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Occupy in retrospettiva

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

28/09/2021

Dieci anni fa, il 17 settembre 2011, dei manifestanti si insediarono a Zuccotti Park, nel distretto finanziario di New York, un parco privato di proprietà della Brookfield Office Properties, che prende il nome dal suo ex presidente. Questa azione ha acquisito il semplice, diretto, ma un po' fuorviante nome di "Occupy Wall Street".

Mentre le motivazioni specifiche della mobilitazione sono ancora discusse, c'è un accordo generale che la crisi economica del 2007-2009, e soprattutto la mancata condanna dei suoi responsabili, è stata uno sprone. Occupy è diventato un fenomeno, persino un marchio nell'era dei meme, dei social media e dell'ultra-consumismo. Gli imitatori di Occupy sono sorti in tutto il paese e animando diverse forme di attivismo.

Nella sua forma iniziale, Occupy era un invito aperto a riunirsi in uno spazio pubblico o semi-pubblico e lì trattenersi. I partecipanti rifuggivano un programma, una struttura organizzativa o una direzione. Come i precedenti tentativi di carattere anarchico - la cosiddetta "democrazia radicale" o "partecipativa" - tutti avevano nominalmente la stessa voce e la stessa statura. E come i suoi antecedenti - la Nuova Sinistra, gli zapatisti, il movimento anti-globalizzazione, gli Indignados, ecc. - ci si può chiedere come i loro portavoce, organizzatori, "facilitatori" o anti-leader, fossero democraticamente selezionati in assenza di qualche struttura.

Il filo conduttore che attraversa tutte le celebri organizzazioni anti-gerarchiche è una fiducia semi-religiosa nella spontaneità. L'altare di questa idea inafferrabile è oggetto di adorazione, nonostante il fatto che non ci sia alcun precedente storico vincente per sostenere la fede nel suo successo.

Anche se il movimento Occupy dopo due mesi ha ceduto al brutale assalto delle forze repressive della classe dominante statunitense, ha lasciato uno slogan popolare che continua a essere abbracciato da un ampio settore della sinistra: "Noi siamo il 99%!

La retrospettiva decennale

Non sorprende che nel suo decimo anniversario, stiano sorgendo varie stime del valore di Occupy. Si va dall'ingenuo romantico, riconducendo a Occupy lo stimolo di ogni lotta dal 2011, compresa la lotta per il salario minimo e l'ondata di scioperi degli insegnanti del 2018, alla visione freddamente scettica come un'opportunità mancata o semplicemente un "episodio" storico.

Michael Levitin, scrivendo su The Atlantic, sostiene che Occupy "ha reso la protesta di nuovo accattivante... ha riportato l'azione nell'attivismo..." In realtà, protestare non è mai stato "cool"; richiede un sacrificio da parte dei partecipanti. Ancora più importante, dovrebbe evocare un impegno al di là di un evento, un tentativo, una dichiarazione. Protestare richiede l'assillo per nulla cool di costruire un movimento che possa crescere sufficientemente per affrontare il grande potere dei governanti, un obiettivo difficile da raggiungere senza leadership, organizzazione e struttura. L'"1%" è più che un privilegio economico; l'"1%" ha anche accumulato un potere massiccio in gran parte immune agli incantesimi di un'assemblea generale.

Micah L. Sifrey, scrivendo su The New Republic, cita il libro di uno pseudo-organizzatore di Occupy Wall Street, Jonathan Smucker:
«Il successo di Occupy non è stato solo quello di rimettere il concetto di classe nell'agenda statunitense.
È stato anche "un caos ad alto potenziale che alla fine si è dimostrato incapace di mobilitare oltre i soliti sospetti". Come ha scritto nel suo libro Hegemony How-To, "Non siamo stati semplicemente carenti nella capacità di guidare il promettente schieramento di giustizia sociale a cui la nostra audace occupazione ha dato il via; molte delle voci più forti erano apertamente ostili all'esistenza stessa della leadership, insieme all'organizzazione, alle risorse, alla comunicazione con i media mainstream, alla creazione di ampie alleanze e a molte altre operazioni necessarie che puzzano dell'odore del potere politico". Le assemblee generali di Occupy erano talmente dispendiose in termini di tempo e così facilmente dirottabili, che molto del lavoro reale e del processo decisionale era altrove, "nei centri sotterranei del potere informale", scrive.»

È possibile guardare a Occupy come un esperimento per il suo tempo - il 2011 è stato l'anno dell'ascesa degli Indignados, il movimento anti-austerità spagnolo. Occupy è arrivato poco dopo la rivoluzione dei gelsomini tunisini che ha scatenato la primavera araba. Tutti hanno condiviso gli elementi della non-violenza (da parte dei manifestanti), delle rivolte spontanee o quasi, dell'assenza di un programma chiaro, dell'allergia alle gerarchie e dell'impegno interclassista. Nessuno era guidato da partiti della sinistra tradizionale o da ideologie (a parte una connessione nebulosa con l'anarchismo). E - conclusione a cui nessuno dei commentatori vuole arrivare - tutti sono svaniti, lasciando l'equilibrio di potere essenzialmente immutato.

