www.resistenze.org - pensiero resistente - imperialismo e globalizzazione - 01-04-13 - n. 447

"I quattordici punti di Wilson". Per la nuova strategia USA nel mondo
 
Marie Nassif-Debs (PCL) * | solidnet.org 
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
19/03/2013
 
Il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, all'inizio del suo secondo mandato presidenziale, il 21 gennaio 2013, sollecitava molti dibattiti e previsioni sulle priorità della nuova amministrazione USA nei prossimi quattro anni.
 
Attorno a questo tema potrebbero essere poste diverse domande ma, in ultima analisi, sono tutte riconducibili a due interrogativi: riuscirà Obama con la sua nuova amministrazione ad arginare le preoccupazioni e trovare una soluzione alla crisi che imperversa nel paese, e nel sistema capitalista in generale, dopo aver finora fallito a causa di tutte le avventure militari che hanno segnato il primo periodo del terzo millennio, con un costo documentato di oltre due miliardi di dollari americani? Oppure si rifarà ai famosi "Quattordici punti di Wilson", attuati alla fine della prima guerra mondiale (1918), una forma di "mandato internazionale" per gestire le regioni colonizzate o sotto tutela, soprattutto in Medio Oriente, che ripartiva questo mandato tra gli alleati degli Stati Uniti, all'epoca Gran Bretagna e Francia, mentre gli Stati Uniti d'America estendevano gradualmente la loro influenza e il controllo sul mondo?
 
Rapporto del Servizio informazioni USA sulle "Tendenze globali 2013" e i Quattordici punti di Wilson:
 
Non c'è dubbio che l'imperialismo statunitense, con l'eccezione della vittoria formale su Bin Laden, abbia perso molte guerre, dall'Iraq all'Afghanistan, con la questione nucleare iraniana ancora aperta. Inoltre gli USA non sono finora stati in grado, dopo due anni, di affermare il loro contrattacco alle rivoluzioni in Tunisia e in Egitto o a controllare la situazione in America Latina, anche se hanno recentemente compiuto alcuni progressi nell'imporre la propria "pace" in Africa e nella regione denominata Asia-Pacifico. Queste due regioni costituiscono, oggi e nel futuro, una possibile via di cambiamento della propria situazione economica critica.
 
In aggiunta a tutto ciò, la fine del sistema unipolare, venutosi a creare dopo la caduta dell'esperimento socialista realizzato in URSS, e l'emergere dei "BRICS" (in particolare di Russia e Cina) ci consente di dire, insieme con alcuni analisti ottimisti, che la leadership di Washington è finita e la previsione economica di Paul Kennedy descritta nel suo libro "The Rise and Fall of the Great Powers: Economic Change and Military Conflict from 1500 to 2000" [Ascesa e caduta delle grandi potenze: cambiamento economico e conflitto militare dal 1500 al 2000] stia iniziando a concretizzarsi. Gli Stati Uniti si trovano quindi sull'orlo di un baratro... Il rapporto "Global Trends 2030" [Tendenze globali 2030], pubblicato dalla CIA lo scorso anno, indica la rapida regressione di quella che chiama "pace americana", dominante dal 1945 ad oggi, in un mondo con una popolazione di 8,3 miliardi di abitanti, segnato dall'invecchiamento, dal riscaldamento globale, da problemi di nutrizione e scarsità di risorse idriche... tutto porterà a una nuova guerra.
 
Tutto questo non significa, purtroppo, la rapida fine dell'imperialismo soprattutto se l'opposizione radicale non forma le sue avanguardie e i BRICS non costituiscono un'alternativa per stabilire un sistema più umano e di maggior giustizia sociale.
 
Tre conclusioni fondamentali della politica estera di Obama:
 
Quindi la lettura della politica estera USA deve essere attenta e approfondita. La realtà non deve desumersi solo dal discorso di Obama all'inizio del suo secondo mandato o dal rapporto "Tendenze globali 2013", ma deve prestare attenzione ai movimenti sul campo e agli accordi economici e militari che gli Stati Uniti stanno sottoscrivendo in più di una regione e su più livelli.
 
Questa lettura ci porta a tre principali conclusioni e a precisare il ruolo USA nella nostra regione, nel mondo arabo e nel Medio Oriente in generale.
 
- Prima conclusione: Obama non permetterà agli USA di rinunciare facilmente al loro ruolo internazionale. Lo ha detto chiaramente: stiamo mantenendo la nostra influenza internazionale. È per questo che la politica estera USA deve essere letta sulla base dei "Quattordici punti di Wilson", il che significa che seguirà i passi delle amministrazioni a "democrazia speciale" in vigore nel periodo precedente alla guerra fredda e durante la guerra del Vietnam. Ci saranno dirette ingerenze nelle lotte e nelle guerre che possono degenerare, ma lascerà che si muova la NATO, il cui ruolo è stato riorganizzato e riprogrammato nei vertici di Lisbona e Washington. Inoltre lascerà libertà di azione ai suoi principali alleati, Gran Bretagna, Francia... come è accaduto nella guerra contro la Libia o come sta accadendo ora nella guerra contro il Ciad. Gli USA saranno osservatori e guida, sosterranno gli alleati e interferiranno direttamente solo quando necessario.
 
