www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 14-10-19 - n. 724

Peter Handke: uomo di cultura con la schiena dritta

Enzo Pellegrin

14/10/2019

Non sono mai riuscito a tributare grande considerazione ai consessi che negli ultimi anni hanno assegnato il Premio Nobel, ma va riconosciuto che alcune assegnazioni hanno dato gustose soddisfazioni a chi ha a cuore l'indipendenza del pensiero umano.
E' il caso del grande e poliedrico autore letterario Peter Handke, drammaturgo, romanziere, saggista, poeta, ma soprattuto intellettuale con la penna indipendente e la schiena dritta, che sostenne in più occasioni la necessità di cancellare il Premio Nobel.
Oggi glielo hanno assegnato.

Sebbene il termine "intellettuale" fu usato per primo da Diderot come sostantivo nella Lettre sur la liberté de la presse, utilizzato in Russia come intellighenzia per definire i funzionari imperiali di origine nobile che occupavano incarichi pubblici, ai fini della nostra piccola polemica, giova ricordare che il vocabolo" fu diffuso con la vicenda dell'Affaire Dreyfus.

Georges Clemenceau - allora giornalista, poi futuro primo ministro - lo utilizzò per definire tutti coloro che - come Zola - parteggiavano per l'innocenza di Dreyfus. Da Clemenceau, la vulgata della destra cattolica francese del tempo identificò negli intellectuels "i "pedanti presuntuosi, che si ritengono l'aristocrazia dello spirito e che hanno perduto tutti, chi più chi meno, la mentalità nazionale" [1].
Divenne pertanto di moda, per certi corifei del potere, appiccicare questa narrazione spregiativa a tutti quegli intellettuali "scomodi", che si alzavano a contraddire in modo indipendente la narrazione dominante.
Ancora oggi, la voce dei medesimi corifei è pronta ad accusare di pedanteria tutti coloro che si discostano dal comune senso della moralità pubblica occidentale.

Se così è, questa pagnottona definizione di intellettuale costituisce una vera e propria decorazione al merito, per gli uomini di cultura che non si piegano a quello che nei nostri giorni viene definito mainstream : quella narrazione tossica, che cataloga buoni e cattivi secondo le esigenze del potere.

In questo senso, nei suoi atti e nei suoi scritti, Peter Handke lo è stato, a pieno merito.
Non sono certamente in grado di discutere i suoi meriti letterari, ma conosco Peter Handke per essere stato una delle poche voci che si è levata contro la disgregazione programmata della Ex Jugoslavia, promossa dall'occidente attraverso la sistematica persecuzione e diffamazione della popolazione serba.

Era cittadino austriaco. La madre, che apparteneva alla minoranza slovena in Carinzia, si suicidò quando Handke era ancora piccolo. Lo scrittore rese omaggio al suo ricordo nel romanzo quasi autobiografico Wunschloses Unglück, Infelicità senza desideri, del 1972. Forse anche per questo, Handke mantenne un legame quasi fisico e sentimentale  con la terra carsica e balcanica ed i loro popoli.
Alla situazione dell'ex Jugoslavia dedicò tre lunghi reportage, rifiutò il Premio Buchner per protestare contro i bombardamenti sulla popolazione civile serba, da parte dell'Occidente.

Il 18 marzo 2006, Peter Handke si recò, da buon "pedante", al funerale di Slobodan Milosevic.
Alla sua schiena dritta voglio dedicare il suo discorso, trasmesso da lui medesimo al giornale tedesco Focus e qui tratto dal sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia [2].

«Avrei desiderato non essere l'unico scrittore qui, a Pozarevac. Avrei desiderato essere al fianco di un altro scrittore, per esempio Harold Pinter.  Sarebbero state parole forti. Io non ho che parole di debolezza. Ma la debolezza si impone oggi, in questo luogo. È un giorno non solo per le parole forti, ma anche per parole di debolezza.»

(Ciò che segue è stato pronunciato in serbocroato - testo redatto da me medesimo! - e ritradotto in seguito da me stesso in tedesco).

Il mondo, quello che viene chiamato il mondo, sa tutto sulla Jugoslavia, sulla Serbia. Il mondo, quello che viene chiamato il mondo, sa tutto su Slobodan Milosevic. Quello che viene chiamato il mondo sa la verità. Ecco perchè quello che viene chiamato il mondo oggi è assente, e non solamente oggi, e non solamente qui. Quello che viene chiamato il mondo non è il mondo. Io so di non sapere. Io non so la verità. Ma io guardo. Io ascolto. Io sento. Io mi ricordo. Io interrogo. Per questo io oggi sono presente, con la Jugoslavia, con Slobodan Milosevic.» [http://www.cnj.it/MILOS/cordoglio.htm]

Con il suo discorso, Handke inviò a Focus un testo d'accompagnamento: "Le ragioni del mio viaggio a Pozarevac, in Serbia, sulla tomba di Slobodan Milosevic.":
«Contrariamente all' "opinione generale", di cui metto in dubbio il carattere generale, non ho reagito "con soddisfazione" alla notizia della morte di Slobodan Milosevic, essendosi peraltro verificato che il tribunale ha lasciato morire il prigioniero imprigionato da cinque anni in una prigione cosiddetta "a cinque stelle" (secondo i termini usati dal giornale francese" Liberation"). Mancata assistenza a persona in pericolo: non è un crimine? Riconosco  i avere provato, la sera che seguì la notizia della sua morte, qualcosa che somigliava a dispiacere e che fece germinare in me, mentre andavo per piccole vie, l'idea di accendere da qualche parte una candela per il morto. E le cose sarebbero dovute restare là. Non avevo l'intenzione di rendermi a Pozarevac per la sepoltura. Alcuni giorni più tardi, ho ricevuto l'invito, non dal partito, ma da membri della famiglia, che del resto assistettero in seguito, la maggiorparte, alla sepoltura, contrariamente a ciò che è stato detto.

