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- pensiero resistente - movimento comunista internazionale - 21-12-15 - n. 570
ECM 2015 - Incontro Comunista Europeo 2015
"Rafforziamo la lotta operaia e popolare contro la barbarie capitalista che crea guerre, povertà, rifugiati e immigrati. Per l'Europa del socialismo, della pace, della giustizia sociale".
La delegazione del Partito Comunista a Bruxelles era composta dal segretario generale Marco Rizzo e dal compagno Guido Ricci, ufficio politico e dipartimento internazionale.
Cari compagni,
i Comunisti d'Italia salutano cordialmente i partiti fratelli, partecipanti all'annuale incontro dei Partiti Comunisti e Operai d'Europa e ringraziano sinceramente il Partito Comunista di Grecia (KKE) per averci dato la possibilità di incontrarci, analizzare la situazione, scambiare le esperienze e fare il bilancio del lavoro svolto durante quest'anno.
Ci sembra che l'anno, trascorso dal nostro ultimo incontro, sia stato caratterizzato da un'acutizzazione del conflitto tra le principali potenze imperialiste. L'incapacità, come risultato dell'impossibilità, di uscire dalla crisi generale del modo di produzione capitalistico e il tentativo di assicurarsi il controllo dei mercati e delle materie prime, in primo luogo delle fonti di energia, spinge gli imperialisti verso il confronto militare sul piano internazionale e all'inasprimento delle misure repressive nei confronti di ogni possibile resistenza di classe all'interno dei loro stessi paesi. La politica estera e la politica interna dell'imperialismo non sono mai state così interdipendenti come oggi.
Con l'acutizzarsi delle contraddizioni, si acutizza la competizione interimperialista. Alla consueta concorrenza commerciale si aggiunge un'aspra lotta sul piano finanziario e valutario, dell'informazione e del confronto armato di nuovo tipo.
In questa lotta tra blocchi imperialisti viene ampiamente usata la tattica della cosiddetta "guerra ibrida". Cosa essa sia ce lo spiega la stessa Dichiarazione Finale del Summit NATO, tenutasi in Galles il 5 settembre 2014: "un vasto complesso di misure, aperte o sotto copertura, militari, paramilitari e civili, impiegate in un piano altamente integrato", cioè una tattica combinata, fatta di spionaggio, sistematica destabilizzazione politica del nemico, eversione e sabotaggio, repressione di qualsiasi opposizione interna, aggressione militare.
Nell'ambito della guerra ibrida, l'imperialismo utilizza in modo cinico anche il terrorismo.
Approfittiamo di questa tribuna per esprimere ancora una volta le condoglianze dei Comunisti alle famiglie delle vittime dei vigliacchi e criminali attentati terroristici a Beirut, Ankara, nei cieli del Sinai, Parigi, Bamako e ovunque i terroristi abbiano mietuto vite umane innocenti. Al tempo stesso, dichiariamo che gli assassini sono finanziati, sostenuti e armati dall'imperialismo degli USA, della NATO e dell'Unione Europea.
I primi gruppi terroristici islamici furono creati già alla fine degli anni '70. A quel tempo, gli USA, la NATO, i paesi della Comunità Europea e la Cina finanziarono e armarono le bande di Al-Qaida di Osama Bin Laden e altri gruppi di mujaheddin, utilizzandoli contro il legittimo governo democratico dell'Afghanistan e contro l'Unione Sovietica che lo sosteneva. Naturalmente, dietro questo tentativo di "esportazione della democrazia" attraverso l'utilizzo dell'oscurantismo religioso integralista si nascondeva il progetto Unocal-Chevron per la costruzione di un oleodotto dal Mar Caspio a Karachi, un progetto strettamente collegato al programmato disfacimento dell'URSS e alla separazione delle repubbliche petrolifere dell'Azerbaijan, del Kazakhstan e del Turkmenistan. Come la storia ha mostrato, anche in quell'occasione gli USA non riuscirono a mettersi d'accordo con i loro Talebani e la situazione sfuggì al loro controllo. Secondo l'opinione del noto "giornalista internazionale", anticomunista viscerale, 'amico' del Mossad e della CIA, Edward Luttwak, il successivo rafforzamento del terrorismo islamico dopo gli avvenimenti di allora è soltanto "un effetto collaterale, insignificante rispetto al raggiunto obbiettivo di rovesciare il comunismo in Unione Sovietica". Questa cinica ammissione, espressa nel corso di una trasmissione televisiva della TV italiana, dedicata alla sanguinosa strage di Parigi, non fa che confermare la nostra analisi del terrorismo: è l'imperialismo che genera il terrore e se ne serve per perseguire i propri fini. Inoltre, il terrorismo, generato dall'imperialismo, è una delle forme con cui si combatte la guerra di tipo nuovo, la guerra ibrida.
