www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 16-11-11 - n. 385

da il nostro Ottobre, La Città del Sole, Napoli, 2007
testo messo a disposizione da La Città del Sole per www.resistenze.org
 
L’arte della Rivoluzione: Lenin e l’Ottobre
 
di Renato Caputo
 
Colui che attende una rivoluzione sociale "pura", non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione (1).
 
L’accusa rivolta alla Rivoluzione d’ottobre di essere stata un putsch compiuto da un’esigua minoranza di utopisti antidemocratici non è nuova. Essa fu indirizzata da Plechanov alle Tesi di Aprile stese da Lenin nei mesi precedenti la rivoluzione e sarà poi ripresa negli ambienti dell’Internazionale socialista, sino a divenire luogo comune nel revisionismo storico oggi imperante. Lenin si è servito di tale critica per distinguere nel modo più netto la concezione marxista della rivoluzione da quella putchista. Quest’ultima è, a suo parere, un’insurrezione "di un gruppo di cospiratori o di sciocchi maniaci" (2) condannata all’insuccesso in quanto priva del supporto delle masse. L’esito positivo di un processo rivoluzionario non dipende da un complotto ben congegnato o dall’azione di un partito politico, se non nella misura in cui siano in grado di sollevare e dirigere la classe rivoluzionaria cogliendo "il momento in cui l’attività delle schiere più avanzate del popolo è massima e più forti sono le esitazioni nelle file dei nemici" (3). Dare il segnale per l’insurrezione nel momento in cui la sola avanguardia è pronta alla lotta, "prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o di appoggio diretto all’avanguardia o, per lo meno, di benevola neutralità nei suoi riguardi [...], non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto" (4).
 
La Rivoluzione d’ottobre, come del resto qualsiasi processo rivoluzionario, costituisce una rottura ed al contempo un salto qualitativo nel corso storico. Per tale motivo i critici della rivoluzione, a partire dal 1790, le hanno contestato di aver violato in modo arbitrario e soggettivistico quel "naturale" corso degli eventi che avrebbe risolto da sé, o con un intervento riformistico, le proprie contraddizioni. A tali posizioni Lenin contrappone l’idea che i processi rivoluzionari non si fanno, ma "sorgono dalla crisi e dai rivolgimenti storici obiettivamente maturi" (5). Un progetto rivoluzionario può tradursi in atto solo se sono presenti nella realtà i suoi presupposti "obiettivi, indipendenti dalla volontà, non soltanto di singoli gruppi e partiti, ma anche di singole classi", in assenza dei quali "la rivoluzione - di regola - è impossibile" (6).
 
Si tratta tuttavia di condizioni necessarie, ma non sufficienti arendere effettuale una situazione rivoluzionaria. Ad esse deve necessariamente corrispondere ´una trasformazione soggettiva, cioè la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti per poter spezzare (o almeno incrinare) il vecchio governo, il quale, in un periodo di crisi, non "cadrà" mai se non lo "si farà cadere" (7). Sino a che le masse non si saranno dotate di un’organizzazione conseguentemente rivoluzionaria resteranno prive d’una volontà comune capace di condurle alla vittoria nella lotta complessa e dagli esiti imprevedibili "contro la potente organizzazione terroristica e militare degli Stati centralizzati" (8). Infine, anche in presenza delle condizioni soggettive ed oggettive, l’esito della rivoluzione non è mai prevedibile dal momento che, come ogni azione, dipende dalle reazioni delle classi avverse ed intermedie sul piano nazionale ed internazionale.
 
A parere di Lenin, persino i tentativi rivoluzionari sconfitti hanno avuto una funzione storica progressiva poiché:
 
- "le masse acquisteranno esperienza, si istruiranno, raccoglieranno le forze"9;
- eleveranno la vita politica ad un livello superiore costringendo le classi dominanti a tener conto delle rivendicazioni fondamentali dei subalterni (10);
- prepareranno il terreno ad una rivoluzione vittoriosa svolgendo la funzione di prova generale e ridestando all’azione politica settori sociali sino ad allora passivi;
- riveleranno la natura di classe delle differenti formazioni politiche, sperimentando nella pratica la concretezza e universalità dei differenti programmi;
- offriranno un prezioso ed imprescindibile materiale per lo sviluppo della teoria rivoluzionaria. A chi, alla luce del suo apparente fallimento, considera la Rivoluzione d’ottobre un inutile spargimento di sangue bisognerebbe ricordare che essa:
- ha realizzato per la prima volta nella storia ´la promessa di "rispondere" alla guerra tra gli schiavisti con la rivoluzione degli schiavi contro tutti gli schiavistiª (11), mantenendola sino in fondo nonostante tutte le difficoltà;
- non solo ha posto fine a due guerre imperialiste mondiali, sconfiggendo il nefasto piano nazi-fascista di dominare il mondo, ma ha altresì impedito lo scoppio della terza;
- ha contribuito in modo decisivo alla diffusione dei diritti democratici presenti nella propria costituzione, cui i paesi a capitalismo avanzato si sono dovuti in qualche modo adeguare per mantenere l’egemonia sulle masse;
- ha dato un contributo determinante, dal punto di vista pratico e teorico, alla sconfitta del colonialismo;
- ha offerto una miniera di materiali per sviluppare la teoria della Rivoluzione e le problematiche della transizione al socialismo, incomparabilmente più ricca di quella fornita dalla Comune di Parigi su cui si basavano le concezioni precedenti.
 
Sebbene nessuno possa sapere a priori se le condizioni rivoluzionarie si tradurranno in atto, il compito fondamentale dell’avanguardia è: "di svelare alle masse l’esistenza della situazione rivoluzionaria, di mostrarne l’ampiezza e la profondità, di svegliare la coscienza rivoluzionaria del proletariato, di aiutarlo a passare alle azioni rivoluzionarie e di creare organizzazioni corrispondenti alla situazione rivoluzionaria" (12). In ogni caso l’avanguardia potrà adempiere al proprio compito solo tenendosi pronta all’evenienza che si produca una situazione rivoluzionaria. Il partito rivoluzionario, per poter affrontare dei mutamenti repentini del corso storico indipendenti dalla propria volontà e che possono sfuggire alla propria capacità di previsione, deve essere addestrato ad utilizzare ogni forma di lotta, sapendo di volta in volta selezionare la più adeguata alla fase. Non solo l’avversario di classe è sempre pronto ad avvalersi di qualsiasi mezzo utile, anche il più turpe, ma è il fine stesso ad imporre gli strumenti adeguati alla sua realizzazione.
 
D’altra parte, Lenin non esclude che in una situazione particolare, in cui gli apparati repressivi dello Stato sfuggano al controllo della classe dominante, non sia necessario ricorrere ai mezzi generalmente indispensabili. Se si desse la possibilità d’uno sviluppo "pacifico della rivoluzione - possibilità estremamente ed eccezionalmente rara nella storia ed estremamente preziosa" (13), anche un partito che sostiene la via insurrezionale non dovrebbe lasciarsi sfuggire l’opportunità (14). La forza e la legittimità della violenza rivoluzionaria risiede nel suo essere una "violenza seconda", ossia una necessità imposta tanto dallo scopo finale quanto dalle forme di lotta imposte dall’avversario (15).
 