Occupy ha dimostrato il potere dei social media e della comunicazione su internet. I più attempati erano in soggezione per la facilità e la velocità con cui le persone potevano essere radunate intorno ad azioni ed eventi. Il tempo ha dimostrato che le nuove tecnologie avevano un rovescio della medaglia: l'azione arrivava quasi troppo facilmente e con un impegno o una comprensione minimi. L'attivismo spesso nasceva dalla stessa immediatezza emotiva dell'andare a un concerto o al cinema. Un commentatore ha definito Occupy "esaltante", una sorta di Woodstock politica?

Arun Gupta, scrivendo su In These Times, nota incidentalmente: "Ogni movimento raggiunge la fine del suo percorso, e a un decennio la protesta in stile Occupy, sbatte in un vicolo cieco".

Sì, la protesta in stile Occupy oggi è esaurita, ma il fatto che Gupta abbia liquidato questa fine con un'alzata di spalle riflette una certa misura di immaturità politica. Qualsiasi movimento deciso a sfidare la disuguaglianza, l'ingiustizia, il capitale o, soprattutto, il capitalismo, non può accettare un vicolo cieco come inevitabile. Al contrario, qualsiasi movimento che prometta successo deve mantenere la rotta se vuole qualche speranza di vincere contro l'immenso cumulo di potere stretto in così poche mani e dopo una lunga storia di fallimenti. A Occupy mancava questa visione.

Gupta scrive dell'"autenticità" di Occupy e della soddisfazione dei suoi partecipanti. Nella misura in cui è servito come una "scuola preparatoria" per una generazione di giovani profondamente segnati dai prestiti agli studenti, dalle scarse prospettive di lavoro o dalla disoccupazione e profondamente delusi dall'establishment politico: Occupy è stata una degna introduzione. Nella misura in cui i vecchi, i veterani del movimento e i teorici accettano Occupy come la strada da seguire e non offrono percorsi alternativi, essi portano gran parte della responsabilità del collasso del movimento.

Le lezioni

Chiaramente, molti sentono che vale la pena combattere per l'eredità di Occupy. Ne è testimone la dichiarazione del Metropolitan Anarchist Coordinating Council, che rivendica la paternità di Occupy. O il dibattito su The Nation: Occupy Wall Street era movimento più anarchico o socialista?

Indubbiamente, Occupy è servito a introdurre migliaia di giovani all'azione collettiva, alla resistenza ai ricchi e ai potenti. Con lo slogan "il 99 per cento", molti hanno osservato per la prima volta la vita sociale negli Stati Uniti attraverso una lente rudimentale della divisione di classe: realtà negata dal nostro sistema educativo, dai nostri media e dai nostri leader.

Ma la costruzione "il novantanove per cento versus l'uno per cento" era troppo semplicistica e troppo rozza per catturare le differenze o riflettere la struttura del capitalismo del ventunesimo secolo. Non è riuscita a spiegare le divisioni che hanno impedito al novantanove per cento o ai suoi vari strati e classi di unirsi contro l'uno per cento. Non è riuscito a inserire questa semplificazione nelle dinamiche del sistema bipartitico - un sistema di controllo fondamentalmente posseduto dall'uno per cento e dai suoi strati alleati, negato a tutti gli altri. Non è riuscito a offrire un programma né all'interno né all'esterno di quella struttura decadente.

In breve, "il novantanove per cento" era analiticamente troppo impreparato per far progredire Occupy al di là del ben intenzionato teatro di strada.

Quello che serviva era un'analisi di classe più profonda che distinguesse più accuratamente tra gli sfruttati e gli sfruttatori. Se si fossero preoccupati di cercare, gli occupanti avrebbero potuto trovare questa analisi più profonda nel marxismo-leninismo.

Occupy segue una lunga traiettoria del "nuovo" radicalismo negli Stati Uniti plasmato da un sottile, ma persistente anticomunismo. Dall'epurazione dei comunisti e dei loro alleati dalla vita sociale e politica degli Stati Uniti nel dopoguerra, ogni ravvivata forma di resistenza paga un tributo sottile quanto intransigente alla religione dell'anticomunismo: un silenzioso giuramento di fedeltà. Dalla New Left studentesca a Occupy, si è capito che i limiti della tolleranza finivano alla porta dell'autentico marxismo-leninismo.

