www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 19-07-10 - n. 328

Resistenze.org incontra Arleen Rodriguez Derivet
 
di Redazione
 
19/07/2010
 
Arlen Rodriguez Derivet, laureata nel 1982 ha iniziato la sua carriera come inviata di Juventud Rebelde, dove, dopo aver ricoperto diversi incarichi, è diventata dal 1989 al 1997 direttrice della testata. Direttrice e fondatrice del settimanale Opciones (1994-1997), attualmente è redattrice della rivista Tricontinental
Responsabile di diversi programmi radiofonici, conduce insieme a Randy Alonso Falcon il programma di approfondimento politico Mesa Redonda, il più importante e seguito a Cuba. Appartiene al Consiglio direttivo del portale contro il terrorismo mediatico Cubadebate (sul quale scrive le proprie riflessioni Fidel Castro). 
Una delle voci più autorevoli del giornalismo cubano, nel 1993 ha ricevuto il premio José Martí per il giornalismo. 
Conosciuta alla fine di Maggio nell'ambito di una serie di conferenze tenute in tutta Italia, organizzate dall'Associazione Nazionale di Amicizia Italia- Cuba, ha concesso a www.resistenze.org del Centro di Cultura e Documentazione Popolare l'intervista che abbiamo il piacere di proporre.
 
   
In Italia, come negli altri paesi occidentali, negli ultimi anni si è assistito ad un continuo sgretolamento dei valori fondativi che si suppone caratterizzino le democrazie borghesi parlamentari. Tra questi, l'idea di una informazione libera e indipendente. I professionisti del giornalismo, in percentuali sempre maggiori considerano l'informazione alla stregua di una merce, che il sistema editoriale, una oligarchia in mano e al servizio dei circoli economici e politici dominanti, crea con obiettivi ben precisi: disinformare in modo sistematico il pubblico perché accetti senza troppi problemi decisioni gravissime come le guerre di rapina, la disoccupazione e l'impoverimento di massa, e così via. Su quali basi invece si sviluppa il servizio informativo a Cuba?
 
AR- A differenza di tutti i modelli applicati nel resto del mondo, a Cuba non esiste la stampa privata. Non esistono consorzi dell'informazione. Tutta la stampa è pubblica. I giornalisti cubani studiano liberamente all'Università dell'Avana e legati direttamente ai media continuano la loro crescita in un sistema d'informazione orientato al bene pubblico, al chiarimento e all'approfondimento dei contenuti, senza concessioni al mercato dal momento che non esiste pubblicità commerciale e pertanto non vi sono pressioni derivanti da lobby di potere che di fatto a Cuba non esistono. 
I mezzi di comunicazione a Cuba sono di proprietà collettiva, gestiti dalle organizzazioni politiche (Partito Comunista, Unione dei Giovani Comunisti), dalle organizzazioni popolari (Sindacati dei Lavoratori) o dalle istituzioni locali (radio e televisioni). Su questa base, si lavora essenzialmente per promuovere le attività svolte dai lavoratori, dai giovani e da tutta la società, sempre con una prospettiva costruttiva che mai e in nessun caso induce la violenza, l'egoismo o l'arricchimento personale. Al contrario promuoviamo il lavoro, lo studio e l'impegno personale come valori supremi. 
A Cuba nessuno ha il potere di licenziare un lavoratore per cause derivanti da aspetti commerciali o pressioni di qualsiasi tipo. Abbiamo un'organizzazione dei giornalisti che difende questi valori e tutti i membri che ne fanno parte.
 
Le modalità attraverso cui l'informazione dominante viene presentata e assorbita dalla popolazione mirano a suscitare artificiosamente paura e allarme, puntando sull'effetto scenico della notizia piuttosto che sul suo contenuto reale. La verifica delle fonti e i successivi controlli sul campo vengono poi ostacolati e frenati perché ormai "poco interessanti" per il pubblico. Un esempio per tutti sono le famigerate "armi di distruzione di massa" di Saddam Hussein, mai trovate ma che sono servite a convincere della bontà della guerra contro l'Iraq. Quali sono le caratteristiche dell'informazione a Cuba?
 
AR- Il sensazionalismo non fa parte della stampa cubana. Molte persone, alcune anche all'interno del nostro Paese, si lamentano del fatto che la nostra stampa sia tradizionalista per il fatto che non consente le banalità o l'esaltazione degli avvenimenti per attrarre il pubblico. A Cuba la cronaca nera non viene trattata. Le persone non vengono esposte alla gogna mediatica.
Non si giudicano le persone attraverso i media, anche se invece vengono giudicati i comportamenti che danneggiano la società. Il principio è quello di informare obbiettivamente sempre con piena conoscenza degli argomenti trattati e sempre citando le fonti, evitando di attingere da quelle "non identificate".
 