A parere di Lenin non "esistono leggi storiche riguardanti le rivoluzioni e che non conoscono eccezioni", dal momento che la teoria della rivoluzione nasce dalla riflessione sull’esperienza storica stabilendo ´ciò che Marx ha definito una volta "ideale"ª nel senso di un contesto storico "medio, normale, tipico" (16). Dunque, sebbene vi siano casi particolarmente fortunati in cui sarà possibile una trasformazione strutturale del sistema sociale e politico senza dover "spezzare" lo stato borghese, in generale le forze rivoluzionarie saranno costrette a battersi sul campo imposto dagli avversari, che si serviranno degli apparati repressivi dello Stato contro ogni tentativo di porre in discussione radicalmente i loro privilegi.
 
Il pacifismo, la nonviolenza in una società divisa in classi non sono che pie illusioni, fughe dinanzi ad una deplorevole realtà, un abdicare del proletariato al compito storico di porsi quale classe universale, dal momento che generalmente sarà possibile liberarsi dallo sfruttamento capitalista e dalle guerre imperialiste unicamente attraverso la tragica esperienza della guerra rivoluzionaria. D’altra parte è la borghesia stessa che "prepara con le sue forze la sola guerra legittima e rivoluzionaria, cioè la guerra civile contro la borghesia imperialistica" (17), in quanto per tentare di sfuggire alla crisi di sovrapproduzione inasprisce le differenze sociali, lo sfruttamento, toglie ogni velo democratico al proprio dominio di classe militarizzando la società in vista di sempre più frequenti avventure imperialiste all’estero (18).
 
D’altra parte, se in una fase di frammentazione e debolezza della classe dominante, in cui si ha la capacità di mobilitare le masse, non si coglie il momento propizio per la rottura rivoluzionaria, non solo si perderà un appuntamento decisivo con la storia, ma si favorirà la ricomposizione del fronte avverso che esorcizzerà lo spettro del comunismo con la controrivoluzione. In un processo rivoluzionario le masse pretendono dall’avanguardia "fatti e non parole, vittorie nelle lotte e non chiacchiere" (19); altrimenti tenderanno a considerare il partito rivoluzionario non diverso dagli altri, poiché non ha saputo risolversi all’azione nonostante la fiducia riposta in esso da masse che ricadranno nell’apatia e nell’indifferenza.
 
Sarebbe una nefasta ingenuità se in una situazione del genere i rivoluzionari ´attendessero di avere "formalmente" la maggioranza: nessuna rivoluzione aspetta questo (20) e, soprattutto, non sono disposte ad attendere le forze controrivoluzionarie, pronte a tutto pur di difendere i propri privilegi secolari. Altrettanto pericoloso è l’appello a non accettare lo scontro aperto per non perdere i contatti con la maggioranza silenziosa; essa, infatti, non prenderà posizione attivamente se non a giochi fatti, dal momento che persino nelle fasi di scontro decisivo le sole minoranze organizzate sono capaci di iniziativa politica autonoma. Del resto i bisogni fondamentali delle masse popolari possono essere soddisfatti unicamente con una trasformazione radicale degli assetti proprietari esistenti, per cui la classe rivoluzionaria ha potenzialmente al proprio seguito la maggioranza della popolazione in quanto interprete della volontà generale (21).
 
Il revisionismo storico, che confonde la complessità del processo rivoluzionario con un putsch ben riuscito, tende a ridurre la Rivoluzione sovietica alla presa del Palazzo d’Inverno in modo da rendere tale esperienza anacronistica dinanzi ai complessi apparati statuali odierni. Al contrario Lenin era pienamente cosciente che la rivoluzione non si sarebbe esaurita in un riuscito colpo di Stato, ma si sarebbe sviluppata in un complesso processo, un lungo periodo "di tempestose scosse economiche e politiche, di lotta di classe molto acuta, di guerra civile, di rivoluzioni e controrivoluzioni" (22). Fra i presupposti imprescindibili per dare l’avvio all’"assalto al cielo" occorre comprendere non tanto la possibilità reale di prendere il potere, quanto l’esigenza di mantenerlo e consolidarlo di fronte alla reazione nazionale ed internazionale.
 
Tuttavia, contrariamente alle astratte convinzioni dei marxisti dottrinari, la presenza delle condizioni oggettive per il processo rivoluzionario non coincide con lo sviluppo della società capitalista che consentirebbe a tale processo di consolidarsi e realizzarsi nell’edificazione del socialismo. Nei paesi arretrati la struttura dello Stato è meno complessa e articolata che nei paesi sviluppati e per questo è più facile romperne la resistenza, anche perché gli obiettivi della rivoluzione proletaria tendono a fondersi, nella fase iniziale, con quelli piccolo-borghesi dei contadini che mirano alla riforma agraria.
 
Lenin prende dunque sul serio le accuse rivolte al suo partito di aver forzato soggettivamente il corso degli eventi pretendendo di passare direttamente, in un paese in larga parte dominato da condizioni feudali, all’edificazione del socialismo. Tuttavia mostra, al contempo, come siano state le stesse condizioni oggettive a giustificare un tentativo apparentemente azzardato: "che fare se la situazione, assolutamente senza vie d’uscita, decuplicava le forze degli operai e dei contadini e ci apriva più vaste possibilità di creare le premesse fondamentali della civiltà, su una via diversa da quella percorsa da tutti gli altri Stati dell’Europa occidentale?" (23). Del resto la rivoluzione in un paese come la Russia, posto a metà strada fra gli sviluppati Stati europei e le nazioni allora estremamente arretrate dell’Oriente, doveva assumere caratteri peculiari e modalità di svolgimento originali (24). D’altra parte la rivoluzione in Russia nasce con il preciso obbiettivo di rompere la catena imperialista nell’anello più debole per favorire l’innescarsi del processo rivoluzionario nei paesi maggiormente sviluppati, che così toglierebbero alla Russia il ruolo di battistrada nella costruzione del socialismo. Sino al momento in cui ciò avverrà, Lenin è consapevole che il suo paese si troverà nella condizione di "una fortezza assediata" (25).
 
