www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 19-09-06

Proponiamo con il consenso dell'autore il seguente articolo in pubblicazione sul prossimo numero della rivista comunista "L'Ernesto"

 

Essere radicali, diceva Marx, significa andare alla radice del problema

 

Movimento comunista e Sinistra Europea

 

Dopo la crisi dell’89, vi è chi ha lavorato per una riorganizzazione unitaria del movimento comunista e rivoluzionario su scala mondiale; e chi invece - dentro un altro orizzonte strategico - ha operato su una linea che porta alla divisione e all’approdo riformista una parte delle forze comuniste e di sinistra alternativa.

 

di Fausto Sorini 

 

 

1) C’è un punto di partenza della riflessione che vorrei subito esplicitare e su cui credo possano convergere filoni di pensiero tra loro assai diversi, persino opposti. E cioè che un movimento comunista - che prospetti una alternativa storica al capitalismo - o esiste anche in una dimensione internazionale, o non esiste.

Fin dalle sue origini, fin dal Manifesto di Marx ed Engels (1848), il movimento comunista - al di là delle sue crisi, divisioni, mutazioni – ha sempre percepito se stesso come una entità che poteva esistere solo nella dimensione e proiezione di un movimento internazionale.

E’ evidente che fino a quando esisteranno Stati e nazioni, “il punto di partenza è sempre nazionale” (Gramsci) e che centrale rimane anche oggi, nell’organizzazione della lotta, il radicamento nazionale di ogni partito o movimento. Ma, tanto più oggi nell’epoca della mondializzazione, nessun movimento comunista e rivoluzionario, nessun processo di riorganizzazione e/o “rifondazione” dei partiti nazionali in cui esso si radica è pensabile senza una sua proiezione internazionale.

Ciò vale non solo per i comunisti, ma anche per il movimento di ispirazione socialdemocratica e riformista, che non a caso vede oggi una sua proiezione nell’Internazionale socialista e nel dibattito che l’attraversa, tra chi prospetta un suo rilancio e chi invece una sua trasformazione/ampliamento in Internazionale Democratica. Il tema, come è noto, investe direttamente in Italia tutta la discussione attorno al Partito Democratico.

 

Se noi dunque giungessimo alla conclusione (a cui molti a sinistra, soprattutto dopo il crollo dell’Urss, sono pervenuti) che il movimento comunista internazionale è finito – finito sia come nozione teorica, sia come obiettivo strategico di ricostruzione e/o “rifondazione” - la stessa parola d’ordine della “rifondazione comunista”, della rifondazione di un partito comunista con basi di massa nel nostro Paese apparirebbe priva di significato e di prospettiva, vuota di contenuto strategico, meramente propagandistica e residuale, volta unicamente ad utilizzare nomi e simboli del vecchio PCI per tenere insieme, per una certa fase, un’area di militanti e di elettori ad essi ancora affezionati, nell’attesa di riconvertire quelle forze in una nuova formazione politica, in una “nuova sinistra” di alternativa. Una nuova sinistra che a quel punto (ed il processo è già in corso) dovrebbe necessariamente ricercare e ricostruire nuovi riferimenti ed aggregazioni internazionali, sostitutive di quel movimento comunista del ‘900 considerato ormai defunto e senza futuro.

 

Queste sono a mio avviso le ragioni strategiche che hanno condotto, nella realtà del Vecchio continente, alla formazione del Partito della Sinistra Europea (SE). E va dato atto a Fausto Bertinotti di essere stato non solo il più coerente e determinato ideatore e costruttore di tale impresa, ma di averla connessa e fatta derivare – con chiarezza e onestà intellettuale – da quello che egli considera l’esaurimento, la fine del movimento comunista internazionale del ‘900 e la non credibilità di una sua possibile riorganizzazione, per quanto rinnovata. La tesi non è del tutto nuova: essa fu fatta propria ad esempio, verso la fine degli anni ’80, da Santiago Carrillo, che da essa fece derivare il suo approdo alla socialdemocrazia spagnola (PSOE), mentre altri, sulla base della stessa analisi, approdarono a Izquierda Unida, con una sostanziale diluizione del PCE in essa.

Vorrei dire che, quando definiamo come “liquidatoria” tale impostazione, non attribuiamo al termine alcun intento offensivo, ma la consideriamo anzi del tutto coerente con le sue dichiarate premesse. Tanto più oggi, quando appare a tutti più chiaro che un altro esponente della sinistra italiana e del vecchio PCI, Armando Cossutta, approda (sia pure con una differente cultura politica) ad analoghe conclusioni liquidatorie; ma, diversamente da Bertinotti, vi approda dopo un percorso di anni (forse decenni) disseminato di “doppiezze” e ambiguità, che per molto tempo hanno fatto sì che migliaia di militanti comunisti in buona vede vedessero in Cossutta, anche nel momento tragico della scissione di Rifondazione, il portatore di un progetto strategico di riorganizzazione in Italia di un nuovo partito comunista, rivoluzionario, leninista.

 

2) Il Movimento comunista internazionale (MCI) che viene travolto dal crollo dell’Urss è un movimento che attraversa ormai da tempo una crisi profonda.

Non è mia intenzione addentrarmi qui in una analisi storica della evoluzione del MCI dagli anni dell’internazionale comunista di Lenin, alla fase successiva caratterizzata dalla direzione staliniana e dal ruolo guida dell’Urss e del Pcus, al successivo scioglimento del Comintern, alla temporanea ricostituzione del Cominform, alla rottura tra Stalin e Tito, fino alla ben più grave rottura, consumatasi negli anni ’60, tra il Partito comunista cinese (PCC) e il PCUS, e quindi tra le due maggiori potenze socialiste (evento che, visto col senno di poi, ha certamente condizionato pesantemente la crisi del campo socialista e le sorti del mondo nel secolo scorso). Sta di fatto che il crollo dell’Urss e la dissoluzione del PCUS fanno precipitare una situazione che, agli inizi degli anni ’90, si presenta assai incerta in relazione al futuro del MCI. Il disorientamento è grande e investe, con forme e modalità diverse, i comunisti del mondo intero.

Vi era stato, per la verità, in occasione del 70° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre (1987) la scelta del PCUS (siamo ancora nella prima fase della perestrojka) di convocare a Mosca un incontro internazionale dei partiti comunisti di ogni continente (ma la Cina resta assente) con un chiaro intento ricompositivo, volto a riaprire un confronto più aperto e più libero tra i partiti comunisti, senza talune precedenti rigidità o pretese di allineamento alle posizioni di Mosca. Ed anche al fine di trovare un consenso internazionale dei comunisti alla prima fase dell’iniziativa gorbacioviana. All’incontro, segnato da insolità vivacità, partecipano oltre un centinaio di partiti comunisti, per lo più rappresentati dai loro leader. L’incontro non prevede alcuna conclusione operativa od organizzativa, ma il suo impatto politico è forte: il clima che si respira è quello delle grandi occasioni, non quello degli scontati e stanchi rituali.

Tutto ciò avviene contestualmente all’avvio di un processo di normalizzazione delle relazioni tra Russia e Cina e tra i due partiti comunisti (che per la verità aveva visto i primi segni già con la dinamica ma purtroppo breve direzione di Andropov). Risale al 1989 l’incontro ufficiale a Pechino tra Gorbaciov e Deng Xiaoping, evidentemente preceduto da anni di tessitura dietro le quinte.

Ma il crollo dell’URSS manda in frantumi tutta l’impalcatura.

 

3) I primi anni ’90, quando nasce anche Rifondazione Comunista, sono anni di grande confusione e disorientamento nelle file del movimento comunista. Non mancano tuttavia i tentativi di riorganizzazione. E’ di questo periodo il viaggio lungimirante di Alvaro Cunhal in Asia, dove egli incontra i dirigenti dei maggiori partiti comunisti della regione (indiani, cinesi, vietnamiti, giapponesi, coreani…) e ne trae la convinzione che in quella parte del mondo - che rappresenta circa la metà della popolazione mondiale e verso cui si sta spostando rapidamente l’equilibrio economico e geo-politico del pianeta (come apparirà sempre più chiaro nel quindicennio successivo) - il movimento comunista non solo non è in crisi, ma sta vivendo complessivamente una sua fase espansiva, nonostante il crollo dell’Urss e del campo socialista in Europa.