L'enorme campagna mediatica strutturata e organizzata contro Cuba è talmente scientifica che rientra a pieno titolo nelle logiche prima esposte. Perché Cuba è sotto un così forte attacco mediatico e su quali forme di difesa può contare?
 
AR- Cuba è oggetto delle più forti e strutturate campagne mediatiche grazie alle articolazioni della destra - meccanismi su cui la sinistra non può contare a livello mondiale - , la si demonizza, la si schematizza, la si censura con una pratica che risale alle peggiori epoche della Guerra Fredda. 
La grande stampa mondiale che glorifica ed imita la stampa nordamericana, si aggiunge a questa guerra come un coro che non discute né si pone alcun interrogativo, ma semplicemente amplifica le matrici che si elaborano nell'impero contro l'Isola. 
Cuba ha come unica difesa la verità, che non ha quasi mai uno spazio sulla stampa che diffama il nostro Paese. Non siamo neppure lontanamente perfetti ma neanche l'inferno con cui veniamo dipinti. Poiché le persone sanno che niente è bianco o nero, ma che al contrario ogni cosa ha delle sfumature, molti si chiedono il perché si parli tanto male di un piccolo paese che è riuscito ad collocarsi ai più alti livelli di sviluppo umano. Chi si avvicina a Cuba inizia a conoscere alcune delle sue verità, scoprendo infine che pur non essendo il paradiso, da 50 anni stiamo lottando per costruirlo sulla terra attraverso l'unico modo praticabile: riuscire ad avere la maggiore giustizia sociale possibile.
 
Gli spazi di approfondimento e di analisi politico-sociale sono in Italia prevalentemente demandati ai talk-show dove lo "show" domina la scena e il "talk" non è che il contorno di uno spettacolo creato per generare confusione e insicurezza. A Cuba quali sono gli spazi di approfondimento e quali i format?
 
AR- A Cuba, sulle radio e sulle televisioni locali, ci sono molti programmi di dibattito. 
A livello nazionale esiste un programma - per il quale io lavoro - chiamato Mesa Redonda (Tavola Rotonda), dove si convocano giornalisti e studiosi su differenti temi ma con un solo obbiettivo: dare la maggior informazione possibile per riuscire ad analizzare gli avvenimenti nazionali ed internazionali. 
Non si fomenta il dibattito artificiale in una sfida tra due o più avversari. Si riuniscono persone che studiano il tema in questione, affinché il pubblico possa maturare la propria opinione. In pratica, c'è molto "talk" e niente "show".
 
La Battaglia delle Idee è divenuta un conflitto mediatico mondiale dove l'esercito degli intellettuali a libro paga del sistema capitalistico è numeroso, molto ben sovvenzionato e dotato di armi potenti. Su internet abbiamo visto nascere alcuni collettivi come Cubainformacion, Cubadebate, Rebelion. Altre organizzazioni, con identici obiettivi di controinformazione, stanno nascendo in altri paesi del mondo. E' possibile contrastare i media dominanti? Quali sono le tue considerazioni in merito?
 
AR- Cubadebate è un sito web che abbiamo creato insieme ad un gruppo di giornalisti indignati per il terrorismo mediatico che abitualmente si esercita contro il nostro Paese. Tentiamo di opporci a questa guerra dando la maggiore informazione possibile e, in quest'epoca di espansione di internet, stimolando la partecipazione degli internauti. Abbiamo verificato che per questa via è possibile affrontare la menzogna e vincerla, anche che se è necessario lavorare molto ed articolare bene le reti, dimostrare che sono molti di più quelli che difendono la giustizia e, con i mezzi di cui disponiamo, far sentire la nostra voce.
 
Josè Martì diceva che l'unico modo per essere liberi è essere colti; Lenin indicava lo studio come compito primario della gioventù; Gramsci esortava a lavorare per una preparazione ideologica di massa. Nell'attuale fase storica, contrassegnata da una profonda crisi strutturale del capitalismo il cui messaggio distruttivo deve confrontarsi con il ritorno di una idea di società diversa e alternativa, quanto sono ancora valide queste parole d'ordine?
 
AR- Indubbiamente, oggi più che mai, questi principi hanno piena validità. Informarsi è più che una necessità e bisogna farlo in maniera critica, cosa che è praticabile solo se non ci limitiamo alla breve notizia del fatto, ricercando invece la sua storia, le sue origini, la sua causa. Questo è possibile grazie alla cultura generale, sapendo di ogni cosa, sempre un pochino di più. 
Solo la conoscenza ci rende liberi. 
La vera libertà è quella che inizia a liberarci dalla nostra ignoranza.
 
Grazie compagna Arleen
 
 

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