È questo il fondamento della tragica contraddizione che caratterizza la quasi totalità dei tentativi di transizione al socialismo del XX secolo. Come è noto, infatti, la rivoluzione in Occidente è fallita per l’atteggiamento proditorio della maggioranza del quadro dirigente socialista dell’Europa occidentale. Essa è riuscita a tenere a freno le masse sfruttando il costituirsi di un’aristocrazia operaia - resa possibile dalla distribuzione di una parte degli extra-profitti ottenuti dalla politica imperialista che hanno altresì favorito rivoluzioni passive (i cosiddetti Stati sociali). D’altra parte, se Lenin considera che l’opera di costruzione del socialismo può essere condotta a termine solo dal proletariato dei paesi a capitalismo avanzato, allo stesso tempo ritiene che l’affermazione del socialismo in tali nazioni necessita del supporto "delle masse lavoratrici di tutti i popoli coloniali oppressi, e in primo luogo dei popoli d’Oriente. Dobbiamo renderci conto che l’avanguardia, da sola, non può realizzare il passaggio al comunismo" (26). La prospettiva di una progressiva sollevazione dei popoli oppressi dal dominio imperialista, di fronte al mancato avvio dell’attesa rivoluzione in Occidente, diviene una questione di vita o di morte per la Repubblica sovietica devastata dalla guerra e con una produzione dominata dalla piccola proprietà contadina. Al punto che Lenin ritiene indispensabile resistere ai tentativi delle potenze imperialiste di schiacciare la Russia sino al prossimo conflitto armato tra l’Occidente controrivoluzionario imperialistico e l’Oriente rivoluzionario e nazionalista, tra gli Stati più civili del mondo e gli Stati arretrati come quelli dell’Oriente, che peraltro costituiscono la maggioranza. È necessario che questa maggioranza faccia in tempo a diventare civile (27).
 
Il corso storico non conosce processi puri, né tanto meno rivoluzioni pure; così se in Oriente la forma prevalente dei movimenti rivoluzionari sarà la commistione di prospettive proletarie e piccolo borghesi rurali, in Occidente alle istanze operaie si potranno associare quelle piccolo-borghesi urbane. Dunque, poiché fra proletariato e sottoproletariato da una parte e proletariato e borghesia dall’altra si trova "una folla eccezionalmente variopinta di tipi intermedi", l’avanguardia del proletariato dovrà scendere a compromessi con i loro rappresentanti, con il fine però "di elevare, e non di abbassare, il livello generale della coscienza proletaria, dello spirito rivoluzionario del proletariato" (28). Sarà, dunque, determinante la capacità di fare egemonia e quindi la preparazione degli intellettuali organici (il gruppo dirigente) che farà prevalere la prospettiva socialista o quella radicale-borghese all’interno del blocco sociale.
 
Allo stesso modo, il sistema sovietico, quale organo della lotta di classe rivolto contro la borghesia, può consolidarsi solo se in grado di ricomprendere in sé gli obiettivi delle masse piccolo-borghesi (29). Un passo essenziale in tale direzione viene compiuto dal governo sovietico che, preso il potere, realizza i punti fondamentali del programma democratico- borghese che né il precedente governo, né i soviet dominati dalla componente piccolo-borghese erano riusciti a realizzare (30). Consapevole di quanto il completo svuotamento delle stalle di Augia dell’ancien régime sia decisivo allo sviluppo culturale e civile del paese, il governo sovietico ha operato in tale direzione in modo più radicale di quanto avesse fatto sino ad allora qualsiasi governo borghese. Se, dunque, nei confronti dell’alta borghesia si utilizzerà maggiormente la coercizione mediante il diritto rivoluzionario e gli organi repressivi dello Stato, nei confronti della piccola borghesia ci si servirà principalmente degli strumenti dell’egemonia ovvero dell’educazione, volti a trasformare progressivamente la norma giuridica in costume, in eticità condivisa.
 
Il processo di transizione al socialismo, dunque, ´ si "epurerà" dalle scorie piccoloborghesi tutt’altro che di colpo (31), ovvero in un processo necessariamente lungo e contraddittorio. Da tali difficoltà muovono le critiche degli intellettuali tradizionali: proprio coloro che prima della rivoluzione accusavano i bolscevichi di utopismo (32), in seguito pretendono, senza peraltro adoperarsi per la transizione al socialismo, che il governo dei soviet elimini d’un sol colpo ogni vestigia di un passato barbarico. Solo delle anime belle possono dirsi disponibili a sostenere il progetto di transizione nella misura in cui esso si svolga in modo rettilineo e facile, che l’azione comune dei proletari dei diversi paesi si realizzi di colpo, che ci sia in partenza la garanzia contro ogni sconfitta, che la strada della rivoluzione sia ampia, sgombra, dritta, che nel marciare verso la vittoria non si debbano compiere a volte i sacrifici più gravi, che non "ci si chiuda nella fortezza assediata" o che ci si apra un varco per gli stretti, impraticabili, tortuosi e perigliosi sentieri di montagna (33).
 
Contrariamente a quanto ripetutamente asserito dalla letteratura revisionista sull’Ottobre o su altri tentativi rivoluzionari non vi è un corso storico che possa tradire un’astratta teoria - a meno che non si tratti d’una mera utopia - se non nella misura in cui qualsiasi azione "tradisce" il suo progetto in quanto esso non può tener conto sino in fondo delle reazioni che muovono da prospettive diverse o opposte. Al contrario una teoria per non rimanere mero dover essere deve costantemente aggiornarsi proprio a partire dagli stimoli offerti dagli elementi imprevisti ed innovativi che offre la prassi storica. Il marxismo, in quanto filosofia della prassi, non può essere considerato un dogma, ma una guida all’azione rivoluzionaria.
 
Il fuoco di sbarramento dell’opportunismo transnazionale contro l’Ottobre si concentra sulla critica alla dittatura del proletariato, dimenticando che essa è una fase particolare della lotta di classe in cui gli apparati repressivi dello Stato non sono più controllati dagli sfruttatori. Il processo di transizione, come ricorda Lenin, "abbraccia un’intera epoca storica" e sino alla sua conclusione permane inevitabilmente negli sfruttatori "la speranza di una restaurazione, e questa speranza si traduce in tentativi di restaurazione" (34). Per tale motivo durante questa epoca storica lo Stato si configurerà necessariamente quale "dittatura rivoluzionaria del proletariato" (35). Appare dunque contraddittorio essere favorevoli alla lotta di classe sino a che il potere è nelle mani degli sfruttatori e criticarla nel momento in cui il monopolio della violenza è posto sotto il controllo degli sfruttati (36). Dal momento che l’inasprirsi della lotta di classe in un processo rivoluzionario conduce quasi inevitabilmente alla guerra civile, diverranno inevitabili delle "restrizioni della democrazia formale nell’interesse della guerra" (37).
 
La socialdemocrazia internazionale contrapponeva la propria via pacifica e democratica al socialismo a quella "violenta e dittatoriale" dei comunisti, dimenticando che la democrazia è una forma di governo all’interno d’uno Stato funzionale al dominio di una classe sociale sulle altre. A meno di rinunciare al materialismo storico, fondamento della concezione marxista, si tratta di comprendere all’interno di una compagine statuale per quale classe viga realmente la democrazia e per quale la dittatura. Come ricorda Lenin, in polemica con i critici della forma dittatoriale del potere sovietico, bisogna dire che dittatura non significa obbligatoriamente soppressione della democrazia per la classe che esercita questa dittatura sulle altre classi, ma significa obbligatoriamente soppressione (o sostanziale restrizione, che è anch’essa una forma di soppressione) della democrazia per la classe su cui o contro cui la dittatura viene esercitata (38).
 
