www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 08-11-11 - n. 384

In occasione del 94° anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, pubblichiamo questo saggio di Paolo Selmi tratto dal fascicolo "Il nostro Ottobre" (a cura del Centro studi sui problemi della transizione al socialismo per il 90° anniversario della rivoluzione, La Città del Sole, Napoli, 2007)
 
Economia politica e politica economica della rivoluzione bolscevica
 
di Paolo Selmi
 
Il modello russo indica a tutti i Paesi qualche cosa di molto essenziale per il loro inevitabile e non lontano avvenire (1)
 
Mentre Lenin scriveva queste righe, erano passati pochi anni dalla presa del Palazzo d'Inverno, eppure già parecchia acqua era passata sotto i ponti della storia del suo Paese, quanta forse non ne era passata per secoli. Per questo, pur non prevedendo il futuro, egli aveva ben presente l'enorme portata del cammino fatto fino a quel momento. Questo breve saggio intende illustrare l'impianto generale dei provvedimenti economici intrapresi dal governo dei soviet nei primi anni della rivoluzione, i principi di economia politica socialista che lo animavano e, tuttavia, non vuole limitarsi a un semplice esercizio di ricostruzione storica. Scopo di questo elaborato è cercare di trasmettere la vitalità espressa allora dalla Rivoluzione d'Ottobre, la capacità dei suoi capi, in primis Vladimir Ilic Lenin, di leggere la situazione corrente con lo strumento potente del materialismo storico e della dialettica marxista, per poi creare ex novo rapporti di produzione e strutture socioeconomiche del tutto inedite. A noi, che ne celebriamo in questi giorni il novantesimo anniversario, spetta il dovere di accostarci al Grande ottobre liberi dai pregiudizi, spesso frutto di una presunzione culturale eurocentrica ("Grattez le Russe, et vous trouverez le Tartare"), per ascoltare quanto ha da dirci e, nei limiti delle nostre capacità, imparare e trarne lezioni valide tutt'oggi.
 
I. ECONOMIA POLITICA DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA
 
Più di una volta nella Storia ci sono state rivoluzioni che hanno abbattuto la borghesia con un vigore non inferiore al nostro, tuttavia noi siamo andati oltre, fino a instaurare il Potere sovietico e a passare dall'abolizione della schiavitù economica all'autodisciplina del lavoro: è stato allora che la nostra legge è stata davvero la legge del lavoro. Quando la gente ci dice che la dittatura del proletariato esiste solo sulla carta, ciò mostra che essi non hanno alcuna nozione di tale concetto, perché dittatura del proletariato non significa affatto abbattere solamente borghesia e proprietari terrieri - il che accade in tutte le rivoluzioni - quanto stabilire l'ordine, la disciplina, la produttività del lavoro, l'inventario e il controllo da parte del potere proletario sovietico, che è assai più stabile e saldo del precedente. (2)
 
Queste poche righe ben riassumono i principi alla base della nuova economia politica socialista: alla gigantesca figura di Vladimir Ilic Lenin, che della rivoluzione bolscevica è stato l'anima, spetta il merito di aver radicalmente cambiato il corso della Storia, sviluppando il pensiero di K. Marx fino a costruire una solida ideologia, capace di esprimere un'economia non solo di alternativa al capitalismo borghese, ma che sia anche il suo superamento dialettico.
 
L'ideale di fondo che ispira la rivoluzione bolscevica è la creazione di un sistema basato sulla proprietà sociale dei mezzi di produzione e non su quella privata. Transizione al socialismo significa infatti eliminazione definitiva di tutte le forme di sfruttamento esercitate dalla proprietà privata e in particolare dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Sopravvive unicamente la proprietà individuale, basata sul lavoro personale (artigiani o aziende familiari) e non sullo sfruttamento. Tale economia si muove secondo un principio diverso dal profitto: lo ritroviamo nella Critica al programma di Gotha (1875) di Marx. Il socialismo è visto già di per sé come un sistema di transizione, che in sé mantiene ancora "le macchie della vecchia società dal cui seno è uscito". A differenza del comunismo, dove vigerà il principio "Da ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni", il socialismo in virtù del minor grado di sviluppo garantisce "Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro". Marx così ipotizza:
 
Perciò il produttore singolo riceve - dopo le detrazioni - esattamente ciò che le da. Ciò che egli ha dato alla società è la sua quantità individuale di lavoro. Per esempio: la giornata di lavoro sociale consta della somma delle ore di lavoro individuale; il tempo di lavoro individuale del singolo produttore è la parte della giornata di lavoro sociale fornita da lui, la sua partecipazione alla giornata di lavoro sociale. Egli riceve dalla società uno scontrino da cui risulta che egli ha prestato tanto lavoro (dopo la detrazione del suo lavoro per i fondi comuni), e con questo scontrino egli ritira dal fondo sociale tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente. La stessa quantità di lavoro che egli ha dato alla società in una forma, la riceve in un'altra.
 
Tuttavia, per passare dalle parole ai fatti è necessario dotarsi di mezzi, dispositivi e risorse la cui concezione e utilizzo sono in gran parte dovute a Lenin e hanno costituito l'ossatura della politica economica sovietica sin dai tempi della rivoluzione bolscevica. Segue ora una loro breve presentazione.
 
1. Lo Stato
 
Ripudieremo tutti i vecchi pregiudizi i quali affermano che lo stato significa l'eguaglianza generale. Questo non è che un inganno; finché c'è sfruttamento, non può esistere l'eguaglianza. Il proprietario fondiario non può essere eguale all'operaio, né l'affamato al sazio. La macchina che è stata chiamata stato e che ispira agli uomini una superstiziosa venerazione, credendo essi alle vecchie fiabe secondo cui si tratta di un potere che impersona tutto il popolo, questa macchina viene respinta dal proletariato che dice: è una menzogna borghese. Questa macchina l'abbiamo strappata ai capitalisti e ce ne siamo impadroniti. Con questa macchina, o bastone che sia, distruggeremo ogni sfruttamento, e quando sulla terra non sarà più possibile sfruttare, quando non vi saranno più proprietari di terre né proprietari di fabbriche, non vi sarà più chi gozzoviglia e chi è affamato, quando ciò non sarà più possibile, soltanto allora le butteremo tra i ferri vecchi. (3)
 
Per l'edificazione del socialismo è necessaria una forza sociale che sia in grado di costringere la borghesia a cedere i mezzi di produzione al popolo. Solo il potere statale passato nelle mani del proletariato può essere tale forza: "Il socialismo non è neppure concepibile senza il proletariato a capo dello Stato: anche questo è ABC". (4)
 
Nella concezione marxista-leninista fatta propria dalla rivoluzione bolscevica, lo Stato ha una precisa natura di classe ed è il mezzo per assicurare a livello globale l'attuazione del principio socialista da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro. Ad esso quindi il compito di ripartire la maggior parte del prodotto sociale e determinare i principi fondamentali a cui attenersi per la retribuzione del lavoro, tramite l'esercizio diretto della direzione della produzione, del controllo delle finanze nazionali, delle politiche dei prezzi e degli investimenti, delle relazioni economiche con l'estero, dello sviluppo tecnologico e della ricerca, in una parola dell'economia. Per fare ciò esso deve possedere alcune caratteristiche, ben sintetizzate da V. Sh. Fridman, nel suo saggio "V. I. Lenin sulla regolazione statale socialista delle misure del lavoro e del consumo" (su Pravovedenie, 1970, n° 2):
 
L'analisi della posizione leninista sulla regolazione, da parte dello Stato socialista, del lavoro individuale e del consumo personale consente di delineare quattro principi generali che determinano l'azione statale: 
 
1)      autorità nel comando, al fine di evitare derive anarchiche e affermare una disciplina del lavoro rispettata a tutti i livelli. 
2)      centralizzazione delle decisioni economiche secondo il principio del centralismo democratico, 
3)      sovranità in entrambe le sfere del lavoro e del consumo per garantire la ripartizione della ricchezza secondo lavoro, 
4)      normatività, ovvero la capacità da parte dello Stato di dotare questo processo di leggi e norme.
 