La sistematica destabilizzazione degli stati mediorientali laici, progressisti o semplicemente non disposti a piegarsi al diktat imperialista è una delle cause primarie della diffusione del terrorismo islamico. L'imperialismo euro-atlantico ha finanziato e armato svariate organizzazioni terroristiche per rovesciare i governi non graditi sia in Afghanistan, che in Iraq, in Libia, oggi in Siria. Non dobbiamo dimenticare che l'ISIS nasce in Iraq alla fine della sporca guerra, scatenata dagli USA e dalla NATO col falso pretesto della "presenza di armi di distruzione di massa" e gli aggressori occidentali lo sostengono perché l'ISIS, sunnita, combatte contro i resti dell'esercito regolare iracheno e le milizie sciite di Muqtada As-Sadr, vicine all'Iran. La religione è solo un pretesto ideologico per l'arruolamento della carne da cannone delle bande terroristiche e per la copertura di lauti affari. In realtà, queste forze sono messe in moto dagli interessi, estremamente materiali, economici e geo-strategici, delle grandi potenze imperialiste; nel dato caso, degli USA e dell'UE. I gruppi terroristici, in effetti, sono stati usati in Libia per rovesciare Gheddafi e vengono utilizzati in Siria per combattere contro il governo di Bashar Al-Asad al fine di realizzare una nuova spartizione delle risorse naturali di quei paesi e garantire all'imperialismo euro-atlantico la supremazia geo-strategica su Russia, Cina e Iran nel Vicino Oriente.
L'ISIS gode dell'attivo sostegno degli alleati locali degli Stati Uniti e dell'UE. La Turchia, che fa anche parte della NATO, l'Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e l'Oman, con il pretesto di aiutare la mitologica "opposizione moderata" al governo siriano, riforniscono l'ISIS di mezzi finanziari e armi, pur facendo formalmente parte della coalizione anti-ISIS, guidata dagli USA. Gli interessi geo-strategici delle maggiori potenze imperialiste occidentali si intrecciano alle ambizioni delle potenze locali ed anche ai ben più vili interessi personali di singoli governanti. Non è un segreto per nessuno che il contrabbando di petrolio, la vendita di droga e il commercio di schiavi e organi umani per i trapianti, siano le principali fonti di reddito dell'ISIS. Il principale acquirente di queste merci proibite o di contrabbando è la Turchia o, più precisamente, sono aziende e organizzazioni che fanno capo al figlio e ad altri parenti del presidente Tayyip Erdoğan. Su tutto questo gli alleati occidentali della Turchia chiudono gli occhi, mentre continuano a versare lacrime di coccodrillo, ributtanti per cinismo e ipocrisia, per le vittime del terrorismo.
Gli USA e l'UE hanno finora combattuto il terrorismo dell'ISIS e delle altre organizzazioni islamiche estremiste in modo puramente formale, di facciata e, per questo, inefficace, finché nel gioco non è entrato un altro paese imperialista, la Russia. Nonostante il rischio di escalation, non si può negare che il suo deciso ingresso nel conflitto armato, contro l'ISIS e a sostegno della sovranità siriana come fattore di stabilità della regione, abbia sconvolto i piani dell'imperialismo occidentale e posto probabilmente fine all'unipolarismo dell'ordine imperialista. Certo, la Russia non è l'Unione Sovietica e, indubbiamente, opera in una logica di grande potenza imperialista, tuttavia, è innegabile che:
lo smascheramento del doppio gioco degli imperialisti euro-atlantici, della Turchia, dell'Arabia Saudita e degli altri regimi reazionari della regione, aiuta l'opinione pubblica mondiale ad aprire gli occhi sulle vere ragioni del conflitto in Siria;
l'ISIS incomincia a ritirarsi, dopo avere perso, in tre mesi, il 50% della sua base economica, significative parti del territorio occupato e un sensibile numero di miliziani, grazie alle operazioni belliche congiunte dell'aviazione militare russa, dell'esercito regolare siriano e dei reparti combattenti curdi;
è stato raggiunto un accordo trilaterale sull'autonomia curda nella zona della frontiera siriana nord-orientale con la Turchia, che rappresenta sia un inizio di soluzione positiva della questione curda, che una spina nel fianco del governo reazionario di Erdoğan.