Non credo sia casuale che sia proprio il PCP di Alvaro Cunhal a farsi promotore in Europa, nei primi mesi del 1991, di un incontro a Lisbona tra i maggiori partiti comunisti europei dell’area non ex-socialista (dove i PC si stanno sciogliendo o sono in pieno marasma). L’incontro ha il chiaro intento di provocare non solo uno scambio di idee sulla situazione, ma anche di porre le basi di processi ricompositivi tra i PC europei (che negli ultimi anni si erano divisi sull’”eurocomunismo” e su altre importanti questioni strategiche e identitarie) e di porre le basi – sia pure informalmente – di alcuni elementi di coordinamento. Vengono invitati e partecipano, oltre al PCP, anche il PC greco (KKE), il PC francese (PCF), AKEL di Cipro, il PC spagnolo (PCE) e Rifondazione Comunista (appena nata come movimento, non ancora partito, ma già verificatasi alla prova elettorale della primavera del’91, dove supera il 5%.

E’ significativo che a quell’incontro Rifondazione decida di partecipare solo in qualità di “osservatore”: alla partecipazione si oppongono dirigenti autorevoli come Sergio Garavini e Luciana Castellina, mentre favorevoli si dichiarano Rino Serri e il sottoscritto (all’epoca rispettivamente responsabile e vice-responsabile del settore esteri). Il compromesso fa sì che, nonostante siano i responsabili esteri gli invitati all’incontro, Rifondazione decida di inviarvi come “osservatore” il sen. Stojan Spetich, che non riveste al momento nel gruppo dirigente di Rifondazione incarichi di rilievo. E questo già la dice lunga (ma non mi addentro) sulle resistenze che fin dall’inizio trova in Rifondazione ogni sia pur timido tentativo di riorganizzazione del MCI, in questo caso in Europa.

 

Di questi incontri altri se ne svolgono nella prima metà degli anni ’90, ancora a Lisbona, ad Atene, a Madrid. A tutti ebbi modo di presenziare in rappresentanza del PRC, che accettò poi di parteciparvi a pieno titolo - sia pure con la riluttanza di molti e senza neppure darne notizia diffusa su Liberazione (come un peccato da tenere nascosto…) - e che furono estesi anche alla  PDS tedesca (partito non comunista, ma partito, si diceva allora, in cui “erano presenti, insieme ad altre componenti, la maggioranza dei comunisti della Germania riunificata”). Ma in verità solo alcuni partiti credono veramente e investono su questi incontri come parte di un processo più generale di riorganizzazione del MCI (e sono il PCP, il KKE e AKEL). Gli altri (il PRC, il PCE, la PDS ed anche il PCF, dove nel frattempo la direzione di Marchais è stata sostituita da Robert Hue, che inaugura la “mutation” …) vi partecipano in modo sempre meno convinto e già guardano  ad altri processi di riorganizzazione della “sinistra europea”.

 

4) La divergenza che emerge sempre più chiara non è sull’esigenza di trovare forme e luoghi di organizzazione di una sinistra europea anticapitalistica, che vada al dì là dei partiti comunisti. Su ciò tutti concordano, come poi si vedrà nella costruzione del GUE-NGL (il Gruppo della Sinistra Unitaria - Sinistra Verde Nordica al Parlamento europeo). Il punto è se i partiti comunisti debbano rinunciare a momenti propri, autonomi, di confronto e iniziativa come comunisti, o se al contrario tale polarità autonoma debba essere mantenuta, come parte integrante di un processo mondiale di riorganizzazione, di “rifondazione” di un MCI per il 21° secolo. E’ il tema – appunto – dell’autonomia comunista, nella sua proiezione internazionale.

Nessuno pensa alla ricostruzione di una nuova Internazionale Comunista come obbiettivo politico di fase. Potrei citare a tale proposito innumerevoli conversazioni personali con lo stesso Cunhal e con i maggiori dirigenti del KKE e di AKEL. La riflessione che emerge è un’altra e provo di seguito a sintetizzarla.

 

5) La fine dell’URSS non è la fine del movimento comunista. La nozione conserva una sua attualità, ma va riempita di contenuti nuovi, non ripetitivi di formule o esperienze passate, aperti ad una profonda riconsiderazione e al rinnovamento. Il movimento comunista ha attraversato in questi anni la crisi più grave della sua storia; il processo di lotta politica e ideale, di divisione e ricomposizione che ha attraversato la generalità dei partiti comunisti e le altre forze antagoniste non è concluso, ma la fase più acuta della crisi sembra alle nostre spalle e si intravedono, in modo non omogeneo, alcuni elementi di ripresa.

Sul piano strettamente organizzativo, sono oggi oltre un centinaio i partiti comunisti nel mondo – grandi e piccoli – che si dichiarano esplicitamente tali, con 80 milioni di militanti circa, di cui 60 nel solo Pc cinese (senza contare i militanti delle organizzazioni giovanili comuniste). Tra essi, quelli che operano con basi di massa significative incidono sulla realtà di paesi che abbracciano più della metà della popolazione del pianeta, alcuni dei quali (Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica, Giappone…) stanno imponendosi come Paesi chiave degli equilibri mondiali del 21° secolo.

Al di là di confini strettamente organizzativi o nominalistici, non è facile tracciare oggi con nettezza i confini politici e ideali del movimento comunista. Vi sono ad esempio partiti (soprattutto nei paesi del “socialismo reale”) che dopo il terremoto di questi anni hanno cambiato nome, ma non natura e che sarebbe difficile considerare del tutto estranei al movimento comunista (come ad es. la Pds tedesca). Mentre ve ne sono altri (come il Pds italiano) in cui il cambio di nome ha sancito un mutamento di natura; ed altri ancora (tra cui forze nuove, emergenti) in cui la situazione si presenta irrisolta, aperta a sviluppi diversi.

Sarebbe dunque difficile e sbagliato, in una situazione di movimento come quella presente, delimitare formalmente e organizzare un movimento internazionale di comunisti, nettamente separato, strutturato e distinto da un quadro più ampio di forze rivoluzionarie e di sinistra anticapitalistica.  Forzature organizzativistiche in questo senso rischierebbero di produrre nuove fratture e incomprensioni tra partiti (e all’interno di partiti) oggi impegnati in un lavoro complesso e travagliato di ridefinizione della propria identità, facendo arretrare il processo di ricomposizione convergente del movimento.

Non per questo la nozione di movimento comunista va lasciata cadere o diluita in una nozione generica e indistinta di “sinistra”. Essa va al contrario ridefinita, riempita di contenuti politici e teorici, di strategia, in un dibattito che non può che avere – oltre ogni provincialismo o arroccamento nazionale – una dimensione internazionale. Ed anche sedi, luoghi, strumenti, per quanto informali, in cui i comunisti di diversi paesi che ne avvertono l’esigenza possano incontrarsi, scambiarsi idee ed esperienze, concordare eventuali azioni comuni, senza che ciò faccia riaffiorare il fantasma dell’Internazionale comunista o di nuovi centri dirigenti o partiti guida (che nessuno propone), né si contrapponga gerarchicamente all’esigenza di costruzione di una unità d’azione di tutte le forze antimperialiste e antagoniste (comuniste e non) e di più ampie convergenze a sinistra.

L’esperienza  di questo ultimo quindicennio smentisce comunque la tesi per cui la fine dell’Urss segna la fine del movimento comunista e il declino irreversibile dei partiti comunisti dove essi hanno avuto ed hanno un radicamento reale, non testimoniale.