Lo stesso concetto di eguaglianza formale, rivendicato dai socialdemocratici anche per gli sfruttatori, maschera per Lenin una disuguaglianza reale: persino nella prima fase della transizione al socialismo non vi è parità di condizioni fra lavoratori vissuti da secoli in una situazione di abbrutimento materiale e spirituale e la borghesia, che conserva una serie di privilegi (39). Proprio per tale motivo lo Stato dei lavoratori, al fine di stabilire quantomeno le pari opportunità fra le classi sociali, si caratterizzerà quale democrazia per gli sfruttati e dittatura della maggioranza volta a sopprimere lo sfruttamento.
 
Lenin cerca di mostrare la superiorità della democrazia proletaria su quella borghese, persino in una situazione disperata come lo Stato d’assedio in cui la transizione al socialismo è costretta a svilupparsi. Agli astratti diritti umani borghesi, pomposamente enunciati, ma destinati a rimanere sulla carta per la maggioranza degli sfruttati (40), egli contrappone i meno retorici ma reali diritti del popolo sfruttato a partire dalla riduzione della giornata lavorativa e dei suoi disumani ritmi posti sotto il controllo operaio. Nella Costituzione della Repubblica dei Soviet, il cui fine ultimo è il superamento della società divisa in classi, è iscritta la lotta senza quartiere ad ogni forma di sfruttamento dell’uomo, "la repressione inesorabile della resistenza degli sfruttatori, la creazione di un’organizzazione socialistica della società e la vittoria del socialismo in tutti i paesi" (41). Tali principi sono a tal punto più universali di quelli delle democrazie borghesi (42) che esse, sebbene siano incomparabilmente più forti sul piano materiale, "temono come il fuoco il contagio ideologico proveniente da un paese in rovina, affamato, arretrato e, secondo le loro affermazioni, perfino semiselvaggio!" (43).
 
Tuttavia, le condizioni arretrate del paese, le devastazioni prodotte dalle guerre, il permanente stato d’assedio, il continuo sabotaggio operato dalla borghesia hanno reso arduo dimostrare nei fatti la superiorità della democrazia proletaria su quella borghese (44). A complicare un quadro oggettivamente complesso occorre ricordare le difficoltà soggettive dovute al fatto che i dirigenti comunisti, prima di affrontare le difficoltà reali della transizione in un paese arretrato e isolato, si erano illusi - o avevano illuso per fini propagandistici - sulla possibilità di un passaggio immediato dalla democrazia formale borghese all’instaurazione della democrazia reale sovietica, dimenticando che essa non può sorgere "d’un sol colpo come Minerva dalla testa di Giove" (45).
 
La lotta alle vecchie forme statuali della società civile borghese non sempre è proceduta di pari passo con il reale funzionamento delle istituzioni sovietiche, impedito dallo stato d’eccezione reso necessario dallo stato d’assedio imposto dalle potenze imperialiste. Tali difficoltà sono accentuate dalla necessità di rispondere, forzando in modo soggettivo il corso storico, alle critiche rivolte tanto dagli opportunisti di destra, quanto dagli estremisti di sinistra di tradire gli obiettivi del socialismo. Così la giusta esigenza democratica di superare dialetticamente la volontà di tutti, difesa pretestuosamente dal liberalismo, nella volontà generale non sempre ha condotto ad una negazione determinata e non assoluta della democrazia formale. Allo stesso modo la necessità di rendere reale la libertà degli individui e l’eguaglianza giuridica mediante l’eguaglianza delle opportunità ha finito per sacrificare troppo la prima a vantaggio della seconda.
 
Tali amare esperienze inducevano Lenin a rimettere in discussione la precedente teoria della transizione, sviluppata in base alle suggestioni della Comune di Parigi, che prevedeva un potere diretto esercitato dalle masse rivoluzionarie in grado di spazzar via le strutture dello Stato borghese a partire dalla burocrazia e dall’esercito stabile (46). Egli si rendeva conto che non era possibile costruire il socialismo "con le mani pulite dei socialisti puri, che devono nascere ed essere educati in una società comunista" (47), ma occorreva partire dalle macerie della società precedente, dalla cui barbarie e dai cui pregiudizi anche il materiale umano che si accingeva all’opera era necessariamente condizionato (48).
 
Si tratta, dunque, di sviluppare una teoria ed una pratica della transizione in larghissima parte inedite, dal momento che le precedenti analisi o si fermavano ai lineamenti generali o scadevano nell’utopismo. Lenin diviene sempre più sospettoso verso ogni disquisizione teorica, verso ogni parola d’ordine astratta che non abbia superato l’implacabile tribunale della pratica concreta. L’unica impostazione efficace per risolvere le difficoltà della transizione è l’analisi della situazione concreta, esaminando anzitutto i limiti di quanto è stato fatto per risolvere le differenti problematiche, elaborando proposte concrete (49). In tale situazione, sino a che la rivoluzione non si estenderà quanto meno ai paesi più industrializzati, in cui sono presenti società civili maggiormente complesse, le istituzioni di una società compiutamente socialista saranno più ideali regolativi che non princîpi costitutivi per il processo di transizione in Russia. In altri termini la negazione della società borghese deve necessariamente determinarsi, proprio dinanzi alle difficoltà reali di fondare le inedite strutture dello Stato socialista con un materiale intriso di residui di barbarie feudale. Perciò negli ultimi anni Lenin accentua la necessità di lottare contro l’infantilismo di sinistra che contrappone il proprio ideale astratto all’esigenza di trovare in tempi brevi, imposti dall’avversario di classe, delle soluzioni alle difficoltà concrete che la società sovietica incontrava nel processo di transizione (50).
 
Lenin è pienamente cosciente dei profondi guasti presenti nell’apparato statuale sovietico, in primo luogo prodotti da un passato che non passa, ma proprio per questo, di fronte a chi pretende sostituire immediatamente una cultura socialista alla cultura borghese, egli consiglia di procedere con estrema cautela. Pur essendo pienamente cosciente dell’importanza di una rivoluzione culturale, Lenin intende evitare ogni soluzione utopista che non si sia in grado di realizzare, dal momento che su questo piano bisogna considerare come acquisito soltanto ciò che è entrato a far parte della cultura, della vita, ciò che è diventato un abito. E da noi si può dire che quanto di buono esiste nell’organizzazione sociale non è oggetto di profonda riflessione, non è compreso, sentito; è stato afferrato in fretta, non è stato messo alla prova e confermato dalla esperienza, non è stato consolidato (51).
 
