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Cina: I 100 anni del Partito Comunista

Parti Révolutionnaire Communistes | sitecommunistes.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

08/07/2021

In Cina il Partito Comunista (PCC) festeggia il suo centesimo anniversario. Dalla sua nascita a Shanghai nel luglio 1921 da parte di una manciata di attivisti, alla celebrazione di oggi

Con la grande manifestazione a Pechino con il suo primo dirigente Xi Jinping e i suoi oltre 90 milioni di aderenti, molta acqua è passata sotto i ponti e la Cina del 2021 non assomiglia a quella del 1921.

Dalla presa del potere 72 anni fa nel 1949, in una Cina segnata dal dominio delle potenze occidentali, dall'invasione giapponese, dalla seconda guerra mondiale e dalla guerra civile, un paese povero, agrario, arretrato e in rovina è emersa una potenza industriale, tecnologica e finanziaria di primo rango, ormai in gran parte urbanizzata e che ha notevolmente ridotto la povertà sollevando milioni di esseri umani dalla miseria. Questa situazione è stata raggiunta in un tempo relativamente breve.

Nel suo discorso Xi Jinping ha sottolineato il ruolo crescente, divenuto di primaria importanza, della Cina nell'economia mondiale e il suo peso nelle relazioni internazionali, nonché la sua determinazione a preservare la propria indipendenza nazionale. Ha sottolineato quello che definisce il carattere socialista dello sviluppo della Cina, riferendosi al marxismo per sostenere la direzione data dalla leadership statale.

Questa affermazione di uno sviluppo socialista della Cina viene avanzata anche a livello internazionale. Da questo punto di vista, il PCC ha organizzato un recente simposio di partiti politici "marxisti", cui hanno partecipato 58 partiti comunisti di 48 paesi. Lo scopo principale di questo simposio era affermare che la Cina era davvero un paese socialista e che la sua difesa faceva parte della lotta "antimperialista" contro gli Stati Uniti in un mondo che è diventato multipolare dalla scomparsa dell'URSS.

Un simile approccio corrisponde alla realtà o è un modo per mobilitare le forze politiche e sociali di tutto il mondo per proteggere e sostenere gli interessi cinesi? I rivoluzionari devono rispondere a questa domanda di importanza strategica per lo sviluppo della lotta di classe. Questo è ciò che cercheremo di fare in questo articolo.

Alcuni sostengono che la Cina persegua un mezzo per sviluppare le sue forze produttive sotto il controllo sotto il controllo del PCC e come contrappeso all'imperialismo statunitense. In queste condizioni, sarebbe opportuno, secondo questo punto di vista, considerare l'orientamento della politica del PCC come una grande NEP e quindi sostenerlo per isolare l'imperialismo USA.

Altri, al contrario, sottolineano che il predominio dei rapporti sociali capitalistici in Cina, la sua partecipazione al processo di internazionalizzazione e di accumulazione del capitale in un mercato qualificato come "globale" la integri nello stesso sistema imperialista in quanto tale, come analizzato da Lenin. È inoltre riprendendo l'analisi dell'imperialismo di Lenin che insisteremo sulle condizioni economiche per lo sviluppo della Cina oggi.

Qual è la situazione e da quale punto di vista iniziamo per analizzare lo sviluppo della Cina e le politiche dei suoi leader? Lo facciamo esaminando e analizzando le realtà economiche e la natura dei rapporti di produzione che determinano l'orientamento politico e il posizionamento internazionale.
È quindi sulla base delle realtà che è opportuno valutare la natura dello sviluppo economico, sociale e politico di questo Paese, la natura dei rapporti di produzione.

1. Lo sviluppo delle forze produttive

In pochi decenni la quota del settore privato sul Pil è passata dal 10% al 70% in un volume di ricchezza prodotto moltiplicato per 100. Un comunicato dell'agenzia di stampa Xinhua del 2018 cita Gao Yunlong, capo della Federazione nazionale dell'industria e del commercio: "Il settore privato cinese ha dato un grande contributo alla crescita economica" e ha aggiunto: "Il settore attualmente contribuisce per oltre il 60% alla crescita del PIL cinese e genera più della metà delle entrate fiscali del paese" ha precisato Gao Yunlong ". Allo stesso tempo, più del 60% degli investimenti in capitale fisso e all'estero della Cina sono stati effettuati da investitori privati...L'economia privata svolge anche un ruolo maggiormente importante nella creazione di posti di lavoro e nella promozione dell'innovazione del paese, fornendo oltre l'80% dei posti di lavoro e contribuendo a oltre il 70% dell'innovazione tecnologica e dei nuovi prodotti nel paese".