 

6) Una parte di questi concetti, sia pure in modo contradditorio, si ritrova nelle Tesi congressuali di maggioranza del 2° congresso del PRC del gennaio 1994 : il congresso che porterà Fausto Bertinotti alla segreteria del partito (1). Nella delineazione delle forze motrici che possono contribuire alla costruzione di “un movimento internazionale antimperialista”, che veda anche “il concorso delle forze statuali non omologate”, si sottolinea che “in Asia – un continente dove vive la metà della popolazione mondiale e dove viene spostandosi tanta parte del potenziale economico del pianeta – va colto il ruolo importante di paesi (come ad es. il Vietnam, la Corea e in particolare la Cina)…volti a sperimentare vie di sviluppo non omologate al nuovo ordine mondiale, a cui è giusto guardare con attenzione e problematicità” (Tesi 2.9).

Si indica come impegno primario dei comunisti in campo internazionale quello di contribuire alla costruzione di “un movimento internazionale antimperialista, autonomo da una Internazionale socialista sempre più subalterna, nei suoi orientamenti sostanziali e nelle sue forze prevalenti, alle compatibilità dettate dalle grandi potenze capitalistiche” (Tesi 2.9).

Quanto all’attualità e al carattere non residuale di una presenza internazionale dei comunisti, si sottolinea che “la fine dell’Urss non è la fine dei comunisti nel mondo”, purchè essi sappiano aprirsi “ad una profonda riconsiderazione e al rinnovamento”. E a chi considera il movimento comunista come qualcosa di ormai defunto o in via di estinzione, si ricorda che “partiti comunisti con basi di massa significative operano in aree del mondo che abbracciano più della metà della popolazione mondiale”; e benché si respinga l’idea di “un movimento internazionale di comunisti strutturato e distinto da un quadro più ampio di forze di sinistra anticapitalistica”, si ritiene che “non per questo la possibilità del rilancio e del rinnovamento di una presenza dei comunisti nel mondo vada lasciata cadere o ridotta ad una nozione generica di sinistra”, mentre essa “al contrario può e deve ridefinirsi, con nuovi contenuti politici e teorici, dentro una riflessione che non può che avere – oltre ogni provincialismo o arroccamento nazionale – una visione internazionale” (Tesi 2.10).

In Europa, si indica come “compito dei comunisti…quello di essere forza trainante della costruzione di un terzo polo antagonista su scala continentale”, rispetto a quello conservatore e socialdemocratico, “espressione di tutte le forze che in vario modo si collocano a sinistra dell’Internazionale socialista…senza veti o pregiudiziali di natura ideologica o di percorso storico nei confronti di alcuno”. Per cui “vanno superate impostazioni di tipo “terzaforzista”, non unitarie, ma escludenti i partiti comunisti o alcuni di essi” (Tesi 2.13 - sottol. mia).  (2)

 

7) Non meno complesso, controverso e denso di insegnamenti è il processo che porta, dopo le elezioni europee del giugno 1994, alla formazione del GUE-NGL, il Gruppo parlamentare (tuttora esistente) in cui si ritrovano tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa presenti nel Parlamento europeo e che si collocano a sinistra dell’Internazionale socialista (comunisti, socialdemocratici di sinistra, verdi di sinistra…).

La situazione precedente vedeva, a partire dal 1989, gli eurodeputati comunisti frazionati in due gruppi parlamentari :

- la Coalizione delle sinistre, che comprendeva gli eurodeputati del Pcf, del Pcp e del Kke, cui si erano associati, dopo l’unificazione tedesca, due rappresentanti della Pds tedesca in qualità di osservatori;

- la Sinistra unitaria europea, con gli eurodeputati di Izquierda unida, Synaspismos, Sinistra democratica irlandese e Rifondazione comunista.

La formazione del nuovo Gruppo unitario esprime un risultato politico di grande valore politico. Vi si può cogliere un quadro di complessiva tenuta e/o ripresa di forze importanti della sinistra comunista e antagonista in Europa; e di ricomposizione unitaria – o quantomeno di riavvicinamento – rispetto a divisioni e incomprensioni più o meno recenti. E ciò risulta tanto più significativo in quanto avviene in una fase mondiale di crisi profonda del movimento comunista, come è quella segnata dal terremoto di quegli anni; dove anche a sinistra si è apertamente teorizzata la “morte del comunismo” e il declino storico irreversibile dei partiti comunisti. (3)

 

L’iniziativa unitaria dei comunisti

 

8) L’iniziativa e l’ispirazione unitaria dei principali partiti comunisti dei paesi dell’Unione europea si è rivelata in effetti come la componente fondamentale del processo che ha portato alla formazione del Gruppo confederale. Essa prende avvio dall’incontro di Lisbona del maggio 1991, promosso dal Pc portoghese, cui prendono parte come si è detto - il Pc francese, il Pc spagnolo, il Pc greco (Kke), Rifondazione comunista (come osservatrice) e l’Akel di Cipro (che pure non fa parte dell’Ue). Ad esso fanno seguito altri analoghi incontri, in altri Paesi, cui prende parte anche la Pds tedesca. In tali incontri - che hanno un carattere del tutto informale e non intendono prefigurare alcuna organizzazione permanente e neppure uno schieramento chiuso in sé o preclusivo all’incontro con altre forze della sinistra – si pongono tuttavia le basi di un processo di riavvicinamento e di ricomposizione unitaria, anche per quanto riguarda le rispettive collocazioni nel contesto europeo. E la tenuta del rapporto unitario e di un ristabilito clima di cooperazione tra queste forze, anche nei passaggi più difficili e travagliati della formazione del Gruppo unico al Parlamento europeo, si rivelerà essenziale per l’esisto positivo dell’operazione. (4)

 

9)La costituzione del “Gruppo confederale della sinistra unitaria europea” ha dunque rappresentato in quegli anni un risultato politico di grande valore: per la prima volta, dopo anni, si costituisce – tramite il Parlamento europeo – un primo embrione di coordinamento permanente e istituzionalizzato di un nucleo importante di forze comuniste e di sinistra antagonista dei paesi dell’Unione europea. E si comincia a ragionare sulla opportunità che tale raggruppamento, con i notevoli mezzi e strumenti di cui dispone, venga posto al servizio – al di là dei suoi confini istituzionali e geo-politici e dei suoi compiti strettamente parlamentari – della costruzione di un più ampio raccordo coinvolgente l’insieme delle forze comuniste e di sinistra antagonista del continente (anche quelle che, come ad es. la Pds tedesca, o altre dell’Est,  ancora non sono rappresentate nel Parlamento europeo; fino a quelle dell’Est, dei Balcani e dell’area mediterranea, che sono anch’esse parte di una più grande ‘Europa’, che va oltre i confini dell’UE). Oltre che, naturalmente, svolgere un’azione volta a creare tutte le convergenze possibili a sinistra, su contenuti di sinistra, con le forze di progresso presenti anche in altri gruppi rappresentati e no nel Parlamento europeo e rappresentare una sponda e una struttura di supporto per movimenti sociali, politici, sindacali che operano nella società civile, fuori dalle istituzioni.

Anche se molte di queste sono rimaste lodevoli intenzioni, va comunque riconosciuto il valore di quella ispirazione originaria, che successivamente - con la formazione della Sinistra Europea – è evoluta verso impostazioni assai meno unitarie e inclusive.