Sulla base dei fatti riportati, ci sembra che le azioni della Russia, nella fase attuale, non si contrappongano agli interessi e alle aspettative del movimento antimperialista, ma, al contrario, aprano nuove, rilevanti contraddizioni nel campo imperialista.
In conseguenza del rovesciamento dei governi laici e progressisti in Afghanistan, Iraq, Libia e della destabilizzazione della Siria, il livello di vita dei popoli di quei paesi è drasticamente peggiorato. La guerra e il terrore, l'aperta aggressione imperialista e l'intensificazione dello sfruttamento capitalistico hanno comportato l'impoverimento, materiale e morale, del popolo, hanno umiliato la sua dignità e calpestato la sua cultura. Miseria, guerra e terrorismo, dei quali sono responsabili USA, UE e NATO, sono appunto le cause fondamentali di un'ondata di emigrazione di profughi dai paesi, vittime dell'aggressione imperialista, mai vista prima.
Miseria e emarginazione sociale spiegano anche il relativo successo delle organizzazioni terroristiche islamiche nel reclutamento di adepti tra la gioventù sottoproletaria delle periferie delle città europee, figli e nipoti di lavoratori immigrati. L'imperialismo prima costringe enormi masse di popolo a fuggire dalla guerra e dalla miseria dei loro paesi, da esso stesso provocate, poi condanna i più "fortunati" a uno sfruttamento bestiale per un salario miserevole, mentre ne spedisce la maggior parte ad ingrossare le fila "dell'esercito industriale di riserva", cioè dei disoccupati. Privi di istruzione, lavoro, mezzi materiali per un'esistenza dignitosa e di qualsiasi prospettiva di miglioramento della propria condizione, questi giovani possono diventare facile preda della propaganda religiosa radicale che promette loro le gioie del paradiso e la possibilità di un'impunita vendetta contro una società che odiano. Le gioie, ovviamente, solo nell'aldilà, come promette ogni religione che si rispetti.
Le centrali di propaganda imperialiste, cercando di fare sparire le tracce della loro criminale complicità con il terrorismo, stanno diffondendo la falsità, atta a creare panico, del "conflitto di due civiltà", della guerra di religione dell'islam contro il cristianesimo. Sarebbe bene ricordare che le prime vittime dell'islam radicale sono proprio quei popoli, per la maggior parte di religione musulmana, che oggi si trovano nei territori occupati, sotto il giogo dell'ISIS, dove questo domina non per volontà di quei popoli, ma per complicità ed errori di calcolo politico dell'imperialismo americano ed europeo. Di quale conflitto di civiltà hanno il coraggio di parlare? Il conflitto in atto è tra il legittimo governo della Siria e le potenze imperialiste occidentali che lo hanno aggredito per assicurarsi il controllo strategico della regione e lo sfruttamento delle sue materie prime e delle sue fonti d'energia. Ma quale civiltà? Qui, al contrario, si sta rivelando tutta la barbarie dell'imperialismo, dei suoi alleati locali e dei banditi dell'ISIS.
Col pretesto della "difesa dei principi fondanti della civiltà occidentale dal terrorismo islamico", gli USA e l'UE stanno preparando un ulteriore inasprimento dell'aggressione imperialista contro il popolo siriano, nel tentativo di controbilanciare l'efficacissima azione militare della Russia e la resistenza della parte migliore dei popoli siriano e curdo, ai quali esprimiamo la nostra solidarietà internazionalista nella convinzione che, alla fine, sconfiggeranno la barbarie.
Sul piano ideologico, gli imperialisti cercano di ottenere il consenso dell'opinione pubblica alla realizzazione dei piani di aggressione e di coagulare le masse popolari sulla piattaforma reazionaria e nazionalista della "difesa della civiltà occidentale". A questo scopo stanno creando una psicosi allarmistica di "assedio" dell'Occidente da parte delle orde dei barbari islamici, ai quali ascrivono sia i terroristi che i profughi.
