www.resistenze.org - pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 14-12-10 - n. 344

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PdCI
Intervento al 12 ° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
 
di Maurizio Musolino
 
La crisi, una occasione non scontata per i comunisti
 
La crisi economica che da mesi strangola le principali economie capitaliste mondiali dimostra giorno dopo giorno di essere nello stesso tempo una crisi sistemica e di sistema. In discussione c’è non solo un riordino della finanza internazionale ma anche uno sviluppo che oggi deve fare i conti con nuovi grandi soggetti, a partire da Cina, India e Brasile. Una crisi quindi che se da una parte può divenire una grossa opportunità per le forze comuniste e progressiste rappresenta parimenti un rischio enorme per le possibili involuzioni democratiche che può far scaturire.
 
Questo vale anche per quei paesi della Vecchia Europa dove le conquiste e i diritti acquisiti nei decenni precedenti sembravano trincee dalle quali era impossibile tornare indietro. Paesi che sembravano al sicuro da derive autoritarie. Il capitalismo mondiale è impegnato in una sua riorganizzazione che se da una parte si basa sulla vecchia regola di far pagare le crisi a chi già soffre ed è sfruttato da uno sviluppo iniquo e ingiusto dall’altra ha l’ambizione di ridisegnare regole e confini, mettendo in discussione tutti quei diritti figli della stagione di lotte operaie che si è sviluppata negli anni Sessanta e Settanta. L’imperialismo svela così la faccia di sempre: il lavoro deve trasformarsi in una forma di neoschiavitù e il lavoratore deve essere completamente succube alla volontà del padrone-capitalista.
 
In questa direzione vanno sicuramente letti tutti quei provvedimenti che l’Europa e gli Stati Uniti d’America hanno messo in atto per bloccare i flussi migratori. I migranti vanno bene solo se portano plusvalore con il loro lavoro, e a questo fine il lavoro deve essere completamente deregolamentato e soggetto ai ricatti. Una forma di vera e propria neo schiavismo.
 
Nell’ottica di ridisegno delle regole del gioco da parte dell’imperialismo va letto anche il tentativo di privare l’opposizione di sinistra di qualsiasi possibilità ad avere visibilità. In Italia sono anni che leggi elettorali liberticide cercano di impedire ai comunisti e alla sinistra di avere una rappresentanza istituzionale. Voglio essere chiaro: sedere in parlamento o nelle amministrazioni locali non può e non deve essere il “fine”, ma è al contrario una condizione per poter avere visibilità e agibilità politica e per dare voce e rappresentanza a quelle istanze del mondo del lavoro e della scuola – per fare solo due esempi – che oggi si vedono completamente abbandonati.
 
Ma c’è un terzo aspetto che voglio sottolineare e che sta tutto dentro la riorganizzazione del capitale: le strategie geopolitiche. Il capitalismo rimette oggi come ieri al centro del suo programma l’uso dei conflitti come elemento di disgregazione dei popoli e quindi di sottomissione. Questo lo sa bene il continente africano che per decenni si è visto depredare delle ricchezze da un capitalismo aggressivo che grazie a micro conflitti regionali metteva in essere una nuova-antica forma di colonialismo. Anche in altre aree geografiche la strategia del capitale ha lavorato per lo stesso obiettivo e come esempio voglio ricordare l’invasione delle forze imperialiste dell’Iraq e dell’Afghanistan che vede come principale obiettivo delle forze occupanti innanzitutto la disgregazione di quei popoli intesi come stati nazionali. Una forma di neocolonialismo aggressivo è anche l’occupazione sionista della Palestina e a questo proposito voglio ricordare l’importanza di forme di lotta come il boicottaggio culturale ed economico, forme di lotta che proprio qui in Sudafrica hanno dimostrato nei decenni passati tutto il loro valore e la loro efficacia. Il boicottaggio colpisce dove più sensibile è il capitale, ovvero proprio nel mercato.
 
