www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 08-06-20 - n. 753

Razzismo, violenza poliziesca e capitalismo

Greg Godels | zzs-blg.blogspot.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

04/06/2020

Il fatto che Donald Trump bacchetti governatori e sindaci per la loro reazione alle conseguenze dell'assassinio di George Floyd da parte della polizia ha una sua perversa emblematicità. Mentre Trump nelle sue ramanzine intona il mantra «legge e ordine» dei politici razzisti, è innegabile la complicità delle autorità locali e statali negli atti criminali della polizia. La violenza poliziesca contro gli afroamericani è antica e persistente, sin dall'epoca in cui i primi africani furono condotti nel Nuovo Mondo come schiavi.

Dal momento che nulla è cambiato nel corso dei secoli, è indubbio che sindaci e governatori abbiano le mani sporche di sangue. Hanno tollerato gli omicidi e i linciaggi perpetrati dalla polizia, oppure sono impotenti o troppo spaventati per impedirli - il loro controllo sulla polizia non è che una finzione.

A rendere tutto ciò ancor più evidente è il fatto che governatori e sindaci non sguinzaglino la polizia contro la marmaglia di destra, armata fino ai denti e schiumante veleno, che ha recentemente invaso le sedi dei governi statali e cittadini.

Come si spiega questo fallimento?

Sotto il capitalismo, le forze di polizia - così come l'esercito e gli apparati di sicurezza - sono agenti diretti della classe dominante, che operano al difuori di qualunque controllo popolare. Tutti e tre, nei rispettivi ambiti di azione, esercitano «legittimamente» la violenza e aspirano ad acquistarne il monopolio. Per quanto i governi si sforzino di mantenere e promuovere un'immagine di consenso, queste tre istituzioni costituiscono la barriera coercitiva contro ogni minaccia al dominio dell'élite. Governatori e sindaci vanno e vengono, mentre questi apparati rimangono nel ruolo di cani da guardia contro il malcontento e di messaggeri della futilità di ogni resistenza.

Storicamente, sono stati gli afroamericani - oppressi a livello nazionale - a opporre la maggiore resistenza collettiva alla classe dominante degli Stati Uniti. Il loro passato di schiavitù, le forti limitazioni poste al loro esercizio dei diritti democratici borghesi essenziali e la loro persistente segregazione fisica ed economica hanno dato loro ottimi motivi per condurre - e spesso per guidare - la lotta contro le ingiustizie del sistema capitalista. Questa tradizione ha posto gli afroamericani nel mirino dei ricchi, dei potenti e dei loro fidati apparati securitari. Non stupisce, quindi, che la polizia impieghi i suoi poteri repressivi con tanta violenza contro la gente di colore.

Naturalmente, questa prospettiva - l'interpretazione di classe del razzismo - non trova mai posto nei media monopolistici. Gli omicidi polizieschi vengono invece attribuiti a «mele marce», a una formazione inadeguata, a una cattiva leadership, alla carenza di poliziotti di colore, a una supervisione insufficiente e a un generico «razzismo» - come se il razzismo si potesse spiegare semplicemente chiamando in causa l'accusa di «razzismo».

Eppure, nessuna riforma, per quanto benintenzionata - formazione, comitati di controllo civili, procedure di scrematura eccetera - è servita a fermare le violenze della polizia contro i neri.

I liberali adorano studiare la violenza della polizia, specie quando la reazione ai comportamenti criminosi della polizia si traduce in azioni di massa. L'esempio classico di reazione liberale alle rivolte nere fu la Commissione Kerner del 1968. Per quanto l'inchiesta della Commissione portasse alla luce per la prima (e probabilmente per l'ultima) volta, in modo esplicito e ufficiale, le basi economiche della posizione di svantaggio dei neri, si fece poco o nulla per eliminare tale svantaggio. I promettenti programmi di affirmative action elaborati all'epoca erano ormai lettera morta nel 1976, e scomparvero dal programma del Partito Democratico.

Quando la classe dirigente degli Stati Uniti rifiuta di affrontare il problema della maggioranza svantaggiata dei neri, ciò che arriva alla polizia è un messaggio di negligenza e disprezzo a livello ufficiale. I neri muoiono di povertà, sanità insufficiente, infrastrutture inadeguate, servizi scadenti, pandemie e, naturalmente, violenza poliziesca. E il messaggio trasmesso dalla polizia è: non opponete resistenza ai ricchi e ai potenti.

Purtroppo, la maggior parte dei commentatori mainstream rinchiudono opportunisticamente il dibattito sulle violenze della polizia nella gabbia del bipartitismo, allo scopo di inquadrarlo nel contesto delle imminenti elezioni. La reazione di Trump agli omicidi di George Floyd, Breonna Taylor e Ahmaud Arbery mostra lo stesso brutale razzismo dei suoi precedenti annunci a tutta pagina pubblicati sul New York Times per condannare i Central Park Five, cinque giovani neri incarcerati ingiustamente. In essa si percepiscono la stessa paura e lo stesso odio verso i neri che animano segregazionisti impenitenti del Sud quali Orville Faubus o Strom Thurmond.