Sul piano politico e operativo, l'atmosfera di panico artificiale serve da pretesto ad un ulteriore aggravamento delle misure repressive e autoritarie all'interno degli stessi paesi membri delle unioni imperialiste. Con la scusa di difendere la popolazione dagli atti terroristici, si introducono poteri speciali per l'esercito e i servizi segreti, si vietano, per periodi più o meno lunghi, le manifestazioni politiche e sindacali, si limita la libertà di movimento dei cittadini all'interno dello spazio Schengen, si avanzano proposte di modifica delle costituzioni in direzione della limitazione delle libertà individuali e collettive e della concentrazione del potere in organismi non soggetti ad elezione popolare, si propone addirittura la schedatura del DNA di ogni cittadino. Insomma, oggi la borghesia si serve della minaccia terroristica per inasprire la dittatura del capitale.
I Comunisti sanno bene che le misure poliziesche e militari non sono in grado di risolvere definitivamente la questione del terrorismo, poiché esso è l'effetto del conflitto interimperialista, uno sporco metodo di conduzione della guerra imperialista di nuovo tipo. L'imperialismo è inseparabile dalla guerra e la guerra di nuovo tipo, come viene teorizzata nella dottrina militare della NATO, degli USA e dell'UE, è inseparabile dal terrorismo. Di conseguenza, la lotta al terrorismo, a sua volta, non può essere separata dalla lotta all'imperialismo, che ne è la causa principale.
All'ideologia religiosa radicale del terrorismo odierno dobbiamo contrapporre una visione del mondo materialista, scientificamente fondata, alla promessa del paradiso nell'aldilà dobbiamo contrapporre un programma politico concreto che indichi la via "dell'assalto al cielo" per la conquista del "paradiso" in questo mondo. Sottovalutare questo aspetto della lotta ideologica significa non tenere in considerazione l'essenza reazionaria di ogni religione e il rischio che la parte più sottoproletaria e politicamente meno preparata delle masse venga coinvolta in una logica di guerra di religione contro l'islam.
Sul piano politico, dobbiamo sforzarci di mobilitare la classe operaia e le masse lavoratrici per fermare la partecipazione dei nostri paesi ad avventure militari di qualsiasi tipo, in qualsiasi area geografica, sotto qualsiasi pretesto ed esigere la cessazione di tutte le missioni militari all'estero, indipendentemente dall'egida dell'ONU, con l'immediato rientro dei nostri soldati. Deve essere chiaro alle masse che lottare per la pace e la sicurezza è giusto e necessario, ma che oggi questo significa combattere l'imperialismo che le minaccia. Di conseguenza, bisogna far crescere la pressione popolare per l'uscita dei nostri paesi dalla NATO e dall'UE per evitare un loro ulteriore coinvolgimento nei piani delle unioni imperialiste, per i quali i nostri popoli già sopportano un insostenibile fardello economico e rischiano di pagare anche un prezzo di sangue.
La difesa della democrazia, delle libertà individuali e collettive, è sempre stata e resta anche oggi uno dei compiti principali dei Comunisti. Qualsiasi limitazione della democrazia, anche di quella borghese, puramente formale, si traduce in un peggioramento delle condizioni oggettive della lotta di classe del proletariato. Come ieri i Comunisti sono stati il reparto d'avanguardia della lotta antifascista, così oggi dobbiamo porci alla testa di un movimento di massa che sia in grado di unire i lavoratori e anche elementi della borghesia, orientati in senso progressista, sotto la bandiera della difesa della democrazia e delle libertà, dei diritti civili e sociali, oggi minacciati dal dominio del capitale monopolistico. Questo non significa perseguire alleanze di carattere politico con i vertici dei partiti borghesi, coinvolti nella gestione dello stato borghese, nel sostegno alla guerra imperialista e nell'applicazione di misure antipopolari e antidemocratiche. Non parliamo solo della socialdemocrazia, che si distingue per il suo impegno a soddisfare in ogni modo i piani della borghesia più reazionaria, ma anche degli opportunisti, in un modo o nell'altro legati al Partito della Sinistra Europea. Facendo finta di non capire la reale natura dell'Unione Europea, costoro, a parte qualche timido slogan su una mitica e inesistente "Europa dei popoli", non fanno nulla per fermare la guerra imperialista e la criminale politica dell'Europa del capitale monopolistico, questa sì, invece, esistente. Tali inammissibili posizioni, purtroppo, hanno ancora diritto di cittadinanza persino all'interno del Movimento Comunista Internazionale. Se i socialdemocratici sono complici iperattivi della dittatura del capitale, gli opportunisti sono i complici passivi della borghesia imperialista.
