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Nuovi sviluppi in economia politica: la politica del petrolio

Zoltan Zigedy | zzs-blg.blogspot.it
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

06/02/2017

Dacché lo sviluppo dell'apparato militare portò alla Prima guerra mondiale, la produzione di petrolio divenne, non solo in senso figurato, il motore della crescita economica. Le macchine da guerra moderne indicavano il futuro. Le potenze imperialiste riconobbero il ruolo cruciale dei veicoli a motore, degli aerei e delle navi da guerra; crebbe la loro sete di petrolio nella guerra moderna, ma ne anticiparono l'uso anche per i tempi di pace a venire. Allo stesso tempo, queste stesse potenze presagirono che assicurarsi le fonti di greggio sarebbe stato cruciale, se non addirittura la chiave di volta, per raggiungere e mantenere una posizione dominante nell'economia globale.

Non è inverosimile presumere che l'assetto post Prima guerra mondiale dei vincitori, soprattutto in relazione ai popoli del Medio Oriente, sia stato guidato in modo significativo da considerazioni inerenti alle risorse energetiche future. L'accordo segreto Sykes-Picot probabilmente aveva come obiettivo taciuto, la garanzia di accesso al petrolio del Medio Oriente a favore della Francia e dell'impero britannico. La conquista e il controllo delle riserve di petrolio e la crociata anti-comunista sono diventati i due pilastri essenziali dell'imperialismo del ventesimo secolo.

Le compagnie petrolifere si sono unite agli imperialisti europei nell'estrazione di petrolio dal Medio Oriente per completare la produzione nazionale. E l'acquisizione di fonti di petrolio non ha svolto una parte di poco conto nella deflagrazione della Seconda guerra mondiale. Tutte e tre le potenze belligeranti nell'asse - Germania, Italia e Giappone - non disponevano dell'accesso a quantitativi sufficienti di petrolio per sostenere i loro disegni imperiali. La loro aggressività è stata forgiata, in larga misura, dal fine di soddisfare la brama di petrolio.

Nel periodo della Guerra Fredda, gli Stati Uniti si assunsero la responsabilità di assicurare petrolio per sé e gli alleati, insediando Iran e Israele come gendarmi del Medio Oriente. La questione del petrolio divenne particolarmente acuta con la costituzione delle nazioni ricche di petrolio nella Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio nel 1960 (OPEC), processo che sfociò nell'embargo petrolifero dei primi anni 1970 e che indebolì le economie capitaliste avanzate. Questo colpo coincise con l'inizio di un declino della produzione nazionale di petrolio degli Stati Uniti, con onde d'urto nella classe dirigente degli Stati Uniti. Un'ulteriore scossa venne dalla perdita dello Scià in veste di sentinella in Medio Oriente, a seguito della rivoluzione iraniana.

Così, gli Stati Uniti entravano negli ultimi due decenni del XX secolo, dovendo fronteggiare la contrazione della produzione di petrolio nazionale e l'instabilità in Medio Oriente, due sviluppi che determinarono una maggior attenzione imperialista sugli affari delle nazioni produttrici di petrolio.

La guerra Iran-Iraq, a partire dal 1980, destabilizzò ulteriormente la regione; l'imperialismo degli Stati Uniti si schierò con l'Iraq per paura che la rivoluzione iraniana si sarebbe diffusa in tutto il Medio Oriente, mettendo a repentaglio la sicurezza del petrolio.

Nel 1991, gli Stati Uniti intrapreso un massiccio intervento militare in Iraq per proteggere il governo del Kuwait, una fonte affidabile di petrolio minacciata dall'invasione irachena. L'imperialismo degli Stati Uniti riconobbe l'Iran e l'Iraq come le principali minacce per il dominio imperialista della regione.

Il XXI secolo

Con il crollo dell'Unione Sovietica, gli Stati Uniti godettero di una libertà di azione senza precedenti. Allo stesso tempo, i governanti degli Stati Uniti affrontarono un periodo di crescente dipendenza dal petrolio straniero: gli Stati Uniti importavano il doppio del greggio prodotto dalla nazione a cavallo del nuovo secolo. La Rivoluzione Bolivariana in Venezuela venne percepita come una minaccia ad una fonte, una volta affidabile, di prodotti petroliferi. Alleati a lungo compiacenti nella Guerra Fredda cercarono con i produttori di petrolio accordi indipendenti, alimentando le rivalità interimperialiste. La crescita esplosiva della Repubblica popolare cinese e dei suoi bisogni energetici ha notevolmente espanso il fabbisogno di petrolio, stressando la produzione globale.

