www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 16-11-12 - n. 430

Stralci tratti dall'introduzione di Adriana Chiaia e dalle pagine del libro
A. V. TiŠkov, Dzeržinskij il «giacobino proletario» di Lenin. Una vita per il comunismo,
Zambon Editore. 2012.
 
Il partito comunista nella concezione teorica e nella pratica politica di Feliks Dzeržinskij
 
Dzeržinskij si considerava un "iskrista" (1), aveva letto il Che fare? (2) e condivideva il programma e le condizioni per l'appartenenza al partito che Lenin aveva posto nello statuto. ("Si considera membro del partito chiunque ne riconosca il programma e sostenga il partito sia con mezzi materiali che partecipando personalmente a una delle sue organizzazioni") (3). Condizioni necessarie per la costruzione di un autentico partito proletario commisurato ai compiti che la situazione politica poneva.
 
Dzeržinskij non era affetto da quello che Lenin chiamava "anarchismo da gran signore", non riteneva uno "spauracchio" da esorcizzare la direzione centralizzata del partito, ma anzi egli l'aveva sollecitata e quasi pretesa, nel suo primo incontro con i capi della socialdemocrazia polacca, incontro nel quale aveva lamentato la mancanza di direzione politica del centro sulle organizzazioni periferiche.
 
Dzeržinskij non viveva come una sopraffazione la subordinazione della minoranza alla maggioranza ed accettava che il comitato centrale rendesse esecutive le risoluzioni dei congressi. Nella Conferenza d'aprile, egli accettò disciplinatamente la sconfitta delle sue posizioni sulla questione nazionale. La ferrea disciplina a cui Dzeržinskij sottoponeva innanzitutto se stesso e poi i suoi collaboratori, non era "cieca obbedienza", ma disciplina cosciente che non escludeva la critica e la diversità di opinione, ma che obbligava ad eseguire le decisioni della maggioranza. Questa fu la norma che il presidente della Ceka avrebbe rispettato e fatto rispettare nella sua organizzazione.
Dzeržinskij non si sentiva "un ingranaggio della macchina-partito" ma una parte viva, pensante di un tutto coeso.
 
Dzeržinskij pensava, come Lenin che "… i bolscevichi non si sarebbero mantenuti al potere, non dico due anni e mezzo, ma neppure due mesi e mezzo se non fosse esistita una disciplina rigorosa, una disciplina di ferro nel nostro partito, senza l'appoggio totale e indefettibile di tutta la massa della classe operaia cioè di tutto quanto vi è in essa di consapevole, di onesto, di dedito fino all'abnegazione, di influente e capace di condurre dietro di sé o attirare gli strati più arretrati" (4). Una disciplina di ferro e l'appoggio della classe operaia e delle masse popolari: queste furono, in tutte le diverse e molteplici funzioni che via via assunse la Ceka, le linee guida della politica e della pratica sociale di Dzeržinskij. Se rileggiamo i suoi numerosi appelli, per la lotta alla controrivoluzione, al sabotaggio, alla corruzione, allo spionaggio dei paesi imperialisti, ci rendiamo conto che egli non dimenticò mai di chiedere "l'appoggio totale e indefettibile di tutta la massa della classe operaia".
 
Il partito di Lenin era il partito di cui Dzeržinskij aveva sempre sentito la mancanza. Nel 1896, criticando il codismo del partito socialista polacco egli aveva dichiarato: "Quello non è un partito operaio. È formato sostanzialmente da intellettuali separati dal movimento operaio. Il PPS ammette la spontaneità della lotta di classe del proletariato e perciò il suo programma non serve agli operai".
 
Quando, nel 1905, il proletariato di Lódz si sollevò in armi per primo contro l'autocrazia, Dzeržinskij scrisse al Comitato Estero della SDKPiL: "… qui le condizioni sono buone e adeguate, come il materiale, manca solo la mano che dirige, il "pugno" leninista dell'organizzazione…".
 
E molti anni dopo, durante la guerra scatenata dalla Polonia contro la Russia sovietica, il 7 agosto 1920, in una lettera a sua moglie, Feliks scriveva: "La nostra Varsavia, terrorizzata e schiacciata, tace e noi non sentiamo la sua chiara voce. A quanto sembra, neppure il nostro Comitato Centrale [si riferisce al comitato centrale del Partito comunista operaio polacco, ndr] è stato capace di guadagnarsi le masse o di volgere a suo favore la situazione politica. Ci manca un capo, un Lenin, un politico marxista".
 