Quando parliamo di movimento di massa in difesa della democrazia intendiamo una grande alleanza sociale di popolo lavoratore, compatto su una piattaforma antifascista e antimperialista chiara e senza compromessi, indipendentemente da appartenenze partitiche, sindacali e nazionali, che sia in grado di sbarrare il passo alla repressione, all'autoritarismo, al controllo spionistico sui cittadini e di sconfiggere i piani reazionari della borghesia monopolistica, nello spirito delle migliori tradizioni dell'antifascismo europeo.
A differenza dei socialdemocratici e degli opportunisti, la difesa della democrazia per noi non è il mantenimento conservatore dell'ordinamento esistente. Conosciamo bene sia il carattere di classe della democrazia, come una delle forme della dittatura borghese, sia la sua limitatezza. Nella nostra concezione, difendere la democrazia significa in primo luogo fermarne il degrado e la violazione, forzarne i limiti in senso progressista, introdurvi elementi di democrazia sostanziale per mezzo dell'allargamento dei diritti dei lavoratori e delle libertà collettive, creare i presupposti di una situazione di dualismo di potere. Certamente, tutto ciò non è la rivoluzione socialista, né la sostituisce, ma crea condizioni più favorevoli alla sua realizzazione.
Gli appelli alla "difesa della civiltà europea" da parte dei governi borghesi favoriscono il successo di organizzazioni di estrema destra e neofasciste. Il loro delirio razzista e xenofobo a volte si diffonde tra la gioventù, i disoccupati e i lavoratori meno coscienti, coltivando l'odio verso gli immigrati stranieri e la divisione del proletariato in base al colore della pelle o alla nazionalità. La divisione dei lavoratori e lo scatenamento della guerra tra poveri è una delle principali tattiche dei capitalisti contro la classe operaia. Per combattere questa tattica della borghesia, i Comunisti devono condurre una capillare agitazione propagandistica tra i lavoratori, i disoccupati, la gioventù e gli stessi immigrati. Occorre far comprendere che anche gli immigrati sono fratelli di classe. Non sono loro che determinano l'abbassamento di salari e pensioni, ma i capitalisti che sfruttano il lavoro altrui, indipendentemente dal passaporto o dal pigmento della pelle; non sono loro a privare di lavoro e prospettive future le giovani generazioni, ma la crisi economica del capitalismo, dalla quale la borghesia non è in grado di far uscire i nostri paesi; non sono loro la causa del degrado delle periferie, ma le amministrazioni borghesi delle città, che le hanno trasformate in veri e propri ghetti, contenitori dove si butta la spazzatura sociale che non si vuole vedere nei quartieri borghesi. Nei campi di ortaggi dell'Italia meridionale, uccisi dal logorante carico di lavoro, muoiono sia i braccianti italiani, che quelli immigrati; nelle fabbriche e nei cantieri dei nostri paesi, uccisi dall'asbesto, o dalla mancata osservazione delle norme di sicurezza, o dagli eccessivi ritmi di produzione, muoiono tanto i nostri operai, quanto i lavoratori immigrati. L'assassino è uno solo: il capitalista sfruttatore.
Perciò, la difesa degli interessi dei lavoratori europei non passa attraverso la negazione degli interessi degli immigrati, ma attraverso l'estensione anche a loro dei diritti conquistati, poiché questi interessi sono comuni, di classe e anche il nemico è comune, di classe. Spiegare questa verità oggettiva, ristabilire l'unità della classe operaia e la sua alleanza con gli altri strati del popolo lavoratore, indipendentemente da nazionalità, appartenenza partitica, lingua e religione, è compito primario dei Comunisti, oltre che l'unico modo per evitare una guerra tra poveri e l'ulteriore rovina dei lavoratori. La conquista dell'unità di classe e della parità di diritti di tutti i lavoratori, prima di tutto in termini di diritti sociali e collettivi, come il diritto al lavoro, a un salario e una pensione dignitosi, all'istruzione, alla salute, alla casa, alla cultura, lo sport e il tempo libero, alla sicurezza e alla pace, ci sembra di gran lunga più importante della sterile polemica, così cara agli opportunisti della sinistra borghese, sulla costruzione di moschee e altri luoghi di culto. I nostri avversari obietteranno che non ci sono risorse per realizzare un simile programma. Non è vero!