Non solo per quanto concerne la ristrutturazione degli apparati statuali, ma anche per la riorganizzazione di produzione e distribuzione non si può precedere per decreto, ma occorre che i proletari e gli stessi contadini si accostumino, in un arco temporale ampio, con tali normative. Erano, dunque, necessarie alcune fasi transitorie: "il capitalismo di Stato e il socialismo, per preparare - con un lavoro di una lunga serie d’anni - il passaggio al comunismo" (52). Lenin si rende conto che, per quanto possa apparire lontano dagli ideali comunisti, solo stimolando l’interesse individuale è possibile elevare la produzione, presupposto indispensabile ad ogni futuro sviluppo sulla via del socialismo. Al tempo stesso bisognerà sviluppare forme di controllo e coercizione per far lavorare in modo regolare e disciplinato una parte significativa delle masse in preda "all’individualismo anarchico, all’esasperazione e all’irritazione più confusa, prodotto della brutale barbarie che accompagnano ogni guerra lunga e reazionaria" (53).
 
Non ci si può dunque limitare a reprimere gli avversari della transizione al socialismo, ma occorre adoperarsi affinché essi operino nel quadro della nuova struttura socio-economica e della corrispondente sovrastruttura giuridico-statuale. Ciò vale anzitutto per intellettuali e tecnici borghesi che, una volta conquistati alla causa della costruzione della nuova società, costituiscono insieme alla classe operaia la principale risorsa nel processo di transizione. È dunque indispensabile in un paese arretrato come la Russia mettere al lavoro gli specialisti formatisi nella precedente società anche concedendo loro, in deroga ai princîpi del socialismo, salari più elevati di quelli del proletariato. Tuttavia tali "esperti" saranno inevitabilmente condizionati dai costumi della società precedente e, dunque, sarà indispensabile porli sotto il controllo dell’avanguardia operaia (54). Si tratta d’una mansione da svolgere con grande cautela, evitando ogni imposizione sulla base del principio d’autorità; si dovrà essere disponibili ad apprendere dagli esperti le cognizioni tecnico-scientifiche incitandoli, al contempo, ad allargare i propri orizzonti al di là delle loro competenze specifiche. Più in generale, occorrerà evitare il burocratizzarsi della funzione direttiva, la cui autorità non può derivare da una rendita di posizione, ma dalla capacità di indagare i fondamenti teorici di ogni problema pratico, individuando gli strumenti adeguati a risolverlo (55).
 
D’altra parte, lo sviluppo della transizione al socialismo dipende dalla capacità del proletariato di acquisire le competenze necessarie a divenire classe dirigente. Si tratta, dunque, di superare in primo luogo l’atavica irrisolutezza del proletariato ereditata da secoli di oppressione, affinché sviluppi la propria capacità di iniziativa autonoma in tutti gli ambiti della vita politica e civile (56). Per realizzare l’effettivo passaggio del potere al proletariato è indispensabile procedere dalla rivoluzione politica ad una vera e propria rivoluzione culturale, in grado di creare l’uomo nuovo, ovvero di fare del proletario umiliato e posto ai margini della storia il vero protagonista della transizione. Tale rivolgimento culturale dovrà mirare a rendere progressivamente la norma giuridica dello Stato sovietico norma etica, per cui i funzionari statali non dovranno considerare i decreti legge come assoluti nei confronti della classe che esercita la dittatura, quanto piuttosto come "istruzioni che chiamano le masse all’azione pratica" (57). In caso contrario essi verranno vissuti come strumenti coercitivi da parte dei lavoratori che stenteranno a riconoscersi nelle direttive del proprio Stato. Allo stesso tempo, però, i lavoratori dovranno essere divenuti in grado di comprendere, ad esempio, che aumentare la produttività del lavoro è solo apparentemente in contraddizione con i propri interessi particolari, in quanto unicamente in tal modo si porranno le condizioni materiali indispensabili all’esercizio reale del potere operaio.
 
Tuttavia, sino a che l’eticità comunista non si sarà sviluppata, vi sarà bisogno della norma giuridica che presuppone e riproduce la disuguaglianza; ogni diritto, infatti, "consiste nell’applicazione di un’unica norma a persone diverse, a persone che non sono, in realtà, né identiche, né eguali" (58). Dunque la più assoluta eguaglianza giuridica non può realizzare né la reale giustizia, né l’eguaglianza effettiva. Così nella fase di transizione sarà bandita la proprietà privata dei grandi mezzi di produzione, tuttavia la distribuzione della ricchezza non sarà fondata sui bisogni reali degli individui, ma sulla base del diritto formale: ad ognuno in misura del lavoro sociale svolto.
 
L’estinzione dello Stato cesserà di essere un’utopia solo quando il fondamento del diritto comunista "ognuno secondo le sue capacità: a ognuno secondo i suoi bisogni" sarà realizzato al punto da divenire costume condiviso e "gli uomini saranno talmente abituati a osservare le regole fondamentali della convivenza sociale e il lavoro sarà diventato talmente produttivo ch’essi lavoreranno volontariamentesecondo le loro capacità" (59). Lo Stato perderà la sua ragione di essere poiché non vi sarà più nessuno da reprimere,"nessuno" nel senso di classe, nel senso di lotta sistematica contro una parte determinata della popolazione. Noi non siamo utopisti e non escludiamo affatto che siano possibili e inevitabili eccessi individuali, come non escludiamo la necessità di reprimere tali eccessi [...]. Sappiamo inoltre che la principale causa sociale degli eccessi che costituiscono infrazioni alle regole della convivenza sociale è lo sfruttamento delle masse, la loro povertà, la loro miseria (60).
 
Venendo meno la necessità di un intervento coercitivo dello Stato nei rapporti sociali, il governo sulle persone sarà progressivamente sostituito dall’amministrazione delle cose e dalla direzione dei processi produttivi.
 
Note:
 
1 V. I. Lenin, Risultati della discussione sull’autodecisione (luglio 1916), in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 22, p. 353.
 
2 Ivi, p. 352.
 
3 Id., Il marxismo e l’insurrezione (Settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 26, p. 12.
 
4 Id., L’"estremismo" malattia infantile del comunismo (aprile 1920), in Opere..., cit., vol. 31, pp. 82-3.
 
5 Id., Il fallimento della II Internazionale (maggiogiugno 1915), in Opere..., cit., vol. 21, p. 217.
 
6 Ivi, pp. 191-2.
 
7 Ivi, p. 193. La presenza delle condizioni oggettive e soggettive consente di comprendere il motivo per cui la prima rivoluzione proletaria sia avvenuta, contro le aspettative dei marxisti dottrinari, in un paese arretrato come la Russia: la disorganizzazione della classe dirigente "era la più mostruosa e il proletariato il più rivoluzionario (non in virtù di sue qualità particolari, ma per effetto delle vive tradizioni del 1905)". Id., Lettere da lontano (Marzo 1917), in Opere..., cit., vol. 23, p. 302.
 
