ha segnato la svolta della guerra delle nazioni alleate contro l'aggres­sione".

Sotto l'influenza degli avvenimenti sul fronte sovietico-tedesco si sviluppò con maggior forza la lotta di liberazione dei popoli dell'Europa e dell'Asia contro la tirannide hitleriana.

Grazie alla vittoria delle truppe sovietiche si crearono le condizioni favorevoli per un maggior impegno di tutte le forze della coalizione anti-hitleriana.
Nell'autunno 1942 il blocco fascista schierava sul fronte sovietico-tedesco la maggior parte delle proprie forze armate: 266 divisioni di cui 193 tedesche.
Questo fatto consentiva agli alleati dell'Unione sovietica di iniziare un'offensiva vittoriosa nell'Africa del Nord.


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