 

10) Con la formazione del GUE entrano in crisi e si concludono gli incontri informali tra partiti comunisti avviati dall’incontro di Lisbona del maggio 1991, cui avevano preso parte pressoché regolarmente il KKE, il PCP, AKEL di Cipro, il PCE, il PCF, il PRC e la PDS tedesca. La ragione è strategica : alcuni di questi partiti (KKE, PCP, AKEL) ritengono che la formazione del GUE non risolve di per sè la questione della ricostruzione del movimento comunista e quindi ritengono che quegli incontri dovrebbero continuare ed anzi estendersi internazionalmente; altre forze al contrario (non senza ambiguità, differenze e doppiezze al loro interno) in realtà considerano ormai storicamente superato l’obbiettivo strategico della ricostruzione di un MCI per il 21° secolo, e colgono l’occasione della formazione del GUE per far cadere l’esigenza di incontri di soli comunisti. Si tratta di un modo come un altro per cominciare a far cadere o diluire nella pratica la questione comunista e la sua autonomia, a partire dalla sua dimensione e proiezione internazionale. Parliamo ovviamente di questioni che investono il dibattito di gruppi dirigenti ristretti: un partito come il PRC (e, successivamente, anche il PdCI) non verranno mai investiti da tale riflessione, neppure nei gruppi dirigenti allargati, per non parlare dei quadri intermedi e dei militanti di base, che a tutt’oggi in larga misura ignorano la portata stessa del problema.

 

11) La fine di tali incontri informali, vede però l’avvio di una iniziativa, promossa dal KKE, che nel 1998 organizza ad Atene un incontro internazionale di “Partiti Comunisti e Operai” dedicato al ruolo dei partiti comunisti nella fase attuale. Vi prendono parte inizialmente una cinquantina di partiti (tra cui pressoché tutti i maggiori PC del mondo). Tali incontri si ripeteranno poi annualmente ad Atene, ogni volta su un tema diverso. I temi sono i più diversi : di ordine politico, sindacale, di analisi economica, di dibattito teorico, di scambio di opinioni su iniziative ed esperienze. Complessivamente essi coinvolgono un’ottantina di partiti (5), con una partecipazione – nell’ultimo incontro (l’ottavo) del novembre 2005 – anche del Partito comunista cinese, in veste di osservatore.

 

Questi incontri non si concludono con l’approvazione di documenti ufficiali congiunti (come avveniva ad es. nelle conferenze dei PC precedenti al crollo dell’Urss). Tutt’al più vengono varati ordini del giorno su temi molto specifici, che vengono sottoscritti solo da chi vuole, senza alcun vincolo per alcuno.

Il significato politico complessivo e gli orientamenti emersi nel dibattito, assolutamente libero e aperto ad ogni contributo, vengono resi noti alla stampa con un comunicato a cura del partito ospitante la Conferenza; comunicato che quindi non è vincolante per nessuno, ma che “per cortesia” viene fatto leggere prima della pubblicazione a tutti i partiti partecipanti, al fine di evitare comunque affermazioni sgradite a questo o quel partito.

Tutti gli interventi pronunciati in questi incontri vengono pubblicati in un notiziario che esce in due lingue (inglese e russo).

Da alcuni anni si è dato vita ad un sito Internet (www.solidnet.org ) alla cui mailing list chiunque può iscriversi gratuitamente e dove ogni partito pubblica, sotto la propria esclusiva responsabilità (la redazione ha solo funzioni tecniche), interventi, documenti, articoli e che rappresenta forse oggi la principale fonte di informazione e circolazione di idee e di esperienze dei partiti comunisti di ogni parte del mondo.

 

E’ certamente vero che, soprattutto i primi di questi incontri, hanno avuto un carattere formalistico e talvolta ripetitivo di vecchi vizi del movimento comunista. Ma col passare del tempo essi hanno acquisito un carattere più fluido, più vivo, più legato all’esigenza non solo di discutere, ritrovarsi e riconoscersi tra comunisti (il che all’inizio era comunque essenziale : in quegli anni il rischio era che si sfasciasse tutto), ma di trovare le vie e le forme appropriate per un rilancio della presenza coordinata e attiva dei comunisti sulla scena mondiale.

Il problema è lungi dall’essere risolto, ogni trionfalismo in proposito sarebbe fuori luogo. Ma è indubbio che alcuni passi avanti significativi sono stati fatti. Per la prima volta si è riusciti a produrre un’azione internazionalmente coordinata che ha consentito di impedire che nel Consiglio d’Europa una risoluzione di condanna contro i “crimini del comunismo” passasse con una maggioranza qualificata tale da renderla impegnativa e vincolante per i singoli Stati europei nella promozione di vere e proprie campagne comuniste nei diversi Paesi del continente (nelle scuole, nei media, nei centri di cultura…).

La minaccia di una messa fuorilegge del KSM (l’organizzazione giovanile dei comunisti della Repubblica Ceka) è stata per ora respinta grazie ad una campagna internazionale coordinata promossa innanzitutto dai comunisti, a tutte le latitudini.

Nell’ultimo incontro di Atene (18-20 novembre 2005) si è dato impulso ad una serie di azioni congiunte, quali ad es. “campagne per il ritiro delle forze di occupazione dall’Iraq, contro la NATO e le basi militari straniere”; iniziative di “solidarietà attiva col popolo irakeno, per la fine dell’occupazione e il ripristino della sovranità nazionale del Paese” e contro “le minacce imperialiste contro l’Iran” (6).

Grazie all’impegno coordinato di alcuni importanti partiti comunisti (greci, portoghesi, cubani, brasiliani, indiani…) si è prodotta una rivitalizzazione di alcuni importanti organismi internazionali di mobilitazione antimperialista, come ad esempio la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, che conta oggi circa 80 milioni di aderenti in ogni parte del mondo (senza contare i cinesi…) e che ha dimostrato la sua vitalità nell’ultimo Festival mondiale svoltosi l’estate scorsa a Caracas, con il sostegno del Venezuela di Hugo Chavez.

Grazie al Consiglio mondiale della pace, e in particolare alla sua componente cubana, si è dato l’avvio ad un impegno per costruire una campagna internazionale coordinata e permanente contro le basi militari straniere in ogni parte del mondo.

I maggiori partiti comunisti del mondo hanno segnato una loro presenza forte negli ultimi Forum Sociali Mondiali (a Mumbay nel 2004, a Caracas nel 2005) riproponendo con seminari e iniziative qualificate il tema del socialismo del 21° secolo, che è poi la ragione storica fondante per cui hanno senso i comunisti, i partiti comunisti e rivoluzionari, in questa nuova fase storica della vita dell’umanità.

 

Va detto in proposito che nulla di tutto ciò avrebbe potuto realizzarsi (o ben poco) se, all’indomani del crollo dell’Urss alcuni partiti comunisti non si fossero posti il problema di non rinunciare ad un processo di riorganizzazione internazionale delle forze comuniste. E ciò, non solo non si è sovrapposto nè è mai stato di ostacolo alla costruzione di processi unitari più larghi, contro il neo-liberismo e la guerra, ma al contrario vi ha contribuito, come dimostra anche la storia del GUE.

Il KKE ha sempre auspicato che altri partiti prendessero l’iniziativa di promuovere gli incontri internazionali come quelli cominciati nel 1998 ad Atene, che si avviasse un processo circolare, che si costituisse a tal fine un gruppo di lavoro e di coordinamento, anche per evitare che tali incontri assumessero una connotazione “Atene-centrica”.

Ciò è finalmente avvenuto negli ultimi due anni. Si è costituito un gruppo di lavoro (che si riunisce 1-2 volte l’anno) col compito di preparare gli incontri internazionali dei Partiti comunisti e Operai e di far progredire il movimento e la sua iniziativa.

Tale gruppo di lavoro si è costituito su base consensuale e vede la partecipazione di nove partiti comunisti : PC cubano, PC do Brasil, PC di Spagna, KKE, PC di Boemia e Moravia, PC della Federazione Russa, PC indiano (che vi rappresenta anche il PC indiano-marxista), PC libanese, PC sudafricano. E si segnala un interesse crescente del PC vietnamita. Ad ogni riunione del gruppo di lavoro possono comunque partecipare tutti i PC che lo desiderano e che sono entrati nella rete degli incontri annuali.