Ovviamente, questo mi ha indotto a fare il viaggio meno che le reazioni dei mass media occidentali, completamente ostili a Milosevic (ed ancora più ostili dopo la sua morte), come pure del portavoce del tribunale e di questo o quello "storico". È stato il linguaggio usato da tutti loro che mi ha indotto a prendere la strada. No, Slobodan Milosevic non era un "dittatore". No, Slobodan Milosevic non deve essere qualificato come "macellaio di Belgrado". No, Slobodan Milosevic non era un "apparatchik", né un "opportunista". No, Slobodan Milosevic non era colpevole "senza alcun dubbio". No, Slobodan Milosevic non era un "autistico" (quando del resto gli autistici si opporranno a che la loro malattia sia utilizzata come un insulto?) No, Slobodan Milosevic, con la sua morte nella sua cella di Scheveningen, non "ci" ha (al tribunale) giocato "un tiro mancino" (Carla del Ponte, procuratrice del tribunale penale internazionale). No, Slobodan Milosevic, con la sua morte, non ci ha "tagliato l'erba sotto i piedi" e non "ci" ha "spento la luce" (la stessa). No, Slobodan Milosevic non si è sottratto "alla sua pena irrefutable di prigione a vita".

Slobodan Milosevic non sfuggirà, in compenso, al verdetto degli storici, termine di uno "storico": di nuovo, opinioni non soltanto false ma indecenti. È questa lingua che mi ha indotto a tenere il mio mini-discorso a Pozarevac - questa lingua in prima ed ultima istanza. Ciò mi ha spinto a fare intendere un'altra lingua, non, l'altra lingua, non per fedeltà verso Slobodan Milosevic, quanto verso quest'altra lingua, questa lingua non giornalistica, non dominante. Ascoltando l'uno o l'altro oratore che precedeva a Pozarevac, quest'impulso, lo stesso: no, non bisogna parlare dopo questo deciso generale, né dopo quest'altro membro del partito, che chiede vendetta, i quali entrambi tentano di eccitare la folla, la quale ovviamente, esclusi alcuni individui isolati che urlano con i lupi, non si è lasciata in alcun modo trascinare ad una risposta collettiva di odio o di rabbia: poiché si trattava di una folla di esseri in lutto, profondamente e silenziosamente afflitti. Tale è stata la mia impressione più duratura.

Ed è per questi esseri afflitti, contro le formule forti e vigorose, che finisco lo stesso per aprire la bocca, come risaputo. A titolo di membro di questa comunità in lutto. Reazione: Peter Handke la "claque" ("Frankfurter Allgemeine Zeitung"). C'è linguaggio più stravolto di questo? Una claque, che cos'è? Qualcuno che applaude per denaro. E dove sono gli applausi? E non ho mai dichiarato neppure di essere "felice" ("FAZ") presso il morto. E dove è il denaro? Ho pagato io stesso il mio biglietto d'aereo ed il mio hotel. Tuttavia, la necessità principale che mi ha spinto a recarmi sulla sua tomba era quella di essere testimone. Né testimone a carico né testimone a difesa. Ormai, non voler essere testimone a carico significa essere testimone a difesa? "Senza alcuno dubbio", per riprendere una delle espressioni principali del linguaggio dominante.» [http://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm]

Quella chiosa finale sull'espressione "senza alcun dubbio" contiene tutto il sentire di Handke verso le narrative di potere della società contemporanea. La globalizzazione del mercato impone una globalizzazione del pensiero, un egual sentire di tutti coloro che vi sono soggetti. Nella logica della standardizzazione, non può esserci spazio per il vero pensiero critico- Si accetta chi ripete a pappagallo le varie polemiche sdoganate e diffuse dal mainstream, buone per i tifosi dei teatrini ammaestrati, ma tutti falsi. Non si accetta chi si alza a tutela del dubbio, navigando sulla scomoda rotta dell'oggettività, dei fatti, delle relazioni politiche, economiche, sociali.

Per Handke, sono proprio le parole del potere ad essere "lingua giornalistica", "lingua dominante", potremmo aggiungere noi: lingua diffamante. Quella dell'uomo di cultura, diviene per converso "lingua non dominante", quando scomoda e in quanto scomoda, quando vera ed in quanto vera.
In luogo della spregiativa definizione dei tempi di Clemenceau, Aristotele definiva virtù intellettuali la scienza, la sapienza, l'intelligenza e l'arte che consentivano all'anima intellettiva di raggiungere la verità. Kant ricordava invece che "lo studente non deve imparare dei pensieri, ma a pensare. Non lo si deve portare, ma guidare, se si vuole che in seguito sia capace di camminare da solo" [3].

Peter Handke fu sicuramente un buon capitano, perchè seguì queste rotte virtuose.
A questo coraggio non comune, a questa schiena dritta, rendo omaggio oggi, in occasione dell'assegnazione di quel premio, che Handke voleva cancellato, forse perchè lo sentiva "premio dominante".
La giaculatoria dei conformisti si è levata contro questo Nobel.
E' questo a renderlo veramente un premio.

Note:

1] Maurice Paleologue, Journal de l'affaire Dreyfus, Plon, 1955, p. 236.
2] http://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#milos
3] I. Kant, Antologia di Scritti Pedagogici, Il Segno dei Gabrielli, Verona 2004, p. 152 e ss.


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