Nel corso dell'esistenza del capitalismo come modo di produzione dominante, il lavoro operaio ha creato una ricchezza enorme e continua a farlo anche in tempi di crisi. Sono state accumulate risorse che garantirebbero il benessere e lo sviluppo multilaterale dell'umanità, ma questo è impedito dall'appropriazione privata del prodotto sociale. E' falso che manchino i mezzi per il soddisfacimento di quei fondamentali diritti sostanziali che ricordavamo più sopra. I mezzi ci sono, ma si trovano nei forzieri di un pugno di insaziabili borghesi. Nella nostra propaganda deve essere detto a chiare lettere che l'espropriazione della proprietà degli sfruttatori e la socializzazione della ricchezza accumulata a favore del popolo lavoratore significa non solo restituire ai produttori il frutto del loro lavoro, rubato dal capitalista, ma anche porre la base materiale per lo sviluppo libero, pacifico e pieno della società umana.
Chiamiamo i lavoratori ad unirsi in un unico fronte di lotta contro la guerra imperialista e lo sfruttamento capitalistico, per un libero, pacifico, felice futuro dell'umanità; il suo nome è: comunismo!
Oggi deve risuonare più forte che mai il nostro appello internazionalista: Proletari di tutti i paesi, unitevi!
Antifascismo è anticapitalismo
Testo distribuito alle delegazioni estere (italiano ed inglese, Dipartimento Memoria. PC)
La Resistenza al nazifascismo, in Italia e in Europa, è in gran parte ridotta, purtroppo ma non a caso, a mere celebrazioni, a edulcorazioni estremamente dannose che non spiegano né ricordano nulla. A volte, neanche coloro che ne rivendicano l'eredità ne conoscono tanti aspetti, sfaccettature, particolarità di quello straordinario fenomeno insurrezionale di popolo che invece sarebbe tanto importante sottolineare.
Tanto, troppo tempo è passato. Una cosa è certa: oggi non si possono più accettare le mistificazioni di chi cerca di ridurre quel fenomeno, e non solo, a parte «marginale» della guerra. Le forze comuniste furono, al contrario, basti pensare al fronte orientale, fondamentali per contribuire a sconfiggere un mostro paradossalmente creato dal capitale e che il capitale stesso non riusciva più a controllare!
Il revisionismo storico degli ultimi anni ha svilito notevolmente l'operato delle forze comuniste in campo, regolari e non, sul piano internazionale e sui diversi piani nazionali. Abbiamo assistito, e assistiamo, a «riletture» storiche scorrette, mistificatorie; come le mastodontiche celebrazioni per lo sbarco degli statunitensi in Normandia, mentre i media facevano a gara per sorvolare (quando non per rimuoverlo completamente) sull'enorme, determinante contributo dell'Armata Rossa e del popolo sovietico tutto ad oriente; perché fu su quel fronte che la guerra subì la sua svolta determinante sul piano militare.
Fu il popolo Sovietico a «donare» a quella guerra oltre il 40% dei morti totali, una cifra che quasi centuplica il numero dei morti statunitensi!
Ricordiamo allora sempre con orgoglio e commozione l'annientamento dell'«operazione Barbarossa», l'eroico comportamento dei militari sovietici e della popolazione civile durante la terribile battaglia di Stalingrado quando, nonostante i mesi di assedio e le centinaia di migliaia di morti subiti, gli aggressori assassini tedeschi, italiani e non solo furono ricacciati nelle fogne dalle quali erano arrivati. Non sarebbe stata possibile soluzione diversa: da una parte si trovava un popolo, quello sovietico, che supportava con estrema convinzione il proprio governo, che credeva negli ideali rivoluzionari e che spinse questa sua convinzione, in milioni di donne e di uomini, fino all'estremo sacrificio; dall'altra popoli oppressi da ideologie reazionarie, costretti a una guerra imperialista condita da pseudo-ideologie farneticanti. Fu l'esercito sovietico ad entrare a Berlino, fu l'esercito sovietico ad entrare ad Auschwitz, nonostante mistificazione editoriali, cinematografiche e pseudo-storiche cerchino di fornire una narrazione diversa.