Il prossimo incontro internazionale per la prima volta non si terrà ad Atene, bensì a Lisbona, il 10-12 novembre 2006, ospite il PCP, che in questa veste è entrato recentemente a far parte del gruppo di lavoro ristretto. Il tema sarà : “Rischi e potenzialità del contesto internazionale, la strategia dell’imperialismo e come farvi fronte, il nuovo contesto in America Latina, le prospettive del socialismo”. E per i prossimi incontri annuali si è parlato di Cuba, Cipro…come possibili Paesi ospitanti. Si vedrà, ma si direbbe che una nuova dinamica si è avviata.

 

12) E’ nel contesto globale di questi tentativi in atto di riorganizzazione di un movimento comunista e rivoluzionario a livello mondiale all’altezza delle sfide che ci propone il 21° secolo, che va interpretata e valutata la scelta di una serie di forze di dare vita al Partito della Sinistra Europea-SE (7). Una scelta che per il modo come è stata portata avanti e realizzata, si configura come un fattore di divisione del movimento comunista, in Europa e non solo.

 

Era certamente condivisibile (così si espresse il 5° Congresso nazionale del Prc, 2001), l’esigenza della "costruzione di un nuovo soggetto politico europeo (non si parlava di un partito- ndr) per unire…le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su scala continentale … nelle loro diversità politiche e organizzative" e senza pensare "né ad una fusione organizzativa, né ad un compattamento su base ideologica". Ma il progetto concreto che è stato messo in campo e perseguito – prima su scala europea, poi sul piano nazionale, col progetto di “sezione italiana” - le sue modalità di attuazione, il suo profilo politico e identitario, non hanno unito, ma diviso tali forze; non hanno avuto un profilo continentale, ciò pan-europeo (inclusivo di tutte le grandi aree del continente, dal Portogallo agli Urali), bensì sostanzialmente rivolto ai soli Paesi dell’Unione europea; e nella definizione del profilo identitario e dello Statuto fondante della SE si sono deliberatamente introdotte formulazioni di natura ideologica (in relazione alla storia del movimento comunista) e programmatica (in relazione al giudizio sull’Unione Europea), ben sapendo che quelle formulazioni sarebbero state inaccettabili per numerosi e importanti partiti comunisti europei, dell’Est e dell’Ovest. Tale rigidità era quindi volta coscientemente (non troviamo altra spiegazione plausibile) ad escluderli o a provocarne artificiosamente divisioni interne.

Tutto ciò ha prodotto divisioni profonde tra i maggiori partiti comunisti e di sinistra alternativa europei ed una incrinatura del rapporto di fiducia reciproca, che non si sono certo ricomposte nel corso degli ultimi anni, ma che tendono anzi a cristallizzarsi, e a riproporre – in un contesto storico-politico assai diverso - una divaricazione in due poli del movimento comunista in Europa, come ai tempi dell’”eurocomunismo” (solo che ieri quella divisione era politica, oggi essa tende addirittura a strutturarsi in un partito sovranazionale…). (8)

 

Tale approccio politicamente e ideologicamente selettivo ha prodotto un processo inverso a quello, unitario e ricompositivo, che si era prodotto in Europa, e segnatamente nei paesi dell’Ue, dopo la grande crisi del 1989 e il crollo del campo socialista in Europa e che aveva portato alla formazione del GUE-NGL nel Parlamento europeo. Dovrebbe indurre a qualche riflessione la semplice constatazione che dei 41 deputati europei che oggi compongono il GUE-NGL, sono solo 17 quelli che fanno parte di partiti membri a pieno titolo della SE (e stiamo parlando qui dei soli partiti dei Paesi dell’Ue). Mentre alcuni tentativi fatti ad esempio dal KSCM (PC di Boemia e Moravia, presente come osservatore nella SE) per avviare processi ricompositivi sono stati stroncati sul nascere. (9)

 

Per quanto riguarda le Tesi politiche e programmatiche approvate dal 1° Congresso della SE (Atene, ottobre 2006) – di cui ci siamo occupati diffusamente in questa rivista (7) - il loro profilo politico-programmatico e identitario complessivo richiama (nei contenuti, nel linguaggio, nella cultura politica) quello di una socialdemocrazia di sinistra, che si distingue sia dalle prevalenti impostazioni social-liberali e atlantiste della maggioranza della socialdemocrazia europea, sia da posizioni comuniste o di sinistra dichiaratamente anti-capitalistica e antimperialista. E’ assente ogni orizzonte strategico anti-capitalista, antimperialista, che prospetti l’obiettivo storico del socialismo e della costruzione di una società alternativa al capitalismo. Scompare il termine “comunista”, comunque lo si voglia declinare, e non è poco per un forza europea che è sorta ponendosi come punto di riferimento per l’insieme della sinistra alternativa europea, di cui i comunisti e i partiti comunisti sono parte rilevante.

Il progetto strategico che si profila appare quello di un capitalismo regolato, riformato e temperato nelle sue pulsioni liberiste e militariste, con il recupero di uno Stato sociale e di uno “spazio pubblico” nell’economia e nei servizi, che consenta appunto di contenere e bilanciare, nell’ottica tradizionale della socialdemocrazia, le spinte più oltranziste del capitalismo e dell’imperialismo, nell’ambito delle sue compatibilità.

 

13) L’esperienza dei primi due anni di vita della SE conferma dunque tutti i problemi che erano già emersi alla sua fondazione. Sia nella sua dimensione europea, che nella sua variante di “sezione italiana”, la SE continua a rappresentare un elemento di divisione, che ostacola la convergenza unitaria dei comunisti e delle forze della sinistra anti-capitalistica e di alternativa. E che, per giunta, tende a costituirsi – nella migliore delle ipotesi - su una piattaforma di sinistra socialdemocratica e/o neo-laburista.

Si tratta invece, bandendo ogni opportunismo adattativo, di operare - con pazienza e lungimiranza strategica - per la costruzione di luoghi capace non di dividere, ma di unire i comunisti e le sinistre anticapitalistiche di tutto il continente.

 

E’ evidente che, per quanto riguarda il contesto europeo, soluzioni taumaturgiche a breve portata non appaiono certo dietro l’angolo. Si tratta quindi, a mio avviso, di operare su due piani, tra loro distinti ma complementari. Da un lato i partiti più sensibili al tema della riorganizzazione del movimento comunista, potrebbero, come già si fa ad esempio in America Latina, promuovere incontri o seminari informali pan-europei, rivolti a tutte le forze comuniste del continente, senza pregiudiziali, per ristabilire un contatto e un confronto sulle problematiche che sono proprie dei comunisti. Dall’altro, come hanno fatto ad esempio i comunisti portoghesi del PCP con l’incontro pan-europeo svoltosi a Lisbona nel marzo 2006 sulle problematiche dell’Europa e dell’Unione Europea, promuovere iniziative che nel contesto europeo mettano (o rimettano) attorno allo stesso tavolo tutte le maggiori forze comuniste e anti-capitalistiche del continente, facciano esse parte o meno della SE, o vi partecipino come osservatrici. Al fine cioè di creare almeno un clima e una interlocuzione aperta che possa in prospettiva favorire dinamiche ricompositive.

 

14) Quanto all’Italia – ben al di là della gabbia ristretta della “Sezione italiana della SE” – si dovrebbe prevedere la costituzione di un Forum aperto a tutte le forze comuniste e di sinistra alternativa e di classe (sociali, politiche, culturali, associative, di movimento…) il cui raccordo politico e operativo anche stringente non comporti alcuna dissoluzione o diluizione dell’autonomia politica, strategica e organizzativa dei comunisti e del loro autonomo progetto di rifondazione di un partito comunista con basi di massa. E’ evidente che se fossero prese iniziative in questa direzione, tutta la discussione potrebbe essere suscettibile di evoluzioni positive (ma allo stato le cose non evolvono certo in tal senso, anzi).