Come Lenin, Dzeržinskij considerava l'unità del partito una condizione indispensabile per la sua vita e la sua azione.
Egli lottò per preservare questo bene supremo in tutto il corso della sua militanza, sia come membro della direzione della SDKPiL, sia come membro del comitato centrale del PCR(b).
 
Quando, nel 1912, si era manifestata la tendenza scissionista di alcuni dirigenti della SDKPiL, Dzeržinskij si era schierato con la direzione centrale. Egli condivideva, ma anzi aggravava le critiche che gli scissionisti movevano alla direzione centrale. Aveva criticato aspramente lo spirito conciliatore verso i "liquidatori" menscevichi, in realtà contrario ai bolscevichi, di Tyszka. Tuttavia Dzeržinskij. considerava una sciagura una divisione nel partito che avrebbe avuto ripercussioni negative su tutte le sue organizzazioni periferiche e soprattutto frenato il movimento rivoluzionario. Per impedire ciò era entrato clandestinamente in Polonia, andando incontro coscientemente ad un sicuro arresto, anche contro il parere della direzione centrale (la disciplina di partito che Dzeržinskij osservava non era, come paventato da Rosa Luxemburg, una "ubbidienza da cadavere") (5) .
 
In pochi mesi, finché durò la sua militanza clandestina, Józef aveva rimesso in piedi molte organizzazioni, riallacciato collegamenti perduti, dissipato i dubbi e incoraggiato i suoi compagni a riprendere la lotta. L'arresto e la scontata condanna ai lavori forzati lo colsero quando si poteva ritenere soddisfatto del lavoro compiuto.
 
Dzeržinskij difese l'unità del partito, questa volta del Partito comunista bolscevico di Russia, molto più tardi, nel X Congresso, quando l'opposizione trockijsta e dei suoi seguaci fu sconfitta e le frazioni vennero condannate da Lenin (la risoluzione sull'"Unità del proletariato" fu redatta da Lenin e adottata al X Congresso del Partito comunista (bolscevico) di Russia, che ebbe luogo dall'8 al 16 marzo del 1921).
Tornò a difendere l'unità del partito, quando, approfittando della malattia di Lenin, l'opposizione trockijsta fece nuovi proseliti rivendicando il diritto di organizzarsi in frazioni in seno al partito (XII Congresso del Pc(b) dell'URSS, aprile 1923).
 
Infine il 20 luglio 1926, nella tempestosa riunione del plenum unificato del Comitato centrale e della Commissione centrale di controllo del partito, rivolgendosi a Kamenev, capo della "nuova opposizione", Dzeržinskij disse:
"L'unità del partito dev'essere conservata, dev'essere considerata sacra da tutti noi, non solo formalmente, come lei cerca di proporre, ma nei fatti".
E poi, quasi in un grido contro le provocazioni, le giravolte e gli intrighi dei politicanti di bassa lega: "E sa lei in che cosa consiste la mia forza? Io, Kamenev, mai mi risparmio, mai!"
 
Poche ore prima della sua morte, improvvisa ma non imprevedibile, dato il logoramento a cui egli aveva sottoposto le sue forze fisiche e mentali, Feliks Dzeržinskij aveva ribadito il principio a cui si era ispirato nel corso di tutta la sua vita: unità di pensiero e di azione.
 
Fu il suo testamento politico: spetta ai comunisti di raccogliere il testimone.
 
Note:
 
1) Iskra (in russo Scintilla) uscito per la prima volta a Lipsia nel 1900 per iniziativa di V.I. Lenin. Altre edizioni furono pubblicate a Monaco di Baviera, Londra e Ginevra. Nel novembre del 1903, contravvenendo alle decisioni del II Congresso del POSDR, i menscevichi ne presero il controllo. Lenin, dopo aver a lungo polemizzato con l'impostazione della "nuova" Iskra, dichiarò di non voler più far parte della redazione.
2) Lenin, Opere complete "Che fare?", Editori Riuniti, Roma, 1958, vol. 5, pp. 319-490.
3) Lenin, Opere complete "Progetto di statuto del POSDR", Editori Riuniti, Roma, 1959, vol. 6, p. 440.
4) Lenin, Opere complete "L'estremismo malattia infantile del comunismo", Editori Riuniti, Roma, 1967, vol. 31, p. 14.
5) Le espressioni: "obbedienza cieca", "obbedienza da cadavere", "ingranaggio nella macchina di partito", ecc. furono usate da Rosa Luxemburg nel suo scritto di aspra polemica contro il modello leninista del partito approvato a maggioranza dal II Congresso del POSDR (17-23 luglio 1903). Vedi Rosa Luxemburg, "Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa" in Scritti politici a cura di Lelio Basso, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 217-236.
 

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