8 Id., Il fallimento della II Internazionale (maggiogiugno 1915), in Opere..., cit., vol. 21, p. 217.
 
9 Id., Risultati della discussione sull’autodecisione (luglio 1916), in Opere..., cit., vol. 22, p. 355.
 
10 Ad esempio, "chiunque consideri la storia in modo consapevole - osserva Lenin - dirà che la Rivoluzione francese, benché sconfitta, ha tuttavia trionfato perché ha dato al mondo intero le basi della democrazia borghese, della libertà borghese, che non potranno più essere eliminate". Id., Come si inganna il popolo con le parole d’ordine di libertà e di eguaglianza (19-5-1919), in Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress, Mosca 1979, p. 409.
 
11 Id., Per il quarto anniversario della rivoluzione d’ottobre (ottobre 1921), in Opere..., cit., vol. 33, p. 42.
 
12 Id., Il fallimento della II Internazionale (maggiogiugno 1915), in Opere..., cit., vol. 21, p. 194.
 
13 Id., Sui compromessi (Settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 25, pp. 292-3.
 
14 Lenin si mostra favorevole, pur di conquistare al fronte rivoluzionario la piccola borghesia, a posticipare gli obiettivi socialisti e a realizzare sino in fondo la rivoluzione borghese, pur di evitare lo scontro aperto senza un fronte così ampio da ridurre al minimo indispensabile la violenza rivoluzionaria. Si tratta certo di scendere a compromessi, ma è necessario accettarli se consentissero di allargare ulteriormente e consolidare il fronte rivoluzionario.
 
15 La possibilità del confronto su un piano realmente democratico con le idee dell’avversario, proprio in quanto rara e provvisoria - poiché il privilegio non si lascerà scalzare sulla base della sola potenza delle idee, ma finirà per imporre metodi violenti di lotta politica - va sfruttata, dal momento che la portata universalistica del proprio progetto non può che avere la meglio sulla difesa di interessi particolaristici sempre più in contraddizione con l’ulteriore sviluppo sociale.
 
16 Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (novembre 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 242.
 
17 Id., Il programma militare della rivoluzione proletaria (settembre 1916), in Opere..., cit., vol. 23, p. 79.
 
18 Dal momento che le guerre civili, nei paesi divisi in classi, "sono il prolungamento, lo sviluppo, l’aggravamento naturale e, in certe circostanze, inevitabile della lotta di classe" (Ivi, p. 76), chi si schiera a priori contro ogni forma di violenza o guerra si schiera in realtà contro la stessa lotta di classe, motore della storia prima della realizzazione del comunismo.
 
19 Id., Lettera ai compagni bolscevichi delegati alla conferenza regionale dei soviet del nord (8-10- 1917), in Opere..., cit., vol. 26, p. 170.
 
20 Id., I bolscevichi devono prendere il potere (Settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 26, p. 11.
 
21 Nel processo rivoluzionario "il proletariato interviene come effettivo rappresentante dell’intera nazione, di tutto ciò che vi è di vivo e di onesto in tutte le classi, dell’immensa maggioranza della piccola borghesia, poiché soltanto il proletariato, dopo aver conquistato il potere (...) prenderà provvedimenti veramente rivoluzionari" (Id., I bolscevichi conserveranno il potere statale? [sett.-ott. 1917], in Opere..., cit., vol. 26, p. 85) corrispondenti alle aspirazioni delle classi dominate.
 
22 Id., Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa (Agosto 1915), in Opere..., cit., vol. 21, pp. 311-12.
 
23 Id., Sulla nostra rivoluzione (gennaio 1923), in Opere..., cit., vol. 33, p. 438.
 
24 Tratti ancora più peculiari e differenti dalle rivoluzioni occidentali, su cui si era costruita la teoria della rivoluzione proletaria, assumeranno i rivolgimenti in Oriente. Più in generale ogni transizione al socialismo avrà dei tratti specifici imposti dal contesto nazionale: ´ognuna darà la sua impronta originale a questa o quella forma di democrazia, a questa o quella variante di dittatura del proletariato, a questo o a quel ritmo di trasformazione socialista dei vari aspetti della vita sociale. Niente è più meschino teoricamente e ridicolo praticamente che dipingere, "in nome del materialismo storico", questo aspetto dell’avvenire con una tinta grigia e uniforme ª. Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’´economismo imperialisticoª (agostosettembre 1916), in Opere..., cit. vol. 23, p. 67.
 
25 Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 75.
 
26 Id., Rapporto al II congresso di tutta la Russia delle organizzazioni comuniste dei popoli dell’Oriente (22-11-1919), in Opere..., cit., vol. 30, p. 139.
 
27 Id., Meglio meno, ma meglio (marzo 1923), in Opere..., cit., vol. 33, pp. 457-8. Con il passare degli anni, dinanzi al rafforzarsi dell’imperialismo in Occidente ed al sorgere di movimenti anticoloniali in Oriente, Lenin giunge a porre in discussione la sua stessa concezione del processo rivoluzionario: "la rivoluzione socialista non sarà quindi soltanto, né principalmente, la lotta dei proletari rivoluzionari di ogni paese contro la loro borghesia; no, sarà la lotta di tutte le colonie e di tutti i paesi oppressi dall’imperialismo, di tutti i paesi dipendenti contro l’imperialismo internazionale" . Id., Rapporto al II congresso di tutta la Russia delle organizzazioni comuniste dei popoli dell’Oriente (22-11-1919), in Opere..., cit., vol. 30, p. 137.
 
28 Id., L’"estremismo" malattia infantile del comunismo (aprile 1920), in Opere..., cit., vol. 31, p. 63.
 
29 Se il proletariato non fosse in grado di mantenere l’egemonia nel blocco sociale favorevole alla rivoluzione, come pare stia avvenendo oggi in Cina, la necessaria lotta di classe contro la borghesia subirà una battuta d’arresto.
 
30 A parere di Lenin si tratta di un compito decisivo, poiché "il socialismo vittorioso non potrà consolidare la sua vittoria e condurre l’umanità verso l’estinzione dello Stato, se non avrà realizzato integralmente la democrazia". Id., Intorno a una caricatura del marxismo e all’ ´economismo imperialisticoª (agosto-settembre 1916), in Opere..., cit. vol. 23, p. 72.
 
31 Id., Risultati della discussione sull’autodecisione (luglio 1916), in Opere..., cit., vol. 22, p. 354.
 
32 Come mostra Lenin, quando essi ´parlano delle utopie insensate, delle promesse demagogiche dei bolscevichi, della impossibilità di "introdurre" il socialismoª si riferiscono all’obiettivo finale del processo di transizione, alla piena realizzazione del comunismo, che nessun rivoluzionario non solo non ´ha mai promesso, ma non ha mai pensato di "introdurre", per la sola ragione che è impossibile "introdurla"ª (Id., Stato e rivoluzione [agosto- settembre 1917], in Opere..., cit., vol. 25, p. 441), dal momento che non è realizzabile per decreto, ma solo in un lungo e tortuoso processo.
 
33 Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 69.
 
34 Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (novembre 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 259.
 