Non mi sembra, come pure si è scritto con intenti costruttivi, che in Italia “il processo unitario di costruzione di una sinistra di alternativa non può che passare da una evoluzione dell’esperienza della SE”. Al contrario, penso che la sezione italiana della SE – operazione politica in sé del tutto legittima – non sia in grado di proporsi in modo inclusivo come istanza in cui possano riconoscersi tutte le componenti comuniste e di sinistra alternativa presenti in Italia, rispettandone l’autonomia ideologica, strategica e anche programmatica. Che sia cioè una camicia troppo stretta per contenere un organismo più grande e plurale. Penso che più che proporsi una velleitaria e improbabile evoluzione della SE, sia più saggio e realista proporre una istanza più ampia e inclusiva per tutti i comunisti e le sinistre di alternativa, di cui la SE sia eventualmente una componente, ma non il tutto.

Sul piano europeo, non mi sembra che “le condizioni per una evoluzione della SE appaiono oggi possibili”; nè che “le contraddizioni apertesi all’interno delle stesse forze presenti nella SE…fanno sì che si riproponga una riflessione complessiva sulla natura e sugli orientamenti della SE …a favore di una riproposizione non più monolitico-ideologica…, ma privilegiando l’aspetto politico-programmatico” (mentre una prevista rotazione nella leadership non comporterebbe di per sè una discontinuità di progetto: la questione è a monte, rimanda alle basi fondative della SE e alle ragioni per cui essa ha diviso il movimento comunista in Europa, che sono appunto ideologiche, strategiche e anche programmatiche). Solo una “rifondazione”, oggi del tutto improbabile, della SE su scala continentale, che rimuova ogni approccio liquidatorio alla storia del movimento comunista del ‘900, che proponga una piattaforma antimperialista e di riferimento ad una prospettiva strategica di tipo socialista, alternativa al capitalismo, che respinga ogni preclusione verso altri partiti comunisti e di sinistra del continente, che abbia una dimensione pan-europea, che delinei un progetto di Europa strategicamente alternativo all’Unione europea e non assuma invece questa nuova entità neo-imperialista ed euro-atlantica come un orizzonte insormontabile, potrebbe creare le condizioni per una “sinistra europea” in cui sia possibile la ricomposizione convergente del movimento comunista su scala continentale; superando cioè quei presupposti negativi che fanno oggi della SE un fattore di divisione dei processi di ricomposizione unitaria dei comunisti in atto, nel mondo, in Europa e anche in Italia. Ma le forze che oggi all’interno della SE e della sua sezione italiana operano in questa direzione sono del tutto minoritarie.

Non credo pertanto, per le ragioni dette, che “il rilancio dell’unità della sinistra passi fondamentalmente attraverso una adesione politico-programmatica e non ideologica alla SE…nella pari dignità ed agibilità di tutte le forze (e culture) politiche che si collocano a sinistra del Partito democratico”. Credo che l’attidudine dei comunisti, comunque collocati, nei confronti della SE debba rimanere fortemente critica, e non debba privilegiare i tatticismi del contesto italiano, ma rapportarsi in primo luogo a ciò che la SE rappresenta sul piano strategico e internazionalmente. Altrimenti si rischia di vedere l’albero e non la foresta.

 

15) Qual è comunque il progetto concreto di nuovo soggetto politico, di Sezione italiana della SE, che viene via via delineandosi?

Secondo Pietro Folena, che opera in sintonia con la segreteria del PRC, si tratta di “una nuova soggettività da organizzare su base federale, che raccolga tutti i riformisti di radice socialista e socialdemocratica” (La Stampa, 24.06.2006). Si è giustamente fatto osservare che nell’ambito dell’attuale “alleanza di governo…prenderebbe corpo (così) una forma moderna di centrosinistra. Da una parte ci sarebbe il Partito democratico, caratterizzato da un segno moderato, e dall’altra la nuova sinistra” (l’Unità, 11.07.2006). Ovvero, come commenta il quotidiano della Margherita (“Europa”), si avrebbe“la formazione di un’area di sinistra radicale non incompatibile con la collocazione al governo”, in cui potrebbe confluire “la minoranza DS che rifiuta l’adesione al Partito democratico”. L’organo della Margherita commenta in proposito che “non si può non tifare per Bertinotti e per la riuscita del suo progetto”; anche perché – citiamo da Affari Italiani (22.06.2006)– “il PRC è diventato un partito riformista” che oggi “teme seriamente per la sua sorte”, avendo al suo interno “minoranze instabili e combattive, poco disposte a seguire il segretario Giordano sulla via della moderazione governista”. E quindi il gruppo dirigente del PRC cerca di “puntellarsi a sinistra…allargandosi ad un’area politica che potrebbe condividere le istanze della Sinistra europea”. Per cui, “a restare penalizzate da questo gioco, ovviamente, sarebbero le minoranze interne di Rifondazione”. Per cui, si dice, “tanto del futuro di Rifondazione, dipende dalla Sinistra DS”.

In occasione del recente seminario di Orvieto (14-15 luglio) sul “nuovo soggetto politico”, Cesare Salvi ha dichiarato la sua disponibilità “per la nascita di un nuovo soggetto di matrice socialista” (Il Manifesto, 15.07.2006). E in un articolo sul Manifesto (08.07.2006), alcuni dei promotori del seminario, nel delineare le caratteristiche del nuovo soggetto politico della “sinistra europea”, prospettano dettagliatamente un’asse politico-programmatico e ideale di matrice neo-laburista e socialdemocratica di sinistra, assolutamente rispettabile, ma in cui svanisce ogni istanza anti-capitalistica e antimperialista. (10) Nella sua relazione al seminario (che pure contiene alcuni spunti di riflessione stimolanti e di livello), Aldo Tortorella parla di “un nuovo soggetto politico a sinistra segnato da parole generalissime come Pace, Lavoro e Libertà”, di una forza di “sinistra autonoma e unitaria, forte di pensiero alternativo e di capacità di governo”, di “una nuova e grande sinistra…di ispirazione socialistica…che si riproponga la rappresentanza del lavoro”.

Non è un caso del resto che (salvo rare eccezioni individuali) tutte le “soggettività” promotrici del “nuovo soggetto politico”, in occasione del dibattito sull’Afghanistan, si siano collocate nel solco del compromesso moderato raggiunto all’interno dell’Unione, e si siano opposte alle istanze dei settori più radicali del movimento contro la guerra, e dei settori di sinistra del PRC, del PdCI, dei Verdi, del mondo cattolico… che si sono espressi nettamente contro quel compromesso nell’assemblea romana del 15 luglio. A conferma che quello che è in gioco non è solo un dibattito identitario sul “comunismo”, ma anche e soprattutto la natura del tipo di aggregazione a “sinistra” che si vuol costruire in questa fase : una sinistra interna alle cosiddette “compatibilità di sistema” e quindi oggi governista, oppure una sinistra di lotta contro tali compatibilità, e quindi oggi necessariamente d’opposizione.

Il seminario di Orvieto, che ha visto l’intervento significativo e il sostegno del segretario del PRC, Franco Giordano, sembra anche aver delineato le caratteristiche salienti e un percorso costituente assai preciso per pervenire in tempi brevi alla costruzione del nuovo soggetto, ovvero alla Sezione italiana della SE. “Da subito si darà vita a un coordinamento permanente aperto a forze politiche, associazioni e singole personalità; …poi a settembre ci sarà l’avvio della fase costituente, con la presentazione di un manifesto che delinei valori e fisionomia di questa forza; e infine entro l’autunno, si voterà uno statuto e un gruppo dirigente unitario”. (11)

La “formula organizzativa” sarebbe “federativa, ma con un gruppo dirigente e statuto unitari. C’è il nome, visto che Franco Giordano ha assicurato ai partecipanti la disponibilità del PRC a fare di Sinistra Europea il luogo in cui far incontrare le forze…garantendo che il PRC continuerà a starci dentro con “pari dignità” rispetto ai nuovi entrati”, con una “assemblea costitutiva” prevista “ad autunno” (12). Dove per pari dignità si intende, scrive il Manifesto (16.07.2006), che, alla fondazione del nuovo soggetto politico partecipino migliaia di delegati (forse tremila) …e nella distribuzione dei delegati Rifondazione rivendica il 50% : nell’altra metà, tutti gli altri soggetti”. Scrive Liberazione (25.07.2006) che “il 23 settembre, al Festival di Liberazione, il tradizionale comizio conclusivo del segretario di Rifondazione si trasformerà in qualcos’altro. Una sorta di meeting a più voci, coi rappresentanti delle associazioni, dei movimenti, con gli intellettuali che hanno già deciso di lavorare a questo progetto. Il giorno successivo, in un teatro romano, un’assemblea varerà – con tanto di voto – l’avvio della fase costituente. Che si concluderà con ogni probabilità a marzo del 2007, col primo congresso della Sinistra europea italiana”.