2. Le basi dell'economia socialista
 
V. I. Lenin sottolineò a più riprese come la gestione dell'economia socialista fosse a tutti gli effetti una scienza. Il suo oggetto è l'impiego del lavoro dell'uomo e delle risorse materiali del Paese nel modo più razionale e favorevole per la società. Nelle Tesi del CC del PCUS in occasione del centesimo anniversario della nascita di Lenin sono richiamati i principi a cui la sua economia politica era indissolubilmente legata:
 
V. I. Lenin diede una risposta scientifica alle questioni fondamentali della pianificazione e della gestione dell'economia socialista. Sotto il diretto comando di Lenin furono posti i principi su cui condurre un'economia di piano in tutte le sue sfere. Questo è quanto Lenin richiese per la gestione economica di piano:
 
-        scientificità, 
-        capacità di determinare correttamente gli obbiettivi e di porli nel giusto ordine e prospettiva, 
-        propensione verso le ultime scoperte della scienza e della tecnica e verso le esperienze all'avanguardia, 
-        flessibilità, ovvero capacità di reagire rapidamente ai mutamenti di situazione.
 
3. La direzione centralizzata dell'economia
 
Sin dall'alba della rivoluzione, la gestione dell'economia nazionale si basa sul principio leninista di centralismo democratico. Esso non è soltanto principio di organizzazione interna al Partito, ma diviene il fondamento della gestione economica sovietica: in esso la direzione di piano, unificata e centralizzata, è unita dialetticamente con lo sviluppo dell'iniziativa locale, con la molteplicità dei modi, delle azioni e delle risorse che si muovono verso il comune obbiettivo, nonché con il coinvolgimento sempre più ampio delle masse alla gestione della produzione.
 
A questa conclusione egli arriva tramite lo studio dell'economia capitalista: quando si determinò storicamente l'unità fra centralismo e autonomia, questo creò un volano che portò questo sistema ad alti livelli di sviluppo, come possiamo vedere in questo passo:
 
II principio di centralismo, essenziale per lo sviluppo del capitalismo, non viola l'autonomia locale e regionale, ma al contrario viene applicato democraticamente, non burocraticamente. Lo sviluppo ampio, libero e rapido del capitalismo sarebbe impossibile, o molto rallentato, dall'assenza di tale autonomia, che facilita la concentrazione del capitale, lo sviluppo delle forze produttive, l'unità della borghesia e l'unità del proletariato su ampia scala. L'interferenza burocratica in questioni puramente locali (regionali, nazionali, ecc.) è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo economico e politico in generale, nonché un ostacolo al centralismo in particolare riguardo a questioni serie, importanti e fondamentali. (5)
 
La scommessa di Lenin è la seguente: se in una società dominata dagli antagonismi di classe democrazia e centralismo ciclicamente si oppongono e confliggono fra loro, nel socialismo possono e devono essere unite dialetticamente in una sintesi superiore. Egli è molto esplicito a questo riguardo:
 
Il nostro obbiettivo ora è portare il centralismo democratico nella sfera economica, armonizzare e dare unità d'azione ad aziende come le ferrovie, le poste e telegrafi, insieme a tutti i mezzi di trasporto; allo stesso tempo questo centralismo, inteso in senso autenticamente democratico, crea per la prima volta nella Storia la possibilità di uno sviluppo pieno e senza ostacoli non solo delle peculiarità locali, ma anche dell'inventiva e dell'iniziativa locale, della molteplicità dei modi, dei mezzi e delle vie che conducono al raggiungimento dell'obbiettivo comune. (6)
 
In un altro passo, sempre dallo stesso testo, egli differenzia il centralismo democratico dai due estremi a cui una cattiva gestione dell'economia conduce:
 
Siamo per il centralismo democratico. E deve essere chiaro quanto esso sia differente dall'anarcosindacalismo per un verso e dal centralismo burocratico per l'altro.
 
Perché ciò non accada debbono essere patimenti applicati questi due principi gestionali:
 
1) La direzione unica. Essa è "uno dei principi più importanti di gestione della produzione socialista, necessaria affinchè i quadri dirigenti nelle diverse sfere economiche possano adempiere a tutti i compiti loro assegnati così come ciascun lavoratore si senta personalmente investito della responsabilità richiesta dalla sua mansione. Il suo scopo è unire il diritto con la responsabilità, la risoluzione collettiva delle questioni con la piena responsabilità di ogni dirigente sul suo lavoro" (7). Nella concezione leninista il dirigente economico non è un tiranno né un cieco esecutore di altrui direttive. La sua direzione deve essere fondata su una conoscenza scientifica profonda dell'economia e della tecnologia della produzione, su una visione chiara degli obbiettivi da raggiungere e delle strade migliori per pervenirvi, nonché sulla capacità di mobilitare le masse a tale scopo. Egli è un uomo di fiducia dello Stato socialista e la sua attività è diretta al bene dell'intera società.
 
2) La partecipazione attiva delle masse. Unire la direzione centralizzata all'iniziativa economica dell'impresa con la partecipazione delle ampie masse di lavoratori all'elaborazione dei piani e alla direzione della produzione costituisce sin da subito l'essenza del centralismo democratico. La direzione unica nella concezione bolscevica si fonda così sull'ampio democratismo dei lavoratori, sulla loro iniziativa creativa ed entusiasmo lavorativo. Essa anzi presuppone la partecipazione attiva delle masse alla gestione della produzione, sulla base di una corretta armonizzazione degli interessi sociali generali, di quelli del collettivo e di quelli personali dei lavoratori. Con la Rivoluzione d'Ottobre socializzazione e partecipazione operaia all'organizzazione della produzione divengono una cosa sola. Per dirla con le parole di Lenin,
 
Bisogna imparare a unire insieme lo spirito impetuoso, violento come la piena primaverile che trabocca da tutte le rive, amante delle discussioni e delle riunioni, che è proprio delle masse lavoratrici, con una disciplina ferrea durante il lavoro, con la sottomissione senza riserve alla volontà di una sola persona, del dirigente sovietico, durante il lavoro. (8)
 
4. La gestione pianificata della produzione
 
Il socialismo è inconcepibile senza un'organizzazione pianificata dello Stato che veda decine di milioni di persone osservare nel modo più rigoroso norme uniche di produzione e di ripartizione dei prodotti. […] Questo noi, marxisti. lo abbiamo sempre detto, e con gente che fa finta di non capire (anarchici e una buona metà di socialisti rivoluzionari di sinistra) non vale la pena di perdere neanche due secondi. (9)
 
Anche se il primo piano quinquennale è del 1928, già in Lenin lo sviluppo economico di un sistema socialista non può che essere pianificato: un sistema a proprietà sociale dei mezzi di produzione funziona se individua con largo anticipo i nessi fondamentali dati dai processi di produzione, ripartizione e scambio, per prevederne e quantificarne gli effetti e unirli in un unico piano che ottimizzi sforzi e risorse. In particolare, deve individuare le proporzioni necessarie (rapporti quantitativi) fra i tempi di sviluppo dei diversi settori e fra i volumi di produzione dei diversi tipi di prodotti. Solo infatti rispettando la giusta proporzionalità la produzione può avvenire e svilupparsi senza incappare nelle crisi cicliche del capitalismo, crescendo senza impedimenti, aumentando la propria produttività e offrendo così alla società una solida base per aumentare il proprio benessere.
 
Abbiamo descritto per sommi capi i principi di economia politica che animarono la rivoluzione bolscevica. Vediamo ora come vennero tradotti in pratica.
 
II. POLITICA ECONOMICA DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA
 
Lo Stato proletario realizzò sin dai primi giorni la nazionalizzazione socialista dell'economia. V. I. Lenin, ancor prima del trionfo della rivoluzione, aveva già elaborato un programma delle trasformazioni economiche più importanti, i cui cardini erano: industrializzazione socialista del Paese, trasformazione socialista dell'agricoltura, attuazione della rivoluzione culturale ("l'istruzione ai lavoratori"). Questo piano di edificazione del socialismo iniziò ad essere attuato sin dai primi giorni dell'instaurazione del potere sovietico. Successivamente, esso fu continuamente perfezionato e sviluppato, cercando di trarre il massimo di risultato anche nelle condizioni più sfavorevoli. In queste poche pagine cercheremo di riassumerne i tratti salienti e di descrivere l'azione politica del potere sovietico nella sua complessità e totalità, al fine di apprezzarne la portata rivoluzionaria e l'ampiezza del campo di intervento. Prenderemo in esame tre macro-settori dell'economia (industria, agricoltura, finanze) e ne traccerò i mutamenti nel corso di tre periodi storici ben definiti, ovvero la presa del potere da parte dei soviet, il comunismo di guerra e la NEP (Nuova Politica Economica).
 