Alla fine del 2017 la Cina contava 65 milioni di aziende individuali e 27 milioni di aziende private, che reclutavano circa 340 milioni di persone". I piani statali sono sempre più legati a grandi opere strategiche: grandi vie di comunicazione, sviluppo dell'agricoltura, che restano una questione vitale. Se il "centralismo" è ancora alla base del funzionamento politico, questo difficilmente disturba il capitale in quanto influenza la nomina dei vertici a livello regionale.

Tutti questi elementi convergono per mettere in evidenza lo sviluppo del capitalismo in Cina come rapporto sociale predominante.

Questo ovviamente ha importanti conseguenze sociali. Se la povertà estrema è stata ampiamente sradicata, le disuguaglianze sociali sono aumentate vertiginosamente. Poco sviluppata, la Cina era ancora molto egualitaria a metà degli anni 80. Le disuguaglianze sono gradualmente aumentate con l'emergere di una classe agiata, anche molto ricca. La Cina è stata infatti nel 2010 il paese con più miliardari dopo gli Stati Uniti secondo la classifica della rivista Forbes. Le crescenti disuguaglianze sono state accompagnate da un aumento del tenore di vita. Il reddito medio (la metà guadagna di meno, l'altra metà di più) è passato da 800 yuan nel 1985 a 3.000 yuan nel 2008 (considerata l'inflazione ), ovvero l'equivalente di 300 euro, al cambio di allora. Il tasso di povertà assoluta - inferiore a 1,25 dollari al giorno - è sceso drasticamente, passando dall'84% nel 1981 al 26% nel 2005. Tuttavia, è aumentata la povertà relativa, pari alla metà del tenore di vita mediano, passando dal 12% al 18%, perché il tenore di vita degli strati medi è aumentato molto più di quello dei più poveri.

Per gli abitanti è necessario distinguere quelli il cui status è legato al permesso di soggiorno "di città", da quelli di "campagna", senza dimenticare l'esistenza di 250 milioni di contadini che lavorano in città e non hanno gli stessi diritti in materia di salute, salario, diritto alla casa...

I diritti sociali sono regolati a livello delle Regioni e non dello Stato. Pertanto, i salari differiscono fortemente a seconda della regione. Lo stipendio medio a Shanghai è il doppio di quello di Nanchang (Jiangxi). Questo sta portando potenti aziende private come Foxconn a trasferirsi in Occidente a seguito delle lotte sociali nel Guangdong che hanno portato al raddoppio dei salari. Questa operazione di ricollocazione interna è stata eseguita con l'accordo del governo.

Che ruolo hanno oggi i lavoratori in Cina? Il posto dei sindacati è illuminante per il poco peso che esercitano nella vita economica e nelle decisioni prese nella vita delle aziende pubbliche o private. La Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi è una potente istituzione di circa 300 milioni di iscritti nel 2017. Si può parlare di sindacalismo co-gestionale anche se a volte nelle lotte sono presenti i sindacati FNSC.

La FNSC sostiene le riforme, assicura la stabilità sociale e svolge relativamente bene il ruolo che gli è assegnato, quello della pace sociale. Il suo posto nell'apparato statale gli impedisce di essere l'espressione della voce dei lavoratori. Soggetta all'interno dell'azienda ad una fedeltà alle autorità locali del Partito oltre che alla direzione, se riesce a mantenere il controllo dei movimenti sociali, non riesce a prevenire i conflitti che si moltiplicano. Infatti, è spesso esterna a movimenti importanti.

Dobbiamo renderci conto che i conflitti sociali che si sviluppano sono legati alla crescita della classe operaia e al suo sfruttamento. A volte sono violenti. Questo arriva fino alla protesta contro il PCC e talvolta al saccheggio delle sedi del partito. La repressione è intensa e brutale. Nel settore privato, i padroni sopportano bene un sindacalismo controllato, ma temono che l'assenza di organizzazioni veramente rappresentative dei lavoratori danneggi la gestione dei conflitti.