Tutto questo consegna a noi, ai comunisti, una responsabilità grandissima. La responsabilità di saper declinare il contrasto fra capitale e lavoro in termini moderni ed attuali. Soprattutto la capacità di rendere tutto questo comprensibile al nostro popolo. Abbiamo degli esempi importanti, voglio citare la stagione di conflitti sociali che in Grecia ha visto i compagni del KKE alla guida di imponenti movimenti di lotta. Nello stesso tempo, a questi progetti ci si oppone anche rafforzando quelle esperienze – soprattutto dell’America Latina - che in questi anni sono state vero e proprio ossigeno per il movimento progressista mondiale. Cuba, Venezuela ma anche Brasile sono oggi utili non solo per quei popoli ma per il mondo tutto.
 
Ed allora concludo affermando che abbiamo davanti una lotta impegnativa, i nostri nemici sono forti e disposti a tutto. Ma è una lotta che vale la pena combattere. Non vogliamo e non possiamo tirarci indietro. Voltare il viso altrove, non opporsi a queste ingiustizie, non combattere l’imperialismo, oggi significherebbe tradire le speranze e le aspettative di tanti uomini e donne. Un tradimento che non ci sarebbe perdonato.
 

da www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=19939
 
PRC
Intervento al 12 ° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
 
di Francesco Maringiò
 
Signor Presidente, colleghi delegati: è un onore per me essere delegato dal Dipartimento Esteri del Partito della Rifondazione Comunista d'Italia a partecipare a questo importante incontro internazionale. Innanzitutto vorrei ringraziare, a nome del Partito della Rifondazione Comunista d'Italia, il Partito Comunista Sudafricano per aver organizzato questo importante incontro che per la prima volta si tiene nel continente africano. Un evento che avviene a pochi giorni dal 17º Festival Mondiale della Gioventù e degli Studenti che segnerà ancora di più la lotta dei giovani per sconfiggere l'imperialismo, per un mondo di pace, solidarietà e per la trasformazione sociale. Saluto anche tutte le delegazioni che partecipano a questo incontro ed esprimo la mia convinzione che questo 12º Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti ed Operai avrà successo.
 
1. Il nuovo quadro internazionale è segnato da tendenze contraddittorie. Da un lato i paesi a capitalismo maturo vivono una profonda crisi economica destinata a cambiare profondamente gli equilibri politici mondiali dei prossimi anni, dall'altro lato si assiste all'ascesa di economie e paesi non imperialisti o guidati da governi democratici, progressisti o socialisti che rompono l'unilateralismo statunitense ed imperialista e si assiste allo sviluppo di lotte antimperialiste ed antiliberiste in parti importanti del mondo.
 
Il mondo è rapidamente cambiato dal 1989. All'indomani del crollo dell'Urss nessuno sembrava in grado di arrestare l'ascesa degli Usa come unica potenza incontrastata a livello internazionale. Non a caso le tre opere fondamentali, che diverranno l'azimut del pensiero neocons sono: “la fine della storia” di Francis Fukuyama (che teorizza il dominio della democrazia liberale, con il crollo dell'URSS), “lo scontro di civiltà” di Samuel Huntington (che interpreta la storia come frutto di un conflitto tra civiltà, non tra classi sociali) e “la grande scacchiera” di Brezinski, manuale geopolitico per eccellenza del “mondo e la politica nell'era della supremazia americana”.
 
Eppure, fortunatamente, il mondo è cambiato in un arco di tempo straordinariamente breve. A tutte le latitudini abbiamo assistito ad un importante rovesciamento dei rapporti di forza, dall'America Latina (dove si sperimenta la costruzione del Socialismo del XXIº secolo) al Sudafrica (che dopo essersi affrancato dal colonialismo e dell'Apartheid, lo vede oggi protagonista di un processo di rivoluzione democratica e progressista), ai paesi asiatici (dove vive la maggioranza della popolazione mondiale e gli equilibri politici continentali sono espressione di governi non allineati o guidati da partiti comunisti al potere).
 
Senza per questo dimenticare il ruolo che in Europa, dove la lotta per la trasformazione è più difficile e di lunga lena, hanno organizzazioni sociali e partiti comunisti nell'organizzazione della classe operaia e del conflitto sociale.
 