1. Politica industriale
 
Rivoluzione d'Ottobre e instaurazione del potere sovietico
 
Il primo atto di politica industriale fu la nazionalizzazione, completata nel giugno 1918. Su quali basi, è spiegato nel testo del "Progetto di norme per il controllo operaio", pubblicato sulla Pravda del 16 novembre 1917, di cui stralciamo gli otto punti fondamentali:
 
1)      In tutte le imprese industriali, commerciali, bancarie, agricole ed altre, con non meno di cinque operai e impiegati complessivamente, o con un giro d'affari di non meno di 10.000 rubli all'anno, si instaura il controllo operaio sulla produzione, sulla conservazione e sulla compra e la vendita di tutti i prodotti e delle materie prime. 
2)      Il controllo operaio è esercitato da tutti gli operai e impiegati dell'azienda, sia direttamente se l'impresa o è abbastanza piccola per permetterlo, sin attraverso i loro rappresentanti elettivi che debbono essere designati immediatamente nelle assemblee generali. Si faranno i verbali delle elezioni e i nomi degli eletti vanno comunicati al governo e ai soviet locali dei deputati operai, soldati e contadini.
3)      Senza l'autorizzazione dei rappresentanti eletti dagli operai e dagli impiegati è assolutamente proibita l'interruzione della produzione o del funzionamento delle aziende che hanno una importanza per tutto il Paese (vedi par. 7) come pure ogni modificazione nel loro andamento.
4)      Per questi rappresentanti eletti si devono aprire tutti i libri e i documenti senza eccezione, come pure tutti i depositi e le riserve di materiali, di strumenti di lavoro e di prodotti senza nessuna eccezione.
5)      Le decisioni dei rappresentanti eletti dagli operai e dagli impiegati sono impegnative per i proprietari dell'azienda e possono essere revocate soltanto dai sindacati e dai congressi.
6)      In tutte le aziende, che hanno importanza per tutto lo Stato, tutti i proprietari, tutti i rappresentanti degli operai e degli impiegati eletti per l' esercizio del controllo operaio sono dichiarati responsabili davanti allo Stato dell'ordine e della disciplina più rigorosi e della protezione dei beni. I colpevoli di negligenza, di occultamento degli approvvigionamenti, dei rendiconti, ecc. sono puniti colla confisca di tutti i loro averi e colla reclusione fino a cinque anni.
7)      Sono considerate aziende che hanno un'importanza per tutto lo Stato, tutte le aziende che lavorano per la difesa del Paese nonché quelle legate, in un modo o nell'altro, alla produzione dei generi necessari all'esistenza della popolazione. 
8)      I soviet dei deputati operai e le Conferenze dei comitati locali di fabbrica e di officina, come pure i comitati degli impiegati, nelle riunioni generali dei loro rappresentanti, fissano norme più particolareggiate per il controllo operaio.
 
Per quanto riguarda il tipo di sviluppo produttivo, il principio guida fu il seguente: la base tecnica e materiale del socialismo era la grande produzione meccanica, in quanto giocava un ruolo chiave nell'industria, nell'agricoltura, nell'edilizia, nei trasporti come in tutti gli altri settori dell'economia nazionale. Un'importanza fondamentale fu quindi data all'industrializzazione socialista sin dall'inizio. Questo determinò inoltre una crescita, sia in termini numerici che di livello culturale e tecnico, della classe operaia, che divenne così la forza motrice della trasformazione della società in senso socialista.
 
Tuttavia, non bastava nazionalizzare le industrie per garantire i beni necessari a tutti. Bisognava anche adottare il massimo rigore nella gestione economica. Ne I compiti immediati del potere sovietico Lenin fu molto preciso su questo punto:
 
Creando un nuovo tipo di Stato, lo Stato dei Soviet, che offre alle masse lavoratrici e oppresse la possibilità di partecipare nel modo più attivo alla edificazione autonoma della nuova società, noi abbiamo adempiuto soltanto una piccola parte di un difficile compito. La difficoltà principale è nel settore economico: compiere dappertutto il più rigoroso inventario e controllo della produzione e della distribuzione dei prodotti, elevare la produttività dei lavoro, socializzare di fatto la produzione. [...] E questo è anche il compito più nobile, poiché solo dopo averlo assolto (nei suoi tratti principali e fondamentali) si potrà dire che la Russia e diventata una repubblica, non solo sovietica, ma anche socialista.
 
Oltre al rigore, occorreva anche incrementare la produttività del lavoro. Sempre nello stesso scritto, egli sviluppa questo concetto individuandone alcune soluzioni:
 
In ogni rivoluzione socialista, dopo che è stato risolto il compito della conquista del potere da parte del proletariato e nella misura in cui si risolve nelle grandi linee il compito di espropriare gli espropriatori e di schiacciarne la resistenza, si pone necessariamente in primo piano il problema fondamentale di creare un regime sociale superiore al capitalismo, e precisamente: aumentare la produttività del lavoro, e in relazione con questo (e a questo scopo) creare una superiore organizzazione del lavoro. […] E qui diviene subito evidente che, se ci si vuole impadronire in pochi giorni di un potere centrale statale, se in poche settimane si può schiacciare la resistenza armata (e il sabotaggio) degli sfruttatori, perfino nei diversi angoli di un grande paese, una soluzione durevole del problema di elevare la produttività del lavoro richiede in ogni caso (e soprattutto dopo una guerra straordinariamente dolorosa e devastatrice) parecchi anni. La lunga durata di questo lavoro va qui indubbiamente attribuita a circostanze obiettive. 
L'aumento della produttività del lavoro esige anzitutto che siano garantite le basi materiali della grande industria: lo sviluppo della produzione dei combustibili, del ferro, delle macchine, dell'industria chimica. [...] 
Un'altra condizione per elevare la produttività del lavoro è in primo luogo lo sviluppo educativo e culturale della massa della popolazione. Questo sviluppo procede ora con enorme rapidità, cosa che non vedono coloro che sono accecati dalla routine borghese e sono incapaci di comprendere quale slancio e quale spirito d'iniziativa si manifesta oggi negli «strati inferiori» del popolo grazie all'organizzazione sovietica. In secondo luogo condizione del progresso economico sono una maggiore disciplina dei lavoratori, capacità, solerzia, intensità nel lavoro, migliore organizzazione. [...]
In confronto ai lavoratori delle nazioni progredite, il russo è un cattivo lavoratore. E non poteva essere altrimenti sotto il regime zarista in cui sopravvivevano i resti del regime feudale. Imparare a lavorare: ecco il compito che il potere dei Soviet deve porre di fronte al popolo in tutta la sua ampiezza. L'ultima parola del capitalismo a questo proposito, il sistema Taylor, - come tutti i progressi del capitalismo, - unisce in sé la crudeltà raffinata dello sfruttamento borghese e una serie di ricchissime conquiste scientifiche per quanto riguarda l'analisi dei movimenti meccanici durante il lavoro, l'eliminazione dei movimenti superflui e maldestri, l'elaborazione dei metodi di lavoro più razionali, l'introduzione dei migliori sistemi di inventario e di controllo, ecc. La Repubblica sovietica deve ad ogni costo assimilare tutto ciò che vi è di prezioso tra le conquiste della scienza e della tecnica in questo campo. La possibilità di realizzare il socialismo sarà determinata appunto dai successi che sapremo conseguire nel combinare il potere sovietico e l'organizzazione amministrativa sovietica con i più recenti progressi del capitalismo. Bisogna introdurre in Russia lo studio e l'insegnamento del sistema Taylor, sperimentarlo e adattarlo sistematicamente. Mentre si opera per aumentare la produttività del lavoro bisogna al tempo stesso tener conto delle particolarità del periodo di transizione dal capitalismo al socialismo, le quali da un lato esigono che siano gettate le basi dell'organizzazione socialista dell'emulazione, e dall'altro richiedono l'uso della costrizione, sì che la parola d'ordine della dittatura del proletariato non sia oscurata in pratica dalla inconsistenza del potere proletario.
 