Una classe dirigente in pieno panico negli Stati Uniti guardò alle diverse opzioni per garantire l'accesso alle risorse della sua potente macchina militare e per placare una pubblica opinione interna scossa dalla volatilità dei prezzi dell'energia. Su un fronte, gli Stati Uniti iniziarono ad esplorare, allontanandosi dalla tradizionali fonti di importazioni di petrolio. La Russia capitalista godeva di vaste riserve di petrolio e una capacità di produzione in grado di rivaleggiare con l'Arabia Saudita. La Russia capitalista era anche bisognosa di investimenti esteri. Due fattori bloccavano questa strada (vedi Bloomberg Businessweek, 16/1-22/1/17, An Oily Reset in US-Russia Relations): in primo luogo, la nazionalizzazione russa di alcune delle sue attività petrolifere private, e, secondo, l'inizio di una rivoluzione nell'estrazione interna di energia (il fracking e la produzione da scisti). L'allergia statunitense a sostenere la nazionalizzazione e l'emergere di tecnologie promettenti (da non condividere con un rivale imperialista) chiudevano velocemente, agli occhi di molti politici, l'apertura alla Russia.

D'altra parte, un settore consistente della classe dirigente degli Stati Uniti prediligeva il raggiungimento della sicurezza energetica attraverso l'intervento militare, usando il pretesto dei diritti umani e della democratizzazione. Sperimentata nella Guerra Fredda, questa strategia di imporre la volontà del capitale statunitense sulle altre nazioni travisandola con un atteggiamento salvifico e altamente illuminato si è dimostrata ancora più efficace dopo la scomparsa dell'Unione Sovietica come forza contraria. Prima, l'imperialismo prometteva di portare la civiltà alle sue vittime; oggi, tocca ai diritti umani e alla democrazia.

Gli interventi palesi e segreti del ventunesimo secolo in Afghanistan, Iraq, Libia, Iran, Egitto, Siria e, eventualmente, Turchia, possono essere visti attraverso la lente della politica del petrolio, inteso per assicurare o proteggere risorse petrolifere. A causa della resistenza attiva al dominio statunitense, per l'importanza strategica del petrolio, gli Stati Uniti sono stati in guerra continua nella regione dal 2001 sotto la bandiera stracciata della lotta al terrorismo.

Le questioni hanno cominciato a cambiare negli ultimi dieci anni, con una produzione nazionale USA di petrolio quasi raddoppiata tra il 2010 e il 2014. Negli ultimi anni, la produzione di petrolio degli Stati Uniti ha raggiunto livelli in linea con i più grandi produttori al mondo: l'Arabia Saudita e la Russia. Per la prima volta da decenni, gli Stati Uniti esportano prodotti energetici estratti. In realtà, molti esperti si aspettano che gli Stati Uniti diventino un esportatore netto di energia nel prossimo decennio.

Il ritorno degli Stati Uniti in veste di competitore sul mercato dell'energia ha spostato prevedibilmente la politica estera statunitense. L'amministrazione Obama ha cominciato a scoraggiare la strada per un cambiamento di regime in Medio Oriente, mentre la produzione di energia negli Stati Uniti dilagava sul mercato interno. L'Eni, la compagnia petrolifera italiana, avanzò la richiesta di cambio di regime in Libia, sostenuta dai governi italiano e francese. I rapporti di Eni con Gheddafi erano peggiorati. Gli USA si unirono, ma non determinarono l'intervento. Obama parlò poi di rammarico per essere stato coinvolto in schemi che portavano al rovesciamento del governo di Gheddafi.

Allo stesso modo, l'intervento degli Stati Uniti in Siria è stato modesto in contrasto con la massiccia spedizione militare in Iraq otto anni prima. L'amministrazione Obama si è astenuta dallo stabilire una "no fly zone", una manovra militare destinata ad aprire la strada alla sconfitta militare della Siria.

Le relazioni degli Stati Uniti con l'Iran sono migliorate negli ultimi anni dell'amministrazione Obama, nonostante la politica estera indipendente dell'Iran.

Questi sviluppi segnano il cambiamento portato dal passaggio degli Stati Uniti da vorace consumatore di petrolio del Medio Oriente a potenziale rivale per i mercati.

Questo cambiamento è ulteriormente dimostrato dalle relazioni degli Stati Uniti con i due maggiori produttori di petrolio del mondo: Arabia Saudita e Russia. Durante gli ultimi anni dell'amministrazione Obama, i funzionari e una stampa compiacente hanno fomentato una nuova guerra fredda contro la Russia. Le sanzioni, le minacce di guerra e l'isteria hanno portato la tensione ben oltre l'attuale livello. Una UE povera di risorse e affamata di energia, è sempre più dipende dalle forniture energetiche russe, in particolarmente del gas naturale. Mentre gli Stati Uniti hanno velocemente raggiunto l'indipendenza energetica e iniziano l'esportazione di gas naturale liquefatto, la battaglia per il mercato europeo si sta intensificando e guida l'ostilità verso la Russia.

Analoghe tensioni sono sorte tra gli Stati Uniti e l'alleato storico, l'Arabia Saudita. La crescita degli Stati Uniti come produttore di energia ha certamente allarmato il regime saudita. I leader sauditi, davanti alla minaccia di un ex cliente che diventa rivale e temendo l'effetto di un massiccio aumento della produzione globale, reagiscono. Se possono non avere contribuito al crollo dei prezzi mondiali del petrolio nel 2014, non hanno fatto nulla per impedirlo. Non hanno fatto nessuna pressione sull'OPEC per il contenimento dei tagli dei prezzi.