Secondo alcuni studi delle principali banche degli Usa, si prefigura uno scenario per cui: mentre oggi i Paesi del G7 incidono per il 41% sul Pil del mondo e i BRIC per il 26%, entro la metà del secolo i Paesi del G7 caleranno al 25% e le economie dei BRIC saliranno al 50%, quasi il doppio. Se alle economie dei BRIC si sommano i paesi orientati ad entrare nella loro sfera di influenza, il peso salirebbe al 65% (due terzi). E di questo 65% non allineato alla triade imperialista (Usa, Ue, Giappone) il 35% verrebbe espresso dalla Cina e dai paesi orientati al socialismo.
 
Questi dati ci dicono che un intero mondo è oramai terremotato e che l'impianto ideologico su cui si fondava la “fine della storia” è completamente finito. Non a caso uno studio della Goldman Sachs del 2003 dice: “nel 2050 ci potremmo trovare in un mondo drammaticamente differente da quello attuale, dove le prime 10 economie saranno molto diverse da quelle attuali”. Questo studio parla chiaramente di un mondo post-occidentale in cui il dollaro perde il primato di valuta internazionale e Joseph Stiglitz, recentemente, ha parlato della nascita di un nuovo mondo “fuori dalle regole del Washington Consensus”.
 
Ma guai a noi se pensassimo che la soluzione è dietro l'angolo. But woe to us if we thought that the solution is just around the corner. Questa crisi di egemonia, intrecciata con l'esplosione di questa devastante crisi economica, può avere, soprattutto in Ue, sbocchi diversi. Da un lato, infatti, può portare all'apertura di una fase nuova che pone le condizioni per sconfiggere le frazioni più aggressive della classe capitalistica ed imporre la ripresa di una politica di intervento pubblico e pianificazione in economia, orientata verso il lavoro e non verso il capitale. Ma non sono da escludere invece sbocchi del tutto diversi e contrapposti. In Europa, infatti, si assiste all'avanzata di formazioni razziste e xenofobe, all'aumento di misure autoritarie, alla limitazione delle libertà democratiche ed alla ripresa di una pervasiva, quanto pericolosa, campagna anticomunista nel cuore dell'Europa.
 
2. La crisi dei paesi a capitalismo maturo non è “la crisi finale del capitalismo”, ma la sua importanza non va sottovalutata. Questa crisi segna la fine di un lungo ciclo di accumulazione del capitale, iniziato alla fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, quando cessa il periodo di grande crescita economica postbellica. È importante ricordare, sinteticamente, che nel 1971 gli Usa decretano la fine del gold-exchange standard ed il dollaro diviene una moneta assolutamente fiduciaria. Nel 1973, con la crisi del petrolio, il dollaro diventa “moneta mondiale”, nonostante una bilancia commerciale in passivo dal 1976.
 
Alla base della crisi attuale c'è un eccesso di offerta: una enorme sovrapproduzione di merci e capitali, unito ad un uso senza regole della finanza e del credito. Nel 2007 si chiusa una fase: quella nella quale la finanza ed il debito riuscivano a nascondere un'insufficiente valorizzazione del capitale nei Paesi capitalistici. E così la crisi attuale è il frutto di due processi: la tendenza alla caduta del saggio di profitto nei paesi a capitalismo maturo e la crisi del regime di accumulazione statunitense. A nulla, infatti, sono serviti gli “aiuti dello stato” nell'economia: a gennaio 2010 gli Usa avevano speso più di 2.500 miliardi di dollari per salvare i loro istituti finanziari, la Gran Bretagna 700 miliardi di sterline. Il risultato è la trasformazione di un debito privato in debito pubblico ed una ulteriore riduzione del ruolo dello Stato nell'economia.
 
3. Il contesto generale del 21mo secolo è dunque quello di una competizione globale per l'egemonia, dove Ue, Usa e Giappone percepiscono il rischio di un loro declino. È da questo contesto che nasce la spinta alla guerra perché gli Usa tentano di vincere la competizione globale sul terreno militare, dove sono i più forti. A fine novembre si è tenuto a Lisbona il vertice dell'Alleanza atlantica per adottare il nuovo Concetto strategico. L'ultimo è stato approvato subito dopo il crollo dell'Urss e poco prima dell'inizio della guerra all'Iraq. Esso rappresenta il tentativo di ridisegnare nuovi rapporti internazionali centrati sull'asse atlantico e chiedendo un maggior coinvolgimento dei paesi dell'Ue. Questi ultimi, d'ora in poi, saranno chiamati sempre più a gestire con gli Usa i vari scenari di guerra nel mondo e a cui, soprattutto, toccherà una maggiore partecipazione nelle spese militari. La NATO continua ad essere il principale strumenti di dominazione politico-militare globale da parte delle potenze imperialiste. Con il vertice di Lisbona, si è cercato di dare vita a quello che Diana Johnson chiama un nuovo condominio imperialista, come risposta alla crisi profonda che l'egemonia statunitense vive in questo scorcio di inizio secolo.
 