C'è molto spirito di autocritica in queste parole, molta umiltà e soprattutto un'assoluta assenza di dogmatismo. Lenin recupera il taylorismo, lo stato dell'arte (all'epoca) della massimizzazione dello sfruttamento capitalista sulla manodopera salariata, e lo pone al servizio dell'edificazione del socialismo: lavorare meglio, meno e tutti e al contempo produrre di più, aver maggior tempo e risorse a disposizione per uno sviluppo armonico delle proprie potenzialità materiali e spirituali e al contempo accrescere la ricchezza collettiva. Questo concetto è ribadito e spiegato in modo ancor più esplicito da Josif Stalin, che qualche anno più tardi scriverà:
 
Non abbiamo bisogno di un aumento qualsiasi della produttività del lavoro del popolo. Abbiamo bisogno di un determinato aumento della produttività del lavoro nazionale, e precisamente di un aumento che assicuri la preponderanza sistematica del settore socialista dell'economia nazionale sul settore capitalista. [...] All'aumento della produttività del lavoro in generale è interessata ogni società, e capitalista, e precapitalista. La differenza tra la società sovietica e ogni altra società consiste proprio nel fatto che essa non è interessata a un aumento qualsiasi della produttività del lavoro, ma ad un aumento che garantisca la preponderanza delle forme socialiste d'economia sulle altre forme e prima di tutto sulle forme capitaliste, che assicuri, in tal modo, il superamento e l'eliminazione delle forme capitaliste di economia. (10)
 
Comunismo di guerra
 
Questo periodo (1918-1921) è fra i più difficili della storia sovietica. Alle difficoltà dovute alla ricostruzione postbellica si aggiunse un attacco congiunto di forze esterne e interne al Paese: alla guerra contro l'intervento straniero si accompagnò la guerra civile. La Repubblica dei Soviet, circondata e assediata, venne privata del grano dell'Ucraina, della Siberia, del Volga, nonché del 90% del carbone, dell'85% del ferro e del 75% della ghisa e acciaio. Per quanto riguarda la crescente attività controrivoluzionaria interna, l'estate 1918 vide un'ondata di rivolte da parte dei possidenti terrieri. Tutto ciò costrinse il popolo sovietico nella sua lotta per la sopravvivenza a una mobilitazione e a privazioni tremende. Povertà, carestia, penuria, conseguenze dell'assedio, dell'intervento e del blocco, quindi un deperimento patologico dell'economia furono il terribile dato che fece sfondo al comunismo di guerra. Mancava il pane, a causa della carestia e degli speculatori che riuscivano ad ammassarne riserve per poi rivenderlo a caro prezzo sul mercato nero, mancava il combustibile, nelle mani degli avversari; restava la torba, i treni si fermavano in mezzo alle foreste per far la legna per arrivare in stazione, nella sola Mosca si distrussero 7500 vecchie case di legno e la pavimentazione stradale per far combustibile. Il tifo fu una terza calamità.
 
Sulla classe operaia incombeva quindi in quegli anni una catastrofe. Essa era costretta a lottare per la sua sopravvivenza fisica: tale obbiettivo era anche il solo che il suo partito in quelle condizioni potesse porsi. Numericamente il proletariato industriale si ridusse della metà. Era colpito proprio nelle sue concentrazioni più cospicue e più combattive: nel '18 gli operai metallurgici di Pietrogrado diminuirono del 78%. Molti furono chiamati a combattere nell'esercito. Altri furono assorbiti nei soviet o da compiti direttivi o amministrativi. Ma altri ancora erano disoccupati, poiché le fabbriche si fermavano: rifluirono spesso verso le campagne nella speranza di sfuggire alla fame delle città o cercavano occasionali fonti di guadagno. Decine di migliaia perirono per la guerra o per le epidemie. Si disgregava tuttavia anche quella parte degli operai rimasta nelle fabbriche. In queste condizioni la produzione industriale si ridusse arrivando nel 1921 a 700-800 mila rubli aurei a fronte dei 6-6,5 miliardi dell'anteguerra; stesso discorso per la produzione agricola, che si ridusse a 1,6-1,8 miliardi di rubli aurei a fronte dei 4,5 miliardi dell'anteguerra.
 
"Una rivoluzione ha valore solo nella misura in cui sa difendersi", scriveva Lenin". E così fu fatto. All'inizio del settembre 1918 il CC esecutivo dei soviet di tutta la Russia dichiarò la repubblica sovietica un "campo militare unico" e tutte le risorse vennero mobilitate per la difesa. Il potere sovietico applicò quindi misure straordinarie, tipiche di un'economia di guerra, ovvero di un "comunismo di guerra": oltre alla media e grande industria venne nazionalizzata anche la piccola. Essa permise di accentrare con maggiore rigore la distribuzione delle materie prime e dei prodotti finiti e di garantire il lavoro dei settori industriali più importanti per la difesa. Il potere sovietico richiese il lavoro obbligatorio da parte di tutte le classi. La borghesia venne costretta al lavoro fisico obbligatorio, sulla base del principio comunista: "Chi non lavora non mangia". Grazie a questa politica e al temporaneo sacrificio dei settori non militari dell'industria, fu possibile organizzare la produzione di armi e munizioni. Questo periodo va però anche ricordato come quello in cui si consolidò il controllo operaio sulla produzione, come riporta il seguente passo, tratto dalla Storia Universale dell'Accademia delle Scienze dell'URSS (12):
 
II risultato più importante del biennio 1918-1920 fu il fatto che gli operai appresero a dirigere la produzione, assicurando quanto era indispensabile per il fronte. La direzione generale dell'industria era affidata al Consiglio Superiore dell'Economia Nazionale, attraverso le proprie direzioni di settore, e dai Consigli economici di governatorato e di città. Alla testa di ogni azienda nazionalizzata era la direzione, i cui membri erano nominati per 2/3 dal consiglio locale o dal Consiglio superiore dell'economia, e per l'altro terzo erano eletti dagli operai per un periodo di sei mesi. Alla fine del 1920 la percentuale di operai nella direzione delle aziende era, secondo dati incompleti, pari al 63,5%.
 
NEP
 
Dopo la vittoria militino, venne affrontata una profonda riorganizzazione delle aziende statali: gratificando le effettive capacità professionali, il lavoro venne retribuito a seconda della qualifica e del lavoro. Inoltre, in uno sforzo di maggior rigore contabile, fu introdotto il calcolo economico delle perdite e dei profitti. Dal punto di vista strategico, la stagione di pace consentì di ripensare il ruolo della produzione industriale all'interno dell'economia nazionale, riconvertendola a finalità civili e costruendo su queste basi l'alleanza fra operai e contadini. Questo concetto è ribadito in questo passo di N. I. Bukharin, uno fra gli attori principali della profonda trasformazione dell'economia nazionale nel periodo della NEP:
 
La nostra industrializzazione socialista si deve differenziare da quella capitalista, in quanto essa conduce il proletariato verso il socialismo e per il suo rapporto privilegiato, innanzi tutto, con l'agricoltura. Il capitalismo opprimeva l'agricoltura. L'industrializzazione socialista invece non è parassitaria nei confronti dell'agricoltura, ma anzi il mezzo della sua ulteriore trasformazione e sviluppo. (13)
 
Occorreva ora accelerare il più possibile lo sviluppo industriale, mettere a disposizione materiali, macchine, materie prime, beni di prima necessità e di consumo in quel momento assolutamente scarsi, al fine di far ripartire un'economia dissestata sotto ogni punto di vista. Per fare ciò occorreva una terapia d'urto, che facesse leva su una rinnovata capacità di investimento, che in un'economia multisettoriale come ancora era quella sovietica voleva dire dare un po' di carota al settore capitalista fino al punto di attirare anche i capitali stranieri. Così si esprimeva molto lucidamente V. I. Lenin, al III Congresso dell'Internazionale Comunista:
 