2. Il sistema finanziario e la sua integrazione nel sistema capitalistico mondiale

La maggior parte delle grandi aziende pubbliche o private sono quotate in borsa. Secondo la Banca Mondiale, nel 2018 in Cina ci sono un totale di 3584 società quotate. In confronto, nel 2017 erano 465 in Francia e 4.397 negli Stati Uniti. Ci sono quattro borse internazionali: Pechino (11°), Shanghai con 1460 società quotate (6°), Shenzhen con 2179 società quotate (18°) e Hong Kong con 2161 società quotate (3°) per un totale, secondo la Banca Mondiale nel 2018, di un capitalizzazione di 6.324 miliardi di dollari USA, a confronto la capitalizzazione di mercato degli USA è di 30.436 miliardi e quella della Francia di 2.749 miliardi. Le borse di Shanghai e Shenzhen sono collegate a quella di Hong Kong, che presto sarà collegata a quella di Londra, consentendo scambi più rapidi per gli investitori. Secondo il quotidiano "les Echos" del 16 ottobre 2018 con il titolo: "London Shanghai Stock Connect: le autorità cinesi hanno pubblicato, pochi giorni fa, la loro bozza di regolamento che disciplina il futuro collegamento tra la borsa di Shanghai e quella di Londra. Obiettivo: favorire i flussi di investimento tra la principale borsa europea e il principale mercato azionario cinese".

Le banche più grandi sono la Bank of China e la Agricultural Bank. La prima è la Banca agricola guidata dal vice del PCC, Jiang Choliang. è quotata in borsa dal 2010. È, secondo Forbes Global 2000, la sesta società mondiale nel 2017. La Cina ha programmato l'ampliamento dell'accesso alla borsa cinese a soggetti stranieri, il presidente cinese Xi Jinping, nel bel mezzo di una guerra commerciale con gli Stati Uniti, ha insistito per formalizzare una nuova misura come parte della sua promessa di apertura economica e finanziaria.

La China Banking and Insurance Regulatory Commission (CBIRC), agenzia autorizzata dal Consiglio di Stato a regolamentare il settore bancario della Repubblica Popolare Cinese - ad eccezione dei territori di Hong Kong e Macao - ha infatti annunciato di autorizzare banche straniere ad aumentare al 100% il capitale dei colossi finanziari cinesi. "La Cina sta dimostrando di mantenere le sue promesse e che i regolatori finanziari cinesi sono interessati ad aprire, piuttosto che a chiudere. [...] In considerazione dell'attuale controversia commerciale, questa decisione potrebbe rivelarsi molto utile ", ha affermato Chen Long, economista della società di ricerca Gavekal Dragonomics con sede a Pechino, citato da Bloomberg. Dal dicembre 2003, la China Banking Regulatory Commission (CBRC) ha autorizzato solo la partecipazione fino al 20% per stabilimento straniero. Per i gruppi bancari, il totale dei loro investimenti in un istituto cinese che non compare in una lista negativa potrebbe arrivare fino al 25%. I potenziali guadagni sono interessanti.

Con questa nuova misura, i colossi finanziari americani ed europei otterrebbero l'accesso a un mercato di 40.000 miliardi di dollari. Secondo le simulazioni di Bloomberg, potrebbero decuplicare il loro reddito entro il 2030. Secondo i dati CBIRC, le banche estere detenevano 2,9 trilioni di yuan (circa 366 miliardi di euro) in attività in Cina alla fine del 2016, ovvero circa l'1,3% di quota di mercato. Inoltre, nel novembre 2017, la Cina ha iniziato ad aprire i suoi mercati finanziari. Le imprese estere avevano infatti ottenuto l'autorizzazione ad aumentare la loro partecipazione in joint venture in intermediazione mobiliare e derivati e fondi di investimento dall'attuale 49% al 51%. Bloomberg ha stimato lo scorso maggio che una quota di mercato del 6% entro il 2030 rappresenterebbe un patrimonio di 1,8 miliardi di dollari (circa 1,5 miliardi di euro) per i gestori di fondi esteri.

Al momento nessuna banca ha realmente deciso di intraprendere grandi operazioni nella finanza cinese, ma alcuni player esteri hanno manifestato l'intenzione di incrementare la propria attività nel Paese. UBS, ad esempio, è stata la prima banca al mondo a richiedere una quota di maggioranza nel suo investimento in joint venture in Cina lo scorso maggio. Nomura, holding finanziaria giapponese e JPMorgan, banca americana leader in termini di asset under management, hanno già cercato di trarre vantaggio da questo allentamento, in particolare creando joint venture con partner locali. Dal canto suo, la banca cinese Bank of Communications sarebbe stata aperta a far partecipare maggiormente HSBC al suo capitale, secondo il segretario del consiglio di amministrazione dell'istituto bancario cinese, Gu Sheng, citato da Bloomberg. Tutte le banche internazionali sono rappresentate in Cina.
In conclusione, il sistema finanziario cinese è quindi intimamente connesso a livello internazionale e il suo sviluppo partecipa al movimento dei capitali in tutto il mondo capitalista.