35 Id., Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 25, p. 432.
 
36 Del resto l’utilizzo del terrore è piuttosto la regola che non l’eccezione, una tragica necessità come dimostrano le principali rivoluzioni borghesi; è dunque particolarmente imbarazzante per un progressista giudicare legittimo il terrore di una classe minoritaria di sfruttatori che intendeva consolidare il proprio potere e non quello della grande maggioranza degli sfruttati. Allo stesso modo, pur dovendo rinunziare, come altri governi rivoluzionari, all’eguaglianza giuridica, ciò fu fatto dai bolscevichi in favore dello sviluppo dell’eguaglianza reale non di una minoranza, come nelle precedenti rivoluzioni borghesi, ma della stragrande maggioranza.
 
37 Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 70. Inoltre, in un paese passato senza soluzione di continuità dalla guerra imperialista ad una terribile guerra civile si manifesteranno necessariamente fenomeni di imbarbarimento tanto nelle forze armate, quanto nella popolazione, le cui nefaste conseguenze segneranno un’intera generazione. Le inevitabili misure terroristiche rese necessarie in tali condizioni saranno da imputare in primo luogo alle classi possidenti che scatenano la guerra civile o la rendono inevitabile con la loro furiosa ostinazione a difendere privilegio e sfruttamento.
 
38 Id., La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky (novembre 1918), in Opere..., cit., vol. 28, pp. 239-40.
 
39 Ai borghesi, infatti, rimane il ´denaro (che non si può sopprimere di colpo), una data quantità, spesso cospicua, di beni mobili; rimangono loro le aderenze, l’esperienza organizzativa e direttiva, la conoscenza di tutti i "segreti" (consuetudini, procedimenti, mezzi, possibilità) della gestione; rimangono loro un’istruzione più elevata, strette relazioni con il personale tecnico più qualificato (che vive e pensa da borghese), un’esperienza infinitamente superiore dell’arte militare (il che è molto importante)ª. Ivi, p. 258. Per non parlare dell’appoggio internazionale che la borghesia riceve da tutte le nazioni imperialiste che stringono d’assedio il paese che primo si è posto sulla via della transizione al socialismo.
 
40 Pur nello Stato democratico borghese più avanzato, vi saranno sempre nascosti nei particolari delle leggi elettorali e nel funzionamento delle istituzioni rappresentative una quantità di ostacoli che limitano l’effettiva partecipazione delle masse alla vita politica. Le direttive fondamentali della politica economica sono stabilite nelle sedi del potere economico dove non vi è alcuna forma di rappresentanza. In ultima istanza, all’interno dello Stato borghese la democrazia resta effettiva per ´la minoranza, per le sole classi possidenti, per i soli ricchi. (...) Gli odierni schiavi salariati, in conseguenza dello sfruttamento capitalistico, sono talmente soffocati dal bisogno e dalla miseria che "hanno altro pel capo che la democrazia", "che la politica", sicché, nel corso ordinario e pacifico degli avvenimenti, la maggioranza della popolazione si trova tagliata fuori dalla vita politica e sociale ª. Id., Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 25, p. 432.
 
41 Id., Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato (gennaio 1918), in Opere..., cit., vol. 26, p. 402.
 
42 Per limitarci a qualche esempio, in primo luogo ciò è riscontrabile nella conduzione democratica della politica estera sovietica, non più tenuta nascosta ai cittadini come avviene nelle democrazie borghesi e non più improntata solo a parole ai princîpi della pacifica convivenza fra i popoli. In secondo luogo, scopo economico della transizione è la riorganizzazione di produzione e distribuzione non più sulla base anarchica del profitto individuale dei possessori dei mezzi di produzione, ma secondo ´criteri scientifici aventi come scopo di garantire a tutti i lavoratori una vita più agevole, procurando loro la possibilità del benessereª. Id., Discorso al I congresso dei consigli dell’economia nazionale (maggio 1918), in Sulla rivoluzione..., cit., p. 329. In terzo luogo, la libertà di stampa o di associazione politica, reale nelle società borghesi solo per i proprietari, diviene patrimonio collettivo nel momento in cui i grandi edifici e le grandi tipografie vengono resi patrimonio pubblico. In quarto luogo, mirando ad una federazione di repubbliche su basi libere e spontanee, si lascia ai lavoratori di ogni nazione la facoltà di decidere in assoluta autonomia "se desiderano, e su quali basi, partecipare al governo federale e alle altre istituzioni federali sovietiche". Id., Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato (gennaio 1918), in Opere..., cit., vol. 26, p. 405. In quinto luogo, condannando il benessere occidentale fondato sulla spoliazione dei popoli colonizzati, la Repubblica Sovietica si dichiara pronta a sostenere ogni movimento antimperialista che si batta per l’indipendenza nazionale. Infine i pari diritti delle donne sono riconosciuti non solo formalmente, come allora non avveniva in quasi nessuna delle democrazie borghesi, ma sono favoriti realmente da una legislazione volta ad eliminare ogni vincolo giuridico che sottometteva la donna al sistema patriarcale. A tali leggi emancipatrici si aggiunge un sistema sociale che solo può iniziare a liberare la donna dalla schiavitù domestica, fatto di mense popolari, nidi e giardini d’infanzia pubblici e gratuiti.
 
43 Id., La III Internazionale e il suo posto nella storia (aprile 1919), in Opere..., cit., vol. 29, p. 278.
 
44 Come ricorda Lenin, l’aggressione imperialista, volta a favorire l’affermazione delle forze controrivoluzionarie, pur non riuscendo a distruggere la Repubblica dei Soviet le impedì "di fare subito un passo in avanti tale da giustificare le previsioni dei socialisti e da permettergli di sviluppare con grandissima rapidità le forze produttive, di sviluppare tutte quelle possibilità, che messe assieme, avrebbero dato il socialismo, di dimostrare a tutti in modo evidente, lampante, che il socialismo racchiude in sé forze gigantesche e che l’umanità è ora passata ad una nuova fase di sviluppo, che racchiude in sé possibilità magnifiche". Id., Meglio meno, ma meglio (marzo 1923), in Opere..., cit., vol. 33, p. 455.
 
45 Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 74.
 