L'imposta in natura, è ovvio, significa libertà per il contadino di disporre delle eccedenze che gli restano dopo il versamento dell'imposta. Poiché lo Stato non può dare al contadino i prodotti della fabbrica socialista in cambio di queste eccedenze, la libertà di vendere queste eccedenze significa necessariamente libertà di sviluppo del capitalismo. Ma, se contenuto nei limiti indicati, ciò non presenta un pericolo per il socialismo finché i trasporti e la grande industria rimangono nelle mani del proletariato. Al contrario, lo sviluppo di un capitalismo controllato e regolato dallo Stato proletario (ossia del capitalismo "di Stato" preso in questo senso) è vantaggioso e necessario (naturalmente soltanto in una certa misura) in un Paese a piccola economia contadina, arretrato ed estremamente rovinato, in quanto esso è in grado di accelerare la ripresa immediata dell'economia agricola. Ancor più ciò può riferirsi alle concessioni: senza procedere ad alcuna snazionalizzazione, lo Stato operaio da in affitto determinate miniere, settori di foreste, pozzi petroliferi, ecc., ai capitalisti stranieri, per riceverne attrezzature complementari e macchine, che permettano di affrettare la ricostruzione della grande industria sovietica. Lasciando ai concessionari una quota di preziosi prodotti, lo Stato operaio certamente paga un tributo alla borghesia mondiale; senza menomamente nascondercelo, dobbiamo ben comprendere che è cosa vantaggiosa per noi pagare questo tributo, pur di accelerare la ricostruzione della nostra grande industria e di migliorare sensibilmente le condizioni degli operai e dei contadini. (14)
 
Lenin aveva ben presente i rischi presentati da tali aperture a forme miste di economia. I fogli borghesi parlavano di un'imminente restaurazione del capitalismo. Questo pericolo non era per nulla trascurato:
 
II problema è tutto qui: chi arriverà prima? Riusciranno i capitalisti a riorganizzarsi per primi? In questo caso cacceranno i comunisti... Oppure il potere statale proletario, poggiando sui contadini, dimostrerà di essere capace di tenere ben ferme le redini al collo dei signori capitalisti? (15)
 
Arrivarono prima i comunisti. Grazie a questa terapia d'urto vi furono passi in avanti nell'economia nazionale: nel 1923 aumentò la produzione agricola e industriale, quest'ultima del 35-40%, si rafforzarono gli scambi monetari e i legami fra campagna e città. Il buon raccolto del '22 e le scorte accumulate nel'23 abbassarono i prezzi degli alimenti. I prodotti industriali trovarono mercato prevalentemente nelle città, grazie all'urbanizzazione crescente e all'incremento dei salari e del tenore di vita della popolazione. La NEP funzionò e preparò il terreno per un ulteriore passo in avanti dell'industrializzazione: l'elettrificazione del Paese, che consentì l'introduzione di macchinari più moderni e un aumento complessivo di beni in circolazione.
 
2. Politica agricola
 
Rivoluzione d'Ottobre e instaurazione del potere sovietico
 
Nel 1913 il 75% della popolazione era occupato nell'agricoltura. I contadini poveri (bednjaki) ne costituivano il 65%, i contadini medi (serednjaki) il 20% e i contadini agiati (kulaki), classe sorta in seguito alla riforma agraria del 1861, il 15%. Ai latifondisti (pomesciki), allo zar e ai monasteri apparteneva il 42% dei terreni agricoli, ai contadini il restante 58%, di cui il 37% di proprietà dei contadini agiati. Il primo atto della politica agricola dei soviet fu quindi il Decreto sulla terra, che compì un primo passo di giustizia sociale confiscando i latifondi e ridistribuendoli ai contadini. Esso iniziava così:
 
1)      La grande proprietà fondiaria è abolita immediatamente senza alcun indennizzo. 
2)      Le tenute dei grandi proprietari fondiari, come tutte le terre demaniali, dei monasteri, della Chiesa, con tutte le loro scorte vive e morte, gli stabili delle ville, castelli e tutte le suppellettili sono messi a disposizione dei comitati agricoli di volost' e dei Soviet distrettuali dei deputati contadini fino alla convocazione dell'Assemblea costituente. 
3)      Qualunque danno arrecato ai beni confiscati che da questo momento appartengono a tutto il popolo, è dichiarato grave delitto punibile dal tribunale rivoluzionario. I Soviet distrettuali dei deputati contadini prendono tutte le misure necessarie perché nel corso della confisca della terra dei grandi proprietari sia osservato l'ordine più severo, per decidere quali appezzamenti, esattamente, e in quale misura sono soggetti a confisca, per la precisa compilazione dei sequestri e per la più rigorosa difesa rivoluzionaria di tutte le terre che divengono proprietà del popolo, con tutti gli stabili, gli attrezzi, il bestiame, le scorte dei prodotti, ecc. (16)
 
La terra espropriata venne ridistribuita fra i contadini secondo una norma detta "di consumo e di lavoro" cioè, a secondo dei casi, quanta gliene occorreva per vivere o quanta ne poteva lavorare. V. I. Lenin aveva elaborato un piano che coinvolgesse i contadini nel processo economico socialista. Esso presupponeva un passaggio graduale a forme di proprietà cooperative sulla base del crescente aiuto economico che a esse sarebbe stato fornito dalla classe operaia, dello Stato e del Partito. I vantaggi derivati dall'adesione a questa forma di economia avrebbero convinto i produttori agricoli a scegliere volontariamente di collettivizzare i propri appezzamenti. Tuttavia, ogni tentativo di sviluppare su queste basi l'economia agricola fu soffocato dall'intervento straniero e dalla guerra civile.
 
Comunismo di guerra
 
La carestia data dalla guerra e la fame nelle città obbligò il governo sovietico a prendere misure di emergenza, dette "politica dei prelevamenti". Nel novembre 1918 il Consiglio dei Commissari del Popolo proibì il commercio privato dei prodotti di prima necessità e nel gennaio 1919 promulgò un decreto sulle requisizioni del grano e del foraggio. In seguito la requisizione si diffuse ad altri prodotti dell'agricoltura, obbligando i contadini a consegnare allo Stato tutti i surplus alimentari. Gli organi stabilivano la quantità di grano e di altri prodotti da lasciare al contadino per il consumo e le semine e la quantità di foraggio per il bestiame. Tutto il resto doveva essere consegnato allo Stato. In rapporto al raccolto si stabilivano i quantitativi di requisizione nei governatorati, nelle province, nelle cittadine, nei villaggi e infine nelle aziende dei contadini. La requisizione avveniva in base al principio di classe: "dai contadini poveri nulla, da quelli medi moderatamente, dai ricchi molto". Con la requisizione dei prodotti agricoli, lo Stato poté disporre di grandi quantitativi di grano e rifornire così gli operai e l'esercito.
 
Le requisizioni erano molto dure per i contadini, ma molti di essi si rassegnarono, poiché constatavano che conservare la terra ricevuta dal potere sovietico era impossibile senza appoggiarlo pienamente. L'alleanza militare-politica tra la classe operaia e i contadini, posta a base del comunismo di guerra, venne così caratterizzata da Lenin:
 
II contadino riceveva dallo stato operaio tutta la terra e la difesa dai possidenti; gli operai ricevevano dai contadini i prodotti alimentari. (17)
 
NEP
 
Nella primavera del 1921, con la vittoria militare, si crearono le condizioni per superare questa terribile emergenza. Dall'8 al 16 marzo 1921 si tenne il X congresso del partito comunista. La più importante delle decisioni del congresso fu proprio la risoluzione sul passaggio alla NEP, approvata in base al rapporto di Lenin "Sulla sostituzione dei prelevamenti delle eccedenze con l'imposta in natura". In sostanza, sostituendo i prelevamenti con un'imposta in natura fissa - 240 milioni di pud (1 pud = 16 kg) per il 1921-22 al posto di 490 - si voleva alleggerire la pressione sui contadini, dare loro la possibilità di disporre liberamente delle eccedenze e, tramite questi incentivi, consolidare il settore agricolo e incrementarne la produttività. Come abbiamo già visto, questa strategia funzionò. Al III Congresso dell'Internaziona Comunista Lenin traccia storia e caratteristiche dell'alleanza fra operai e contadini:
 