Ricordiamo allora con orgoglio e onore il contributo insostituibile del popolo Sovietico a quella guerra, il ruolo determinante della classe operaia alla guida dell'Esercito Sovietico, ai progressi da gigante che nei vent'anni successivi alla Rivoluzione d'Ottobre il popolo di quel Paese seppe fare!
Anche nel nostro Paese, come nel resto del globo, assistiamo alla continua continua diffamazione della lotta Partigiana, nel suo insieme e in ogni suo componente, da quelli di maggior spicco agli «ultimi» rivoltosi. Assistiamo alle continue calunnie contro la componente comunista, che in quella guerra fu maggioritaria. Stanno mistificando, svilendolo, il contributo che le forze comuniste seppe dare in Grecia – con i comunisti forza fondamentale all'interno Comitato politico di Liberazione Nazionale (PEEA) – come in Italia, con il ruolo del Partito Comunista all'interno del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN).
Qualcuno mistifica dicendo che, ad esempio, in Italia la lotta armata iniziò tardi, quando la vittoria alleata era ormai sicura; tutto questo dimenticando l'antifascismo della prima ora, gli Arditi della prima ora che cercarono all'inizio degli anni Venti di opporsi all'avvento del fascismo, gli anni di organizzazione comunista negli esìli, nei confini, nella clandestinità, nelle «università» dei carceri, veri e propri luoghi di studio teorico e di elaborazione politica sul progetto di società che si voleva perseguire.
Tutte le mistificazioni e le distorsioni sono ovviamente interessate; e gli i antifascisti in generale non dovrebbero accettarle. La guerra partigiana fu determinante, ovunque, anche sul piano militare: con il sabotaggio dei rifornimenti, attraverso importanti vittorie sul campo e il continuo logorio militare e psicologico che i partigiani, e le centinaia di migliaia di loro fiancheggiatori nella Resistenza «passiva» tra la popolazione civile, esercitavano nei confronti dei nazifascisti.
Non poche città del nord Italia furono liberate dai partigiani prima dell'arrivo degli Alleati; in molti altri casi la collaborazione della guerriglia fu propedeutica e indispensabile all'intervento di questi ultimi. Lo stesso boia Kesselring, comandante in capo tedesco sul fronte meridionale, sovente lamentava le ingenti perdite subite sull'Appennino toscoemiliano a causa delle azioni di quei «banditi». Quei «banditi» tentarono di creare – è la straordinaria storia delle «repubbliche partigiane» – delle enclavi repubblicane e realmente democratiche all'interno dell'occupazione nazifascista, riuscendo in diversi casi a resistere a lungo.
Molti di quei banditi – non lo dimentichiamo, non lo dimenticheremo e vogliamo ricordarlo ancora – erano comunisti! Così come lo erano molti dei combattenti in Spagna, quando le brigate internazionali intervennero a sostenere un popolo che eroicamente si difendeva da un nemico golpista interno e internazionale. Così come lo erano in Grecia, un Paese che si è trovato un numero impressionante di volte a fare i conti col fascismo: durante l'occupazione italiana, la guerra e con i colonnelli col fascismo nella sua veste totalitaria, ma anche nel dopoguerra quando esso si manifestò senza maschere, sotto le spoglie delle truppe angloamericane. Quante centinaia di migliaia di vittime, quanti gli esuli di un Paese che fu struprato, massacrato, stravolto per sempre.
I comunisti, allora, non possono permettersi di stare sulla difensiva; possono e devono rivendicare, fino in fondo, la propria guerra di Liberazione, che era soprattutto Liberazione dalle catene del capitale e lotta per un sistema sociale diverso. Non possono permettersi di stare sulla difensiva perché i meccanismi revisionistici di trasmissione della storia subiscono processi di continue modifiche successive tese a stravolgerla. Questi meccanismi, infidi e pericolosi, fanno leva su sentimenti e presupposti che non solo non ci appartengono, ma che dobbiamo combattere e interrompere; ci riferiamo alla terribile confusione, ad esempio, che in ogni Paese provoca la ricerca di un'inaccettabile «memoria condivisa» e dell'«unità nazionale».