Nella sua relazione al CPN del PRC (Liberazione, 18 giugno 2006), il segretario Franco Giordano aveva precisato in proposito : si tratta di “un processo aperto e coinvolgente con tre vincoli : un simbolo, una lista, un gruppo istituzionale unitario. Una struttura policentrica e a rete che non chieda a nessuno di sciogliersi o di perdere la propria autonomia politica e organizzativa, ma che consenta di trovare una connessione dentro una ispirazione confederale” che “non mette in discussione l’esistenza e l’autonomia del Partito”.

 

16) Vorrei rilevare in proposito :

- che il progetto che qui si delinea ha come punto d’approdo la formazione di un soggetto politico di tipo socialdemocratico di sinistra (nel profilo politico-ideologico) e riformista-governista sul piano programmatico;

- che esso comporterà la sparizione del nome e della simbologia comunista del PRC nelle competizioni elettorali e nella rappresentanza istituzionale. Come precisa Giordano, il nuovo soggetto politico avrà “un simbolo, una lista, un gruppo istituzionale unitario” che saranno ovviamente quelli della nuova “cosa”;

- si dice che il PRC manterrà la sua “autonomia politica e organizzativa”. Ma è facile prevedere che, come già è avvenuto nell’esperienza spagnola di Izquierda Unida (oggi approdata ad una crisi drammatica), il PRC (così come è avvenuto per il PCE), si ridurrà sempre più ad essere una corrente interna del nuovo soggetto politico, al quale verrà sempre più delegata la centralità dell’iniziativa politica e istituzionale. Già di parla di “gruppo dirigente e statuto unitari”, di struttura “federale”, e tutto ciò implica una crescente cessione di quote di sovranità del partito al soggetto sovraordinatore. Il PRC cioè, già debole nel suo radicamento sociale e fortemente diviso al suo interno in componenti strutturate, verrebbe a perdere sempre più la sua autonomia sostanziale, che per un partito politico che si proclama “comunista” si fonda, tra l’altro, sulla capacità di stabilire rapporti autonomi organizzati coi settori di avanguardia del mondo del lavoro e della società civile, fondati su un’autonomia di progetto strategico e teorico, appunto “comunista”, che è qualcosa di più e di diverso da una generica collocazione “di sinistra”, alternativa o radicale che dir si voglia.

Vi è qui per giunta una differenza in negativo rispetto al progetto originario di Izquierda Unida spagnola. Essa nacque su una piattaforma politica e programmatica dichiaratamente anti-capitalista e antimperialista (prima di approdare, nel tempo, all’attuale collocazione riformista ed “eco-socialista”); si proponeva di unire tutte le componenti della sinistra anti-capitalistica spagnola e in quel contesto di riunificare in un solo partito tutti i comunisti spagnoli, all’epoca frazionati in tre raggruppamenti distinti. Mentre il nuovo soggetto (la Sezione italiana della SE) nasce già su una piattaforma socialdemocratica di sinistra; divide la sinistra alternativa italiana (ne ingloba una parte, ne esclude volutamente un’altra); e - lungi dal proporsi un progetto di riunificazione dei comunisti - ne approfondisce le divisioni : sia quelle interne al PRC, sia quelle nei confronti di altre formazioni o soggettività comuniste (il PdCI, il Manifesto, La Rete dei Comunisti…) che vengono escluse da ogni coinvolgimento nel progetto.

Si tratta dunque di un progetto che va a mio parere apertamente e dichiaratamente contrastato, in nome non già di arroccamenti settari o nostalgici, bensì opponendogli – come si è detto – una ipotesi di Forum unitario e strutturato di tutte le forze comuniste e di sinistra di alternativa, senza preclusioni nei confronti di alcuno, con forti legami coi settori più avanzati del movimento contro la guerra, del mondo del lavoro e della cultura. Di cui lo schieramento che ha promosso l’assemblea romana del 15 luglio sulla questione dell’Afghanistan potrebbe porsi come elemento propulsore.

17) Romano Prodi ha dichiarato recentemente che la scadenza delle elezioni europee del 2009 dovrebbe essere la prima a vedere in campo il nuovo Partito Democratico. Analogamente Il Riformista, in un impegnativo commento editoriale (23.06.2009), mette a confronto il progetto di Partito Democratico con quello, complementare, di Sinistra Europea in versione italiana (“la Cosa rossa”), e prefigura – citando anche un autorevole dirigente del PRC – uno scenario elettorale per il 2009 in cui per la prima volta il PRC si presenti ad elezioni nazionali senza più il suo nome e il suo simbolo, ma come parte integrante del “nuovo soggetto politico” in formazione.

Se questo fosse lo scenario (una sorta di “normalizzazione di sistema” del centrosinistra, con una variante social-liberale ed una socialdemocratica)  quali dovrebbero essere le scelte politiche ed elettorali dei comunisti e delle forze anticapitalistiche più conseguenti, comunque collocate, per tenere aperto in Italia un processo e un progetto (non gruppuscolare) capace di non archiviare la questione comunista e la presenza di una forza organizzata di massa non piegata alle compatibilità di sistema?

C’è materia su cui riflettere, ma il tempo stringe e costringe ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità.

 

 

NOTE

(1) Il gruppo ristretto incaricato di elaborare il Progetto di Tesi è composto da Rino Serri (che lo presiede), Famiano Crucianelli, Carlo Paolini, Oliviero Diliberto e Fausto Sorini. A quest’ultimo verrà affidato il compito di elaborare e stendere la bozza della parte internazionale delle Tesi. Le tesi qui richiamate (2.9; 2.10; 2.13) verranno approvate a maggioranza dal Comitato politico nazionale chiamato a vararle come base di discussione, con una forte opposizione di alcuni settori del partito, di cui si fanno interpreti con proposte di emendamenti soppressivi o sostitutivi alcuni importanti dirigenti, quali ad esempio Livio Maitan e Luciana Castellina. Il Congresso nazionale approverà le tesi a maggioranza, con l’astensione complessiva su di esse, ed il voto contrario sulla parte internazionale, di un settore della maggioranza uscente facente capo a Sergio Garavini, Lucio Magri, Luciana Castellina (che l’anno dopo usciranno dal PRC). Mentre verranno votate da Bertinotti (eletto segretario al posto di Garavini), Cossutta (confermato presidente), dal responsabile esteri Luciano Pettinari, dalle componenti dell’ex-DP facenti capo a Luigi Vinci e da quei settori del partito che poi confluiranno nell’area de l’Ernesto.

 

(2) Sono proprio queste impostazioni “terzaforziste”, segnate da “veti e pregiudiziali di natura ideologica o di percorso storico…, escludenti i partiti comunisti o alcuni di essi”, che ritorneranno con forza alcuni anni dopo e verranno poste a fondamento del processo di costruzione del Partito della Sinistra Europea, che produrrà una divisione profonda nel movimento comunista europeo.

E’ incredibile rilevare quanta strada abbia fatto – su alcune questioni - l’evoluzione del profilo politico-ideologico del PRC dal 1994 ad oggi. Si ritrovano nei documenti di allora alcune formulazioni (in positivo) che oggi apparirebbero a molti come assolutamente “scandalose” o “inopportune”.