La base per normali rapporti tra proletariato e contadini nella Russia Sovietica è stata posta nel periodo 1917-1921, quando l'aggressione dei capitalisti e dei grandi proprietari fondiari, sostenuti sia dalla borghesia di tutto il mondo che da tutti i partiti della democrazia piccolo-borghese (socialisti-rivoluzionari e menscevichi), creò, consolidò e stabilì l'alleanza militare dei proletari e dei contadini in favore del potere sovietico. La guerra civile è la forma più aspra della lotta di classe, e quanto più aspra è questa lotta, tanto più rapidamente scompaiono nelle sue fiamme tutte le illusioni e i pregiudizi piccolo-borghesi, tanto più chiaramente, realtà dimostra, persino agli strati contadini più arretrati, che soltanto la dittatura del proletariato può salvarli, che i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi sono di fatto null'altro che i servitori dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti. 
Ma se l'alleanza militare del proletariato e dei contadini è stata - e non poteva non esserlo - la prima forma della loro salda alleanza, questa non sarebbe potuta durare neppure alcune settimane senza che si stabilisse anche una certa alleanza economica. Il contadino ha ricevuto dallo Stato operaio tutta la terra ed è stato difeso contro il grande proprietario fondiario e contro il kulak, gli operai hanno ricevuto a credito dai contadini le derrate alimentari in attesa che la grande industria fosse riattivata.
L'alleanza tra i piccoli contadini e il proletariato potrà diventare del tutto normale e stabile dal punto di vista socialista, soltanto quando i trasporti e la grande industria, completamente riattivati, permetteranno al proletariato di dare ai contadini, in cambio delle derrate alimentari, tutto ciò di cui hanno bisogno per loro e per il miglioramento della loro azienda. In un paese terribilmente rovinato non era possibile in alcun modo giungervi di colpo. [...] 
Un'imposta in natura moderata apporta subito un gran miglioramento nella situazione dei contadini, che al tempo stesso saranno interessati a estendere le aree seminate e a migliorare le colture. L'imposta in natura è il passaggio dalla requisizione di tutto il grano eccedente del contadino a un giusto scambio socialista di prodotti tra industria e agricoltura. (18)
 
La NEP agì positivamente sulla struttura di un'economia agricola in rapido quanto incontrollato mutamento, ma non senza contraccolpi: il corso di questa ristrutturazione non era infatti andato in senso collettivista, ma nella direzione di uno sviluppo ancora basto sulla piccola-media produzione individuale. Nelle campagne crebbe significativamente la quota dei contadini medi. Nel 1928-29 i contadini poveri erano passati dal 65% al 35%, i contadini medi erano saliti dal 20% al 60%, mentre i contadini agiati erano diminuiti dal 15% al 5%. Essi però detenevano il 15-20% dei mezzi di produzione, fra cui circa 1/3 di tutte le macchine agricole. L'imposta in natura quindi, se da un lato funse da volano per la ripresa della produzione agricola, dall'altro mostrò ben presto i suoi limiti e generò contraddizioni crescenti che sarebbero poco più tardi sfociate in una delle più vasta campagne di collettivizzazione mai intraprese.
 
3. Politica finanziaria
 
Rivoluzione d'Ottobre e instaurazione del potere sovietico
 
La situazione prerivoluzionaria è presto detta. Le spese belliche erano fuori controllo e la massa di denaro circolante al primo marzo 1917 era aumentata di ben 4 volte rispetto al periodo prebellico (laddove invece era stata da decenni vincolata allo standard aureo). Tutto ciò aveva causato un rapido aumento dei prezzi, già al 100% nel 1916, il rublo si era deprezzato di 4 volte rispetto al periodo prebellico e la circolazione monetaria era del tutto disorganizzata. Giunto al potere, il governo provvisorio di Kerenskij non riuscì a fronteggiare tali difficoltà. Cercò di far fronte al bilancio in deficit aumentando le tasse e immettendo nuova cartamoneta, stampandone in 8 mesi tanta quanta ne era stata stampata nei due anni e mezzo di guerra precedenti: circolavano biglietti di grosso taglio e biglietti di Stato. Tuttavia, l'impennata dei prezzi e la speculazione resero inutile tale sforzo e la "fame di denaro" divenne una vera e propria crisi, a cui il governo provvisorio tentò di rispondere emettendo ulteriore denaro. La totale carenza di banconota, specialmente di piccolo e medio taglio, portò persino in alcune città e province all'emissione di monete autonome diverse da quelle statali, con conseguente ulteriore caos e impennata dell'inflazione. Col governo provvisorio iniziò quindi anche la fine del sistema monetario unico nazionale.
 
Di fronte a ciò i bolscevichi, forti degli insegnamenti di Marx e Lenin, da lungo tempo avevano approntato un loro piano d'azione, improntato a sostituire anche nel settore finanziario i vecchi rapporti produttivi di sfruttamento con quelli nuovi del regime socialista. Attenendosi alle posizioni leniniste sul ruolo delle banche nel sistema della produzione sociale e facendo proprie le lezioni della storia, e in particolare l'errore della Comune di Parigi, che aveva lasciato nelle mani della borghesia le banche, il potere sovietico imboccò subito la strada della nazionalizzazione. L'8 novembre 1917 la Banca di Stato passò sotto l'amministrazione dello Stato socialista. Il 17 dicembre 1917 il Comitato Centrale Esecutivo Panrusso emanò un decreto sulla nazionalizzazione delle banche private (provvedimento decretato rapidamente per il sabotaggio della legge sul controllo operaio a opera dei titolari delle banche private). Tutte le banche azionarie private e gli uffici bancari furono aggregati alla Banca di Stato. Il potere sovietico si preoccupò di salvaguardare gli interessi dei lavoratori che avessero dei depositi. La nazionalizzazione delle banche privò la borghesia di una potente leva economico-finanziaria. Furono inoltre annullati i prestiti interni ed esteri contratti dal governo zarista e dal governo provvisorio. In tal modo il potere sovietico liberò la Russia dalla servitù finanziaria e rafforzò l'indipendenza del paese.
 
Dopo la presa del potere altrettanto importante fu sin da subito la gestione economica: "inventario e controllo" con cui esercitare il controllo operaio anche sulle finanze. Questa politica economica richiedeva un rafforzamento del sistema monetario e, di conseguenza, la riduzione dell'emissione di banconote e il ritiro dalla circolazione del denaro superfluo. V. I. Lenin ipotizzava di realizzare la riforma monetaria tramite la sostituzione della vecchia moneta con una nuova. Ciò rifletteva la politica del Partito, tesa non ad annientare il denaro dopo la vittoria della rivoluzione ma a conservarne forma e impiego. L'idea centrale del piano di Lenin di riforma monetaria consisteva nel togliere agli elementi capitalisti la possibilità di concentrare nelle proprie mani somme di denaro per contrastare l'inventario e il controllo statale e, al contrario, impiegare il denaro come arma del potere sovietico contro loro. Per fare ciò non bastava solamente sostituire una moneta con un'altra, ma occorreva soprattutto creare le condizioni per la sua stabilità. Per questo motivo il piano leninista era inserito in un sistema complessivo di misure economiche e finanziarie, dirette all'incremento della produttività del lavoro, all'ampliamento degli scambi commerciali e alla regolamentazione dei prezzi, allo sviluppo dei pagamenti tramite giroconto e dei depositi bancari, all'incremento del flusso di denaro per mezzo dei conti correnti, alla regolamentazione dei bilanci finanziari e a un più rigoroso controllo delle entrate e delle uscite con la reintroduzione dopo anni della previsione di bilancio statale. Tutto ciò fu messo in pratica e con risultati incoraggianti, sia pur tra enormi difficoltà, fra la primavera e l'estate del 1918, ma subito rimesso nel cassetto a causa della nuova guerra incombente.
 
Comunismo di guerra
 
Se sul fronte militare e su quello della coesione sociale si raccoglievano i primi segnali di riscossa, su quello economico-finanziario si assistette a un arretramento pauroso. Le prime discussioni e le prime sperimentazioni sui salari, le tariffe, i cottimi, gli incentivi furono ben presto travolte dall'inflazione monetaria galoppante. Il governo sovietico non aveva avuto il tempo di creare un suo bilancio e una sua tesoreria. I primi tentativi fiscali furono un fallimento, perché resero poco e provocarono molti risentimenti. Non restava che stampare carta moneta, destinata a deprezzarsi da un giorno all'altro, per cercare di coprire il deficit di bilancio. Come risultato i prezzi raddoppiavano ogni tre mesi. Già nell'autunno '17 il rublo di carta era svalutato di 15 volte rispetto al 1913; alla fine del 1920 esso lo era di 20.000 volte. Circolavano biglietti di credito zaristi, denari emessi durante il governo provvisorio, biglietti di Stato del governo sovietico e sovznak (denaro emesso dal Tesoro senza copertura aurea dal 1919 al 1924). In totale da fine 1917 a metà 1921 la massa di banconote aumentò di 119 volte.
 