Un calo dei prezzi del petrolio ha avvantaggiato i sauditi, che godono di uno dei più bassi costi di produzione tra i produttori, mentre ha danneggiato i nuovi produttori, come gli Stati Uniti, che hanno un punto di pareggio molto più alto. Infatti, il calo dei prezzi ha rallentato, ridotto la produzione degli Stati Uniti, ma a caro prezzo per i sauditi. Pur avendo una produzione efficiente, le loro riserve sono in diminuzione. Ma ancora più importante, i costi sociali, l'equilibrio di bilancio, il mantenimento di riserve di valuta estera, richiedono un prezzo molto più elevato per il greggio. L'Arabia Saudita ha raggiunto tutte le apparenze di uno stato moderno e ricco, quasi interamente grazie al petrolio. Ma questo stato non può essere sostenuto senza prezzi elevati del petrolio, un massiccio surplus che superi il basso costo di produzione. Inoltre, la guerra costosa che l'Arabia Saudita ha provocato in Yemen ha contribuito a drenare riserve ed espandere il bilancio. Non sfugge ai sauditi che l'amministrazione Obama era meno che entusiasta di questa avventura.

Di conseguenza, i sauditi si sono arresi nel nuovo anno, lavorando a un accordo per tagliare la produzione negli Stati OPEC e con altri produttori, alzando il prezzo del petrolio.

Dovrebbe essere chiaro, quindi, che l'approssimarsi dell'indipendenza petrolifera degli Stati Uniti, l'evoluzione del ruolo degli Stati Uniti da consumatore a produttore e l'attenzione dai mercati-per-il petrolio sulle fonti-per-il petrolio, influenza profondamente gli indirizzi strategici USA, tra cui l'indebolimento o il deterioramento delle relazioni con le altre principali nazioni produttrici di petrolio come l'Arabia Saudita e Russia. L'autosufficienza energetica spiega anche la riluttanza, da parte dell'amministrazione Obama, di risolvere i profondi antagonismi mediorientali creati da un intervento degli Stati Uniti. L'instabilità tra le nazioni produttrici di petrolio consente solo agli Stati Uniti una migliore opportunità di penetrare nuovi mercati e un maggiore margine dei relativamente elevati costi di produzione.

Anche se è troppo presto per una valutazione su Trump, la nomina di Rex Tillerson, l'amministratore delegato di Exxon/Mobil, a dirigere la politica del Dipartimento di Stato sembrerebbe suggerire un cambiamento significativo. Come maggiore multinazionale dell'energia del mondo e una delle più grandi aziende negli Stati Uniti, Exxon/Mobil ha enormi interessi in quasi tutti i paesi produttori di energia. Con ingenti investimenti in Russia, non si sente né vincolata e né mossa da sottigliezze diplomatiche o politiche; le sanzioni dell'era Obama sulla Russia costano a Exxon/Mobil centinaia di milioni di dollari.

La direzione della politica estera di Tillerson probabilmente tornerà ad abbracciare, proteggere e garantire i paesi produttori di petrolio, mentre si cercheranno nemici altrove per placare il complesso militare-industriale. La più recente vittima americana in Yemen, morte drammaticamente resa nota da Trump, sembrerebbe sostenere un approccio più amichevole verso l'Arabia Saudita. L'attacco preventivo e isterico sul miglioramento delle relazioni con la Russia sembrerebbe allo stesso modo suggerire che i migliori legami con la Russia sono visti da una sezione di spicco della classe dirigente come imminenti e oggetto di contestazione.

Alcuni potrebbero vedere una contraddizione in Obama, l'internazionalista che si è spostato verso una politica estera nazionalista, o in Trump, il nazionalista che ha scelto un segretario di Stato internazionalista; ma sono contraddizioni solo se si trascura il controllo decisivo sullo stato da parte del capitalismo monopolistico. In definitiva, gli interessi dominanti del capitale monopolistico sconfiggono sempre principi professati.

Gli interessi divergenti dei piccoli produttori nazionali di petrolio di scisto e delle grandi multinazionali come Exxon/Mobil si riflettono nella politica estera degli Stati Uniti. I perforatori nazionali hanno bisogno di un aumento dei prezzi, investimenti di capitali modesti e una crescita per assicurare i profitti; le gigantesche compagnie petrolifere internazionali hanno bisogno di investimenti massicci per lo sviluppo di nuove riserve e di continui tagli dei costi per garantire i profitti.

Il nuovo regime di Trump ci ricorda che la politica borghese non riguarda le personalità o la civiltà, ma le differenti visioni di servizio verso il capitale monopolistico. La politica del petrolio sottolinea questa verità. Inoltre, la politica del petrolio ci dice che le rivalità interimperialiste stanno raggiungendo un punto di ebollizione.


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