 

(3)Come si giunge alla formazione del GUE? Bisogna innanzitutto ricordare che, fino alle elezioni europee del 1989, vi era sempre stato nell’europarlamento un gruppo unico dei comunisti, con altre forze della sinistra antagonista, quali ad esempio il Partito socialista popolare di Danimarca o il Partito dei lavoratori di Irlanda. La situazione muta nel 1989, su iniziativa del gruppo dirigente del “nuovo Pci” di Achille Occhetto, appena uscito dal suo 18° congresso. Esso è ormai orientato ad imprimere una forte accelerazione al processo di avvicinamento all’Internazionale socialista e di integrazione nella “sinistra europea” socialdemocratica, come apparirà evidente alcuni mesi dopo, con la svolta della “Bolognina”. Ciò richiede anche atti formali di crescente distacco dagli altri partiti comunisti; e in attesa che i tempi siano maturi per il “grande salto”, il “nuovo Pci” opera per una collocazione intermedia e transitoria, “terzaforzista”, tra il gruppo comunista europeo e quello socialdemocratico.

Sta di fatto che, all’apertura dei lavori del Parlamento europeo eletto nel 1989, il “nuovo Pci” annuncia la propria uscita dal gruppo comunista e la formazione del gruppo della Sinistra unitaria europea, cui aderiscono – non senza titubanze e travagli interni – i rappresentanti di Izquierda unida, il Partito socialista popolare danese e uno su quattro degli eurodeputati del Synaspismos (che all’epoca è ancora una coalizione comprendente il Kke). I partiti restanti – comunisti francesi, portoghesi, greci e Partito dei lavoratori d’Irlanda – saranno dunque costretti dalle scelte del Pci a dare vita, loro malgrado, ad un nuovo gruppo europeo, che assumerà la denominazione di Coalizione delle sinistre.

A tre anni di distanza, dopo la trasformazione del Pci in Pds, questi lascerà il gruppo della Sinistra unitaria europea per entrare nell’Internazionale socialista e nel gruppo socialdemocratico al Parlamento europeo. I tre europarlamentari confluiti in Rifondazione comunista manterranno la loro precedente collocazione.

E’ dunque a partire da quella divisione in due gruppi che si svilupperà negli anni successivi l’iniziativa per una ricomposizione unitaria, nella quale proprio i partiti comunisti svolgeranno un ruolo trainante.

 

(4)Non tutte le forze che, nel Parlamento europeo, si collocano a sinistra dell’Internazionale socialista affrontano infatti allo stesso modo il problema di una aggregazione – tra esse – il più possibile unitaria. Tutti i partiti comunisti e di sinistra socialista si dichiarano a favore di un gruppo unitario che comprenda anche i verdi. Tale ipotesi non riuscirà a concretizzarsi per l’indisponibilità dei verdi, tra i quali prevale una linea di chiusura settaria alla cooperazione con i partiti comunisti. I verdi pertanto sceglieranno di fare gruppo a sé, dichiarandosi al più disponibili ad “integrare” nelle proprie file Izquierda unida e alcune altre forze di sinistra non comunista (Synaspismos e Partito socialista popolare danese).

Di fronte a tale orientamento, il Psp danese, in cui forte è la preclusione verso la più parte dei partiti comunisti, sceglie di aderire al gruppo verde. Una forte propensione in tal senso si manifesterà fino all’ultimo anche in settori consistenti del Synaspismos e in Izquierda unida, nelle sue componenti non comuniste, che contano all’epoca circa un terzo della coalizione. Posti di fronte alla scelta tra gruppo unitario con i comunisti e gruppo verde, questi settori hanno spinto e operato fino all’ultimo per la seconda soluzione, cercando di coinvolgere in essa anche Rifondazione comunista. La quale – diversamente da quello che diversi anni dopo è avvenuto col la formazione del Partito della Sinistra Europea – non si è resa disponibile per operazioni di segno “terzaforzista” e di rottura nei confronti di altri partiti comunisti.

 

(5) Tra i partecipanti si ritrovano ad esempio : i PC di Cuba, Brasile, Colombia (PCC e FARC), Argentina, Cile, Uruguay, Venezuela, Messico, Salvador…dall’America Latina.

I PC di Portogallo, Grecia, Cipro (AKEL), Spagna (PCE e PCPE), Catalogna (PCC), Italia (PRC e PdCI), Francia (PCF), Boemia e Moravia, Slovacchia…dall’Europa, cui va aggiunta la presenza di pressoché tutti i maggiori PC delle Repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Dall’Africa, spicca la presenza del PC sudafricano (SACP) e di quello del Sudan; dal Medio Oriente i PC di Israele, Libano, Egitto, Palestina (nelle loro diverse articolazioni), Iran, Giordania, Siria (i due PC).

Dall’Asia viene la presenza sicuramente maggiore in termini di rappresentatività : i PC di Vietnam, Cina (osservatore), Laos, Corea del Nord, India (CPI e CPI-m), Nepal, Filippine (CPF-1930), oltre ai PC delle Repubbliche asiatiche dell’ex-Urss.

 

(6) Il testo completo del comunicato, con l’elenco dei partecipanti, in : l’Ernesto, n.6, 2005.

 

(7) Chi volesse approfondire temi, percorsi, informazioni connesse alla formazione e allo sviluppo della SE, ampiamente trattati dall’autore su questa rivista e altrove, può consultare il sito www.lernesto.it  Nella home-page cliccare in alto a sinistra su : Ricerca in Rassegna Stampa : quindi, nella finestra che si apre, digitare il nome dell’autore (Fausto Sorini) e cliccare.

 

(8) Nel suo intervento alla Conferenza internazionale dei PC (Atene, 18-20 novembre 2005), la delegazione del KSCM dichiara : “La lotta tra posizioni comuniste, rivoluzionarie e posizioni riformiste è in corso nel movimento comunista…L’ultima espressione delle componenti riformiste si è recentemente concentrata nella SE, in connessione con la sua integrazione nelle strutture dell’UE. La SE produce divisioni nella sinistra in Europa, mentre il punto di partenza per la costruzione un fronte antimperialista europeo dovrebbe essere l’accordo sul fatto che l’UE è parte integrante di un imperialismo euro-atlantico, contro cui è necessario concentrare le forze”.

 

(9) In un articolo pubblicato su Halò noviny l’11.02.2005 il responsabile esteri del KSCM dichiara : “Il profilo della SE deve essere pan-europeo. Il Partito della sinistra europea deve profondere ogni sforzo per il raggiungimento di questo obbiettivo. Abbiamo chiesto che fossero invitati almeno 27 partiti comunisti e di sinistra di tutta l’Europa (tra questi i Partiti comunisti di Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Paesi baltici, Scandinavia, ex Jugoslavia, Turchia, Gran Bretagna, Portogallo, Grecia, ecc.) per un incontro finalizzato a dibattere con loro le questioni riguardanti l’unità della sinistra europea. Ciò avrebbe consentito a tutti di prendere conoscenza delle loro opinioni e condizioni ed anche di ciò che impedisce loro di collaborare con il Partito della sinistra europea…Niente di quanto contenuto nelle nostre proposte è stato accolto…si è evidenziata l’arroganza dei partiti leader della SE …Ci siamo convinti che non vi è alcuna volontà politica di cambiare il profilo della SE in senso pan-europeo e che il principio delle decisioni prese col consenso in pratica esiste”.

 

(10)Piero Di Siena, dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra; Pietro Folena e Tiziano Rinaldini della rete Uniti a Sinistra; Gianfranco Pagliarulo, dell’Associazione Rossoverde: ovvero le tre associazioni promotrici del seminario di Orvieto del 14-15 luglio 2006.

 

(11)l’Unità, 15 e 16 luglio 2006

 

(12)Il Manifesto, 15.07.2006)