Sono concetti che non ci devono mai fuorviare: la nostra Memoria dev'essere una Memoria di classe, da condividere con le classi subalterne che hanno sempre condiviso e condividono ancora le nostre lotte; la nostra unità dev'essere l'unità delle forze lavoratrici e proletarie contro chi li ha sempre sfruttati! Nessuna condivisione tra gli aguzzini e i torturati, tra gli sfruttatori e gli sfruttati, tra gli industriali che costruiscono le catene e i lavoratori che vi sono soggiogati. Nessuna confusione, quindi, tra il torto e la ragione!
Certo, i comunisti hanno commesso errori. In tutta la drammaticità del periodo post–bellico, che coincideva con l'inizio della guerra fredda, si sono fatti errori tattici da non sottovalutare. La politica dei «fronti popolari», voluta e caldeggiata dalla stessa Unione Sovietica e che si rivelò fondamentale per la sconfitta del nazifascismo, avrebbe dovuto rappresentare una svolta meramente tattica. In Italia ad esempio, purtroppo, quella svolta rappresentò, anche a causa della situazione internazionale, un cambiamento degli obiettivi strategici delle forze comuniste, aprendo la strada, gradualmente, al «partito nuovo», al partito di «lotta e di governo», all'accettazione dell'«ombrello» della NATO, alla ricerca dell'«eurocomunismo», del compromesso storico, «matrimonio» di classe, oggi ormai consumato, con il nemico di sempre. Quante vite sacrificate in nome di nobili ideali, alla ricerca del «sol dell'avvenire»! Quanto sangue versato per obiettivi che milioni di donne e uomini morti, dispersi e mutilati sul campo non avrebbero mai voluto perseguire; non solo: obiettivi, frutto di continui compromessi al ribasso, che le loro menti non sarebbero mai riuscite neanche a concepire!
Il filosofo tedesco Walter Benjamin diceva: «la scintilla della speranza è presente solo in quello storico che è compenetrato dall'idea che neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince». Questo nemico non ha mai smesso di vincere, è giunta l'ora che qualcuno lo sconfigga!
A conferma di questo abbiamo potuto constatare, sempre e dovunque, come, morti i vari fascismi, la democrazia borghese subentrante decideva regolarmente di non fare i conti con i loro crimini: in Spagna, in Italia, in Germania al di là del processo formale e niente più di Norimberga, fino ai recenti esempi come quelli greco o cileno. Ogni volta la giustizia è clamorosamente mancata, non solo! Le democrazie borghesi hanno sempre assunto o mantenuto, nell'apparato dello Stato, nei servizi segreti e negli eserciti, coloro che si erano particolarmente distinti per i loro crimini contro le spinte rivoluzionarie e per il loro anticomunismo, pronti a rispolverare quei loschi figuri qualora il livello del conflitto sociale lo avesse nuovamente richiesto.
E allora: nessuna concessione, nessun compromesso, nessuna equiparazione, nessuna base di partenza o, peggio ancora, Memoria condivisa con il nemico di classe, con il nemico di allora e di oggi.
Ricordiamoci, infine, di quanto Antonio Gramsci, assai prima della marcia su Roma, aveva saputo leggere in anticipo rispetto a tanti altri militanti e osservatori politici del tempo. Nel fascismo, al di là delle esternazione patetiche, dei connotati di quei bulli che sfilavano in divisa, al di là dei loro ridicoli ma anche drammatici atteggiamenti, Gramsci aveva riconosciuto l'ultima, disperata risorsa di un capitale borghese, latifondista e industriale che – dopo la Rivoluzione di Ottobre, la nascita di centinaia di «Case del popolo», in presenza del «biennio rosso» – si sentiva profondamente minacciato e correva ai ripari.
Quella analisi, a cento anni di distanza, di fronte agli avvenimenti del Donbass, è esattamente la nostra stessa analisi di oggi! Partendo da questo, allora, ci continua a spingere la convinzione che non è mai – in qualsasi campo – possibile combattere gli effetti prescindendo dal combattere le cause.
I fascismi, le mafie, le massonerie: tutte facce della stessa medaglia che sguazzano, si intersecano e profilicano nei meccanismi del capitale.
Sin quando il capitalismo sarà il modello socio-economico, non sarà possibile sconfiggere il nazifascismo. È quindi ora di andare alla fonte: è ora di togliere l'ossigeno, culturale, finanziario e politico, che fomenta queste aberranti ramificazioni del sistema capitalista. È ora di spazzar via un modello politico-economico che nel mondo ha sempre saputo generare soltanto sfruttamento, guerra e distruzione.
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