Tutto questo non fece altro che intensificare manovre speculative da parte di affaristi che ricavarono dalla compravendita di denaro enormi profitti. Col salario di un mese l'operaio non poteva comprare più nulla ed era in grado di coprire il proprio fabbisogno alimentare per soli tre giorni. Per garantire la sua sopravvivenza si cercò di compensarlo in natura, cioè con un minimo di beni alimentari (la razione e i pasti alle mense), di indumenti e di servizi, forniti a prezzi fissi, poi addirittura gratuiti. Gli affitti non costavano quasi più nulla: parecchi operai vennero insediati, sia pure in stretta coabitazione, negli alloggi dei benestanti. La parte in natura del salario divenne quindi dominante: essa era il 3,1% nel 1917 e il 93% nel marzo del '21. Oltre a questo ci fu un drastico, quasi monastico livellamento delle retribuzioni, che pure si era cercato di evitare. Incluso il compenso in natura, il salario arrivò ad essere solo il 27-28 % di quello anteguerra. Le razioni erano minime, garantite solo ai lavoratori indispensabili, distribuite irregolarmente e comunque insufficienti per vivere. Si diffusero quindi pratiche illegali e di lavoro nero, con cui intere azienda cercavano di arrotondare i loro redditi e per questo ampiamente tollerate dalle autorità. Garantendo comunque il minimo vitale a tutti tramite la pressoché totale sostituzione del pagamento in contanti con quello in natura si riuscì comunque, anche in questo difficile frangente, a tutelare la classe operaia e i contadini rispetto alle altre classi.
 
A questo proposito, un effetto positivo del crollo del potere di acquisto del denaro fu la polverizzazione delle enormi accumulazioni monetarie degli elementi capitalisti di città e campagna. L'intero complesso di misure economiche e finanziarie del Partito e del governo era teso a scaricare il peso dell'inflazione non sulle spalle dei lavoratori, ma dei borghesi e dei contadini agiati. In questo consistette la principale differenza con l'iperinflazione conosciuta nei Paesi capitalisti come, ad esempio, la Germania del primo dopoguerra. Tuttavia, lo scambio in natura generò un ulteriore deprezzamento del rublo e portò ulteriore caos nei rapporti monetari: ciò generò idee scorrette sul denaro e sul fatto che esso non occorresse più del tutto. Si giunse a ipotizzare per la società socialista altri elementi di misura del valore, come le "unità lavoro", mentre altri salutavano il continuo deprezzamento come una via naturale all'estinzione del denaro. Queste posizioni comunque contrastavano con la linea del Partito fissata da Lenin ed erano aspramente criticate.
 
NEP
 
Dopo la vittoria, come nell'industria e nell'agricoltura, anche nella sfera finanziaria iniziò un forte dibattito per la ricerca di una nuova politica economica. Le misure finanziarie previste inizialmente nella primavera del 1918 non erano più attuabili, a causa degli enormi mutamenti che avevano colpito nel frattempo il giovane Stato sovietico. Tuttavia la direttrice fondamentale della ristrutturazione finanziaria e i principi socialisti di impiego del denaro, del credito e delle finanze, tracciati da Lenin nel 1918, conservarono la stessa alta e vitale ispirazione. Inoltre, l'esperienza raccolta prima della guerra civile rese grandemente possibile il successo delle misure intraprese tra il 1921 e il 1925.
 
Rispetto dunque al comunismo di guerra, la politica governativa nella sfera monetaria e salariale cambiò radicalmente. Uno dei suoi presupposti fu la creazione di un'unità monetaria stabile. Il pauroso deprezzamento dei sovznak, causa di continui mutamenti dei prezzi e delle proporzioni fra gli stessi, non consentiva infatti di predisporre alcun calcolo economico realistico. Una valuta stabile era necessaria anche per stilare il bilancio statale, organizzare il sistema creditizio e il commercio. I piccoli produttori infatti avevano da tempo abbandonato i sovznak per ritornare addirittura alle monete auree di epoca zarista quando non alla valuta straniera. Tutto questo inoltre era di enorme ostacolo allo sviluppo di qualsiasi commercio fra città e campagna. Inoltre, dal momento che uno dei principi della NEP era includere il Paese nei processi di divisione internazionale del lavoro e sviluppare rapporti di cooperazione con altri Paesi, la nuova valuta doveva essere oltre che stabile anche convertibile e ciò richiedeva la creazione di un sistema monetario dello stesso tipo di quello vigente nei Paesi capitalisti industrializzati.
 
Un problema era la copertura di questa nuova moneta: c'era chi teorizzava di tornare all'oro, elemento di stabilità e di misura del valore e dei prezzi delle merci; si parlava quindi di "rublo aureo". A questo disegno si opponevano i sostenitori invece di un "rublo mercantile" sganciato completamente dal mercato estero e funzionale unicamente a quello interno. Il volume della sua emissione sarebbe stato determinato da un indice dei prezzi fissato dallo Stato e dal totale della produzione mercantile. Altre discussioni riguardavano invece i tempi di attuazione delle riforme e il ruolo dei sovznak, così deprezzati e così però diffusi come moneta.
 
Nell'ottobre 1921 i prezzi tornarono a crescere: infatti, con il passaggio alla Nep aumentarono i salari dei lavoratori e dell'industria. Di conseguenza aumentò l'emissione di cartamoneta e i prezzi al dettaglio aumentarono di 30 volte in 9 mesi. In queste condizioni di iperinflazione anche indicizzare i prezzi si rivelò inefficace: furono tentale le strade del rublo mercantile, dell'indice del Gosbank, dell'indice della Commissione speciale sui prezzi, dell'indice di bilancio, tuttavia nessuna di esse diede stabilità al sovznak. Il Ministero delle Finanze (Narkomfin) e la Banca di Stato (Gosbank) decisero di correre ai ripari e fu ripreso il progetto di affiancare al sovznak un'altra moneta, stabile, convertibile in oro, emessa unicamente dal Gosbank. La nuova moneta venne chiamata cervonets e la sua emissione (novembre 1922) diede il via a una riforma monetaria in tre tappe:
 
- Nella prima tappa il Gosbank mise in circolazione i cervonets per dei prestiti a breve scadenza al Tesoro, a patto che essi fossero coperti dalle sue riserve di metalli preziosi per almeno il 50%. I biglietti bancari erano impiegati per il loro valore nominale nel pagamento delle tasse e imposte statali quando per legge i pagamenti dovevano essere espressi in oro. Il Gosbank era tenuto a cambiare sempre e comunque i biglietti bancari con i sovznak e aggiornava quotidianamente il tasso di cambio. La stabilità del cervonets era sostenuta dal Gosbank tramite la libera compravendita di oro e valuta estera nel mercato interno. Allo stesso tempo il ministero cercò di stabilizzare il sovznak rendendolo più "pesante" (con meno zeri) realizzando a brevissima distanza ben due "denominazioni". L'obbiettivo era di unificare la circolazione di denaro e semplificare i calcoli economici. La prima denominazione del 1922 fu realizzata per decreto del Ministero delle Finanze: un nuovo rublo veniva ora scambiato con 10.000 unità monetarie di qualsiasi specie circolanti. Fu così che dalla fine del 1922 all'inizio del 1924 coesistettero in circolazione cervonets e sovznak: i primi erano impiegati nel commercio all'ingrosso e nei saldi contabili fra imprese statali ed enti, i secondi nel commercio al dettaglio e nello scambio fra città e campagna. È lo stesso Lenin nel novembre del '22 a fare il punto della situazione al IV Congresso del Comintern:
 
Anzitutto parlerò del nostro sistema finanziario e del nostro "famoso" rublo. Penso di poter affermare che i rubli russi siano famosi anche solo per il motivo che oggi in circolazione ce ne son di più di un quadrilione! (Risate) È una cifra astronomica. Son sicuro che qui non tutti sappiano cosa realmente significhi. (Risate generali). Ma noi non pensiamo che tale cifra sia in sé interessante dal punto di vista della scienza economica, visto che gli zeri possono essere sempre depennati. (Risate.) In quest'arte abbiamo ottenuto qualche risultato, del tutto ininfluente dal punto di vista strettamente economico e in seguito ricorreremo ancora a essa. Ciò che a noi realmente preme è il problema della stabilizzazione del rublo! Stiamo ora lavorando alla sua soluzione, le nostre forze migliori vi stanno lavorando e stiamo dando a ciò estrema importanza. Se riuscissimo a stabilizzare il rublo nel lungo periodo, e quindi a tempo indeterminato, vorrebbe dire che avremmo vinto. In tal caso tutte queste cifre astronomiche, questi trilioni e quadrilioni, non avrebbero significato nulla. Saremo capaci allora di basare la nostra crescita economica su basi solide. [...] La pratica dimostra che siamo già sulla strada giusta, stiamo iniziando a spingere la nostra economia verso la stabilizzazione del rublo, che è di suprema importanza per il commercio, per la libera circolazione delle merci, per i contadini e per le grandi masse di piccoli produttori.
 