Invece, ogni movimento emergente ostentava il suo impegno per la "democrazia" in contrasto con la caricatura del comunismo e la sua presunta ostilità all'individuo. Il culto dell'individuo e di un'utopica democrazia "partecipativa" è inteso a dimostrare un tipo di radicalismo distinto e divergente dall'immagine del comunismo della Guerra Fredda. Così è nato un tipo di anarchismo individualista e piccolo-borghese caratteristico degli attivisti statunitensi dai primi SDS [Students for a Democratic Society] a Chomsky e a Occupy.

Dove le lezioni della pratica comunista e socialista (e anche anarchica) oramai ultra centocinquantenne, non è stata oggetto dell'anatema che le ha volutamente oscurate, sono seguiti risultati diversi. Il movimento studentesco cileno, anche se concomitante al fenomeno Occupy, è un caso esemplare. Nonostante ignorato dai media e dalla sinistra statunitense, gli studenti delle scuole superiori e delle università cilene hanno manifestato dal 2011 al 2013 per una riforma dell'istruzione.

A differenza di Occupy, le proteste erano altamente organizzate, hanno accolto una leadership scelta democraticamente e hanno costruito un insieme coerente di richieste. Inoltre, gli studenti si sono impegnati e sono stati raggiunti dal movimento sindacale cileno. I partiti politici di sinistra hanno collaborato e sono cresciuti grazie al loro impegno, in particolare il Partito Comunista Cileno. La candidata socialista alla presidenza nel 2013, Michelle Bachelet, ha messo la riforma dell'istruzione in cima alla sua agenda.

Gli studenti hanno di nuovo scatenato le proteste dell'agosto 2019 che sono continuate nei due anni successivi, con oltre un milione di cileni nelle strade il 25 ottobre 2019 solo a Santiago.

A differenza di Occupy, le proteste studentesche cilene del 2011 hanno portato direttamente al rafforzamento della sinistra, a risultati elettorali e a un referendum che ha aperto la strada a una nuova costituzione.

La maturità politica del movimento cileno e i suoi successi servono come un netto contrappunto alle carenze del modello di resistenza di Occupy.

A suo credito, Occupy ha rotto il modello di inerzia del movimento durante l'amministrazione del Partito Democratico. Per decenni, le proteste contro la guerra e le proteste riformiste hanno assunto un carattere di massa solo quando i repubblicani erano al potere. Le manifestazioni contro la guerra dell'amministrazione Bush non sono mai state replicate, nemmeno quando Obama ha architettato l'aumento delle truppe in Afghanistan. Le ali liberali e socialdemocratiche dominanti della sinistra temono di inimicarsi i portabandiera del Partito Democratico e scatenano il fervore nelle strade solo quando i repubblicani sono al potere. Allergici alla politica elettorale, gli anarchici al centro di Occupy sono andati avanti senza paura e con determinazione durante gli anni di Obama.

Tuttavia, dopo due mesi di intensa attenzione dei media, di travolgente teatro pubblico e di protesta sinceramente sentita, il movimento Occupy è stato spazzato via dalle operazioni militari della polizia. Senza ormeggi profondi, senza una tabella di marcia e senza luogotenenti o capitani, il movimento si è frantumato in molti pezzi: chi cercò di cambiare il Partito Democratico, chi si vendette all'industria del cambiamento sociale delle ONG, alle sovvenzioni delle fondazioni e all'ingegneria sociale senza scopo di lucro; chi tornò al mondo accademico e chi, per cinismo, semplicemente abbandonò.

Un improbabile cronista, il fedele democratico Robert Reich, ha notato perspicacemente che un movimento populista di destra contemporaneo, il Tea Party, che esprime l'indignazione contro il potere da una prospettiva diversa, ha riscontrato molto più successo nel modellare il terreno politico. Con la sua attenzione all'apparenza rispetto al programma, alla forma rispetto al contenuto, alla spontaneità rispetto all'organizzazione, Reich non poteva comprensibilmente vedere alcuna speranza che Occupy potesse cambiare il corso della storia.

Ben prima dello scetticismo di Reich, V.I. Lenin inveiva contro la spontaneità nella sua classica polemica contro i nemici della leadership organizzata, nel Che fare? Lenin ha deriso le azioni che oggi sono chiamate democrazia partecipativa come esempio di democrazia giocattolo o primitiva. Mentre appaiono ultra-democratiche, in realtà inibiscono l'utilità alla causa del popolo con la loro ossessione senza fine per la procedura.

Occupy si è arenato sulle secche del settarismo procedurale, del caos organizzativo e della mancanza di una bussola programmatica. Le lezioni saranno ascoltate o la sinistra statunitense continuerà a flirtare con la democrazia "giocattolo" rispetto alla sostanza, con l'espressione culturale rispetto all'impegno politico?


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