Biden, dal canto suo, dà voce alle banalità liberali che hanno caratterizzato i politici del Partito Democratico sin dal celebre rapporto di Otto Kerner: veementi denunce, appelli al cambiamento e inazione. I suoi sostenitori non conoscono o ignorano deliberatamente il ruolo che lo stesso Biden ha avuto nell'alimentare le violenze razziste - attaccando il busing (il trasporto pubblico degli studenti mirante a eliminare la segregazione razziale di fatto nelle scuole), appoggiando la militarizzazione delle forze di polizia e promuovendo le incarcerazioni di massa.

Uno dei due candidati rappresenta il razzismo «classico» del Sud segregazionista, l'altro il più sofisticato e altrettanto maligno razzismo nordista della «negligenza benevola». Nessuno dei due può avere alcun ruolo nell'arginare le violenze poliziesche.

Per cogliere l'inefficacia dei democratici standard è sufficiente ricordare la reazione di Barack Obama alle violenze poliziesche - quando un poliziotto razzista arrestò un accademico nero della Ivy League nel suo stesso portico, Obama invitò entrambi a bere una birra.

O ancora, come ha ribadito energicamente Cornel West in un'intervista alla CNN: «Abbiamo già provato ad avere dei neri in alto loco... Troppo spesso i nostri politici, professionisti e membri delle classi medie neri si adattano eccessivamente all'economia capitalista, a uno Stato-nazione militarizzato, alla cultura dominata dal mercato fatta di celebrità, status, potere e fama - tutte cose superficiali che rivestono tanta importanza per tanti nostri concittadini».

West ha quindi descritto in questi termini la reazione inadeguata del Partito Democratico alle violenze poliziesche: «Oggi al timone c'è l'ala neoliberale del Partito Democratico... perché l'unica cosa che vogliono è esibire più facce nere, sfoggiare più facce nere. Ma spesso anche quelle facce nere sono delegittimate - perché il movimento Black Lives Matter è nato sotto un presidente nero, sotto un procuratore generale nero e sotto un direttore nero della Homeland Security, che hanno deluso le aspettative. Perciò, quando si parla delle masse di neri - gli adorati poveri, la classe operaia, nera, marrone, rossa, gialla, di qualunque colore - sono loro a rimanere esclusi, e si sentono completamente impotenti, indifesi, disperati: ed è allora che scoppia la rivolta».

Durante la trasmissione Rising di Hill TV, Nina Turner, co-presidente nazionale della campagna elettorale di Sanders, ha acutamente definito i commenti di West «un'accusa tipicamente mordace e puntuale sia contro il Partito Repubblicano, sia contro il Partito Democratico».

«Il dottor West sta mettendo molto a disagio la gente, soprattutto i democratici, ed è giusto che siano a disagio... Per me, in questo momento, il punto non è a quale schieramento politico uno appartenga: il punto è ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Il punto è avere o meno la dedizione, il carattere, la chiarezza, la visione e la leadership necessari per fare dei sacrifici e fare la cosa giusta per la gente nera degli Stati Uniti d'America».

A Susan Rice, confidente ed ex-Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Obama, è spettato il compito di portare a livelli comici la reazione della classe dominante di fronte alle rivolte. In un'intervista rilasciata al docile Wolf Blitzer della CNN, la Rice ha dichiarato che dietro a questi episodi ci sarebbe lo zampino della Russia, interessata a fomentare la violenza nelle proteste diffuse a livello nazionale.

Allarmato dal potere illimitato accumulato dai militari e dai loro affiliati, il presidente Eisenhower - a sua volta esponente di quel mondo ai massimi livelli - mise in guardia la nazione dai rischi insiti in tale situazione:
Negli ambienti di governo dobbiamo guardarci dall'acquisizione, deliberata o meno, di indebite influenze da parte del complesso militare-industriale. Esiste - ed è destinato a permanere - il rischio di un disastroso accumulo di poteri indebiti.
Analogamente, il «potere indebito» della polizia minaccia la vita e il benessere degli afroamericani, dei poveri e dei lavoratori. Come quello dei militari e delle agenzie di sicurezza, il ruolo della polizia è inseparabile dalla sua funzione centrale di protettrice della ricchezza e del privilegio. È inseparabile dal sistema capitalista.

Le rivolte che stanno scoppiando in tutti gli Stati Uniti sono un indice significativo della diffusione e della profondità del sentimento antirazzista. Sono inclusive, nel senso migliore del termine. E hanno terrorizzato i Trump, i Cuomo, i DeBlasio e gli altri personaggi incaricati di difendere il sistema. I media capitalisti stanno facendo del loro meglio per spezzare questa unità faticosamente conquistata contro il razzismo e contro la polizia.

Nella misura in cui la polizia è fondamentale per mantenere la legittimazione del capitale, la rivolta è una rivolta contro il capitalismo, che i suoi partecipanti ne siano consapevoli o meno.

Dobbiamo fare di tutto per salvaguardare questa unità e denunciare la causa del razzismo e della violenza poliziesca - il capitalismo.


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