46 Cfr. D. Losurdo, Utopia e stato d’eccezione, Laboratorio politico, Napoli 1996 e Id., Fuga dalla storia?, La Città del sole, Napoli 1999. Le aspettative di Marx e Lenin sulla possibilità di realizzare in tempi relativamente brevi le istituzioni dello Stato socialista non sono tanto frutto di utopismo, quanto di un’esperienza e prospettiva storica necessariamente limitata alla sola esperienza, peraltro brevissima, della Comune. Come ricorda Lenin, mentre ´gli utopisti si sono sempre sforzati di "scoprire" le forme politiche nelle quali doveva prodursi la trasformazione socialista della società. Gli anarchici si sono disinteressati della questione delle forme politiche in generale. Gli opportunisti dell’odierna socialdemocrazia hanno accettato le forme politiche borghesi dello Stato democratico parlamentare come un limite al di là del quale è impossibile andare; si sono rotta la testa a furia di prosternarsi davanti a questo "modello" e hanno tacciato di anarchico ogni tentativo di demolire queste formeª. V. I. Lenin, Stato e rivoluzione [agosto-settembre 1917], in Opere..., cit., vol. 25, p. 407. I comunisti, invece, hanno dovuto creare queste istituzioni nel fuoco della lotta, avendo quale unico riferimento i precedenti modelli storici. Anche su tale questione Lenin intende attenersi al metodo marxiano: ´senza cadere nell’utopia, Marx aspettava dall’esperienza di un movimento di massa la risposta alla questione: quali forme concrete avrebbe assunto questa organizzazione del proletariato come classe dominante e in che modo precisamente questa organizzazione avrebbe coinciso con la più completa e conseguente "conquista della democrazia?"ª (Ivi, p. 394). In Marx dunque ´non v’è un briciolo di utopismo; egli non inventa, non immagina una società "nuova". No, egli studia, come un processo di storia naturale, la genesi della nuova società che sorge dall’antica, le forme di transizione tra l’una e l’altra. Egli si basa sui fatti, sull’esperienza del movimento proletario di massa e cerca di trarne insegnamenti pratici. Egli "si mette alla scuola" della Comune, come tutti i grandi pensatori rivoluzionari non esitavano a mettersi alla scuola dei grandi movimenti della classe oppressa, senza mai far loro pedantemente la "morale"ª. Ivi, pp. 400-1.
 
47 Id., Rapporto sul lavoro nelle campagne tenuto al VIII congresso del PC(b)R (23-3-1919), in Opere..., cit., vol. 29, p. 187.
 
48 La stessa classe d’avanguardia non è priva dei difetti e delle debolezze ereditate dalla società zarista e ciò vale, a maggior ragione, se si considerano le classi lavoratrici nel loro complesso ´oppresse, abbrutite, strette per secoli nella morsa della miseria, dell’ignoranza, della barbarie ª. Id., Lettera agli operai americani (agosto 1918), in Opere..., cit., vol. 28, p. 72. Tale situazione è particolarmente grave in un paese a maggioranza contadina come la Russia, dal momento che le masse agricole non hanno potuto formarsi nella lotta metropolitana in cui è possibile acquisire almeno in parte la cultura moderna.
 
49 Lenin nota come ogni marxista dotato di buon senso che abbia scritto sulla transizione non abbia "mai lontanamente pensato che potessimo, in base a una qualche ricetta già bella e pronta, creare immediatamente e fissare con un sol colpo di bacchetta le forme di organizzazione della nuova società". Id., Discorso al I congresso dei consigli dell’economia nazionale (maggio 1918), in Sulla rivoluzione..., cit., p. 327.
 
50 Ad esempio, la pretesa estremista, per cui la Repubblica dei Soviet non debba scendere a nessun compromesso con le potenze imperialiste che la accerchiano, equivale per Lenin a sostenere che essa "non potrebbe esistere senza prendere il volo verso la luna". Id., Strano e mostruoso (febbraio-marzo 1818), in Sulla rivoluzione..., cit., p. 307.
 
51 Id., Meglio meno, ma meglio (marzo 1923), in Opere..., cit., vol. 33, p. 445.
 
52 Id., Per il quarto anniversario della rivoluzione d’ottobre (ottobre 1921), in Opere..., cit., vol. 33, p. 44.
 
53 Id., Sei tesi sui compiti immediati del potere sovietico (aprile-maggio 1918), in Sulla rivoluzione..., cit., p. 320.
 
54 Da questo punto di vista diviene indispensabile, per preservare la forma socialista del nuovo Stato, il controllo del proletariato sulla struttura burocratica mediante l’Ispezione operaia e contadina. Proprio per questo Lenin dedica le ultime energie della propria vita alla riorganizzazione di tale istituto che deve esser diretto dai "migliori elementi esistenti nel nostro regime sociale - cioè, innanzitutto, gli operai d’avanguardia, e, in secondo luogo, gli elementi veramente istruiti, per i quali si può essere certi che non prenderanno nessuna parola per oro colato e non ne pronunceranno nessuna contraria alla loro coscienza". Id., Meglio meno, ma meglio (marzo 1923), in Opere..., cit., vol. 33, p. 447.
 
55 Un esempio particolarmente nefasto di dirigismo si manifestava nella questione sindacale. Tale tendenza burocratica riteneva che all’interno di uno Stato operaio i sindacati avrebbero dovuto mutare radicalmente la propria funzione, non essendoci più bisogno di difendere i lavoratori da una borghesia ormai sconfitta. In realtà, come ricorda Lenin, non solo la lotta di classe continua necessariamente lungo tutta la transizione al socialismo, ma lo Stato operaio sovietico è affetto da una "deformazione burocratica". In tale situazione il proletariato deve necessariamente difendersi dal proprio Stato e l’avanguardia deve sostenerlo in tale lotta, se intende conquistarlo alla difesa dello Stato socialista. Partito e sindacato sono realtà distinte anche se bisogna sforzarsi di stabilire fra loro una "simbiosi", per realizzare la quale "bisogna sapersi servire delle misure del potere statale per difendere da questo potere statale gli interessi materiali e spirituali del proletariato". Id., I sindacati, la situazione attuale e gli errori di Trotski (dicembre 1920), in Opere..., cit., vol. 32, p. 15. Dal momento che il potere è gestito, per conto di un proletariato ancora incapace d’autogoverno, dalla sua avanguardia, essa potrà rappresentare la dittatura del proletariato solo se mediante una cinghia di trasmissione sarà in costante contatto con i sindacati che organizzano la maggioranza dei lavoratori. Il sindacato, pur essendo un’organizzazione della classe dominante (in questo caso il proletariato), non è un apparato dello Stato, ma una struttura della società civile per cui non può operare in modo coercitivo o burocratico nei confronti dei lavoratori, ma deve proporsi "di educare, di far partecipare, di istruire". In altri termini il sindacato deve configurarsi come "una scuola che insegna a dirigere, ad amministrare" (Ivi, p. 10), una vera e propria scuola di comunismo.
 
56 Solo così sarà possibile vincere ´il vecchio pregiudizio assurdo, selvaggio, infame, abominevole secondo il quale soltanto le cosiddette "classi superiori", soltanto i ricchi e coloro che sono passati per la scuola delle classi ricche possono dirigere lo Stato e l’edificazione organizzativa della societàª. Id., Come organizzare l’emulazione (dicembre 1917), in Opere..., cit., vol. 26, p. 389.
 
57 Id., Rapporto sul lavoro nelle campagne tenuto al VIII congresso del PC(b)R (23-3-1919), in Opere..., cit., vol. 29, p. 188.
 
58 Id., Stato e rivoluzione (agosto-settembre 1917), in Opere..., cit., vol. 25, p. 437.
 
59 Ivi, p. 440.
 
60 Ivi., p. 435-6.
 

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