3. La Cina protagonista del commercio mondiale

La Cina è membro dell'OMC dal dicembre 2001 e dal 17 aprile 1980 del FMI. Il Renmibi è integrato come valuta internazionale. La Cina è un esportatore globale di capitali. Secondo Xinhua il 7 ottobre 2018: "Gli investimenti diretti esteri cumulativi (IDE) della Cina hanno raggiunto 1,8 trilioni di dollari alla fine del 2017, salendo al secondo posto nella classifica mondiale, secondo un rapporto ufficiale". Aggiunge: "La Cina ha effettuato investimenti in 189 paesi e regioni in tutto il mondo, i suoi IDE cumulativi rappresentano il 5,9% del totale mondiale", ha affermato Zhang Xingfu, un funzionario del Ministero del Commercio cinese (MCC). Il rapporto, pubblicato dal ministero, State Bureau of Statistics and National Exchange Administration, afferma anche che gli IDE (Investimento diretto all'estero - ndt) cinesi hanno raggiunto i 158,29 miliardi di dollari solo nel 2017, posizionandosi al terzo posto a livello mondiale, dopo Stati Uniti e Giappone.

Le autorità cinesi hanno intensificato la revisione dell'autenticità e della conformità degli IDE dalla fine del 2016, in particolare i progetti che non riguardano l'economia reale o trascurano la protezione dell'ambiente, il consumo di energia e la sicurezza. Zhang ha affermato che questo tipo di controllo ha aiutato gli investitori a diventare più maturi e razionali, contribuendo a modernizzare la struttura degli IDE. Le aziende cinesi continueranno a investire all'estero, ha affermato, aggiungendo che la Cina vuole raggiungere uno sviluppo reciproco con i paesi ospitanti e i loro popoli e stimolare la crescita economica globale.

Gli investimenti in sei settori hanno rappresentato l'86,3% degli IDE accumulati nel paese, vale a dire noleggio e servizi alle imprese, vendita all'ingrosso e al dettaglio, software e servizi di tecnologia dell'informazione, finanza, estrazione mineraria e produzione. Gli investimenti cinesi in Europa rappresentano tra il 2010 e il 2019, secondo il quotidiano Le Monde, 150 miliardi di euro. In Africa, nel 2018, i flussi di investimenti diretti cinesi (IDE) sono stati pari a 5,4 miliardi di dollari, con una crescita del 31,5% rispetto all'anno precedente all'11,7% del totale degli IDE ricevuti dall'Africa nell'ultimo anno.

Nello stesso periodo, gli investimenti nei paesi lungo la "Belt and Silk Road" hanno rappresentato oltre il 12% degli IDE cinesi, con un aumento del 31,5% su base annua. Se la Cina cerca di proporsi come modello nelle relazioni economiche e politiche con gli altri Stati, evidenziando lo status che si attribuisce di "paese in via di sviluppo" promotore di un modello di crescita nazionale, finge di ignorare che lo sviluppo ineguale del capitalismo, compreso al suo interno tra Oriente e Occidente, è uno dei mezzi di dominio dei più potenti centri imperialisti. Così, i paesi meno sviluppati sono luoghi della loro feroce competizione per il saccheggio delle risorse naturali, lo sfruttamento di una forza lavoro a basso costo, il controllo delle vie di comunicazione e commerciali…

Se la Cina offre prestiti e investimenti competitivi rispetto ad altri paesi capitalistici e soprattutto USA, li utilizza per garantire in particolare le fonti di approvvigionamento energetico e agroalimentare, in modo che queste aziende investano in produzioni con costi di manodopera inferiori a quelli praticati nella Cina costiera orientale e per aprire mercati. Investe anche nei mezzi di comunicazione che le consentono di fornire e trasferire merci in luoghi che alimentano il proprio commercio. Stabilisce presenze militari sulla base di accordi da stato a stato, sia nell'ambito di interventi internazionali come quello della lotta alla "pirateria". Nell'area delle acquisizioni di capitale e delle fusioni, faremo due esempi: il porto del Pireo in Grecia e la società Gelly in Francia. In generale, la Cina investe in aree portuali e nodi di comunicazione vitali per il suo commercio.

Tra gli investimenti all'estero troviamo l'acquisto e l'affitto di terreni coltivabili, questo è vero in Francia, Asia, Russia e Africa. In Africa, la Cina è presente in quasi tutti i paesi e in tutti i principali settori ad alta intensità di capitale (legname esotico, acquisto di terreni agricoli, energia, minerali, comunicazioni, trasporti, ecc.). Le attività della Cina e delle sue imprese pubbliche o private difficilmente differiscono dalle altre potenze. Si sviluppa da grandi monopoli di dimensione internazionale che partecipano all'accaparramento di risorse e allo sfruttamento della forza lavoro come è il caso in Etiopia con la delocalizzazione delle aziende tessili e più recentemente in Pakistan.