- Seconda conclusione: a complemento e conseguente alla prima, è la condivisione degli Stati Uniti nella riorganizzazione del controllo del capitale sul mondo e delle economie coinvolte nelle guerre e nelle aggressioni, in particolare sulle fonti energetiche e sulle vie di trasporto, sulle nuove aree agricole in Africa e nella regione del Pacifico, sulle riserve d'acqua non utilizzate in tutto il sud del mondo a partire dall'America Latina fino all'Africa.
 
In questo campo, osserviamo il ruolo degli USA nel sud del Sudan, ricco delle tre fonti oggetto del controllo (petrolio, terreni agricoli fertili, acqua). In Indonesia, il meeting di Obama del 2011, tenutosi per mettere a punto un piano strategico economico complessivo, permette ora ai monopoli USA di controllare più di 25 milioni di ettari di terra fertile. In aggiunta l'Indonesia apre le porte dell'Asia, sfidando la Cina.
 
La teoria dell'"Occidente esteso":
 
- Terza conclusione: l'imperialismo USA, innanzitutto, mira a rinnovarsi per essere conseguente a quelle che Zbigniew Brzezinski chiama, nel suo libro "Strategic Vision" [Visione Strategica], le sue responsabilità internazionali, il che significa controllare le dinamiche internazionali per rafforzare il suo ruolo e sbarazzarsi della bipolarità. In questa cornice, Brzezinski e le "Tendenze globali 2013", suggeriscono il ruolo di Washington nella riorganizzazione del sistema globale sulle basi della teoria dell'"Occidente esteso", che, in primo luogo, dipende dall'Europa occidentale e da qui per arrivare in Russia e in Turchia in una fase successiva.
 
Questo "Occidente esteso" è capace di organizzare le relazioni internazionali in un ampio sistema globale e limita il ruolo cinese nel teatro internazionale.
 
Il nuovo ruolo statunitense
 
Queste conclusioni ci spingono a dire non solo che il ruolo statunitense non sarà limitato a livello internazionale, ma che le guerre USA contro i popoli del mondo aumenteranno, anche se gli esecutori potrebbero variare, se andiamo indietro ai giorni della restaurazione anglo-americana, soprattutto nella nostra regione, e principalmente sul versante libanese-siriano (dalla Turchia come estensione dell'Occidente) e palestinese (attraverso il sistema sionista).
 
Così in futuro sarà tanto più necessario guardare agli interessi regionali, per non cadere di nuovo vittime dei discorsi episodici come quello di Obama all'Università del Cairo in cui sosteneva che i palestinesi dovessero avere uno stato, mentre ogni giorno conferma la salvaguardia del sistema sionista e dello "stato ebraico".
 
Diciamo questo perché siamo in attesa della nuova visita di Obama nella nostra regione e mentre John Kerry sta facendo il suo tour nel Golfo abbiamo cominciato a sentir parlare delle profonde "differenze" tra l'amministrazione Obama e la lobby sionista, rappresentata da "AIPAC" e sostenitrice di Israele agli alti livelli politici e finanziari... e di divergenze sulla "questione nucleare dell'Iran".
 
Sono analisi lontane dall'essere precise e non abbastanza per far disertare Obama o Benjamin Netanyahu dalla conferenza annuale dell'AIPAC, occasione per cominciare a parlare di alcuni cambiamenti nelle relazioni generali o specifiche tra le due parti e sugli obiettivi della visita di Obama nella regione per confermare che nulla è cambiato nella politica di Washington verso il sistema sionista. Allo stesso tempo, Washington ignora la politica degli insediamenti del sistema sionista, la sua opera per rendere la Palestina uno stato ebraico puro, la prosecuzione nel tracciare una nuova mappa per la regione araba e il Medio Oriente, approfondendo i conflitti interni, etnici e religiosi.
 
Il pericolo imperialista è presente e vitale. Lo additiamo non per una resa nei suoi confronti, anche se i rapporti di forza non sono ancora favorevoli alle forze del cambiamento radicale. Ma le opportunità di cambiamento sono ancora possibili, a livello regionale e internazionale, per mutare questo equilibrio o attraverso la lotta tra i due poli, il vecchio imperialismo e quello emergente. Possiamo beneficiare dell'esperienza della rivoluzione bolscevica del 1917, raccogliere di nuovo le forze sociali e politiche contro l'imperialismo e chiamare al cambiamento sulle basi dell'edificazione della società socialista.
 
(*) Vice Segretaria generale del Partito Comunista Libanese (PCL), Responsabile delle Relazioni internazionali
 
 

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