Il sistema di circolazione parallela ebbe esiti positivi come negativi. Fra i primi, l'economia nazionale ebbe finalmente una valuta sufficientemente stabile, il cervonets, e questo scongiurò il pericolo che fossero immesse in circolazione oro e monete straniere. L'espressione in cervonets del credito alle aziende e al commercio si rivelò senz'altro più significativa dello stesso espresso però in sovznak. L'emissione di cervonets e il sostegno dato allo scambio di essi con valuta straniera permisero di incrementare i rapporti con l'economia mondiale e stabilire relazioni con istituti di credito stranieri incrementando così il credito commerciale. A partire da aprile 1924 inoltre il cervonets fu quotato alla borsa valori di New York e dopo due anni nelle maggiori piazze affari del mondo. Tuttavia, questo sistema ebbe anche conseguenze negative. Ci fu una forte speculazione sulla differenza fra il corso ufficiale e quello effettivo del cervonets, che investì tutti gli strati della popolazione. Fu fatto tutto il possibile per gestire il conseguente deprezzamento del sovznak, ma ne soffrirono tutti, a cominciare dallo stesso Stato e istituti di credito pubblici. Il cervonets restava inoltre una valuta prettamente cittadina e in campagna potevano permettersene il possesso solamente i contadini ricchi: si creò quindi una rottura tra i due mercati. Le operazioni contabili divennero più complesse e aumentarono le possibilità di errori contabili e di malversazioni.
 
- Nella seconda tappa della riforma (1923) ci fu l'introduzione dei cervonets nello scambio economico nazionale mentre i sovznak, ulteriormente svalutati, erano oggetto di una seconda denominazione: il nuovo rublo ora valeva 100 rubli del '22. Fu in questo periodo che i cervonets gradualmente estromisero i sovznak: se a inizio anno erano il 3% della moneta circolante, già a ottobre erano saliti al 74%. Nei primi sette mesi la loro emissione avvenne a ritmo regolare, ma nei successivi cinque mesi essa subì una forte accelerazione. Causa di emissioni così ingenti fu l'apertura di crediti per grandi somme all'industria che, a causa della svalutazione, non era riuscita nel frattempo a mantenere nelle proprie casse il denaro che aveva soltanto all'inizio della NEP. Già a partire da maggio del '23 i finanziamenti in generale erano andati oltre le reali disponibilità creditizie e avevano assunto un carattere inflazionistico. Conseguenza di ciò fu un ulteriore deprezzamento dei sovznak e il governo li cercò di salvare giocando la sua ultima carta: fu dato ordine di emettere sovznak nella misura massima dell'equivalente di 15 milioni di rubli aurei al mese. Tuttavia, ciò generò scarsità di moneta e a fine estate del '23 scoppiò la "crisi delle monete di piccolo taglio": la struttura complessiva del denaro circolante mutava radicalmente e la quantità di sovznak in circolazione non bastava più per cambiare i cervonets. Questa crisi impoverì l'economia nazionale e iniziarono a comparire in circolazione nuovi surrogati del denaro di piccolo taglio. Il Narkomfin fu costretto a limitare per decreto il cambio indiscriminato dei cervonets sui sovznak: alla quantità di cervonets cambiati doveva corrispondere una pari quantità di sovznak emessa per finanziare i prelevamenti di grano. Ora era il mercato in ultima analisi a determinare la quantità di sovznak da emettere, il che portò a un'ulteriore svalutazione di tale moneta. Nonostante fossero emesse ogni mese decine di quadrilioni (10 elevato 24) di rubli in sovznak, la crisi delle monete di piccolo taglio durò fino all'inverno, quando i prelevamenti di grano si ridussero. Tuttavia, anche il potere d'acquisto del cervonets si era abbassato e a settembre del '23 era il 75% di quello di gennaio. Per impedire un ulteriore deprezzamento, il Narkomfin mutò ancora una volta la sua politica monetaria e riagganciò il tasso di cambio dei cervonets sui sovznak all'indice dei prezzi delle merci. La svalutazione del sovznak prese allora ritmi da capogiro e se ne decise la totale liquidazione.
 
- Per attuare la terza tappa della riforma monetaria fu necessario liquidare il deficit del bilancio statale. La svalutazione del sovznak aveva dato un enorme contributo a tal scopo in quanto aveva notevolmente ridotto l'entità dei debiti precedentemente contratti. Un ulteriore contributo lo diede lo Stato con l'introduzione in ogni sfera economica dei metodi di bilancio del calcolo economico e degli obbiettivi di piano. Furono così perfezionati i legami economici fra bilancio statale, organizzazioni e aziende. Ritornarono in vigore i severi controlli sul bilancio e sulle spese che avevano caratterizzato i primi tempi della rivoluzione. Per quattro volte furono inoltre emesse obbligazioni con l'obbiettivo di ridurre ulteriormente il debito: come risultato il deficit del bilancio statale al momento della terza tappa della riforma era ridotto al 5,5%. Altro presupposto di questa fase della riforma fu il processo di "denaturalizzazione" della tassazione, ovvero di passaggio dal pagamento in natura a quello in denaro, completato nel 1924. Questa misura incrementò notevolmente il bisogno di denaro da parte del mercato. Furono creati così i presupposti per la terza fase: furono emessi biglietti dal Tesoro, biglietti di Stato e monete di piccolo taglio coniate in una lega d'argento e rame. Allo stesso tempo furono ritirati dalla circolazione i sovznak: il cambio con cui furono ritirati rimase fisso a un rublo di biglietti di Stato contro 50.000 rubli di sovznak nel 1923.
 
Ormai il governo dei soviet aveva stabilito pieno controllo sulla situazione finanziaria: l'iperinflazione fu infine liquidata e ciò rafforzò i principi del calcolo economico nell'industria, stabilizzò i prezzi, sviluppò il commercio, ampliò i rapporti monetario-mercantili fra città e campagna e creò finalmente una valuta stabile e un bilancio statale senza debiti in un'economia sana e socialista. La rivoluzione bolscevica aveva trionfato non solo nelle piazze e sul campo di battaglia, ma anche in politica economica: per la prima volta nella Storia operai e contadini salivano in cattedra a dare lezioni di economia politica a un Occidente borghese che di lì a poco sarebbe stato travolto dalla crisi del '29. A distanza di novant'anni, resta ancora l'immensa portata storica di quegli eventi a testimoniare la validità di tali lezioni.
 
 
Note
 
1. V. I. Lenin, L'estremismo, malattia infantile del comunismo, 1920.
2. V. I. Lenin, Sessione del Comitato Esecutivo Centrale panrusso, aprile 1918.
3. V. I. Lenin, Sullo Stato, lezione tenuta l'11 luglio 1919 all'università Sverdlov.
4. V. I. Lenin, Sull'imposta in natura, 1921.
5. Note critiche sulla questione nazionale, 1913, cap. VI, "Centralizzazione e autonomia".
6. Sui compiti immediati del potere sovietico, 1918.
7. Cfr. Grande Enciclopedia Sovietica.
8. Sui compiti immediati del potere sovietico, 1918.
9. V. I. Lenin, Sull'imposta in natura, 1921
10. Della deviazione di destra nel PC(b) dell'Unione Sovietica, Aprile 1929
11. Il soviet di Mosca, i comitati di fabbrica e i sindacati: rapporto alla sessione plenaria del CC esecutivo dei soviet di tutta la Russia, 1918.
12. Vol. VIII, pp. 257-8
13. Note di un economista.
14. Tesi e relazione sulla tattica del PCR, 1921.
15. La Nep e i compiti dei centri di rieducazione politica.
16. Decreto sulla terra, 8 novembre 1917.
17. III Congresso dell'Internazionale Comunista. Tesi e relazione sulla tattica del PCR.
18. Tesi e relazione sulla tattica del PCR, 1921
 

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