La partecipazione dell'economia cinese al commercio internazionale, la sua integrazione nel sistema finanziario, partecipa quindi alla ristrutturazione del capitalismo su scala mondiale e allo sviluppo del proprio capitalismo. Per fare solo un esempio, il capitale cinese svolge un ruolo attivo nelle fusioni/acquisizioni su scala globale. Nel 2016 le transazioni sono state 601, rispetto alle 441 del 2015. L'acquisizione di Syngentan da parte del gruppo cinese Chem China ha rappresentato un'operazione di 46,7 miliardi di dollari USA.

4. Una potenza militare al servizio della sua strategia internazionale

Negli ultimi anni, la Cina ha notevolmente rafforzato le sue forze armate. È una potenza nucleare. È il terzo più grande budget militare al mondo dopo gli Stati Uniti e l'Europa. Si tratta di 95,9 miliardi di euro nel 2015. Il più grande esercito del mondo con circa 2,3 milioni di uomini è in fase di ristrutturazione da dicembre 2015, con modifiche operative volte a metterlo in condizione di difendere il territorio nazionale. La stazza delle sue navi militari marittime ammonta a 1 milione di tonnellate. È 3.100.000 per gli Stati Uniti, 387.000 per il Giappone e 1.100.000 per la Russia (2013).

La Cina ha per vicina, al nord la Russia, così come tutte le ex repubbliche dell'URSS che si trovano nella OCS (Organizzazione di Cooperazione di Shanghai), ad est le due Coree, il Giappone. Il Pacifico è una vasta area coperta dall'associazione APEC (Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica), vi si trovano tutti i paesi limitrofi dell'Oceano da Nord a Sud, Canada, USA, Messico, Centro America, Colombia, Australia, Giappone, India, Pakistan ecc. Ad Occidente ci sono le ex repubbliche sovietiche, Afghanistan, al Sud Pakistan, India, Nepal, Birmania, Cambogia e Vietnam. Il Vietnam in conflitto di interessi con la Cina in molte aree, conclude accordi di cooperazione con il Giappone. La Cina sotto le spoglie della protezione del trasporto marittimo, in accordo con l'ONU e le potenze regionali, opera verso il Golfo di Aden, lo Stretto di Malacca e da quasi 10 anni garantisce la sicurezza marittima per tutti gli accessi tra l'Asia settentrionale e il Canale di Suez. La Cina svolge un ruolo importante nel conflitto coreano. Questo conflitto che risale all'aggressione imperialista contro la Corea nel 1950, con il sostegno dell'ONU, si concluse con un armistizio che nel 1953 divise la Corea in due stati. Il Sud è diventato una base militare statunitense e la sua economia è ampiamente dominata dai monopoli statunitensi. Nel nord, invece, il gelosissimo regime di indipendenza nazionale dipende largamente dalla Cina. Zone economiche speciali consentono alla Cina di essere presente economicamente. La Corea è al centro dello scontro tra Cina e Russia da una parte e Stati Uniti e Giappone dall'altra.

In Africa, nel 2018, l'esercito cinese ha effettuato manovre in Camerun, Gabon, Ghana e Nigeria mentre le sue unità mediche hanno lavorato con le loro controparti in Etiopia, Sierra Leone, Sudan e Zambia per rafforzare la loro capacità di prendersi cura delle vittime dei combattimenti. Questi sforzi si verificano nel quadro di relazioni consolidate che includono anche la vendita di armi e la cooperazione di intelligence.

In conclusione, è integrandosi nei processi capitalistici e imperialisti su scala mondiale, partecipando all'accumulazione del capitale a livello nazionale e globale che i monopoli cinesi, pubblici o privati, entrano a far parte della competizione capitalista e determinano fondamentalmente la politica dello Stato cinese.

Questo sviluppo capitalista della Cina, il suo ruolo su scala regionale e mondiale entra in conflitto con le altre potenze imperialiste e soprattutto con gli USA. Questi ultimi hanno aperto una guerra commerciale con la Cina e stanno cercando di trascinare i loro alleati nel mondo. Come abbiamo scritto prima, l'Asia è diventata il focolaio di scontri all'interno dell'imperialismo.

A livello internazionale, come per molti popoli, l'imperialismo USA - ancora dominante militarmente - è sempre e ancora il nemico numero uno. Ma cercare di sfruttare le contraddizioni inter-imperialiste nella lotta per la rivoluzione socialista sostenendo un imperialismo contro un altro imperialismo sarebbe una politica mortale per il movimento rivoluzionario.


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