Per queste ragioni una battaglia storica, prioritaria delle forze antimperialiste dei tutte il mondo è quella di vincere la lotta per la pace ed il disarmo, facendo indietreggiare i settori più aggressivi dell'imperialismo Usa. Su questo terreno si aprono maggiori spazi per l'affermazione e la crescita delle forze progressiste e dei Paesi che perseguono modelli di sviluppo socialista o comunque alternativi al neoliberismo.
 
4. Nel nuovo contesto mondiale una dinamica propulsiva viene da tutti quei popoli e paesi che perseguono un progetto “nazionale” che entra obbiettivamente in contrasto con le strategie dell'imperialismo. Per questo, condizione necessaria, ma non sufficiente, per una strategia alternativa alla mondializzazione capitalistica è il recupero parziale di sovranità degli stati nazionali. Questo non vuol dire sostenere tesi autarchiche. La difesa della sovranità nazionale presuppone una fitta rete di relazioni tra Stati sovrani, con accordi tra settori e imprese pubbliche dei rispettivi Paesi, volti a costruire entità economiche integrate a livello sovranazionale. Ma ogni convergenza a livello mondiale e continentale deve essere costruita a livello nazionale, e consolidata in un nuovo potere politico statuale. Solo a livello nazionale possono essere modificati con la lotta i rapporti di forza sociali, politici, statuali a favore delle classi popolari.
 
Per queste ragioni, una strategia deve essere basato su un programma politico e programmatico che prevede:
a) la formazione di poteri politici nazionali, tra loro cooperanti su scala regionale e mondiale, non subalterni al neo-liberismo in campo economico e all'imperialismo in campo internazionale;
b) la formazione di poli pubblici produttivi, tecnologici, finanziari, e della comunicazione, con capacità di contrappeso del capitale multinazionale privato.
c) la lotta per la pace e il disarmo: scioglimento della NATO, rimozione delle basi militari straniere, messa al bando delle armi di distruzione di massa.
 
5. La necessità di riproporre, all'inizio del terzo millennio, la questione del superamento del capitalismo e la prospettiva del socialismo è radicata nelle contraddizioni vecchie e nuove che il capitalismo è incapace di risolvere. Per tutti questi motivi è importante sviluppare tutti gli sforzi di cooperazione e di lavoro comune. Il mio partito ha ritenuto di particolare interesse ha proposta fatta dal presidente del Venezuela Hugo Chavez di una nuova Internazionale che, come si è detto, è utile per armonizzare "una strategia comune per la lotta contro l'imperialismo, il rovesciamento del capitalismo con il socialismo e la solidarietà a base di un nuovo tipo di integrazione economica", perché al giorno d'oggi, è necessario, più di prima, per rafforzare l'unità di azione e di collaborare con altre forze anti-capitaliste ed anti-imperialiste. I lavoratori ed i popoli, al fine di raggiungere un nuovo sistema politico, economico, sociale e di godere dei diritti, della sovranità, della sicurezza e della pace, dovranno continuare nella lotta politica di classe, nella quale cresca la lotta antimperialista patriottica, la lotta per la democratica ed il ruolo dei paesi guidati da forze rivoluzionarie e progressiste. Crediamo che l'incontro internazionale dei comunisti ed operai svolge un ruolo importante in questo contesto. La nostra reciproca cooperazione, il nostri obiettivi comuni, la nostra capacità di avanzare in azioni comuni o convergenti, assume una importanza cruciale. In questo contesto di crisi, i partiti comunisti ed operai possono e devono svolgere un ruolo fondamentale, politico ed ideologico nella lotta per la pace, il progresso ed il socialismo.
 
 

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